ITALIA – Lezioni di letteratura sulle strade di Padova

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Di Nadia Cario

Nelle vie di Padova viene ricordata l’intellettuale del Quattrocento Isotta Nogarola vissuta nel periodo di maggiore espansione della Repubblica di Venezia. Verso la metà del Cinquecento, quando la città aveva poco più di 34.000 abitanti ed era sede di una ricca vita intellettuale, il suo Studio aveva i più famosi matematici e dottori in diritto civile e canonico, la facoltà di medicina vantava nomi altisonanti e l’Accademia degli Infiammati era frequentata tra gli altri da Pietro Aretino e Tiziano Vecellio. Di questo periodo troviamo poete come Gaspara Stampa e Veronica Franco. Tra le letterate successive troviamo nomi eccellenti quali Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la prima laureata al mondo proprio qui nel 1678. Riuscì a laurearsi dopo divieti e ostacoli da parte del Vescovo, tra i quali quello di non poter prendere la laurea in teologia come avrebbe voluto, ma in filosofia. Accolta poi nel Collegio dei medici e dei filosofi non poté esercitare l’insegnamento in quanto donna.

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Sulpicia (… – I secolo a.c.)

La poeta Sulpicia è l’unica donna di età classica di cui ci sono pervenute le opere. È la sola che ci parla di sé scrivendo della propria vita e di come vive i sentimenti in prima persona senza mediazioni maschili.

Vissuta a Roma all’età di Augusto in un periodo in cui i mutamenti della condizione femminile avevano comportato libertà di parola sino al punto che in alcuni casi donne giunsero a comporre orazioni e pronunziarle nei tribunali. Appartenere alla classe alta le aveva dato la possibilità di frequentare i migliori ambienti, e in particolare gli intellettuali che si raccoglievano intorno a suo zio Messalla (Ovidio, Ligdamo, Tibullo). Sulpicia scrive e parla di amore tra fidanzati nei suoi poemi che ci sono pervenuti raccolti nel Corpus Tibullianum. E’ innamorata di Cerinto dal quale lo zio tutore vuole allontanarla portandola in campagna e lei si ribella con carattere:

Orribile compleanno, nella campagna odiosa

Senza Cerinto, triste a passare.

Nulla è più bello della città. … Suvvia Messalla, non preoccuparti

per me. Non sempre, parente mio, son tempestivi i viaggi.

Anche se non posso decidere quello che voglio

E mi conduci via, io lascio qui anima e sensi.

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Giulia Bigolina (Padova tra il 1516 e il 1519 – prima del 1569).

L’incertezza dei dati biografici è dovuta al fatto che fino a quando non furono stati istituiti dei registri per elencare tutte le nuove nascite, le donne non apparivano con regolarità in alberi genealogici e spesso non venivano iscritte nei libri di famiglia. Figlia di Alvisa Soncin di nobile famiglia di legislatori ben collegata con l’università e di Gerolamo, benestante con la passione della scrittura, Bigolina, è autrice di un inedito romanzo in prosa, Urania nella quale si contiene l’amore d’una giovine di tal nome, scritto intorno al 1556 – 1558. Si tratta di un romanzo che parla di amori contrastati i cui personaggi ricorrono al travestimento dove Urania, la personaggia principale, esamina i rapporti conflittuali tra uomo e donna in società concentrandosi sui motivi dell’onore e della ricerca di identità. Secondo Urania molti problemi sociali derivano dalla scarsa moralità maschile. Il suo caso è storicamente importante perché Giulia ha composto non solo l’unico romanzo in prosa mai rinvenuto scritto da una donna nel Rinascimento, ma anche l’unica novella del periodo, Giulia Camposampiero e Tesibaldo Vitaliani. Stimata ed apprezzata dagli autori suoi contemporanei quali l’Aretino e Tiziano, lo storico Andrea Cittadella, che scrive su Padova nel 1605, a parecchi anni dalla sua morte, la definisce ”scrittora faconda, nova Saffo”. Giulia frequenta la vita intellettuale padovana e l’Accademia degli Infiammati, partecipa alla discussione di A ragionar d’amore, trattato sull’amore in tre dialoghi “nei quali sotto persone onoratissime d’amore si ragiona”. Viene scelta per la sua attitudine al dibattito anche se, quando il testo era scritto da uomini come in questo caso, lei avrebbe dovuto limitarsi all’ambito dell’ascolto ponendo quelle domande che avrebbero permesso a uomini savi di brillare. Bigolina, invece, porrà in crisi l’assunto che le donne non siano capaci di ragionare come gli uomini, intervenendo vivacemente nel dialogo avvenuto nella sua casa. Si può pensare pertanto di far risalire l’invenzione del trattato femminista sul merito delle donne ad opera delle donne a Urania nella quale si contiene l’amore d’una giovine di tal nome per la sua previsione “di una precisa agenda intellettuale e filosofica in un periodo in cui proliferavano testi sul “prender moglie” e sul “governo della casa”” come scrive Valeria Finucci curatrice del libro Urania (2002), opera di questa scrittrice non convenzionale e molto apprezzata per i tempi in cui ha vissuto.

 Gaspara Stampa

Gaspara Stampa (Padova 1523 – Venezia 1554)

Intorno al 1523 nacque a Padova da una colta e modesta famiglia di commercianti gioiellieri di origine milanese. Alla morte del padre la madre nel 1531 si trasferì con la prole a Venezia. Gaspara, con la sorella Cassandra ed il fratello Baldassarre, ebbero una buona educazione letteraria e artistica tanto che sia lei che la sorella divennero cantanti e suonatrici di liuto molto ammirate. Gaspara inoltre componeva sonetti, poesie ed era molto vivace intellettualmente. Casa Stampa a Venezia divenne un salotto letterario molto frequentato dai maggiori musicisti, pittori e letterati della Venezia di quel tempo. Visse un’esistenza libera ed elegante, stringendo relazioni con letterati e gentiluomini. All’epoca esistevano molte Accademie e pare che Gaspara fosse anche socia dell’Accademia dei Dubbiosi col nome arcadico di Anassilla, nome che aveva tradotto dal termine latino del Piave (Anaxum). Dedicò gran parte dei componimenti e struggimenti all’uomo da lei amato, mentre lui ricambiò solo a tratti, preferendo combattere lontano da Venezia sotto le insegne del Re di Francia.

La poeta rappresenta la voce autentica e spontanea della poesia passionale ed erotica nella Venezia del Cinquecento. Nei suoi componimenti “rivendica la propria autonomia di scrittrice, il diritto ad avere una propria libertà d’espressione e di sofferenza per amore, sfida insieme alla società e al destino. Essempio infelice del suo sesso si riconosce la Stampa, ma, insieme, non può impedirsi di vivere in foco, di vivere ardendo e non sentire il male, sconsigliando, però, nel contempo le altre donne dal comportarsi come lei: Prendano esempio l’altre che verranno.” come scrive Francesca Santucci. Il suo diario intimo in cui si alternano gioie e angosce, viene definito una delle testimonianze letterarie femminili più delicate dell’epoca. I suoi scritti e la morte prematura la fecero una delle figure più caratteristiche del suo tempo. Viene ricordata anche con un busto in pietra che la rappresenta, unica figura femminile, nel doppio anello di statue in Parto della Valle.

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Enrichetta Usuelli Ruzza (Monza 1836 – Padova 1908)

Scrittrice, poeta, insegnate. Fu educata e istruita dalla madre nei primi anni, per diventare poi allieva di valenti professori. Arrivò nel Veneto nel 1856 per sposarsi con il farmacista di Castelfranco Veneto, Giovanni Ruzza. Durante il suo soggiorno a Castelfranco Veneto, Enrichetta si legò di sincera amicizia con Arnaldo ed Erminia Fusinato, con i quali, oltre all’amore per la poesia, condivideva anche un vivo sentimento patriottico. Fu autrice di poesie, di cui alcune furono lodate da Giosuè Carducci, che la incoraggiò, in diverse lettere, all’attività poetica.

Nè piú del vento i fremiti odorosi,

nelle tiepide sere,

soavi compiran furti amorosi

su le tremole antere;

I suoi componimenti a tema patriottico non poterono tuttavia avere libera circolazione almeno fino al 1866, ma è indubbio che contribuirono a considerare la poesia patriottica uno dei fenomeni più rilevanti della mobilitazione femminile durante il Risorgimento. Nel 1870, per sopravvenute difficoltà economiche, aveva dovuto cercarsi un lavoro trovandolo come insegnate di italiano e dirigente dell’Istituto femminile Pietro Scarcerle a Padova dove si trasferì, grazie alla cultura e alla preparazione dimostrate con alcune pubblicazioni letterarie. Ricoprirà questo incarico fino al 1906. La sua opera di educatrice mirava all’elevazione culturale e morale delle donne, mantenendo tuttavia lo spirito della tradizione, impegnato sulla famiglia. Morì a Padova nel 1908.

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Anna Maria Mozzoni, (Milano 1837 – Roma 1920)

Fu una delle principali protagoniste dell’emancipazionismo italiano e tra le più importanti figure della vita politica italiana e internazionale fra Otto e Novecento. Il suo impegno teorico, civile, politico denota grandissima vitalità e instancabile lavoro.

«Che fa la penna in mano a una donna se non serve alla sua causa, come a quella di tutti gli oppressi?»

«Voi però della cui intelligenza non posso dubitare vedendovi qui, pensate che le idee sono possenti e fatali, espansive e contagiose – non temete le opposizioni; senza attrito non v’è scintilla, ridete dell’umorismo, non ve ne impressionate; non ne vale la pena – e pensate ad aggiungervi lena, che se noi libiamo la vita in un calice sovente amaro, le nostre figlie e le nostre nipoti, che respireranno in pieno petto l’aura inebbriante della divina libertà, benediranno ai generosi conati di chi la preparò per loro.» (Dei diritti delle donne)

Nasce in una famiglia colta, di origini aristocratiche e di modesta ricchezza. La madre, Delfina Piantanida, appartiene all’alta borghesia milanese, mentre il padre Giuseppe è un ingegnere architetto. All’età di cinque anni entra in collegio per studiare.

Anna Maria mal sopporta l’educazione bigotta e conservatrice impartita dalle suore e nel 1851 ritorna a casa dove continuerà i suoi studi da autodidatta attingendo alla ricca biblioteca paterna. Tra le figure di riferimento vi sono Adelaide Cairoli, che Anna Maria frequenta, figura di spicco del risorgimento italiano. Tra le sue letture gli illuministi francesi e lombardi, Mazzini, Georges Sand e Fourier.

Il suo impegno fu rivolto soprattutto alla estensione del diritto di voto alle donne e a promuovere l’istruzione femminile. Fin dai suoi primi scritti La donna e i suoi rapporti sociali (1864) si trova la denuncia dello sfruttamento in cui sono costrette a vivere le lavoratrici, in particolar modo le operaie. Vicina alle posizioni repubblicane e mazziniane, nel 1871 venne chiamata a Roma da Mazzini per collaborare a La Roma del Popolo. Dal 1870 al 1890 scrisse per il giornale La Donna fondato a Padova nel 1868 da Gualberta Alaide Beccari, attento ai temi dell’emancipazione femminile e sensibile alla questione sociale. Nel 1878 rappresenta l’Italia al Congresso internazionale per i diritti delle donne di Parigi. Nel 1881 fondò la Lega promotrice degli interessi femminili, che si batteva per il diritto di voto alle donne. Nell’opuscolo Alle fanciulle, del 1884, spiegava perché le ragazze, qualunque fosse la loro condizione sociale, dovessero impegnarsi nella battaglia emancipazionista. Morirà al Policlinico di Roma all’età di 83 anni il 14 giugno del 1920.

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Gualberta Alaide Beccari (Padova 1842 – Bologna 1906)

Unica sopravissuta su quattordici nascite, Gualberta è figlia di Antonietta Gloria attrice di teatro, donna colta e politicamente attiva e di Girolamo Giacinto, traduttore, adattatore e autore di commedie teatrali oltre che direttore della compagnia patavina dei “Solerti”. L’ambiente familiare di idee repubblicane le fece maturare un forte impegno civile e l’amore per l’arte drammatica. Nel ’59 la famiglia emigra a Modena nella cerchia degli esuli veneti poiché il padre è sospettato dalla polizia austriaca di attività rivoluzionaria. Vi faranno ritorno nel 1866, dopo l’annessione. La scelta dell’emigrazione fu una delle cause del dissesto economico della famiglia, dal momento che la condanna in contumacia per emigrazione senza autorizzazione comportava il sequestro dei beni.

Gualberta presto aveva manifestato il desiderio di diventare giornalista per battersi in favore dei diritti delle donne e per contribuire al miglioramento della situazione sociale e morale italiana; divenne così ben presto protagonista di un’intensa stagione di dibattiti sull’emancipazione della donna, nei quali rivendicava la necessità di un rinnovamento morale della figura femminile quale base per il consolidamento della neonata nazione italiana. Il suo pensiero si basava sull’ideologia politica di Mazzini, che riconosceva alle donne la cittadinanza sociale, professionale e politica, affermando che non solo dovevano essere ammesse al voto, ma potevano anche essere votate ed elette come rappresentanti del popolo.

Tornata in Veneto, strumento di questa battaglia fu la rivista La donna da lei fondata nel 1868, riunendo attorno a sé un gruppo di poete, letterate, insegnanti, intellettuali, tra cui Anna Maria Mozzoni, Luisa Tosco, Giorgina Saffi. La donna uscì a Padova dal 12 aprile 1868 fino a ottobre dello stesso anno, poi fu trasferita per alcuni anni a Venezia e quindi a Bologna, dove la pubblicazione fu interrotta nel 1891.

Vennero affrontati diversi temi anche piuttosto controversi per quel periodo, quali la parità salariale, la prostituzione, il divorzio, i diritti politici delle donne. Scopo principale della rivista era quello di informare ed educare le donne nei diversi campi della politica, della letteratura, delle scienze e delle arti; gli articoli non si limitavano infatti alla sola sfera teorica, ma riportavano anche esempi pratici relativi alle scuole e al mondo del lavoro. La rivista s’impose fin dal suo esordio come il più importante organo di discussione e informazione del primo movimento emancipazionista italiano, luogo di circolazione di idee e scambio di informazione anche con analoghe associazioni estere.

 7.Padova.Aganoor.ridotta.Nadia Cario

Vittoria Aganoor (Padova 1855 – Roma 1910)

Poeta di origini armene da parte di padre, nacque a Padova il 26 maggio 1855 in una famiglia colta ed abbiente. L’istruzione voluta dalla energica e severa madre fece emergere il talento poetico di Vittoria. Il padre se una sorella soffrivano di una grave malattia mentale, tanto che la famiglia doveva spostarsi tra Napoli, Basalghelle in provincia di Treviso, Venezia, dove avevano proprietà continuando però a frequentare ambienti mondani e culturali.

Dopo la morte della madre, Vittoria sposò Guido Pompilj, buon letterato e uomo politico di un certo rilievo. Con lui si trasferì a Perugia, città nella quale trascorse gli ultimi anni della sua esistenza. Pubblicò soltanto a quarantacinque anni il suo primo libro, Leggenda eterna (1900), su sollecitazione dei suoi amici.

Morì il 7 maggio 1910, all’età di cinquantacinque anni; poco dopo il marito, disperato, si suicidò. Il gesto del marito ebbe molta risonanza, ponendo le poesie di Vittoria in un’ottica del tutto nuova.

Casa natale

Vecchia casa lontana,

aperta su quel prato

che il fiumicel chiudea come monile

tremulo, rispecchiante
statue brune dal muscoso plinto;

e di là dal recinto,

di pennuti cantor reggia felice,

le folte, antiche piante,

verdi asili romiti,

per me già sognatrice,

di pensieri, di fascini, d’ inviti….

8.Padova_Vivanti_NadiaCario.ridotta

Annie Vivanti (Norwood, 7.4.1866 – Torino, 20.2.1942)

Nata nel sobborgo londinese di Norwood, figlia della scrittrice tedesca Anna Lindau e di Anselmo, garibaldino mantovano di antico ceppo ebraico esule a Londra.

Poeta e scrittrice italiana, con una forte passione per il canto, fu celebre negli ambienti intellettuali in Italia, Inghilterra, Svizzera e Stati Uniti. Famosa anche per le scelte di vita non convenzionali. Ha esordito nel mondo letterario con la raccolta poetica Lirica pubblicata in Italia con la prefazione di Giosuè Carducci. Prefazione che l’editore Emilio Treves considerò necessaria per la sua pubblicazione. Annie è una scrittrice che soltanto in anni recenti si sta cominciando a riscoprire e rivalutare e che nel corso della sua lunga carriera si è cimentata, quasi sempre con successo, nei più svariati ambiti e generi letterari: poeta, drammaturga, romanziera, giornalista, autrice di favole per bambini e di racconti lunghi e brevi. In un percorso artistico unico e degno di interesse, le cui opere quasi sempre inducono in chi le legge al sorriso. Nel 1892 si sposò con il giornalista irlandese John Chartres, stabilendosi a New York. Nel 1893 nacque Vivien alla educazione della quale si dedicò completamente. Ben presto la figlia si affermò come violinista enfant prodige divenendo una acclamata celebrità internazionale. Da questa esperienza Annie trasse motivo per un suo rilancio in letteratura con vari racconti tra cui la sua opera più celebre I divoratori pubblicata in Italia nel 1911 incentrato sul tema della maternità attraverso il racconto di tre generazioni di donne, doppiamente divorate dal loro ruolo di madri e dal genio delle figlie. Le sue opere furono accompagnate sempre da un notevole successo internazionale, tradotte in tutte le lingue europee e recensite da grandi nomi della cultura quali Benedetto Croce e Giuseppe Antonio Borgese. Nell’autunno del 1941 la figlia Vivien morirà e Annie dopo qualche mese a Torino il 20.2.1942.

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Ada Negri (3.2.1870 – 11.1.1945)

Nasce a Lodi da Vittoria Cornalba e Giuseppe nella casa della nonna materna, la portineria di un palazzo signorile dove la nonna Peppina Panni era la custode. Il padre muore quando lei ha un anno e Vittoria, rimasta vedova, si trasferisce nella casa della madre con il figlio Annibale che verrà adottato dallo zio materno e la piccola Ada. Trova lavoro in una filanda e con grandi sacrifici riesce a mantenere la figlia a scuola fino al diploma, ottenuto nel 1887 con il massimo dei voti. Nel 1888 Ada ottiene un posto di insegnante a Motta Visconti e inizia a scrivere le prime poesie. Nel 1892 l’editore Treves accetta di pubblicare il suo primo libro, Fatalità, che ottiene un certo successo, tanto che viene abilitata con decreto ministeriale come insegnate per chiara fama presso l’Istituto superiore “Gaetana Agnesi” di Milano. Sempre con l’editore Treves, pubblica Tempeste (1895), che viene tradotto in francese e in tedesco. In questo periodo la sua lirica si concentrò soprattutto su temi sociali e fu per questo definita la poetessa del Quarto Stato.

Sfida (dalla raccolta “Fatalità”) estratto:

O grasso mondo di borghesi astuti di calcoli nudrito e di polpette,

mondo di milionari ben pasciuti e di bimbe civette;

o mondo di clorotiche donnine che vanno a messa per guardar

l’amante, o mondo d’adulterii e di rapine e di speranze infrante;

Tu strisci, io volo; tu sbadigli, io canto: tu menti e pungi e mordi, io ti

disprezzo: dell’estro arride a me l’aurato incanto, tu affondi nel lezzo.

Si sposa e nel 1898 nasce la figlia Bianca, due anni dopo una seconda bambina che sopravvive soltanto un mese. Ada frequenta gli amici dell’ambiente letterario di Milano e ciò provoca contrasti con marito tanto che nel 1913 i due si separano. Entra in contatto con il Partito socialista italiano, collabora con Margherita Sarfatti e Anna Kuliscioff, la “Dottora dei poveri”, della quale Ada ebbe a dire di sentirsi sorella ideale. Dopo la morte della madre e il matrimonio della figlia, Ada Negri vive in solitudine con una grande prolificità artistica e riconoscimenti diventando una delle personalità più importanti del mondo letterario della prima metà del Novecento. Nel 1940, ottiene, prima donna, il titolo di Accademica d’Italia. Muore la notte fra il 10 e l’11 gennaio del 1945 fra le braccia della figlia dopo una vita intensa e produttiva.

 10.Padova_Deledda_ridotta.NadiaCario

Grazia Cosima Deledda (Nuoro 27.09.1871 – Roma 16.08.1936)

Figlia di Francesca Cambosu e di Giovanni Antonio, nasce in una famiglia benestante. Frequenta le scuole elementari e completa la sua formazione da autodidatta.

…Eppure mi abbandonavo a quello che la mia mamma considerava il più grosso peccato: la continua avida lettura di libri non adatti alla mia età e soprattutto alla mia educazione. Naturalmente leggevo di nascosto, giorno e notte.

Poeta e scrittrice, nelle sue opere non ci sono consapevoli accenni alla questione femminile, ma è certo che la scrittrice provò quell’ostilità intellettuale di cui era oggetto una donna che si dedicava all’attività letteraria e dalla quale lei stessa cercò di ribellarsi, trasferendosi a Roma.

A diciassette anni invia alla rivista “Ultima moda” di Roma il suo scritto Sangue sardo per la pubblicazione che fu accettato. Si sentì in questo modo incoraggiata a continuare a scrivere. La positiva recensione di Luigi Capuana a La via del male, pubblicato nel 1896, segnò l’inizio di un periodo di grande notorietà e nel 1900, dopo essersi sposata con Palmiro Madesani si trasferisce a Roma e collabora con alcuni giornali. Lontana dalla sua terra e dai suoi abitanti Grazia Deledda sentì sempre una grande nostalgia anche se i severi giudizi ricevuti consideravano che una scrittrice non poteva essere una donna onesta.

Ho vissuto coi venti, coi boschi, con le montagne, ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo, ho mille e mille volte appoggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce, per ascoltare la voce delle foglie, ciò che raccontava l’acqua corrente; ho visto l’alba, il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne; ho ascoltato i canti e le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo, e così si è formata la mia arte, come una canzone od un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo.

Ai riconoscimenti di diversi critici italiani, si aggiunse nel 1926 il premio Nobel per la letteratura.

La scrittrice morì a Roma il 16 agosto 1936, lasciando incompleto un romanzo autobiografico, Cosima, quasi Grazia, nel quale narra gli anni difficili della sua giovinezza a Nuoro.