Buongiorno a tutti. E a tutte

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Ebbene sì, confessiamocelo, tener conto del rispetto di genere nella comunicazione è una gran bella fatica, che si aggiunge alle altre esigenze ben note a chi ha occasione di scrivere o di editare scritti altrui. Oltre alla indispensabile correttezza ortografica, morfologica e sintattica,  bisogna scegliere un lessico appropriato e magari anche efficace, sostituire i termini ripetuti, fare attenzione alla punteggiatura, eliminare fastidiose pesantezze. E tutto questo discorso riguarda solo l’aspetto formale, perché la prima preoccupazione, naturalmente, è quella di scrivere qualcosa di sensato e magari di utile. C’è proprio bisogno di aggiungere una fatica ulteriore? Di scrivere sempre “bambini e bambine”, “figlie e figli”, “cittadine e cittadini”? Di scervellarsi per superare il cosiddetto “maschile inclusivo”, di fare a pugni con gli aggettivi, i pronomi e i participi passati che richiedono inflessibilmente le concordanze, lottando con una lingua che da questo punto di vista non ci facilita proprio il compito e anzi ci pone un sacco di problemi?

Sì, ce n’è bisogno.

Ce n’è bisogno perché l’uso di un linguaggio corretto rispetto al genere sta diventando in qualche modo una bandiera per dichiarare da che parte si vuole stare in un Paese dove il becero maschilismo che domina la vita sociale, la pubblicità, il costume non suscita quasi mai la riprovazione che si meriterebbe, passando come “normale” mentre normale non è.

Ce n’è bisogno perché è possibile che un’attenzione costante al modo di usare la lingua rispetto a questo problema riesca a sensibilizzare qualche persona non del tutto incapace di pensiero autonomo. E pazienza se c’è chi storce il naso, trovando più facile appiccicare etichette piuttosto che riflettere. Pazienza anche se tante persone neanche se ne accorgono, di questa scelta, perché interessate solo al messaggio palese (quello che un tempo si chiamava “il contenuto”) e poco abituate all’analisi del mezzo espressivo. E comunque, anche se non ci fosse proprio nessuno (e nessuna…) a capire e ad approvare, questa attenzione non sarebbe inutile, dal momento che almeno per chi scrive la fatica, ogni tipo di fatica relativa alla scrittura ha sempre un senso: quello di ricordarci che le parole che usiamo parlano di noi e di ciò che siamo, molto più di quanto non si creda.

Stiamo attente – e attenti, perché il discorso non vale solo per le donne – a non cadere nella trappola del “c’è ben altro”, e anche a interpretare nel modo giusto l’atteggiamento di chi affetta, rispetto a questo problema, una indifferenza che è spesso una scappatoia per non prendere atto di una realtà considerata con fastidio, se non sentita come una minaccia. Drizziamo le orecchie e aguzziamo la vista e l’ingegno: la disattenzione verso il linguaggio rispettoso delle differenze di genere ma anche l’ostilità – dichiarata o celata che sia – che questo suscita ha sempre un senso.

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Loretta Junck, torinese, già docente di lettere nei licei, dal 2011 fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino e dal 2012 è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2004 ha organizzato, a Torino, il III Convegno di Toponomastica femminile e Fnism. Con Maria Pia Ercolini ha curato gli Atti del II e III Convegno di Toponomastica femminile Strade Maestre. Un cammino di parità (Universitalia 2015). Ha collaborato a Le Mille. I primati delle donne, a cura di Ester Rizzo (Navarra 2016). Suoi articoli sono comparsi su diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Leggendaria, Noi Donne, Dol’s ecc.).