Roma è un grande arcipelago, di cui ogni unità ha connotazione sua propria, correlata alle altre tramite una fitta rete di flussi, funzioni e servizi.
Residenti e ospiti, oggi entrambi multietnici, ne attraversano i nodi e ne percorrono le maglie modificando aspettative e domande culturali.
Se da un lato l’espansione residenziale converte in viaggiatore/viaggiatrice ogni cittadino/a che quotidianamente attraversa lo spazio urbano, dall’altro il/la gitante propriamente detto/a non si limita a visitare le mete classiche della città, ma insegue emozioni anche in luoghi solitamente estranei al fenomeno turistico.
Le singole isole reagiscono riorganizzando gli spazi e diversificando le offerte: il grande cinema si scompone in multisala, le pareti dei bar si foderano di libri, gli internet caffè sostituiscono le cabine telefoniche, l’hinterland accende i riflettori.
I luoghi della cultura dismettono gli abiti classici adottando un nuovo look formale, moltiplicano le funzioni dilatando gli orari di apertura e generano nuovi nuclei periferici, spesso legati a manufatti in disuso. Il museo, coinvolto in un nuovo gioco di relazioni tra struttura, collezioni e pubblico, si fa errante e vaga alla ricerca di sedi alternative, invadendo le piazze, le strade, i giardini e i grandi templi dell’archeologia industriale.
Zaha Hadid ha destrutturato e ampliato una caserma del quartiere Flaminio per realizzare il MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo), un ‘campus urbano aperto alla circolazione pubblica’, dove la piazza esterna, integrata nel quartiere, sovrappone spazi espositivi e luoghi di distensione; l’affascinante contesto espositivo della Centrale Montemartini (in copertina) è nato dalla riconversione di una centrale elettrica ottocentesca sita sulla via Ostiense e nei vecchi mattatoi di Testaccio ha trovato ambientazione l’arte contemporanea del MACRO (Museo d’Arte Contemporanea di Roma).
Al crescere del livello culturale medio, non solo Roma, ma ogni metropoli occidentale ha sentito il bisogno di musealizzarsi.
Foto 1. MAXXI
Foto 2. MACRO Testaccio
Parigi ha osato per prima, nel 1976, erigendo il Centre George Pompidou sulle ceneri dei maleodoranti mercati del Beaubourg, e ha continuato, dieci anni più tardi, riconvertendo un’antica stazione ferroviaria nel Musée d’Orsay e gli antichi mattatoi de La Villette in centro culturale polifunzionale e polimorfico, con annessi musei della scienza e della musica; a seguire, sono stati i depositi portuali di Bercy a permearsi di cultura, per essere emulati, di lì a poco, dai malfamati docklands londinesi. Anche la storia sociale si fa largo tra le strade parigine e porta allo scoperto le tradizioni artigianali, sotto le volte ristrutturate del Viaduc des Arts, che ribadisce l’identità artigiana del dodicesimo arrondissément.
Foto 3. Bercy
Foto 4. Viaduc des Arts
La capitale britannica ha raccolto la sfida inaugurando la Tate Modern, sulle rive del Tamigi, ove reimpiega la vecchia centrale elettrica. Nel frattempo, a Berlino, un’altra stazione (l’Hamburger Bahnhof) diventa spazio espositivo, ma la città tedesca è già musealizzata in una forma sua propria e atipica, in cui la storia e l’arte, fuse un un’unica musa ispiratrice, hanno suggerito la più lunga galleria a cielo aperto mai esistita: nella East Side Gallery, lungo il corso della Sprea, oltre cento murales di artisti d’ogni dove raccontano un trentennio di ossessiva presenza del Muro, trasformandone i tronconi in un colorato memoriale alla libertà.
Foto 5. Tate Modern
Foto 6. Hamburger Bahnhof
Il fenomeno del graffitismo si rivela particolarmente interessante nell’esplosione urbana delle forme espressive, perché rimette in discussione le linee di confine tra cultura e sottocultura, arte, storia, sociologia e vandalismo grafico.
Se le pennellate di Berlino raccontano la guerra fredda, vista dagli anni Ottanta e Novanta, i primi tags delle metropolitane newyorkesi, vent’anni prima, rivendicavano il diritto alla parola e il disagio dei quartieri degradati del South Bronx e di Harlem e accompagnavano il sottoproletariato nero in una delle più grandi rivolte dell’ultimo secolo. Nati per sfidare la legalità e l’ordine di una società intrisa di falsi valori e opulenze inique, i graffiti invadono le città del mondo e travalicano, per loro natura, gli spazi concessi, portando alla schizofrenia le amministrazioni metropolitane che destinano miliardi a cancellare, e contemporaneamente a esporre, le opere di nuovi e vecchi ribelli . Ancora oggi i writers esprimono per lo più un malcontento e lanciano un messaggio personale e sociale nella complessità urbana che, indipendentemente dall’indice di gradimento, appartiene alla cultura collettiva.
In Italia, gran parte delle città protagoniste dello sviluppo industriale ha optato per la riconversione polifunzionale delle aree in disuso.
Il porto antico di Genova è oggi un enorme spazio culturale ad altissima frequentazione, dove convivono collezioni permanenti a carattere scientifico (l’Acquario, il museo dell’Antartide, la Biosfera), artistico (Museo Luzzati) e storico (museo marittimo Galata), ambienti interni ed esterni destinati a esposizioni temporanee, eventi e congressi, impianti sportivi, ricreativi e commerciali. Simili, per molti versi, le trasformazioni del Lingotto, a Torino, considerato uno dei centri polifunzionali più grandi d’Europa, dove la cultura si impone in varie forme , la riqualificazione della zona industriale di Bagnoli , ad Ovest di Napoli, e i progetti di riconversione milanese dell’ex area Ansaldo, in zona Tortona, e della Fiera Campionaria .
Foto 7. Il porto antico di Genova
Foto 8. Il Lingotto a Torino
Non mancano esempi d’oltreoceano di strutture diffuse e periferiche: il Museum of Modern Art di New York, ha aperto una seconda sede nel Queen, spostando le rotte turistiche al di fuori di Manhattan, mentre il Contemporary Museum di Baltimora si è spinto ben oltre, rinunciando alla stabilità di una sede per votarsi al nomadismo espositivo, tra hangar, sale da ballo, garage e conventi…
Da qui alla musealizzazione totale dello spazio urbano il passo è breve e vi convergono espressioni e teorie totalmente diverse.
Da un lato incontriamo forme trasversali di arte e cultura sociale (Public art, Land Art, Earth art, Urban art and design), che scelgono location esterne e pubbliche per riqualificare gli spazi e valorizzarne storia e memoria, mediando tra i canoni classici dell’apprendimento e i bisogni della cultura popolare.
Dall’altro, nel nostro Paese più che altrove, emerge la necessità di approfondire e contestualizzare le specificità culturali del territorio, tramite la moltiplicazione di piccoli musei locali e percorsi culturali open air.
Nascono spazi espositivi diffusi, che integrano contenitori stabili e luoghi di memoria racchiusi nel tessuto urbano e rurale.
A Torino, protagonista ne è la storia: il museo diffuso della Resistenza, della deportazione, della guerra, dei diritti e della libertà , tra itinerari reali e virtuali ripercorre i luoghi della seconda guerra mondiale.
Foto 9. Museo diffuso della Resistenza
Foto 10. Pietre d’inciampo a Roma
Nelle Marche, arte, storia e paesaggio creano molteplici esperienze di museo diffuso, a sottolineare lo stretto rapporto tra cultura e territorio.
Anche nel Lazio partono analoghi progetti pilota per valorizzare tesori meno noti, soffocati dal protagonismo della capitale, che la storia stessa ha reso città-museo.
Eppure, è proprio il peso di tanta ricchezza a nasconderne talvolta i segni della memoria.
La riconversione di edifici, il sovrapporsi di interventi urbanistici, la trasformazione delle funzioni e il quotidiano ‘inciampare’ nei gioielli archeologici, porta spesso romani e romane ad attraversarne i luoghi senza alcuna consapevolezza. La città si attrezza di pannelli esplicativi e alcuni rioni espongono dei veri e propri itinerari per vincere l’indifferenza autoctona e soddisfare la crescente curiosità alloctona, che esce dal centro storico e percorre capillarmente lo spazio cittadino.
Foto 11. Murales al Pigneto (Roma)