Lotta alla plastica, dall’India all’Italia

A distanza di pochi giorni dalla Giornata dell’Ambiente del 5 giugno, dedicata alla lotta per l’eliminazione della plastica, due notizie mi hanno colpita, entrambe dall’India.

Dopo la carriera in una casa farmaceutica, la trentaseienne di Nuova Delhi Rhea Singhal è la protagonista diun’importante svolta ambientalista con la più grande azienda di stoviglie e packaging alimentare “eco” di tutta l’India: Ecoware è, infatti, una società che produce piatti, bicchieri, vassoi e contenitori per il cibo biodegradabili al 100%; al posto della plastica si usano biomasse e soprattutto gli scarti agricoli, che finirebbero bruciati nei campi a fine raccolta, per produrre prodotti che, utilizzati per congelare e cuocere alimenti nel microonde, possono poi essere buttati nel secchio dell’umido. Qualora finissero in discarica, si decomporrebbero senza lasciare inquinanti. I prodotti costano un po’ di più, ma dal 2009, data nella quale è nata, l’azienda è cresciuta notevolmente sia perché serve anche hotel di lusso e compagnie aeree sia perché la gente ha compreso le implicazioni dannose delle plastiche per ambiente e salute.

Sempre in India, l’avvocato Afroz Shah nell’ottobre del 2015 ha avuto la semplice idea di iniziare a pulire i 100 chilometri di spiaggia di Mumbay soffocata da ogni tipo di plastica e immondizia, e seguendo il suo esempio, attualmente il sabato e la domenica si contano trecento persone, di età e provenienze diverse, a ripulire per quattro ore la costa.

Le Nazioni Unite hanno definito l’iniziativa come la più grande opera di pulizia della spiaggia del mondo.

Qui da noi WWF e Legambiente sono note per queste azioni di pulizia e da qualche tempo si aggiunge anche Clean Sea Life.

Inoltre, proprio quest’anno è partito il “Plastic radar” di Greenpeace, un’iniziativa che invita a segnalare via whatsapp i rifiuti in plastica su spiagge e mari.In tal modo sarà possibile conoscere le tipologie di imballaggi e rifiuti più comuni nei mari italiani e scoprire da quali località arriva il maggior numero di segnalazioni. Ogni segnalazione, un grazie, e con 25 segnalazioni un ringraziamento nel report finale.

Ma il ringraziamento più rilevante arriva da parte delle spiagge e del mare tutto!




Un mare di plastica

“Eh, magari facessero tutti come voi …!”

È la frase che io e i miei familiari ci sentiamo spessissimo dire dai negozianti quando affermiamo di avere la busta (o la shopper!) per mettervi quanto acquistato. Ormai ne abbiamo tantissime, anche ricavate da vecchi jeans: quella per il supermercato, quella per la frutta e la verdura, quella per i piccoli acquisti.

Devo ammettere che inizialmente, e parlo di almeno dieci anni fa, provavo un certo imbarazzo… poi, però, leggi notizie come quella di sabato 2 giugno e ti convinci che è davvero il minimo che si possa fare: al largo della costa meridionale della Thailandia, infatti, è stata trovata morta  una balena pilota con ben ottanta buste di plastica nello stomaco per l’equivalente peso di otto chilogrammi!

Nella sola Thailandia ogni anno almeno 300 animali marini, tra cui balene pilota, delfini e tartarughe, muoiono per aver ingerito plastica abbandonata in natura, ha spiegato un biologo marino.

Da noi, oltre al comportamento virtuoso di singole persone e famiglie, qualcosa si sta muovendo: dal primo maggio, per esempio, sulle isole Tremiti la plastica è vietata per legge grazie al sindaco Antonio Fentini che sta pure pensando di abolire i contenitori di polistirolo, compresi quelli utilizzati dai pescatori. Invita, altresì, colleghe e colleghi di isole e comuni sul mare a fare altrettanto, precisando che la sua cittadinanza è molto felice per la decisione presa.

La decisione segue, infatti, la ricerca diffusa nei mesi scorsi dall’Istituto di scienze marine del CNR di Genova, dall’Università Politecnica delle Marche e da Greenpeace Italia, che hanno campionato le acque durante il tour “Meno plastica più Mediterraneo” della nave ammiraglia di Greenpeace, Rainbow Warrior. Dalla ricerca è emerso che nel Mediterraneo ci sono livelli di microplastiche paragonabili a quelli dei vortici che si formano nel Pacifico, le cosiddette ‘zuppe di plastica’, e “nelle acque marine superficiali italiane si riscontra un’enorme e diffusa presenza di microplastiche, comparabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico, con i picchi più alti rilevati nelle acque di Portici (NA), ma anche in aree marine protette come le Isole Tremiti (FG)”.

Nell’attesa che arrivi anche la direttiva dell’UE, già approvata a fine maggio dalla Commissione, affinché si arrivi nel 2025 a non usare più la plastica e in particolare cotton fioc, posate, piatti, cannucce e aste per palloncini (prodotti che dovranno essere fabbricati con materiali sostenibili), gli Stati membri, attraverso campagne di sensibilizzazione, dovranno anche ridurre il consumo di contenitori per alimenti e tazze, fissando obiettivi nazionali, mettendo a disposizione delle alternative, o impedendo la fornitura gratuita di prodotti in plastica.

E noi nel nostro piccolo? Possiamo iniziare sin da ora a cambiare stile di vita e abitudini: ingegniamoci e facciamo in modo che il mare viva la sua stagione più bella tutto l’anno!




Gender gap: l’Italia arretra sul lavoro

Il World Economic Forum misura ogni anno il divario di genere in base a quattro parametri: partecipazione economica e opportunità, istruzione, salute e sopravvivenza, empowerment politico. Dei 142 Paesi coperti dall’indice del 2017, 82 hanno aumentato il loro punteggio complessivo rispetto all’anno precedente, mentre 60 lo hanno visto diminuire. Eppure, segnala il WEF, se si colmasse la parità di genere il Pil nel mondo aumenterebbe di 5,3 miliardi di dollari. Nel Global Gender Gap Report 2017 l’Italia continua ad arretrare, scesa all’82esimo posto su 144 Paesi, perdendo ben 32 posizioni rispetto all’anno precedente. Perdono posizioni anche gli USA, al 49esimo posto. Francia e Germania si piazzano all’11esima e 12esima posizione, la Gran Bretagna alla 15esima, con un recupero rispetto al 2016 di ben 5 posizioni. A guidare la classifica si conferma l’Islanda, seguita dai soliti Paesi Scandinavi, da Nicaragua e Slovenia. Questo confronto è indicativo della discrepanza di opportunità tra i due sessi nel nostro Paese, divario che non accenna a diminuire, mentre gli altri Stati hanno iniziato a correre verso la parità e a guadagnare in competitività.
Il rapporto è una miniera di dati interessanti. Da tempo l’Islanda è considerata il Paese primo della classe nella lotta a ogni discriminazione. Da questo gennaio è entrata in vigore una nuova legge, approvata a marzo 2017 con consenso unanime, che impone la pari opportunità assoluta, con particolare attenzione alla pari ed equa retribuzione del lavoro in ogni azienda con più di 25 dipendenti, in ogni ministero e ad ogni grado di istituzione.  Si tratta di un Paese in forte crescita economica e praticamente a piena occupazione, che vanta anche altre leggi ritenute esemplari dalle Nazioni Unite, da molte Ong e autorità internazionali. Ad esempio, le quota rosa di almeno il 40% negli organi direttivi, o la legge del 2006 sul congedo parentale di nove mesi. Non sono rari gli uomini che scelgono di usufruirne per aiutare lavoro e carriera delle compagne.
La lezione da imparare dall’Islanda è principalmente di natura culturale, il voler mettere in luce le discriminazioni subite dalle donne dando loro voce. È fondamentale che la disparità di genere non sia percepita come un problema unicamente femminile, e su questo punto c’è ancora molto da lavorare in Italia. Qui, infatti, il maggior divario tra i sessi nella rappresentanza politica e, soprattutto, nel mondo del lavoro, si traduce in un vistoso arretramento economico.
Analizzando il report, si può osservare come, sebbene il divario di genere si sia notevolmente ridotto per l’istruzione, si è allargato quello economico a causa delle disparità reddituali (103esima posizione), salariali (126esima) e per la partecipazione alla forza lavoro (89esima).
Da una recente indagine condotta dall’Isfol, l’ente pubblico di ricerca sui temi della formazione delle politiche sociali e del lavoro, si è notato che se per i lavoratori gli svantaggi derivano da orari e condizioni fisiche più dure, le lavoratrici sono penalizzate in termini di reddito, stabilità occupazionale e possibilità di decidere in piena autonomia. Questa dinamica rischia di avere costi elevati, dal momento che è destinata a produrre un deterioramento della qualità del lavoro nel lungo periodo. E per qualità del lavoro si deve far riferimento alla pluralità degli aspetti del lavoro stesso, i quali si relazionano ai bisogni della persona, fondandosi sul principio dell’adeguamento del lavoro alla stessa (e non viceversa) e considerando la complessità e la totalità dell’esperienza lavorativa, non limitata alle sole condizioni fisiche del lavoro. Dell’esperienza lavorativa fanno parte, ad esempio, le questioni legate alla conciliazioni tra lavoro e vita familiare che per la componente femminile dell’occupazione hanno un peso maggiore.
Dalla ricerca emerge anche che le donne lavorano di più, 512 minuti contro 453 dei colleghi, mentre la disoccupazione è più alta tra le donne (12,8% contro il 10,9%), così come la percentuale di persone deluse dal proprio stato di disoccupazione (40,3% contro il 16,2% degli uomini).
L’Italia è quindi il fanalino di coda dell’Europa Occidentale, dietro anche alla Grecia, che si colloca al 78esimo posto. Questi dati dovrebbero fare da monito perché, come ci ricorda in apertura il rapporto Ocse 2017, l’uguaglianza di genere non è unicamente un diritto, ma è anche la pietra miliare di un’economia che punta alla crescita sostenibile e inclusiva.




Tre Giornate per l’ambiente

Domenica 11 maggio è stata la Giornata delle Oasi WWF e la prima Giornata mondiale delle api, indetta dall’ONU.  

La Giornata delle Oasi WWF celebra anche la biodiversità del nostro Paese, straricco di ambienti e paesaggi naturali, sebbene la Giornata Mondiale della Biodiversità stabilita dall’ONU sia il 22 maggio, e vuole sottolineare quanto sia importante difendere la ricchezza della vita sulla Terra: l’invito è a rispettarla e tutelarla ogni giorno e con ogni comportamento, dalle piccole mangiatoie poste anche sui balconi alla semplice ma interessata osservazione della Natura, dall’educazione dei bambini e delle bambine alla lotta al bracconaggio, agli acquisti più attenti e critici e alla corretta gestione dei rifiuti.

Le iniziative nelle Oasi, aperte gratuitamente grazie all’opera dei volontari e delle volontarie, sono state numerose: a Policoro è stata liberata un esemplare di tartaruga Caretta Caretta, a Rimini il programma ha previsto escursione e caccia al tesoro, a Venezia visita guidata alla pineta Dune e proiezione film “Before the flood – Punto di non ritorno”, a Le Cesine-Lecce passeggiata nella Riserva e laboratorio per bambini/e, a Torre Guaceto-Brindisi visita guidata, costruzione di una Batbox, un nido per pipistrelli, e poi laboratorio di fotografia e pilates… (http://www.wwf.it/programmi_oasi.cfm) 

La Giornata mondiale delle Api vuole ricordare quanto l’impatto umano possa determinare la scomparsa delle specie animali, in questo caso delle api, considerate attualmente dei superorganismi decisivi per la sicurezza alimentare globale: la maggior parte delle colture alimentari nel mondo dipende dall’impollinazione! Pare che la sua proclamazione si debba alla Slovenia, terra di apicoltura, in prima linea nella lotta per la salvaguardia della specie, prima a vietare l’uso dei pesticidi responsabili della loro moria. La scelta della data è dovuta al fatto che mentre nell’emisfero boreale maggio è il mese centrale per l’impollinazione, nell’emisfero australe corrisponde alla produzione del miele e alla lavorazione dei suoi derivati.  Molte anche qui le iniziative: in Slovenia, che ha perfino coniato una moneta da due euro raffigurante un alveare, conferenze, visite guidate e laboratori per grandi e piccini; in Italia sono stati organizzati numerosi eventi come la degustazione di mieli e attività ludiche e didattiche, visite all’apiario didattico di Corerallo in Liguria, incontri con apicoltori/trici, degustazioni e laboratori all’oasi del Bosco di S. Silvestro di Caserta.

Inoltre, tra le varie iniziative all’interno della Decade sulla biodiversità, iniziata il 2011, il 22 maggio presso l’Orto botanico di Napoli si è svolto l’incontro dal titolo “Biodiversità del mondo invisibile”; nella Casa dei Comuni in Lombardia sono state organizzate due iniziative, il 22 in collaborazione con l’Ordine degli architetti l’incontro “Celebriamo la Giornata mondiale della biodiversità” e il 23 con l’Ordine dei giornalisti “Parchi e sostenibilità ambientale: come i giornali raccontano il territorio”. Infine, dal 13 al 15 giugno presso l’Università di Teramo è previsto il Convegno nazionale alla sua dodicesima edizione su “ Biodiversità, Ambienti, Salute”.

Che dire? Speriamo di vero cuore che il mondo prenda a girare nel verso giusto e la musica inizi definitivamente a cambiare!




12 maggio. A Giorgiana

Su iniziativa del Partito Radicale, sabato 12 maggio, Roma ha ricordato l’anniversario dell’uccisione di Giorgiana Masi, diciannovenne colpita a morte presso ponte Garibaldi nel 1977.

Foto 1. Roma, ponte Garibaldi. Targa in memoria di Giorgiana Masi

 

La grande Rivoluzione degli anni Settanta è stata segnata dall’irruzione nella Storia di soggetti nuovi, prima relegati ai margini della società. In particolare, la partecipazione delle donne è ancora più forte che nel decennio precedente. Femministe e lesbiche prendono la parola, combattono il maschilismo radicato nella società e spesso anche nello stesso movimento, chiedono la parità di salari, l’abolizione del diritto di famiglia patriarcale, il sesso libero senza essere giudicate. La presenza di così tante donne in piazza costringe la società a farci i conti, ad accettarle e, lentamente e gradualmente, le rivendicazioni femministe si diffondono e si normalizzano. A decenni di distanza, anche se la violenza domestica contro le donne non è finita, la società è mutata: che una ragazza esca la sera, magari da sola, oggi è un fatto normale mentre negli anni Cinquanta sarebbe stato scandaloso.

 

Il 1977 in Italia è un anno incandescente per i giovani. Rispetto a dieci anni prima, il mondo del lavoro è cambiato e la rappresentanza politica è stata superata da nuove forme di partecipazione. Le nuove leve, studenti e futuri precari, in gran parte provenienti dal Sud Italia, non si sentono più rappresentate dal partito e dal sindacato in cui le persone più anziane hanno creduto: la generazione che ha fatto la Resistenza si sente tradita da quella successiva che a sua volta si vede tagliata fuori da istituzioni vecchie. Gli scioperi e i cortei sono sempre più frequenti, l’assenteismo sul lavoro è ai massimi storici, occupazioni di scuole e fabbriche ed espropri nei negozi sono all’ordine del giorno e la polizia non ha più il monopolio della violenza. Il PCI di Berlinguer si sta avvicinando sempre di più al governo democristiano. Eppure, nonostante l’ostilità dei movimenti, continua a crescere nei sondaggi elettorali. Il comizio del segretario della CGIL Luciano Lama all’università di Roma, occupata da giovani ostili al sindacato, è una provocazione: il forte dissenso, tradotto nella cacciata del sindacalista, diventa il pretesto per sgomberare l’ateneo.

 

Il 12 marzo a Roma, come risposta all’omicidio a Bologna, da parte dei Carabinieri, di un venticinquenne di Lotta Continua, tutte le anime del movimento prendono parte a un corteo che invade le vie del centro e riesce ad assaltare la sede centrale della DC in piazza del Gesù. Il ministro dell’Interno, Francesco Cossiga vieta tutte le manifestazioni nelle città. Lo stesso Cossiga, nei giorni successivi, definisce «illegale ed extra legem» il divieto dichiarandolo una forzatura costituzionale non prevista da nessuna legge repubblicana ma in questo caso necessaria, secondo il parere di tutte le forze parlamentari.

Due mesi dopo, mentre è ancora in vigore l’ordinanza che vieta di manifestare, il Partito Radicale sfida il divieto e indice un presidio femminista e un concerto in piazza Navona. È il 12 maggio.

I radicali intendono ricordare la vittoria del referendum sul divorzio e raccogliere le firme per abrogare la Legge Reale – un provvedimento estremamente repressivo che aumenta a dismisura i poteri della polizia – approvata in Parlamento grazie ai voti dei fascisti dell’MSI.

Sono presenti in piazza anche alcuni deputati. I militanti dell’Autonomia operaia non partecipano alla manifestazione. La giornata è all’insegna della nonviolenza, ma la polizia attacca i manifestanti sparando lacrimogeni. Dopo ore di cariche ingiustificate e grazie alla mediazione di un gruppo di parlamentari, viene concesso a chi è in piazza di defluire verso Trastevere. Ma durante la fuga le cariche continuano. Da ponte Garibaldi gli agenti sparano con pistole probabilmente fuori ordinanza. Sul lato di piazza Belli adiacente al ponte, un proiettile colpisce Giorgiana Masi all’addome, tutti i soccorsi sono inutili.

La sera stessa Cossiga dichiara di non aver inviato agenti in borghese nella manifestazione e che la polizia non ha fatto uso di armi da fuoco. Uno scatto del fotografo Tano D’Amico è sufficiente a smentirlo.

 

Giovanni Santone, il poliziotto in borghese ripreso armato duranti gli scontri finiti con la morte di Giorgiana Masi in una fotografia scattata il 12 maggio 1977 da Tano D’Amico. ANSA/ PER GENTILE CONCESSIONE DI TANO D’AMICO

Foto 2. 12 maggio 1977, di Tano D’Amico

La pubblicazione di tale immagine costringerà Cossiga ad ammettere lapresenza di «corpi speciali addetti alla pubblica sicurezza».

Il referendum sulla Legge Reale indetto dal Partito Radicale si tiene a giugno del 1978, un mese dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro che colpisce profondamente l’opinione pubblica italiana. Su pressione di tutti i partiti di governo, tra cui lo stesso PCI, la maggioranza delle persone votanti si schiera contro l’abrogazione della legge e quindi per il mantenimento dello stato di polizia.

Nel 1981 la magistratura chiude il procedimento sull’omicidio della ragazza archiviandolo perché «rimasti ignoti i responsabili del delitto». Eppure Cossiga ha sempre ammesso apertamente e senza vergogna di essere una tra le cinque persone a sapere il nome dell’assassino di Giorgiana Masi. Ha ricoperto le cariche di ministro, di presidente della Repubblica e di senatore a vita nascondendo al Paese informazioni importanti sui crimini di cui lo Stato si è reso responsabile e impedendo alla magistratura di svolgere il proprio operato.

«La morte di Giorgiana Masi – ha aggiunto Cossiga – è stata presa a simbolo di molte lotte giovanili contro presunte ingiustizie della polizia e della politica».

Quando nel 2001 lo Stato ha nuovamente ucciso un manifestante e mai aperto un processo sul caso, le opposizioni hanno chiesto le dimissioni dell’allora ministro dell’interno Claudio Scajola: Cossiga ha difeso il collega con un intervento furioso rivendicando la repressione feroce del 1977.

Nel 2008, davanti a un vasto movimento studentesco non certo violento che protestava contro i tagli alla scuola pubblica, Cossiga, in una delirante intervista edita da Repubblica, ha di nuovo sostenuto che «il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».

Link all’intervista: http://temi.repubblica.it/micromega-online/francesco-cossiga-%C2%ABvoglio-sentire-il-suono-delle-ambulanze%C2%BB/

Foto 3. 12 maggio 2018, di Andrea Zennaro

 

Ogni 12 maggio ponte Garibaldi rende omaggio alla ragazza «uccisa dalla violenza del regime» – come recita la targa stabilmente affissa in sua memoria – e il marciapiede si riempie di fotografie, fiori e ricordi.

Durante tutto il giorno di sabato molte storie si sono alternate sul posto, militanti di vecchia data e semplici passanti, tante giovani ma anche tante persone adulte che allora erano presenti e ricordano bene quegli anni e quella giornata. Contemporaneamente, un pensiero «alla compagna Giorgiana Masi» è stato mandato anche dall’esponente COBAS il cui intervento ha concluso la manifestazione di solidarietà con il popolo palestinese giunta in quelle ore a piazza Venezia.

 

In copertina, foto di Andrea Zennaro




Occupazione femminile in Cina: i dati della disuguaglianza

L’economia cinese è una delle più grandi realtà del XXI secolo. La Cina oggi si presenta come la seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti e prima di Giappone e Germania. La sua crescita economica è la più veloce al mondo e, pur contribuendo allo sviluppo economico complessivo a livello internazionale, essa ha provocato negli ultimi anni un inasprimento delle differenze di genere in ambito lavorativo.
Prima delle riforme del 1979, nella pianificazione della distribuzione del lavoro da parte dello Stato si evidenziava una sostanziale parità di impiego maschile e femminile, senza grandi differenze tra campagna e  città. Negli anni successivi la situazione dell’occupazione femminile ha assunto degli aspetti complessi e contraddittori. Si è assistito a un crescente gender gap in ogni settore lavorativo, con una notevole differenza nella retribuzione e nel collocamento delle donne, soprattutto nei segmenti più bassi delle aree di impiego.
Nel 2004 le donne costituivano il 44% della forza lavoro dell’intero paese, con il 60% di impiegate nell’agricoltura (il 9,4% in più degli uomini). Nel 2017 il tasso di occupazione femminile si è attestato al 60,4% (nel Regno Unito e negli Stati Uniti il dato è rispettivamente pari al 54,1% e al 53%, in Giappone al 47,7%, in India al 25,9%), ma sarebbe sbagliato pensare a un miglioramento delle condizioni di vita o del posizionamento delle lavoratrici. Le percentuali d’impiego in lavori poco qualificati, precari e sottopagati è del 20,8%, contro il 14,1% degli uomini.
Il censimento del 2010 mostra un tasso di impiego in declino a partire dal 1990 con l’84,3%, proseguendo con un 78% nel 2000, e giungendo infine al 71% nel 2010.
Queste statistiche rilevate dalla All China Women’s Federation, una organizzazione per la tutela dei diritti delle donne, dimostrano come la liberalizzazione del mercato del lavoro ha acuito gli effetti discriminatori a danno delle lavoratrici così come la scarsa rappresentanza femminile al governo.
Inoltre va preso in considerazione l’indebolimento delle politiche woman friendly attuate negli anni 90 in cui non è stato implementato un sistema di assistenza per le donne lavoratrici e un supporto socio sanitario per la prima infanzia. In questo sistema sono frequenti episodi di discriminazione già al momento dell’assunzione e minore tutela durante il periodo lavorativo. Ad acuire questa non rosea situazione, vi sono ingenti differenze salariali: le donne guadagnano il 35% in meno rispetto ai colleghi. Ciò porta la Cina a classificarsi al 91esimo posto su 145 nel ranking del World Economic Forum.
Risulta evidente che nella Cina dell’armonia sociale di Xi Jinping il potere politico delle donne, e anche quello economico, non sembrano partecipare allo sviluppo massiccio, a differenza di quanto viene rappresentato nelle statistiche internazionali.
Le lavoratrici sono sempre più richieste nel settore dei servizi e nei lavori informali in fabbrica ma hanno tutele sociali sempre più ridotte.  Per contro nel settore del management di alto livello si distingue una certa presenza femminile. È il caso di alcune manager di fama internazionale come Zhang Xin co-fondatrice di Soho China. La presenza è ben visibile in quanto limitata a poche realtà, ma questo purtroppo non si discosta dalla media dei Paesi occidentali.
Va ricordato però che nonostante i dati poco incoraggianti, sempre più donne conseguono lauree di secondo livello, come ricorda China startup outlook 2017: “su 7,3 milioni di laureati l’anno, più della metà sono donne.” E nel 2014 la Cina ha registrato il più alto numero di GMATs femminili ben il 65%  delle cinesi hanno sostenuto l’esame, richiesto dalla maggior parte delle Business School come criterio di ammissione per MBA e Masters. 




L’ambiente e la guerra, la scuola e la pace

l 4 maggio più di cento scuole in tutta Italia hanno aderito all’iniziativa “Scuole in piazza per la Pace in Siria” promossa da una rete di dirigenti, operatori e operatrici scolastiche: striscioni, manifestazioni, cori, flash mob e tanto altro per dire basta a una guerra che va avanti da sette anni, probabilmente anche con bombardamenti di tipo chimico.

Foto 1 

Molte sono ormai le micidiali armi chimiche o radioattive e biologiche, spesso più potenti di quelle nucleari, e le prime notizie di utilizzo di bombe al napalm, per esempio, risalgono già al marzo 1944, durante un bombardamento sui quartieri popolari di Roma; napalm che con i defoglianti in Vietnam fu sistematicamente usato dagli americani contro villaggi, foreste e campi coltivati provocando una devastazione ambientale spaventosa, oltre alle malformazioni congenite che la popolazione vietnamita si ritrova ancora oggi insieme a un ambiente invivibile: in certe regioni l’inquinamento è altissimo, le piante non riescono a crescere bene, i bambini e le bambine si intossicano camminando a piedi scalzi sulla terra inquinata e la speranza di vita della gente è di un terzo inferiore alla media nazionale.

Foto 2

A tale proposito ricorderemo sicuramente questa foto del 1972. La bambina completamente nuda che corre in lacrime poiché vittima di un bombardamento al napalm con la sua famiglia è Kim Phuc. Nel 2017  Kim ha pubblicato il libro autobiografico Fire Road: The Napalm Girl’s Journey through the Horrors of War to Faith, Forgiveness, and Peace nel quale racconta come dal fuoco dell’odio e dell’amarezza sia potuta rinascere grazie alla fede. Dopo anni di esposizione come fenomeno da baraccone ai fini della propaganda antiamericana, costretta a esibire le sue cicatrici e a raccontare la sua drammatica storia di bambina cui la guerra aveva tolto tutto, sopraffatta dal dolore tentò di togliersi anche la vita, ma non vi riuscì. Un giorno, mentre era a Cuba, trovò nella biblioteca una Bibbia e leggendola scoprì il messaggio di Gesù e trovò in lui la forza per fuggire in Canada, dove cominciò a frequentare una chiesa battista divenendo ambasciatrice di pace. La sua storia è straordinaria anche perché ha poi incontrato uno dei veterani americani che aveva bombardato la sua regione, a sua volta distrutto psicologicamente dalla violenza della guerra; ma lo è ancora di più perché è una vita che tuttora ci parla, quasi urlando in lacrime come in quella foto, di quanto sia possibile per l’umanità riconciliarsi con se stessa e con l’ambiente circostante a partire dalle attuali generazioni, presente e futuro dell’umanità, che con pervicacia vanno educate e condotte per mano su nuove strade di Pace e di Giustizia.

Foto 3. Manifesto dell’IIS Niccolò Machiavelli di Pioltello (MI)




Tra xylella e gasdotti

“È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba di Aronne …” recita l’inizio del salmo 132. Celebra l’unità delle dodici tribù d’Israele a testimonianza della gioia che dà l’amore fraterno (e sororale!) ed è anche consacratorio, in quanto ci fa appartenere a Dio e al disegno di Dio nel mondo.

E nel mondo periodicamente l’umanità scarabocchia confusamente un’appartenenza esclusiva agli interessi dei pochi a discapito di tutto l’ambiente circostante. Così capita nel nostro Salento, terra di profumi e sapori inconfondibili e dei Caraibi di Puglia, produttore di un olio DOP verde dolce ma con note piccanti uniche, che alla lotta per sconfiggere la xylella ora deve aggiungere quella al gasdotto TAP che sta eradicando migliaia di ulivi secolari. Pare che i greci condannassero a morte chi uccideva un albero di ulivo!

A parte il fatto che, come si evince da un’indagine locale, in Puglia si rischia di avere ben quattro gasdotti, mentre comunque dal 1969 viene estratto gas dal sottosuolo della Daunia senza alcun vantaggio per la popolazione, ci si chiede come sia possibile martoriare oltremodo una regione che sta pagando ancora un prezzo altissimo al dio del progresso e del posto fisso in fabbrica infrangendo la volontà di una popolazione, ora sempre più consapevole delle ricchezze di cui già dispone naturalmente: sole, mare, dieta mediterranea, tradizioni, musica…

 

Come se non bastasse, con un Decreto dell’aprile scorso il Ministro Martina obbliga a trattare gli ulivi con pesticidi,  tra cui almeno uno vietato dall’Europa perché causa la moria della api, per contrastare la xylella fastidiosa; prontamente Mellone, il Sindaco di Nardò, in questi giorni ha emesso un’ordinanza che “vieta su tutto il territorio comunale, a scopo cautelativo e in via precauzionale, di utilizzare in agricoltura pesticidi e prodotti fitosanitari estranei alle normali prassi agricole, quindi nei modi e nelle forme previste dal decreto». “Il provvedimento – riferisce una nota – intende tutelare l’ambiente e la salute pubblica, preservare da possibili contaminazioni il suolo, l’acqua, i prodotti agricoli, salvaguardare infine la biodiversità. Chi viola il divieto è soggetto alla sanzione amministrativa di 500 euro».

Viene da chiedersi chi sia veramente “fastidioso” per l’ambiente e la natura tutta!

 

 




Libere (!) e pensanti. Primo maggio tarantino

Forte è stata la grinta espressa da chi ha organizzato (tra cui il musicista Roy Paci e l’attore Michele Riondino) e da chi ha partecipato alla quinta edizione del Concerto del Primo Maggio a Taranto: “Non è città dell’acciaio!” è stato l’urlo di chi sul palco ha raccontato a quasi cinquantamila persone provenienti anche dall’estremo Sud e dall’estremo Nord testimonianze dirette e indirette, di chi anche da Brescia ha urlato la solidarietà al popolo tarantino che chiede giustizia e un altro tipo di economia;Nonostante tutto – ha gridato sul palco Celeste Fortunato, portavoce del movimento Tamburi Combattenti – noi oggi siamo qui. Noi non possiamo portare i nostri figli nei parchi a giocare perché i terreni sono contaminati, noi non possiamo stendere il bucato se prima non puliamo i balconi … abbiamo una costante paura di ammalarci!”.

Eppure il 4 maggio nel porto di Taranto è arrivato un carico di più di 23.000 tonnellate di pet coke, sostanza cancerogena che col vento ricopre tutti i centri abitati, e il 6 maggio l’UE ha dato il via libero ad Arcelor-Mittal, il gruppo franco-indiano, per l’acquisto dell’ILVA con un pacchetto correttivo che prevede la vendita di sei degli impianti per garantire la concorrenza e che, secondo la Commissaria UE, dovrebbe anche contribuire a imprimere un’accelerazione agli urgenti interventi di risanamento ambientale della zona di Taranto”. Ma come?

Sento ancora nelle orecchie il grido “Senza la gente non si decide niente!”, slogan della manifestazione organizzata per “Massafra vuole respirare” svoltasi il 30 giugno dello scorso anno con la partecipazione di un centinaio di associazioni, comitati, amministrazioni che nella provincia di Taranto, da tempo tormentata dall’inquinamento sotto il ricatto dell’occupazione, stanno assistendo, ma stavolta non inermi, alla costruzione di un secondo inceneritore al quale è stato deciso di affiancarne anche un terzo per l’incenerimento dei fanghi.

Forte anche allora la grinta comunicativa e argomentativa di Rossano Ercolini, maestro elementare toscano, insignito nel 2013 del premio Goldman Prize,e fondatore del movimento “Zero rifiuti Italia”. Dopo la presentazione delle motivazioni della manifestazione da parte del Dott. Delio Monaco che ha pure evidenziato, per esempio, che prima dell’approvazione degli inceneritori non c’era lo studio Sentieri, Rossano Ercolini ha invitato tutti e tutte a vincere il cinismo per un nuovo civismo che vede nell’economia circolare e, quindi, nella raccolta differenziata spinta e nella strategia “rifiuti zero” l’unica alternativa per un futuro in cui il nostro territorio sia risanato e ritorni a respirare. Ciò non significa non poter fare impresa ma certo significa slegarla dai crimini ambientali, come pure quello legato al gasdotto in Salento, e da quella che il maestro ha chiamato “egonomia”.

E… invece Massafra il 15 aprile scorso, presieduta proprio dal suo ex Sindaco, ha visto la Provincia autorizzare il terzo inceneritore per “Rifiuti speciali” e Taranto, nel comprensibile scetticismo di chi giorno dopo giorno documenta e denuncia casi di slopping finalizzato alla maggiore produzione di acciaio, si candida a essere una realtà-laboratorio del progetto “Verso una rete internazionale per l’ecologia integrale” avviato dall’Università Pontificia Antonianum.

Siamo nel pieno di una dura e lunga battaglia nella quale o vinciamo tutti/e o perdiamo tutti/e, assunto non chiaro a chi, come alcuni giornalisti locali, a volte vuole semplicemente vederci ignoranza dei manifestanti e avversità nei confronti del singolo imprenditore.




La collina delle donne

Sorgerà una collina nuova 

E dovrebbe avare un nome

Perché i nomi restano…

L’inferno dove la vita non contava più 

dei sacchi di amianto che svuotavano ogni giorno, 

o del muro di polvere attraverso cui i loro occhi faticarono a riconoscersi.

La collina delle donne la chiamerei

delle operaie che non son più

 di quelle che non dimenticano, 

delle madri, delle mogli, delle figlie e delle sorelle.

Questi sono alcuni versi di una poesia simbolo della lotta all’Eternit e all’amianto, scritta alcuni anni fa da un’oncologa, la dottoressa Daniela Degiovanni. Forte dell’esperienza di medica del lavoro a Casale Monferrato, la città della polvere bianca, in cui ha diagnosticato più di mille casi di mesotelioma, la dottoressa “Degio” ha lavorato per quarant’anni a contatto con gli operai dell’Eternit e con le loro famiglie.
Quarant’anni fa le prime diagnosi, le visite fatte in un semplice ambulatorio. La polvere di amianto gli operai la inalano, la spostano, la mangiano addirittura annidata tra i pranzi nelle pause, la riportano a casa negli indumenti da lavoro interamente imbiancati. Le mogli poi mettono a bagno le tute respirando i vapori intrisi d’amianto e spesso anch’esse iniziano ad accusare dolori alla schiena e le prime avvisaglie della malattia. Così, sempre più spesso, oltre ai lavoratori si ammalano le mogli, le madri, le donne di Casale che non lavorano nella fabbrica maledetta. È una strage silenziosa che si è protratta nel tempo, e che ancora esiste. Si stima che il picco della mortalità per mesotelioma si avrà nel 2020, anche se la fabbrica è chiusa da oltre trent’anni.
La dottoressa pioniera della lotta all’amianto non si è mai fermata, nei primi anni Ottanta ha creato il reparto oncologico dell’ospedale casalese, in seguito il servizio di cure domiciliari e infine, nel 2009, l’Hospice di Casale che ha già accolto più di 250 famiglie. Anche in questo modo la cittadina piemontese ha preso pian piano coscienza della strage in atto e proprio in questi ultimi giorni, 28 e 29 Aprile, a Casale si è celebrata la Giornata Mondiale delle Vittime dell’Amianto. Ricca di eventi e riconoscimenti per coloro che si sono distinti per l’impegno profuso nella cura, ricerca, diffusione di informazione, la manifestazione si caratterizza per la volontà di continuare a credere nel futuro, attraverso azioni di bonifica e battaglie sociali e legali connesse ai danni causati dall’amianto.
Gli eventi hanno avuto sede al parco EterNOT: il parco pubblico sorto sull’area occupata dall’Eternit, terreni bonificati dieci anni fa dove ora la città della fibra killer vuole dare una risposta al dolore sofferto per decenni. Dolore rinnovato acutamente dalla sentenza della Cassazione che ha dichiarato prescritti i reati a carico di Stefan Schmideiny, l’industriale svizzero ex proprietario della fabbrica, cancellando i diciotto anni di carcere inflitti nei precedenti gradi di giudizio per disastro ambientale.
Ma il dramma dell’amianto a Casale non può essere dimenticato e il parco vuole e deve essere il luogo della memoria. In mezzo ad esso sorge proprio la collina dedicata alle donne a cui l’amianto ha portato via la vita, donne come Luisa Minazzi, simbolo di Casale, direttrice didattica, ambientalista, e amministratrice comunale, morta di mesotelioma nel 2010. Luisa non lavorò mai all’Eternit, ma da bambina giocava nei giardini sui cumuli di fibre, il famoso polverino che, spostato dal vento, si infiltrava ovunque. Ora, sulla collina delle donne, i bambini possono finalmente correre.
EterNOT è la realizzazione dell’elaborazione di un lutto collettivo, quello che ha portato Casale ad essere tristemente famosa come luogo di dolore e morte. Ma non solo. La città è anche simbolo di lotta e di speranza, di consapevolezza e di resilienza da cui prendere esempio per bonificare, non solo i terreni inquinati ma soprattutto coscienze.