Tra pochi giorni sarà proclamato il libro vincitore del Premio Strega 2018. Nella cinquina dei finalisti appare il nuovo romanzo di Lia Levi, Questa sera è già domani, in cui è narrata la storia di una famiglia ebraica a Genova, durante gli anni del fascismo e poi delle leggi razziste. La storia di due sorelle, Emilia e Wanda, dei loro mariti, Marc e Osvaldo, del vecchio padre delle sorelle, Luigi, e del protagonista, Alessandro, il figlio di Marc e di Emilia.
Marc Rimon, belga di nascita, trapiantato in Olanda, di passaporto inglese, di madrelingua francese, intagliatore di diamanti, trasferitosi a Genova, racchiude in sé alcuni caratteri tipici dell’ebreo d’Europa, poliglotta e capace di racchiudere dentro di sé lingua, culture, modi di vivere diversi, elementi ai quali senza ch’egli, non religioso, non osservante, mostri di averne consapevolezza, dà unità l’identità ebraica, che, malgrado il suo distacco dalla tradizione, vive tuttavia in qualche modo dentro di lui.
Emilia non ama quel marito dall’humoursottile, educato e gentile. Il loro è stato un matrimonio combinato, ma non è questo, un’usanza diffusa, che procura disagio a Emilia, piuttosto è il fatto ch’egli sia uno straniero, cosa che le comunica un fastidioso sentimento di differenza, così come pure non aver parenti di lui da poter presentare, malgrado apprezzi di tenere lontane persone che potrebbero darle fastidi, come la suocera, che vive in Olanda. Nei primi anni del matrimonio, Emilia, più per noia che per reale ostilità, cerca il conflitto col marito, ma la calma incrollabile di lui, se da una parte le fa credere di aver a che fare con un debole, le infligge frustrazione, l’impressione di urtare contro un muro che non può essere attraversato.
La noia e la separatezza fra moglie e marito subiscono però un’improvvisa scossa quando il piccolo Alessandro, a soli quattro anni, rivela doti eccezionali, legge e scrive correntemente sia in italiano che in francese e quando viene iscritto a scuola, ben presto le maestre convocano i genitori, perché il bambino è straordinariamente avanti rispetto ai suoi coetanei, così, su loro impulso, viene iscritto a due classi successive. Il mondo pare cambiare per Emilia, che si dice come la sua vita è stata fino ad allora piena di buchi neri ed ora qualcuno, forse Dio, vuole ripagarla con quel figlio genio, nel quale si compiace per alcuni anni, divenendo meno rancorosa verso il marito e da allora quasi “correndo per mano a lui” insieme a quel figlio eccezionale.
Il tempo mostra, però, come Alessandro non è un genio, è stato solo molto precoce, così, a partire dai primi anni del ginnasio, comincia a incontrare alcune difficoltà, al punto che per alcune materie deve seguire lezioni private. La madre reagisce negativamente alla delusione e da allora riserva al figlio un rancore, un’ostilità, un certo disprezzo, che seppure, espressi in rare occasioni, il ragazzino sensibile avverte senza dubbi e via via che cresce sente aumentare il suo distacco affettivo dalla madre, che giudica cattiva. Riconosce invece l’amore del padre, che lo guarda attento e con silenziosa comprensione; l’amore del nonno, che, vedovo di una moglie colta, tenta sui ricordi delle parole di lei, di comunicare al nipote elementi dell’ ebraismo, dal quale tuttavia la famiglia si sente lontana; l’amore degli zii che, privi di figli propri, riversano sul nipote un affetto parentale. E nella dolce zia Wanda, Alessandro finisce per vedere la madre che avrebbe voluto, la madre buona.
Gli anni che trascorrono precipitano però la famiglia nel buco nero delle leggi antiebraiche, con i disagi, le umiliazioni, le fratture, l’esclusione che esse comportano. Marc ha passaporto inglese e comincia a valutare la possibilità che si trasferiscano in Inghilterra: quel che avviene in Germania, in Cecoslovacchia, in Austria non gli pare offrire adito a dubbi, anche se molti continuano a resistere all’evidenza. Dopo qualche tempo tutti i parenti, decine di cugini, zii, nipoti, e poi nonni, cognati, si riuniscono insieme per alcuni giorni in una grande villa del fratello di Osvaldo. Vengono prese decisioni diverse. Alcuni intendono partire per i luoghi più lontani, Singapore, Cuba, l’America latina, e si stabilisce di creare un fondo di aiuto per chi, volendo andar via, non ne abbia le possibilità economiche, ma altri decidono di restare, credono di poter superare la tempesta. Fra loro è Emilia, che non vuole lasciare l’Italia per l’Inghilterra, né per altri luoghi, non vuole separarsi dal padre, dalla sorella, da ciò che conosce. E Alessandro pensa di nuovo che la madre non l’ama, che non vuole salvarlo e glielo grida, non ottenendone che brevi frasi di disprezzo, che sembrano però al lettore piuttosto una difesa contro quello che appare troppo orrendo per essere guardato, ma Alessandro è troppo giovane e troppo spaventato per comprenderlo e si approfondisce in lui l’ostilità verso la madre.
Saranno gli eventi a trasformare ancora una volta i sentimenti, insieme alla vita. Scoppia la guerra e la famiglia sente il pericolo sempre più vicino: Mussolini potrebbe decidere di seguire l’alleato tedesco nell’avventura che appare all’inizio così facile, coronata da successi rapidissimi e schiaccianti. Ma ancora Emilia resiste a partire, e il marito non sa contrastarla, anche in lui trova spazio la tentazione di abituarsi al sempre peggio, a scendere insensibilmente quelli che uno dei personaggi, non a caso una ragazzina, chiama “i molti gradini dell’inferno”. I giovani appaiono infatti, più volte nel romanzo, dotati di maggiore consapevolezza del pericolo, forse per la loro maggiore vitalità, per la forza animale che li spinge con violenza a voler vivere, a volersi salvare. Presto l’Italia entra in guerra e per Marc, col suo passaporto inglese, è il confino, una condanna che, in un oscuro paesino marchigiano, si rivela una parziale oasi di tranquillità, ma ambigua e incerta. Alessandro che, come la madre, è italiano, non è tenuto a restare al confino, e dopo qualche tempo viene mandato dai genitori presso gli zii, perché possa continuare gli studi alla scuola ebraica, dopo l’allontanamento dal ginnasio pubblico.
E arrivano i giorni del settembre 1943. Dopo un’illusione brevissima di pace vicina, la situazione per gli ebrei precipita, arrivano, ora dopo ora, notizie terribili. Emilia continua a opporre resistenze a una fuga ormai difficilissima: in Italia c’è il papa, i tedeschi non oseranno spingersi oltre. Stavolta, però, sono le sue parole a cadere nel vuoto, bisogna andar via. Il nonno, ormai morente, viene trasferito sotto falso nome nell’ospedale, dove come ebreo non potrebbe essere ammesso, Wanda e Osvaldo, con un breve discorso, consumano il loro distacco dai parenti: ognuno dovrà tentare di salvarsi per sé. È questo un annuncio inatteso, che delude e rattrista Marc ed Emilia, che però rapidamente si procurano documenti falsi, in cui hanno un cognome non ebraico, Ferrari, e prendono accordi con certi contrabbandieri, che attraverso le montagne, cercheranno di farli passare in Svizzera. Al momento della partenza, Alessandro, malgrado i genitori si raccomandino affinché non trattenga nulla che possa identificarli come ebrei, ha un moto violento di ribellione: porterà con sé a qualunque costo la stella di Davide d’oro e smalto regalo della nonna, che ha serbato fin da piccolissimo. Qualcosa avviene in Emilia, che osserva Alessandro come vedendolo improvvisamente in un modo nuovo. Con gesti dai quali emerge una strana umiltà verso quel figlio, che ha sempre curato, ma che per molto tempo aveva smesso di rispettare, scuce la manica della giacca di lui, vi inserisce il ciondolo amato, poi la ricuce con punti attenti, piccolissimi.
Il passaggio sulle montagne avviene in modo drammatico e, durante una sosta piena di affanni in una vecchia baita, i tre fuggiaschi incontrano una donna ebrea, che il marito e i figli hanno lasciato indietro, perché per una caduta si è spezzata una gamba. La cosa sconvolge Alessandro, che non sa trattenersi dall’esprimere alla donna un giudizio di rimprovero per quelli che l’hanno abbandonata. Ma la donna li difende: è stata lei a obbligarli, minacciando di spezzarsi da sola l’altra gamba se non avessero proseguito. Alessandro si chiede se sua madre avrebbe fatto un tale sacrificio per lui, e immediatamente, senza comprendere ancora cosa significa quella risposta si dice, che sì, anche sua madre avrebbe fatto lo stesso per lui.
Dopo altri incidenti, la famiglia arriva al confine svizzero. Purtroppo, i loro documenti falsi, ma perfetti, fanno sospettare ai frontalieri che essi mentano e non siano ebrei. Spiegano che troppi chiedono asilo e non si possono accogliere persone che rischino meno degli ebrei e dei perseguitati politici, come chi scappa ‘solo’ dalla guerra e dalla fame. Inutili gli interrogatori ai quali i tre sono sottoposti separatamente: ognuno di loro dice le stesse cose, senza contraddizioni, ma può essere una falsa versione concordata. Non sono creduti, devono andar via, saranno riportati in Italia. Alessandro si ribella nuovamente, stavolta con violenza centuplicata, come centuplicato sente il pericolo: si aggrappa al piede della scrivania dell’ufficio in cui si trovano, non si riesce a staccarlo. L’ufficiale comandante è colpito, lo calma. Accetta di dar loro un’altra possibilità, tuttavia hanno bisogno di una prova. Marc chiede che controllino la sua cittadinanza inglese, ma l’ufficiale, dice che non c’è tempo, ci vuole una prova irrefutabile subito, e inutile era già stato l’accenno di Marc alla circoncisione, tanti non ebrei sono circoncisi. Alessandro, ch’era rimasto seduto a terra, si alza con occhi fiammeggianti, toglie la giacca chiede delle forbici, i soldati temono che voglia minacciare di uccidersi, ma è Emilia a capire, a ricordare subito. Prende la giacca, con calma chiede un paio di forbici, le ottiene e di nuovo scuce la manica, estrae la stella di Davide, che il figlio afferra e, sollevandola alta, la mostra, luminosa, splendente nella luce. Sono salvi. I frontalieri li portano in auto in un piccolo paese vicino, al centro di smistamento. Nell’ufficio in cui entrano, intravedono figure sparse, nella penombra, sedute. Un piccolo gruppo più compatto è in piedi, in un angolo. Discutono.? No… pregano. “Il Lehà Dodi li raggiunge improvviso: “Vieni mio amato, incontro alla sposa, accogliamo lo Shabbàt” da secoli c’è qualcuno che continua a cantarlo. Adesso è già sabato. Sono in pochi, non hanno raggiunto di sicuro il minian. Alessandro si è mosso, la madre lo segue”.
La violenza che voleva cancellarli ha fatto sì che Alessandro ed Emilia ritrovassero la propria identità, l’identità di figlio, l’identità di madre, l’identità ebraica. Una nuova vita li attende, piena di consapevolezza e di amore.