Da Trani a Fasano: Maria Teresa Stella e le altre

Il 4 giugno 2011 l’Amministrazione comunale di Fasano (BR), nei festeggiamenti del 150° dell’Unità d’Italia, scopre la targa in marmo di notevoli dimensioni, in memoria di Anna Teresa Stella, eroina fasanese:

Il 27 aprile 1799 qui cadde barbaramente assassinata dalla canaglia reazionaria borbonica

Anna Teresa Stella

creatura eccelsa glorioso vessillo di libertà e giustizia sociale

1. Fasano. Targa in memoria di Anna Teresa Stella

Anna Teresa Stella, originaria di Trani, diventa cittadina di Fasano dopo il matrimonio con il possidente fasanese Lorenzo Goffredi: da Trani a Fasano sono solo 100 chilometri ed entrambe le cittadine si affacciano sul mare Adriatico. 

Per capire cosa sia successo e il perché di questa dedica così particolare bisogna andare indietro nel tempo. 

Siamo nel 1799. Il 21 gennaio, a Napoli capitale del Regno, viene dichiarata la Repubblica napoletana. Re Ferdinando e Regina Carolina sono già fuggiti a Palermo il mese prima con il tesoro della corona, e a Napoli viene piantato dalle truppe francesi l’albero della libertà con la sua portata di idee giacobine. Per diffondere i nuovi ideali repubblicani e gli avvenimenti del nuovo corso esce, il 2 febbraio, il primo numero del “Monitore Napoletano”, periodico bisettimanale, di cui è direttrice Eleonora De Fonseca Pimentel, patriota, politica e giornalista.

Nel contempo, a Fasano, Anna Teresa, di idee repubblicane si distingue per leggere in pubblico le lettere dei liberali napoletani. Le legge in piazza, nel luogo dove è stata posta la targa, la stessa piazza che prenderà il nome di Ignazio Ciaia, anche lui fasanese, anche lui patriota, che fu membro nel primo governo provvisorio repubblicano del 1799.

Anna Teresa, con le letture pubbliche, anima la lotta per la libertà, la fraternità, l’uguaglianza, argomenti rivolti più alle persone colte con alti ideali che al popolo contadino, sempre più spremuto, non da ultimo, proprio dalle truppe francesi che pretendono quanto necessita al loro sostentamento. Non si tratta solo di cibo: le truppe si lasciano andare a saccheggi quale “incasso” per la loro prestazione di guerra. D’altronde, Bonaparte per primo ha spogliato palazzi, ville, conventi di opere d’arte, stature, obelischi e pezzi di pareti affrescate che hanno preso la strada di Parigi durante le campagne d’Italia.

I francesi, dunque, sono sì portatori di un nuovo modo di pensare, ma anche di vecchi comportamenti predatori. Quando partono e viene meno un presidio armato in difesa delle nuove idee, Anna Teresa viene catturata e imprigionata. È vedova, e questo molto probabilmente fa la differenza per la crudeltà usatale. Con il consenso delle autorità, il 27 aprile 1799 un gruppo di popolani a lei ostili, aizzati da un giacobino rinnegato, Cataldo De Santis, la preleva dalla cella, la espone alla berlina su di un asino. Viene ripetutamente frustata e poi fucilata nel luogo dove leggeva le lettere. Come se non bastasse, viene decapitata con un coltellaccio. Il cadavere, trascinato per le strade, è fatto selvaggiamente a pezzi e sparso, come monito ai cittadini di idee liberali. 

Il tutto sotto alla statua della Madonna del Pozzo.

È così che a distanza di 212 anni, il Comune di Fasano onora ancora una volta la concittadina che a pieno titolo dovrebbe essere inserita nei testi di storia adottati nelle scuole, insieme a tanti patrioti e patriote che hanno lottato per l’unità d’Italia. 

Anna Teresa Stella ha una strada dedicata sia a Fasano che a Trani (foto di copertina). 

2. Fasano. Via Stella

Nello stradario di quest’ultima cittadina sono presenti tre strade intitolate a donne collegate all’azione predatoria delle truppe francesi e agli avvenimenti del 1° aprile 1799.

Negli anni 1940-1950, il Comune intitola queste tre strade che da via Statuti Marittimi, al porto, vanno verso il centro per ricordare nella toponomastica tranese alcuni nomi di eroine protagoniste di vari episodi luminosi di dignità e sacrificio verificatisi durante i tragici avvenimenti del 1799, quando le truppe francesi comandate dal generale Broussier misero Trani a ferro e fuoco, portando morte e danni ingenti. 

Si tratta di via Felicia Nigretti, vico Maria Ciardi e via Vincenza Fabiano: tre donne che nella loro possibilità di scelta, se così si può dire, tra l’essere preda dei soldati o il sottrarsi all’aggressione a tutti i costi, hanno optato per quest’ultima, gettandosi nelle acque del porto, in un pozzo o in una cisterna trovandovi la morte.

3. Trani. Vico Maria Ciardi

Un’altra intitolazione toponomastica attira l’attenzione, stavolta a Molfetta: via Rosa Picca. Siamo duecentosettanta anni prima del 1799 di Trani, ma troviamo ancora i soldati francesi in azione.

Rosa Picca ha anche una targa a suo nome, posta dal Municipio: A Rosa Picca, che nel sacco di Molfetta presa d’assalto da’ francesi a 18 luglio del 1529 fuggì la violenza d’un soldato precipitandosi volontaria dal tetto di sua casa, il Municipio pose questa memoria nel 1890 per onorare il nome dell’eroica donna a cui più della vita fu cara la pudicizia.

Una storia, forse, come tante altre che la Puglia, però, non ha voluto dimenticare.

4. Molfetta. Via Rosa Picca




Cristina di Francia, duchessa Savoia, prima Madama Reale

Figlia di Enrico IV re di Francia, la fecero sposare al principe ereditario e futuro duca di Savoia Vittorio Amedeo I per rafforzare il rapporto con lo stato a cavallo delle Alpi in funzione antispagnola. Era il 10 febbraio del 1619 e Cristina, sposa bambina, compiva in quel giorno tredici anni. Suo marito ne aveva quasi venti di più.

Nell’austera reggia di Torino le giornate della giovane principessa, abituata alla brillante vita di corte parigina, non dovevano essere troppo allegre. Anche perché tanto era vivace e amante della bella vita lei, quanto taciturno e poco socievole appariva Vittorio Amedeo, che alle feste preferiva la caccia e le passeggiate solitarie ed era di costumi sobri. Eppure, ironia della sorte, fu proprio una sontuosa cena offertagli da un diplomatico francese, il duca di Créquy, a costargli la vita. Probabilmente fu vittima di un’intossicazione alimentare: tutte le persone invitate al banchetto si sentirono male, ma il duca ne morì.

Cristina, che aveva messo al mondo quattro femmine e due maschi, divenne reggente in attesa che i figlioli raggiungessero la maggiore età. Bella, intelligente e intraprendente, Madama Reale  – per sottolineare la propria stirpe regale volle per sé questo titolo, che in seguito fu attribuito anche a un’altra duchessa di Savoia, Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours  – si ritrova non ancora trentenne finalmente libera di vivere a modo suo: a corte si mormora che si circondi di amanti e si sia scelta un favorito, il conte Filippo di Agliè, bello, colto e ardimentoso e consigliere di fiducia della duchessa. I due si conoscono dai tempi in cui la famiglia ducale, per sfuggire alla peste, era rifugiata a Cherasco, nel Cuneese, e da allora sono molto amici. I soliti ben informati sostengono che addirittura sarebbe Filippo il vero padre dell’erede al trono. Ma Cristina non è tipo da farsi troppo spaventare dal gossip, tanto più che al potere prende gusto e si rivela una politica di razza, destreggiandosi abilmente tra minacce di ogni tipo. I cognati cercano di strapparle la reggenza, mentre il Cardinal Richélieu, alleato pericoloso, mira ad annettere il piccolo stato dei Savoia alla corona francese. Energica, duttile e astuta, la reggente riesce a liberarsi dei suoi nemici interni e a conservare l’indipendenza del ducato sfruttando a proprio vantaggio la rivalità tra la Francia e la Spagna. Anche quando il figlio superstite assume formalmente il potere, nel 1648, Cristina continua a occuparsi della corrispondenza ufficiale, a ricevere gli ambasciatori, e fino alla morte mantiene nelle proprie mani le redini dello Stato.

Foto 1. Ritratto di Madama Cristina

Non aveva ancora sessant’anni quando morì, e da qualche tempo una conversione religiosa aveva cambiato radicalmente la sua vita: era arrivata a seguire quindici messe al giorno, sottoponendosi anche a penitenze crudeli. La bella donna dal sorriso seducente che i pittori del tempo avevano raffigurato in abiti sontuosi, ornata dei gioielli che tanto amava, ci guarda dall’ultimo ritratto con occhi spenti e malinconici, racchiusa in neri panni penitenziali. Venne sepolta vestita con il saio monacale nella chiesa di Santa Cristina, che lei stessa aveva fatto costruire nell’odierna piazza San Carlo per affidarla alle Carmelitane scalze.

Questo non bastò a evitarle critiche feroci da parte degli storiografi, che non le perdonarono l’ambizione e la libertà di costumi e criticarono il suo programma di spese, considerate eccessive. Eppure Torino conserva ancor oggi non pochi segni del buon gusto della prima Madama Reale, che trasformò la sua città in una elegante e moderna capitale europea.

Foto 2. Ritratto e intitolazione di una via centrale a Torino

In copertina. La piazza torinese

 




Le balie della Valdinievole

Con il riordino e l’apertura al pubblico degli Archivi storici della provincia di Pistoia, nel 1995, è riemersa una realtà a lungo tempo dimenticata, quella delle balie che dalla Valdinievole emigravano per vendere l’unica cosa preziosa che possedevano: il loro latte.

Il baliatico è una questione esclusivamente femminile, “marginale” nell’interesse degli storici: è un lavoro sommerso, talvolta ignorato dagli stessi discendenti delle protagoniste. Le donne hanno sempre parlato malvolentieri di questo mestiere anomalo, di breve durata e legato alla quantità e qualità del latte prodotto: non solo testimoniava lo stato di miseria, ma riportava alla mente il doloroso distacco dal proprio figlio neonato.

Il fenomeno si può circoscrivere in un periodo abbastanza preciso: dalla seconda metà dell’Ottocento agli anni Trenta del XX secolo, in qualche caso anche dopo la Seconda guerra mondiale. I luoghi di espatrio erano essenzialmente: la Francia del Sud e la Corsica, talvolta anche la Tunisia, l’Algeria, la Svizzera, la Germania.

Foto 1. Gruppo di balie della Valdinievole in Francia, inizio Novecento. (Biblioteca comunale di Chiesina Uzzanese)

Le donne che partivano erano casalinghe, contadine, bisognose di dare un contributo economico alla famiglia, e per farlo lasciavano a casa la loro creatura appena nata, che veniva allattata da una vicina o una parente. La mortalità infantile dei figli delle balie era più alta della norma perché erano privati del latte materno e affidati a donne non sempre sane o poco attente alla cura e all’igiene dei piccoli.

Anche il viaggio verso un luogo sconosciuto dove avrebbero trovato una nuova lingua e un ambiente ben diverso dal proprio, costituiva un sacrificio, ma l’esperienza poteva rivelarsi utile da vari punti di vista: erano ben nutrite e ben vestite, si occupavano esclusivamente del bambino loro affidato, mangiavano a tavola con i padroni, in estate si trasferivano in bellissimi luoghi di villeggiatura, sottoscrivevano un regolare contratto che prevedeva una visita medica e un salario stabilito, potevano ricevere doni, vivevano una sorta di emancipazione e di autonomia economica, instauravano rapporti anche belli e duraturi con i loro “figli di latte ”, frequentavano ambienti che mai più nella vita avrebbero conosciuto. In Valdinievole mancavano le industrie, si viveva di agricoltura e del poco che offriva l’area palustre del Padule: il latte appariva dunque una risorsa da sfruttare, preferibile a una vera e propria emigrazione familiare.

Le donne locali erano molto richieste perché godevano fama di essere pulite e attente all’igiene, diventavano madri in giovane età, molte sapevano leggere e scrivere e parlare un buon italiano, dato essenziale per ricche famiglie che vivevano all’estero ma desideravano insegnare la lingua d’origine alla prole.

Esistevano, sul luogo, delle “procaccine” che curavano il rapporto domanda-offerta; verificavano lo stato di salute delle future partorienti e le prenotavano per i propri clienti; dopo il parto veniva controllata l’abbondanza di latte, si firmava il contratto e si partiva verso l’ignoto, di solito con un accompagnatore di fiducia, in treno o in nave.

Per tutto l’Ottocento e oltre, in assenza di latte artificiale, il baliatico al proprio domicilio non era affatto raro, e si praticava anche negli ospedali.

Foto 2. Siena, Ospedale di Santa Maria della Scala

In Toscana due casi emblematici sono l’Ospedale degli Innocenti di Firenze e l’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena dove molte donne (di solito madri nubili o vedove o madri cui era morto il neonato), legate con regolare contratto, allattavano i trovatelli (fino a cinque ognuna), per un periodo che poteva arrivare fino a diciotto mesi, finiti i quali erano impiegate come balie “asciutte”.

Foto 3. Il pannello della mostra di Toponomastica femminile “Donne e Lavoro”

 

 

 

 




Thomas Ott: l’umanità che emerge dal nero

Figura assolutamente eclettica e impegnata in campi d’azione diversi, Thomas Ott è noto per lo più come illustratore e in particolare come fumettista.

Svizzero, classe 1966, inizia a farsi conoscere, giovanissimo, già dagli anni Ottanta collaborando a una rivista underground di Zurigo (Strapazin). 

Partendo da tecniche quali l’inchiostro di china e l’incisione a puntasecca, Ott si avvicina presto a quello che diventerà (e rimarrà) il suo “modus operandi” prediletto: lo scratchboard, che in italiano è chiamato da alcuni “sgraffito”. 

Si parte dal ricoprire totalmente un foglio di carta con dell’inchiostro nero, dopodiché si gratta via con un pennino o una punta, facendo emergere il disegno.

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Si tratta di una tecnica pesante da utilizzare, in quanto richiede molto più tempo per poter lavorare sui dettagli di quanto invece richiederebbe la realizzazione a partire dal “positivo”: il punto di partenza è infatti sempre il nero su cui si va a incidere la luce. 

Con incredibile maestria, Ott gratta via moltissimi segni, sottilissime linee bianche attraverso cui riesce a creare sfumature e definire nel minimo particolare i dettagli e le espressioni dei personaggi, senza mai perdersi nel nero, che comunque fa sempre da padrone.

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Lo stesso artista ha affermato più volte che la difficoltà (e anche la bellezza) di questa tecnica sta proprio nell’imparare a usare il nero, a calibrarlo senza esserne sopraffatti, imparare a capirlo.

L’effetto è sicuramente potente e mostra chiaramente i riferimenti ai maestri  dell’Espressionismo tedesco (sebbene manchi l’uso del colore).

Le atmosfere sono invece un chiaro richiamo ai film noir e dell’orrore, a cui lo stile così complesso si abbina perfettamente. Vizi, violenze, deliri, perversioni, paure, morte: l’umanità che viene presentata è espressione di una realtà terribile e terrificante. 

Foto 3

I suoi personaggi sono sempre psicologicamente complessi, disturbati e disturbanti, e attingono pienamente da un immaginario crudo e violento. 

Le storie di Ott diventano quindi dei brevi racconti dell’orrore, ricchi di suspence, che turbano e stordiscono chi legge, narrati in una quasi totale assenza di parole, ma solo attraverso vignette che emergono dal nero con spettacolari tagli e inquadrature cinematografiche.

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Sembrerebbe un lavoro cinico, distaccato, ma in realtà l’intento dell’artista, come lui stesso ha dichiarato, è ben diverso. 

L’idea di fondo è infatti liberarsi dalle paure che lo attanagliano normalmente, esorcizzarle, trasferirle sulla carta per non tenerle dentro di sé. 

Attraverso il suo lavoro, Thomas Ott esprime la volontà di mostrare nel modo più brutale possibile il lato più oscuro delle cose, tutta una parte di realtà di cui nessuno vuole parlare, per poterla accettare e così, in qualche modo, aprirsi al mondo e alla vita.




Ad Atlanta con Margaret

Atlanta, con i suoi grattacieli e i suoi mille colori, non è lo sfondo che immaginavo per il mio incontro con Margaret Mitchell e il suo viso di porcellana. Eppure, è qui che Margaret1è nata e ha passato gran parte della sua vita.

“Tu ora la vedi così, ma un tempo di questi grattacieli non ce n’era neanche uno!”

“Com’è stata la sua infanzia ad Atlanta?”

“Credo di aver avuto una bellissima infanzia, anche se con mio padre ho sempre avuto un rapporto un po’ burrascoso, sai… Mentalità incompatibili! Con mia madre invece avevo un rapporto meraviglioso, è grazie a lei se sono come sono oggi.”

“Che tipo era sua madre?”

“Era una donna che sapeva coniugare una grande fermezza e una dolcezza indescrivibile. Quando se ne è andata per me è stato un colpo durissimo, ma le sue ultime parole non hanno fatto altro che confermare la sua infinita intelligenza e consapevolezza.”

“Cosa le ha detto prima di andarsene?”

“Purtroppo, non l’ho potuta abbracciare di persona, ma mi ha mandato una lettera in cui si è raccomandata di non tralasciare mai la mia vita per occuparmi di quella degli altri e di non rinunciare mai ai miei sogni per far felice qualcun altro.”

“Mi dispiace non abbia potuto salutarla… Dove si trovava?”

“Avevo iniziato gli studi di medicina allo Smith College, in Massachusetts, ma la morte di mia madre mi ha portato a lasciare il college e tornare a casa.”

“E una volta tornata ad Atlanta?”

“Avevo 20 anni e fino a quel momento avevo scritto per me stessa e pochi intimi, ma dopo qualche mese mi è stato offerto un posto all’Atlanta Journal Sunday Magazine… Che soddisfazione! Ho avuto persino l’occasione di intervistare Rodolfo Valentino! Poi quell’incidente…”

“Quale incidente?”

“Non lo sai? Si legge che abbia lasciato il lavoro per scrivere “Via col vento”, ma non è così: mi sono rotta la caviglia e la convalescenza mi ha costretto a letto per mesi! A quel punto mi sono dovuta licenziare per forza e per passare il tempo ho deciso di provare a dare forma a quella storia che avevo in mente da così tanto tempo.”

“È stato difficile delineare un personaggio poliedrico come Rossella O’Hara?”

“Molto e ti dirò perché: lei non c’entra assolutamente nulla con la classica eroina del filone romantico. Rossella non è un personaggio che piace o non piace, in quanto allo stesso tempo la si ama e la si odia e non si può fare altrimenti. Non fa altro che commettere errori in amore, non riusciamo a condividerne le scelte, ma questo la rende decisamente più umana e fa sì che in fondo, ci faccia simpatia. Seppur dall’alto dei suoi privilegi, Rossella è una ribelle per i tempi in cui vive. La Guerra di Secessione la costringe a rimboccarsi le mani e, in parte, a lasciarsi alle spalle la frivolezza della vita che conduceva. È in quel momento che l’apparente perfezione si frantuma e il suo comportamento fa parlare le malelingue della città.”
“Via col vento ha avuto un successo strepitoso, superando il milione di copie vendute nelle prime settimane dopo la pubblicazione. Come mai ha deciso di non pubblicare altri romanzi?”

“Attorno a “Via col vento” si è scatenato un polverone che non mi aspettavo di certo… Mi ha fatto vincere il Pulitzer del 1936 e addirittura mi ha fatto portare a casa una candidatura al Nobel per la letteratura! ll successo editoriale è stato accresciuto, non c’è neanche bisogno di specificarlo, dal film di Victor Fleming, che ha fatto esplodere i botteghini di tutto il mondo.
Tutto ciò mi ha riempito di gioia e orgoglio, ma credo che se avessi continuato a scrivere avrei deluso le aspettative dei miei lettori e delle mie lettrici, in quanto dubito che sarei mai riuscita a pubblicare qualcosa che reggesse il confronto con “Via col vento”.
Poi, in realtà, ho continuato a scrivere romanzi, ma non ho intenzione di pubblicarli… Ai miei familiari ho dato disposizioni di bruciare tutto, quando non ci sarò più. Chissà se rispetteranno la mia volontà o se ci saranno belle sorprese!”

1MARGARET MITCHELL: nata nel 1900 ad Atlanta, è stata una scrittrice e giornalista statunitense. Iniziò gli studi in medicina, ma lasciò il college dopo la morte della madre, nel 1919.Tornata ad Atlanta venne assunta all’Atlanta Journal Sunday Magazine come giornalista, anche se a causa di una brutta frattura fu costretta a lasciare il lavoro.
Fu proprio durante la convalescenza, infatti, che scrisse “Gone with the wind” (“Via col vento”), che fu pubblicato nel 1936 e che vinse il premio Pulitzer nel 1937.
Il romanzo ebbe un successo straordinario, ma dopo soli dodici anni Margaret morì, investita da un taxi.




Polinesia francese: Bora Bora

Bora Bora – a parte il nome che ricorda Trieste e il suo vento – ci appare come un miraggio. Azzurrissimo. Dal mare emerge un arcobaleno insperato. L’escursione è programmata alle 11.15 e siccome siamo in rada non è possibile scendere prima dalla nave. Mi sento un ostaggio.

Mappa dell’isola

Saliamo sul truck, un camion con pianale attrezzato con sedili, addobbato con fiori e foglie, e facciamo il giro dell’isola, che è più grande di Moorea, più turistica, con alberghi per vip direttamente sul mare, nel senso che i bungalows sono poggiati su palafitte. Qualcuno ha il pavimento trasparente per vedere i pesci. Non mi attira dormire sull’acqua. Né mi piacerebbe essere a Bora Bora e vivere rinchiusa in un “ghetto”, sia pure di gran lusso, lontana dal mondo vero. Anche qui, colori da cartolina.

Foto 1. Paradiso subacqueo

Visitiamo una “fabbrica” di parei e una ragazza ci offre frutta e acqua, oltre a spiegarci la tecnica dei colori e dei disegni ottenuti giocando con foglie che danno il colore e figurine ritagliate da vecchi copertoni (tartarughe delfini sole luna felci ecc.). Immersi nell’acqua colorata, poi stesi su graticci al sole, con i pezzi di copertone che poggiati sulla stoffa creano ombre e disegni: una volta asciutti, i parei rivelano il loro fascino!

Ne compro alcuni, non so più quanti parei siano già accantonati in valigia…ma dall’Italia fioccano le richieste!

Comprare un pareo che ha i colori e i disegni tipici di questi luoghi non vuol dire soltanto avere in valigia qualcosa da regalare, ma aiutare queste ragazze che vivono insieme, nelle casette dove lavorano e vendono. Mi sussurrano che sono ragazze-madri o giovani vedove. Intorno qualche bambino, nessun uomo adulto. Sono dignitose, allevano i loro figli, lavorano onestamente e, sempre, sorridono, anche con gli occhi.

Foto 2. I colorati parei

Prima che finisca il giro ufficiale, ho il tempo di ferirmi al braccio destro sfregandolo con forza sul finestrino del truck. Il ragazzo che ci accompagna mi disinfetta, ma il bagno che andiamo a fare su una bella spiaggia è limitato per me: sembro una rotonda veterocomunista che si immerge con braccio levato e pugno chiuso! Il mare è molto calmo, meno caldo di ieri, popolato da tanti pesci, anche abbastanza grandi e colorati. E chiaro, trasparente fino alla barriera corallina. Poi diventa di un blu intenso.

Dopo, giro nei negozietti del molo e nuovi acquisti: monoi (olio per il corpo), saponi al tiarè, un bel tessuto bianco con disegni geometrici neri. Ne farò fare un tubino.

Anche qui, donne-uomo o uomini-donna e sempre l’interrogativo: sono condizionati dalla famiglia e dalla tradizione? Sono bisessuali? Hanno voce maschile e garbo femminile, capelli spesso raccolti in uno chignon e abiti colorati. Sono truccati/e con discrezione.

Queste isole da favola mi hanno fatto pensare ai francesi che le hanno colonizzate: sono stati bravi, le popolazioni sono tranquille e serene, sembrano ospitali e solidali, vivono in luoghi curati e rispettano i vecchi, i bambini e l’ambiente. A proposito, siccome la sepoltura dei morti in cimitero è costosa, molti seppelliscono i loro cari in giardino. Abbiamo visto parecchi esempi.

Foto 3. Cani in spiaggia

Altra cosa sono i grossi cani che circolano in libertà e fanno un po’ paura e i granchi robusti che scavano in terra le loro tane, da cui escono velocissimi per catturare fiori freschi (non per abbellire le tane ma per mangiarli). Dal truck abbiamo gettato fiori e foglie e subito sono emersi dal buio e hanno trascinato dentro il profumato bottino.

Foto 4. Granchi all’opera

La tappa polinesiana è finita: dei luoghi, delle persone, del truck e dei granchi rimane un ricordo luminoso e sereno.

 

 




Le benefattrici di Victoriaville

Proseguiamo il nostro viaggio nelle strade e piazze di Victoriaville, una tra le municipalità più attente al ricordo delle donne che ne hanno fatto la storia. 

Nella rosa di figure femminili celebrate con riconoscenza nonostante il tempo trascorso, ci sono anche quelle donne che con il loro operato hanno significativamente impresso un’identità al luogo: benefattrici, suore e laiche, che hanno impostato la loro vita all’aiuto concreto della popolazione in difficoltà, lanciando e gestendo importanti testimonianze istituzionali ancora in essere sul territorio.
Al di là infatti della motivazione religiosa o laica, queste donne hanno saputo risolvere situazioni economiche, ereditarie edilizie proprie di imprenditrici determinate e risolute che hanno valso loro il ricordo e la stima della comunità locale fino ai nostri giorni.

Tra queste c’è sicuramente Jeanne-Mance cui è stata dedicata una strada già nel 1990. 

Jeanne nasce in Francia nel 1606 e raggiunge i territori della nuova Francia nel XVII secolo a seguito dell’evangelizzazione delle nuove terre, pur restando sempre laica. Considerata una pioniera fu una delle prime abitanti  e fondatrici della nuova colonia Ville Marie, futura città di Monréal.

Qui nel 1642 dedica il suo operato alla cura delle bisognose e dei poveri, fondando l’Ospedale Dieu di Monréal, il primo ospedale dell’America del Nord, di cui seguirà i lavori di realizzazione e ne diventerà direttrice dal 1659 al 1673 accettando la presenza di religiose a servizio. 

FOTO 1. Rue de Mère Marie Pagé e rue Jeanne Mance

Mère Marie Pagé, invece, diventa direttrice dell’Ospedale Saint Dieu di Monréal di cui è responsabile del trasferimento sull’Avenue des Pins nel 1858, dove ancora si trova.
Esperienza e capacità le portano grande riconoscenza non solo da parte dei malati che soccorre e aiuta ma da tutta la popolazione locale, soprattutto quando, nel 1884, a settantatré anni, viene eletta, direttrice-fondatrice dell’Ospedale Saint Dieu di Arthabaska, un piccolo sobborgo di Victoriaville.
Nonostante la sua avanza età sarà in grado di gestire le scarse finanze dell’istituto ospedaliero e mirando alla tutela della popolazione più povera. Anche a lei, nel 1996 è stata dedicata una via, in un’area ricca di intitolazioni femminili

FOTO 2. Ospedale Arthabaska 

Nel 1890 le succede alla guida del nosocomio Mère Montbleau, che fin dagli inizi aveva affiancato la superiora negli affari interni dell’ospedale e si era fatta promotrice di una sorta di tassa parrocchiale per il sostentamento della struttura e del suo soccorso medico in favore delle classi meno abbienti.
Anche madre Montbleau si fa apprezzare per la sua risolutezza gestionale e nonostante le enormi difficoltà economiche riesce a mantenere in vita la struttura sanitaria. Dopo una momentanea chiusura, infatti, viene riaperta nel 1884 e otto anni dopo la suora riesce a far stipulare il passaggio di proprietà dell’immobile e del terreno dalla ricca vedova che ne era proprietaria, alla comunità di Arthabaska.

FOTO 3. Una concentrazione di strade femminili

Merita un ricordo anche la laica Marguerite Beauchesne, soprannominata Mère  Simon. Con suo marito, il futuro fondatore dell’ospedale San Cristoforo, è considerata tra le prime pioniere di questa zona che prenderà il nome di Pointes Bulstrode, l’attuale Santa Vittoria. 
Il suo ricordo è ancora vivo e ci parla di una donna risoluta che nonostante le impervie vie di comunicazione ottocentesche di una zona da poco colonizzata, i rigidi inverni e le scarse risorse non esita a salire a cavallo, anche durante la notte, o ad attraversare a piedi strade innevate o foreste rigogliose per andare a soccorrere soprattutto donne partorienti, malate o in difficoltà.
Alla sua morte, nel 1880, Victoriaville ne conserva le spoglie e nel 1996, il quartiere numero sette, le intitola una strada (1996).

In copertina

Jeanne Mance in un francobollo commemorativo del 1973




Una sintesi, per cominciare

 

Buongiorno a tutti, buongiorno a tutte.

Inauguriamo oggi una rubrica che si vuole occupare della vita quotidiana e in particolare della persistenza in essa della discriminazione di genere: la prima e la più importante delle polarità che contrappongono gli esseri umani collocandoli in gerarchie costruite perché ogni differenza si trasformi in disvalore.

Questo problema – molti e molte dicono – in Italia non si pone più; la parità di genere è raggiunta, il rispetto tra i generi è assicurato. Davvero?

C’è qualcosa che non va nel sistema educativo, se i pregiudizi sessisti sono ancora così radicati nel linguaggio comune e nelle relazioni quotidiane tra donne e uomini. C’è qualcosa che non va nelle famiglie, se continuano a riprodurre un’asimmmetrica divisione dei ruoli e dei destini.  C’è qualcosa che non va nel mondo istituzionale, se consideriamo la scarsa presenza di donne nei luoghi della rappresentanza e della decisione e nei ruoli di leadership. C’è qualcosa che non va nel mercato del lavoro, se permangono le disparità nelle retribuzioni, nelle carriere e nelle pensioni, se le donne sono più frequentemente disoccupate. C’è infine qualcosa di profondamente irrisolto nel rapporto del genere maschile con se stesso e con le donne, se le reazioni alla libertà femminile sono talmente cruente da arrivare addirittura all’assassinio.

Tutto questo non dipende più tanto dalle norme, dal diritto o dalla politica, quanto dalla cultura comune, dalla mentalità diffusa, dal nostro agire nella vita di tutti i giorni.

Il genere è costruito da millenni come un sistema di valori binario, per cui sono concepibili solo due tipologie umane, solo due modalità di comportamento sono accettabili, solo due destini sono possibili, e sono determinati dagli organi riproduttivi con cui si nasce.

Più delle declamazioni pubbliche, è l’analisi degli stereotipi correnti a fornire elementi per comprendere ciò che ancora la nostra società si aspetta dalle “vere” donne e dai “veri” uomini, e cosa si intende per “corretto” comportamento maschile e “corretto” comportamento femminile.

Se è vero che le dinamiche sessiste pesano su tutti, è anche vero che storicamente il sessismo è servito a giustificare la disuguaglianza fra uomini e donne, ponendo queste ultime in una posizione di inferiorità. Il mondo in cui viviamo è stato plasmato e organizzato da maschi in modo così pervasivo e da tanto tempo, che diventa difficile rendersi conto di quanto forte sia stata questa influenza.

Quando gli stereotipi diventano uno dei principali filtri con cui si guarda la realtà imbrigliano le persone in etichette e consuetudini da cui è difficile svincolarsi. Esse condizionano il modo di atteggiarsi e di vedersi, il ruolo che si assume nelle relazioni e in famiglia, la strada formativa e professionale che si decide di intraprendere, la scelta del/della partner, l’educazione di figli e figlie e molti altri aspetti dell’esistenza.

Gli stereotipi si trasmettono attraverso diversi canali. Attraverso l’incessante susseguirsi di interazioni quotidiane gli adulti e le adulte trasmettono a bambini e bambine, spesso tacitamente, il sistema di ruoli, valori e regole che è necessario rispettare, pena la non accettazione sociale: tale atteggiamento è conseguente ai precisi modelli che hanno in mente, cui i nuovi arrivati devono adeguarsi pena la disapprovazione.

Nelle prossime puntate ne identificheremo i caratteri.

 




Dottor Jekyll o mister Hyde? Ecco chi ha vinto le primarie

L’analisi dell’Istituto Cattaneo sulle primarie del Partito Democratico di domenica 30 aprile che hanno assegnato la schiacciante vittoria al segretario uscente Matteo Renzi (a fronte di un calo di partecipazione di un terzo rispetto alla consultazione precedente)  conferma quanto già sottolineato da diverse analisi dei flussi: l’invecchiamento del popolo democratico.

Dal 70% l’ex premier passa al 69,2% (1.257.091 i voti ottenuti). Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che aveva contestato i conteggi, recupera uno 0,5% e sale al 20% (con 362.691 voti). Mentre il governatore della Puglia Michele Emiliano conferma un pieno 10,9% (con 197.630 voti).

In totale gli elettori sono stati 1.839.000, circa un milione in meno rispetto alla precedente tornata del 2013. I voti validi sono stati 1.817.000. In tutta Italia, ad eccezione di Puglia, Basilicata e Abruzzo, si è registrato un forte calo di votanti, specialmente nelle regioni rosse. Ai gazebo del Pd quattro votanti su dieci erano over 65. La base del partito invecchia.

Quanto all’Assemblea nazionale del Pd, che domenica 7 maggio dovrà ratificare il voto delle primarie e proclamare formalmente Renzi segretario, l’attribuzione su base regionale dei 1.000 componenti eletti al supremo organo rappresentativo del partito  è la seguente: Renzi 700 delegati, Orlando 212, Emiliano 88.

Tra gli ulteriori 100 delegati di diritto scelti fra i parlamentari, il gruppo dem al Senato ha eletto 24 senatori: Ignazio Angioni, Teresa Bertuzzi, Daniele Borioli , Massimo Caleo, Laura Cantini, Rosaria Capacchione, Valeria Cardinali, Roberto Cociancich, Emilia De Biasi, Camilla Fabbri, Emma Fattorini, Elena Fissore, Nicola Latorre, Sergio Lo Giudice, Andrea Marcucci, Pina Maturani, Venerina Padua, Giorgio Pagliari, Annamaria Parente, Raffaele Ranucci, Francesco Russo, Roberto Ruta, Maria Spilabotte e Stefano Vaccari.




EUROPA – Agenzia Ue Ambiente: “467.000 morti l’anno per inquinamento”

Votata a Strasburgo la direttiva che introduce nuovi limiti alle emissioni inquinanti per il periodo 2020-2030. Lo studio presenta una panoramica aggiornata e l’analisi della qualità dell’aria in Europa per il periodo 2000-2014 sulla base di dati provenienti da stazioni di monitoraggio ufficiali, tra cui più di 400 città in tutta Europa. Risulta che nel 2014 circa l’85% della popolazione urbana nell’UE è stata esposta a particolato fine (PM2.5) a livelli ritenuti dannosi per la salute dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Nonostante la qualità dell’aria in Europa stia migliorando, l’inquinamento atmosferico resta il principale fattore ambientale di rischio per la salute umana, abbassa la qualità della vita ed è la causa stimata di 467mila morti premature l’anno in tutto il continente. Sono i dati del Rapporto “Qualità dell’aria in Europa 2016” pubblicato stamattina dall’Agenzia europea per l’ambiente (Eea).

“E’ chiaro che i governi locali e regionali svolgono un ruolo centrale nella ricerca di soluzioni” al problema, ha commentato il commissario europeo all’ambiente Karmenu Vella, auspicando per oggi un voto positivo del Parlamento europeo sui nuovi tetti alle emissioni inquinanti (Nec). Il commissario ha accennato alla necessità di “aiutare i diversi livelli di governo a lavorare meglio insieme” alludendo al fatto che a volte le istituzioni locali hanno strategie più ambiziose dei governi in tema di riduzione delle emissioni.

Imporre limiti più bassi ai principali inquinanti per abbassarne entro il 2030 la quantità nell’atmosfera sotto i livelli del 2005 è l’obiettivo di una direttiva approvata dal Parlamento europeo in seduta plenaria per ridurre l’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute di circa il 50%. Le particelle incriminate vanno dal biossido di zolfo, causa delle piogge acide, al particolato che può causare malattie respiratorie e cardiovascolari. Nella normativa, approvata con 499 voti a favore, 177 contrari e 28 astensioni, si stabiliscono i nuovi limiti nazionali per ridurre le emissioni di biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (COVNM), ammoniaca (NH3) e particolato fine (inferiore a un diametro di 2,5 micrometri). I tetti erano gia’ stati concordati informalmente con la Presidenza del Consiglio dei Ministri Ue.