Sulle tracce della Resistenza in Valdinievole

La Valdinievole – in provincia di Pistoia, in Toscana – dopo l’8 settembre 1943 si trovò attraversata dalla Linea Gotica che dalla costa adriatica arrivava fino al confine con la Liguria, direttamente sul mare Tirreno. Vari nuclei partigiani si organizzarono, anche con il contributo di militari sbandati e della popolazione; in questo quadro la situazione, come in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale, divenne sempre più difficile a causa della presenza delle truppe tedesche occupanti, aiutate dai fascisti locali. Sequestri di beni, vere e proprie ruberie di animali e provviste, lavoro coatto per gli uomini ritenuti abili, rastrella-menti, violenze di ogni genere divennero elementi della quotidianità, a cui si accompagna-vano i raid aerei degli Alleati che – quando colpivano – non distinguevano certo fra amici e nemici.

Molto si è detto, rievocato, narrato su questo periodo e soprattutto sul secondo terribile inverno, fra il 1944 e il 45, quando le forze erano ridotte al minimo e la fiducia vacillava, come magistralmente ha raccontato Beppe Fenoglio parlando della sua esperienza nelle Langhe. Il fatto di sangue più grave avvenuto in queste terre fu l’eccidio del Padule di Fucecchio – compreso fra le province di Pistoia e Firenze – nel territorio pianeggiante ai margini dell’area palustre, fra campi coltivati, canneti e boschi. Iniziamo da qui il nostro percorso per ricordare vicende e luoghi che ancora ci parlano dell’accaduto.

Non lontano da Montecatini Terme, a Ponte Buggianese, in cerca di tracce e personaggi, si può partire dalla piazza centrale dove sorge il santuario e percorrere la “ruga”; si arriva a un ampio spazio alberato dedicato agli eroici fratelli Banditori: Lenin Giulio (detto Leo), ferito nel ’44 in un bombardamento, morì presso Volterra, e Nicola (soprannominato Tarzan per la forza e la resistenza al freddo e alle fatiche) fu ucciso “in seguito a ferita prodotta da mitraglia” a Porretta Terme, a pochi giorni di distanza, mentre voleva arrivare fino a Berlino, nel cuore del Reich. 

Foto 1. Intitolazione ai fratelli Banditore

Anche il campo sportivo, situato accanto al fiume Pescia, è dedicato a loro fino dal 16 settembre 1945. Della loro vicenda si occupa un volume collettivo, edito nel 2005 dall’amministrazione comunale, e intitolato in modo significativo Non fermarsi al Ponte che ricostruisce la vita della famiglia da sempre antifascista, la passione politica, l’entusiasmo giovanile dei due fratelli. Nella piazza, su un piano rialzato, si ammira dal 1993 la monumentale opera in bronzo dell’artista pistoiese Jorio Vivarelli dal forte significato simbolico: “Parabola storica- via della Resistenza- l’ultima sfida”.     

Nei pressi del centro del paese si trova un’area verde con la piazza inaugurata nel 1990 e dedicata a Giovanni Magrini. Era un giovanissimo carabiniere di Ponte Buggianese – in servizio a Praticello, presso Gattatico, sull’Appennino Tosco-Emiliano – e fu protagonista il 9 settembre 1943 di uno dei primi atti della Resistenza. Senza direttive e ignorando l’armistizio e quanto stava accadendo nel resto d’Italia, si trovò a difendere con i commilitoni la caserma assaltata da soldati della Wehrmacht, che volevano prendere le armi e le munizioni; dopo aver respinto due bombe a mano e ferito i nemici, fu colpito in pieno al braccio sinistro da una raffica di mitra per cui rimase mutilato; nel 1952 gli fu conferita la medaglia d’argento al valore militare. Gli è stata dedicata anche la caserma dei Carabinieri di Montecatini.

Foto 2. Area verde dedicata a Giovanni Magrini

Da Ponte Buggianese, in circa due chilometri si raggiunge la frazione Anchione dove sorge un monumento in ricordo dell’eccidio, proprio davanti alla chiesa; poco dopo appare la Dogana del Capannone, importante edificio mediceo recentemente restaurato e aperto (saltuariamente) al pubblico. Ospita un piccolo Centro di documentazione sulla strage che si svolse nelle campagne intorno. Oggi in questa vasta area è bello passeggiare (o andare in bicicletta) lungo gli argini e i canali, osservando i tabacchifici abbandonati e le case ormai in disuso. Incontrando cippi, piccole edicole e la grande lapide sul tabacchificio del Pratogrande è impossibile non soffermarsi sulla strage nazifascista avvenuta il 23 agosto 1944, di cui pure tanti hanno scritto e su cui si continua a indagare.

Foto 3. Tabacchificio di Pratogrande

Le vittime – scelte casualmente in un territorio molto ampio – furono 176 (altre fonti parlano di 174 o di 175): fra di loro non c’erano partigiani/e, nessun militare, ma tante famiglie locali e altre sfollate fuggite dalle città bombardate, come Pisa, Livorno, Pontedera; 31 avevano oltre 55 anni, 22 ragazzi erano sotto i 15 anni, 3 sotto l’anno di età (fra cui le piccolissime Maria Malucchi di 4 mesi, Silvana Tognozzi e Rosa Maria Silvestri), 3 bambini di due anni e una donna invalida di 93: Maria Faustina Arinci, detta Carmela, a cui fu gettata una bomba nella tasca del grembiule. Questi sarebbero stati i pericolosi cospiratori!  Nessuna regione come la Toscana – è bene ricordarlo – ha dato un tale tributo di vittime civili: 4.461, sul totale di 9.980; e la provincia di Pistoia – in soli quattro mesi – ne ebbe 680.

Foto 4. Lapide di Pratogrande

Dalla parte opposta dell’area palustre, dopo Monsummano Terme, lungo la via Francesca, in direzione Fucecchio, si nota sulla destra il piccolo nucleo abitato di Castelmartini (Larciano); nella breve via di accesso spicca il candido monumento eretto alle vittime dell’eccidio dallo scultore Gino Terreni. All’interno del Centro Visite del Padule, poco distante, si possono osservare da vicino alcuni bozzetti preparatori realizzati in creta o gesso.

Foto 5. Bozzetto di Gino Terreni

Anche altrove in Valdinievole si trovano ricordi dell’eccidio sotto forma di lapidi, monumenti e intitolazioni stradali (vedi: Luoghi della memoria- Istituto Storico della Resistenza- Pistoia) riferite inoltre a partigiani locali e a personaggi storici: dai fratelli Cervi a Bruno Buozzi, da Giacomo Matteotti a Giovanni Amendola, che proprio in questa zona fu picchiato a morte, sulla via verso Pistoia, in località Colonna. Fra le tante merita di essere segnalata una intitolazione, avvenuta il 25 aprile 2016 a Pieve a Nievole, grazie ai contatti presi con l’Amministrazione  locale dalla associazione Toponomastica femminile; si tratta di: largo delle Partigiane, unica del genere nell’intera provincia. 

Foto 6. Largo delle Partigiane

Proseguendo la strada verso Fucecchio, andando nell’interno, ci si inoltra sulle belle colline ricoperte di ulivi e di vegetazione; se da Lamporecchio si procede verso Pistoia, si attraversa la località San Baronto; qui, lungo la via Montalbano, un breve tratto – iI 20 febbraio 2016 – è stato intitolato dal comune a Maria Assunta Pierattoni, vittima del nazifascismo e protagonista di una drammatica vicenda. Nata a Lamporecchio nel 1895, rimase vedova con tre figli; il grave disagio economico la portò a cercare ogni genere di lavoro, finché fu avvolta in una spirale di sospetti e di fraintendimenti che la condusse in carcere. Dopo la fuga, nuovi errori ed equivoci la riportarono in carcere fiduciosa che venisse dimostrata la sua estraneità ai fatti imputati. In seguito fu catturata dagli Alleati e accusata di essere una spia perché aveva con sé un salvacondotto firmato dal coman-dante repubblichino del carcere di Parma. Le sue tracce diventano sempre più labili e la sua fine non è chiara; si sa solo che morì in un giorno imprecisato del novembre 1944 in località Arni di Stazzema, proprio là dove il 12 agosto le SS avevano ucciso 560 persone.

Foto 7. Intitolazione a Maria Assunta Pierattoni

A proposito di vittime innocenti, ricordiamo fra le tante i tre giovani che trovarono la morte su una mulattiera a San Gennaro (presso Collodi) il 26 luglio 1944; una croce di ferro con una lapide alla base, situata nell’oliveto di Aldo Michelotti, ne tiene viva la memoria. Si tratta di due ragazzi di 19 anni (Aldo Giannoni e Livio Frateschi) e di una donna: Germana Giorgini. Era nata a Pescia il 19 settembre 1918, faceva la cartaia ed era diventata staffetta partigiana; fu fucilata lì vicino, in località “La Rovaggine”. Un masso, posto sulla via per San Gennaro nel 1997 a cura dell’Anpi di Pescia e del comune di Capannori, reca incisi i nomi dei caduti.  

Foto 8. Centro Polivalente dedicato ad Amina Nuget

Dopo tanto dolore e tanta violenza, concludiamo l’itinerario ideale con un messaggio di fiducia e di speranza. Venendo da Collodi, superata Pescia in direzione Montecatini, si entra nel comune di Uzzano; qui, in località S. Lucia, sulla sinistra una brevissima deviazione porta al Centro Polivalente dedicato ad Amina Nuget, uno dei tanti nomi di persone sconosciute ai più che però hanno contribuito con la loro oscura opera al bene dell’umanità. Amina e il marito Umberto Natali, infatti, durante la Seconda guerra mondiale nascosero e protessero tre sorelle ebree, salvandole dalla deportazione. Per questo sono stati nominati “Giusti fra le Nazioni” nel 2003.




Brescia – Memorie divise, memorie non dette (parte seconda)

A Brescia negli anni Venti del secolo scorso vengono messe in cantiere numerose opere pubbliche per modernizzare la città e si decide di redigere un nuovo piano regolatore, in sostituzione del precedente, risalente al 1897 e scaduto nel 1922. Nel 1927 è indetto un concorso nazionale per un piano di ampliamento del nucleo urbano, che disegni “ un centro degno delle tradizioni artistiche della città, adeguato al suo sviluppo economico e demografico”, secondo le parole del podestà Ugo Calzoni. Le ambizioni dei tredici progetti presentati vengono decisamente ridimensionate dall’amministrazione comunale, che decide di rinunciare al previsto sviluppo di zone periferiche e di concentrarsi esclusivamente sul centro storico, e affida l’incarico a Marcello Piacentini, “architetto del regime” e autore del riassetto del centro di Bergamo. La sua idea di fondo è aprire la città storica per farla attraversare dai nuovi flussi veicolari che ruotano attorno al suo cuore vivo e pulsante, la nuova piazza, in diretto contatto con Piazza della Loggia, Piazza Duomo e Piazza del Mercato, e lambita dai nuovi flussi, ma mai attraversata dal traffico veicolare. L’area prescelta per l’apertura è quella dell’antico quartiere delle Pescherie, che sorge nel luogo in cui i Longobardi, dopo aver messo la città a ferro e fuoco, insediano nel VII secolo il loro primo accampamento, a ovest delle antiche mura romane e sulle rive del torrente Melo, rinominato Garza in età medievale, per svilupparsi poi nei secoli a ridosso delle principali piazze cittadine (Piazza della Loggia, Piazza Duomo e Piazza del Mercato) e diventare uno dei principali luoghi del commercio di pesce, formaggio, carne e granaglie in città. Popolarmente noto anche come “serraglio” e ricco di osterie e bordelli, è popolato da oltre seicento famiglie, più di tremila persone, che vivono in case strette e alte fino a 25 metri, affacciate su vicoli oscuri e tortuosi, in condizioni igienico-sanitarie che sono considerate le peggiori della città, tanto che la cultura fascista paragona il quartiere a un tumore da estirpare.

FOTO 1. Cartolina d’epoca. Piazzetta delle Pescherie, 1929

Con i fondi stanziati dal Regio Decreto n. 787, del 25 aprile 1929, si espropriano oltre duecento fabbricati, sistemando gli oltre tremila abitanti in precari alloggi di periferia, in alcuni casi semplici baracche, in aree che diverranno nei decenni successivi simbolo del degrado urbano, e i cui abitanti, ancora alla fine degli anni Sessanta, sono indicati come “gli sfrattati”, o sbandinell’icastica definizione dialettale, che sintetizza la loro condizione di marginalità e la memoria dell’espulsione coatta. In meno di due anni si completa lo sventramento, che rade al suolo, oltre a laboratori artigianali, botteghe e facciate affrescate, una delle quali, particolare per i notevoli affreschi del ‘500 con scene di storia romana di Lattanzio Gambara, è stata inglobata nell’edificio delle poste; edifici di importante valore storico quali le antiche pescherie, il macello risalente al Quattrocento, la chiesa romanica di Sant’Ambrogio, i resti della curia ducis romana, le fondamenta della cinta urbana tardo-antica, di una torre, di un palazzo ducale di età longobarda, tre resti di ponti sul torrente Garza. Nel 1970, durante gli scavi per la costruzione del parcheggio sotterraneo terminato nel 1974, vengono ritrovati altri  importanti resti risalenti alle età imperiale e longobarda e, nel 2008, durante gli scavi per la realizzazione della metropolitana di Brescia, vengono alla luce le fondamenta di una torre di epoca medievale.

FOTO 2. Particolare dell’affresco di Lattanzio Gambara in via XXIV Maggio lungo una parete dell’edificio delle poste

 

Il progetto di Piacentini è classicheggiante, ricco di volumi squadrati e ricoperti di lucente marmo bianco. La piazza ha una forma a L, cioè quella di un rettangolo con il lato lungo parallelo all’asse nord-sud e, nell’angolo nord-ovest, la rimanente porzione d’area che costituisce la L, richiamando la forma di un’altra piazza cittadina, Piazza del Foro, di età romana, sulla quale si affaccia il Tempio Capitolino o Capitolium (79 d.C.).

Piazza della Vittoria è progettata come spazio solenne per le celebrazioni e, allo stesso tempo, spazio di vita quotidiana.

FOTO 3a. Cartolina d’epoca. Piazza Vittoria

FOTO 3b. Cartolina d’epoca. Piazza della Vittoria dall’aereo

Secondo alcuni studi l’impianto si ispirerebbe, sia pure con alcune differenze, alla disposizione della piazza minore di San Marco a Venezia, quella che, oltre il Canal Grande, guarda alla chiesa di S. Giorgio.Come nella chiesa palladiana infatti il lato meridionale della piazza, su cui si affaccia l’edificio della Banca Commerciale, è l’unico ad avere un prospetto scolpito dalla presenza dell’ordine gigante; l’unico lambito dal “fiume veicolare” che ricorda il canale, mentre la piazza resta chiusa ai mezzi da due pennoni, ora vicini al palazzo delle poste, allineati agli spigoli dei palazzi laterali, anche se poi, già dal 1935, è utilizzata come area di sosta per automobili private, parcheggiate anche in doppia fila.

Come a Venezia il lato sinistroè il più classicoe si chiude sull’angolo retto interno alla piazza con il Torrione; unico edificio in mattoni come il celebre campanile di S. Marco, ovvero il grattacielo di proprietà dell’INA, il primo in Italia e uno dei primi in Europa, una struttura di cemento armato alta 57 metri, che ricalca il gusto eclettico dei primi grattacieli statunitensi, nonostante il regime imponga di definirlo “edificio multipiano” o “torrione”.

FOTO 4. Grattacielo INA

Marcello Piacentini, in effetti, ricicla per Brescia il progetto di grattacielo con cui nel ’22 aveva partecipato, con esito negativo, al concorso americano per la Chicago Tribune Tower. L’intero edificio si discosta dal candore della bicromia marmorea degli altri edifici della piazza e, ad eccezione del porticato e della parte inferiore del fabbricato, è interamente rivestito con mattoni a vista, a richiamare cromaticamente i tetti in tegola delle costruzioni circostanti e inserirsi armonicamente tra le cupole e le torri medievali.  La facciata principale, rivolta verso la piazza, presenta dodici grandi archi, racchiudenti ognuno le finestre di due piani, e una decorazione di dodici bassorilievi in terracotta, realizzati dal ceramista Vittorio Saltelli, che raffigurano le attività produttive tipiche di Brescia. Sul basamento porticato campeggiava un bassorilievo di Arturo Martini, l’Annunciazione, forse distrutto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, forse trafugato, oggi non più visibile. All’ultimo piano, raggiungibile per mezzo di un modernissimo ascensore elettrico, si trovava un ristorante panoramico, poi divenuto lo studio dell’architetto Fedrigolli. Secondo le retoriche cronache dell’inaugurazione, Mussolini avrebbe disdegnato l’ascensore per salire a piedi, “con passo giovanile e rapido”, i tredici piani del grattacielo, raggiungendo per primo la terrazza panoramica, dopo aver seminato chi aveva seguito il suo esempio. L’edificio, archetipo del grattacielo italiano, suscita una vasta eco nella stampa italiana dell’epoca e viene preso a modello per la costruzione di altri simili, in una sorta di “corsa al grattacielo”, bruscamente interrotta allo scoppio della seconda guerra mondiale. Durante il conflitto i suoi sotterranei sono utilizzati come rifugio antiaereo. Affiancato al torrione, sempre sul lato ovest della piazza, si trova il palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia, sulla cui facciata classico-déco spicca un leone alato in bronzo, modellato da Alfredo Biagini, fronteggiato, sul lato opposto della piazza, da un altro simile scolpito sull’edificio della Riunione Adriatica di Sicurtà.

FOTO 5. Il leone alato in bronzo sulla facciata dell’edificio delle Assicurazioni Generali

Sul lato settentrionale della piazza si affaccia la sobria facciata del palazzo delle Poste, con il suo rivestimento in bicromia bianco-ocra; un simbolo civico, in quanto l’edificio sarebbe dovuto diventare il nuovo palazzo comunale, in sostituzione della storica sede di Palazzo Loggia, di cui riprende la triplice apertura, abbandonando però gli archi a favore di tre alti fornici sormontati da architravi. La fitta cortina muraria del lato settentrionale è attraversata da vie pedonali, il quadriportico e una galleria, volutamente allineate alle strade provenienti dalla piazza delle cattedrali per creare un legame con la maglia viaria scomparsa,e a  nord-est della piazza una grande scalinata, che  contorna il Palazzo delle Poste, colma il dislivello creatosi tra Piazza Vittoria e il piano costituito da Piazza della Loggia e via X Giornate.

Unico elemento anomalo nel richiamo ai riferimenti veneziani resta la Torre della Rivoluzione dedicata alla vittoria nella Grande Guerra, una torretta celebrativa piuttosto semplice, con un orologio alla sommità, dalla superficie volutamente liscia, che ospitava le scomparse scritte celebrative del regime e un altorilievo monumentale in bronzo raffigurante il Duce a cavallo, dello scultore Romano Romanelli. L’opera suscita vivaci polemiche già al suo apparire e la critica del tempo “ne disconosce il significato di rimando simbolico fascista e ne sottolinea piuttosto il richiamo a un faro portuale o a una torre comunale, nonché altri edifici palesemente ispirati all’architettura classica”[1]

FOTO 6. La Torre della Rivoluzione

Nel 2014 lo scomparso duce trionfale a cavallo è sostituito dall’istallazione temporanea, realizzata per celebrare il centenario della nascita dell’artista e collezionista d’arte Guglielmo Achille Cavellini, noto anche come GAC.  Sotto la Torre della Rivoluzione resta invece l’arengarioin pietra rossa di Tolmezzo, che fungeva da palco per gli oratori durante le adunanze cittadine,  utilizzato anche da Benito Mussolinidurante la cerimonia di inaugurazione della piazza. È decorato con lastre di marmo lavorate a bassorilievoda Antonio Maraini che raffigurano allegorie della storia di Brescia: dalla Vittoria alata, a ricordo della dominazione romana, al longobardo Re Desiderio, dall’eretico Arnaldo da Bresciaal vescovo Berardo Maggi,dai santi patroni Faustino e Giovitaalle glorie della pittura locale del Cinquecento Romaninoe Moretto, dalle Dieci giornate di Bresciaalla Prima guerra mondialefino all’Era Fascista, recante la scritta, scalpellata via nel dopoguerra ma ancora leggibile, “FASCISMO ANNO X” in riferimento al decimo anniversario dalla nascita del fascismo.

FOTO 7. L’arengario in pietra rossa

Come nella città lagunare, il lato destro della piazza, su cui prospettano palazzo Peregallo, l’edificio della Riunione Adriatica di Sicurtà, il nuovo albergo Vittoria e le sale per le contrattazioni commerciali volute dal Consiglio provinciale dell’economia, contrappone alla monocromia del sinistro il colore, ma del bianco e del verde della scacchiera che impreziosivano le facciate ora resta solamente un labile alone.

Servizio fotografico di Maria Paderno

Cartoline d’epoca dal sito www.bresciavintage.it

 

[1]Paolo Corsini e Marcello Zane, Storia di Brescia. Politica, economia, società 1861-1992,Bari, Laterza, 2014, p. 257

 




Brescia – Memorie divise, memorie non dette (parte prima)

La memoria della Grande Guerra è ampiamente e variamente rappresentata nel reticolo urbano di Brescia attraverso le date di inizio e fine del conflitto per l’Italia, Ventiquattro Maggio e Quattro Novembre; luoghi fortemente evocativi del fronte – dal Monte Grappa all’Isonzo, dal Piave a Vittorio Veneto – e di coloro che vi hanno combattuto, dagli alpini ai “ragazzi del ’99”, dagli “eroi” come Enrico Toti e Francesco Baracca, passando per gli irredentisti come Cesare Battisti e Damiano Chiesa, fino ai maggiori esponenti degli alti comandi militari come Armando Diaz e Luigi Cadorna, per non citare che qualche esempio.

Foto 1-2-3-4.

 

 

 

Luoghi e nomi della Grande Guerra nell’odonomastica cittadina.

Il giudizio storico sulla conduzione della guerrada parte di quest’ultimo è quasi unanimemente negativo, non soltanto per le centinaia di migliaia di caduti al fronte (circa 650.000 su un esercito di un milione e mezzo), ma soprattutto per la sua assoluta mancanza di rispetto per le sofferenze atroci dei soldati nell’inferno delle trincee e per il trattamento disumano riservato ai prigionieri italiani in mani austriache. Oltre centomila sarebbero morti  letteralmente di fame nei campi di prigionia perché Cadorna non agevolò mai l’afflusso di pacchi viveri da casa e attraverso la Croce Rossa. Udine, sede del comando operativo del generale piemontese, modifica l’intitolazione, da Piazzale Cadorna a Piazza Unità d’Italia, nel 2011. Nel 2015 anche a Brescia, come in altre città italiane, tra cui Genova, Lecco, Bassano, Verona e Milano, viene avanzata la proposta, peraltro rimasta inattuata, di togliere Luigi Cadorna dall’odonomastica, poiché, come aveva affermato qualche tempo prima Ferdinando Camon, sostenendo un’analoga proposta a Padova, «aver dato il nome di Cadorna è stato, ieri, un errore. Mantenerlo ancora diventa, ormai, una colpa”.

Foto 5. Intitolazione a Cadorna

Alla memoria della Grande Guerra a Brescia è dedicata anche una piazza, Piazza della Vittoria (in copertina), inaugurata personalmente da Benito Mussolini, nel decennale della marcia su Roma, il 1° novembre 1932, con una cerimonia molto seguita dalla stampa e immortalata anche da un cinegiornale dell’Istituto Luce. In fondo alla piazza, all’esterno dell’abside della chiesa di Sant’Agata, di origine longobarda, è addirittura collocato, come parte dell’arredo urbano, un masso granitico dell’Adamello, a ricordo dei mutilati della prima guerra mondiale.

Foto 6. Il monumento all’Adamello

 

Servizio fotografico di Maria Paderno

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Brescia. Memorie e memoria dal basso (parte terza)

In copertina. Brescia. Pietre d’inciampo

In ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico, dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti e di coloro che si sono opposti al progetto di sterminio, salvando, a rischio della propria vita, altre vite e proteggendo i perseguitati, la legge n. 211 del 20 luglio 2000 istituisce come “Giorno della Memoria” il 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz. L’approvazione della legge è stata preceduta da una lunga discussione sulla data simbolica di riferimento, che ha visto emergere come principali opzioni il 16 ottobre, anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, con maggiore enfasi sulla Shoah, e il 5 maggio, anniversario della liberazione di Mauthausen, a sottolineare la centralità dell’antifascismo e delle deportazioni politiche. Con la risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale dell’ONU del 1° novembre 2005, il Giorno della Memoria (27 gennaio) diviene una ricorrenza internazionale per commemorare le vittime della Shoah.

Nel 2012, su iniziativa della Cooperativa Cattolico Democratica di Cultura, vengono posate a Brescia le prime “pietre d’inciampo” (Stolpersteine), un monumento diffuso e partecipato ideato e realizzato dall’artista tedesco Gunter Demnig, a partire dal 1997, per ricordare le singole vittime della deportazione nazista e fascista. L’artista produce piccole targhe di ottone poste su cubetti della dimensione dei porfidi delle pavimentazioni stradali, che sono poi incastonati nel selciato davanti all’ultima abitazione scelta liberamente dalla vittima. Stolpersteineè il monumento dal basso più diffuso a livello europeo: sono state posate fino ad ora oltre 55.000 pietre in tutta Europa; in Italia sono presenti oltre che a Brescia, in diverse città fra cui Roma, Viterbo, Siena, Reggio Emilia, Meina, Padova, Venezia, Livorno, Prato, Ravenna, Torino, Genova, L’Aquila, Bolzano, Ostuni, Chieti, Casale Monferrato, Teramo. Le loro dimensioni, i materiali di cui sono fatte e la loro stessa collocazione rimandano alle storie della “piccola gente”, spesso calpestata, umiliata e dimenticata dalla grande Storia; quelle “piccole persone ” come le definisce Svetlana Aleksievic nel suo discorso pronunciato al conferimento del Nobel, nel 2015; anzi “Le piccole grandi persone […] perché la sofferenza le ingrandisce. Nei miei libri le persone raccontano le loro piccole storie, e allo stesso tempo raccontano la grande storia”. I nazisti hanno ucciso attraverso uno sterminio di massa, mentre le Stolpersteinevogliono ridare a ogni vittima il suo nome e farci ricordare ogni singolo destino, analogamente al Libro della memoria di Liliana Picciotto, e perciò ogni pietra è realizzata manualmente, come pure manualmente è collocata là dove viveva la persona ricordata. “Volutamente ci rifiutiamo di realizzare la posa come azione di massa, perché così vogliamo contrapporre la nostra opera allo sterminio di massa” dichiara l’artista. Secondo Gunter Demnig “Le Pietre d’inciampo devono far inciampare la testa e il cuore delle persone”e l’artista sceglie di riportare sulle incisioni il termine “assassinato” anziché “morto” a sottolineare che tutte le morti neiLager sono la conseguenza delle vessazioni inflitte ai prigionieri, frutto di una precisa e deliberata volontà assassina. A Brescia leStolpersteineportano a un appuntamento con un passato scomodo e ingombrante, quello della “guerra civile” del 1943-1945 e della Repubblica Sociale Italiana, uno stato che sancisce l’antisemitismo come una delle proprie basi ideologiche nel proprio atto fondante, il Manifesto di Verona, dichiarando all’articolo 7: «Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica». La persecuzione antiebraica, iniziata con le leggi razziste del 1938, prosegue nello stato fantoccio di Salò con rinnovato vigore; secondo i dati di Liliana Picciotto più di un terzo degli ebrei italiani deportati sarebbe stato catturato da funzionari o militari italiani della RSI. Il 3 novembre 1943 la Prefettura di Brescia della RSI trasmette ai tedeschi un elenco di novanta persone: sono gli ebrei residenti nella provincia. Benché la presenza ebraica a Brescia risalga all’epoca romana, vi si consolida solo a partire dal XV secolo grazie all’apporto degli askenaziti, e riveste durante il periodo rinascimentale un ruolo culturale di primo piano, in particolare nell’editoria, fino all’espulsione definitiva dalla città, nel 1572. A partire da quella data la comunità ebraica locale si dissolve e negli anni Trenta del secolo scorso gli ebrei residenti nell’intera provincia sono 118, perfettamente integrati, alcuni anche nel regime fascista; molti appartengono a famiglie “miste” e diversi sono convertiti e battezzati. Esemplare il caso della famiglia Orefici, di cui fa parte Gerolamo, sindaco di Brescia dal 1906 al 1912, che aderisce poi nel 1924 al “listone” del Blocco nazionale, e viene eletto deputato nello stesso anno. Secondo i dati di Marino Ruzzenenti (La capitale della RSI e la Shoah. La persecuzione degli ebrei nel bresciano 1938-1945, Rudiano, BS, GAM Editrice, 2006), integrati con quelli di Liliana Picciotto, fra gli ebrei residenti nella provincia di Brescia ne sarebbero stati deportati nei campi di concentramento, fra il 1943 e il 1945, complessivamente ventisei, di cui ben venticinque a opera delle autorità della RSI.

Le Stolpersteineci fanno inciampare sulla soglia di persone semplici, che, quasi tutte, al di fuori della loro stretta cerchia di familiari e amici hanno lasciato poche tracce, e sono accomunate dalla loro deportazione e morte nei campi nazisti come gli internati militari Mario Ballerio(1918-1944), Angelo Cottinelli(1909-1944), ed Emilio Falconi(1911-1945); gli oppositori politici Alessandro Gentilini(1916-1944) e Ubaldo Migliorati(1923-1945); i partigiani Roberto Carrara(1915-1944), Severino Fratus(1891-1945), Domenico Pertica(1923-1945), Rolando Petrini(1921-1945), Pietro Piastra(1891-1945), Federico Rinaldini(1923-1945), Silvestro Romani(1923-1945), e Andrea Trebeschi(1887-1945); gli ebrei Guido (1894-1944) e Alberto Dalla Volta(1922-1945), padre e figlio. Quest’ultimo, compagno di prigionia e amico di Primo Levi, al quale ha salvato la vita, prima che nelle pietre d’inciampo, lascia le sue tracce in Se questo è un uomo, nel quale è presentato semplicemente come Alberto, che “è entrato nel Lager a testa alta, e vive in Lager illeso e incorrotto. Ha capito prima di tutti che questa vita è guerra; non si è concesso indulgenze, non ha perso tempo a recriminare e a commiserare sé e gli altri, ma fin dal primo giorno è sceso in campo”.Con una cerimonia pubblica il 26 gennaio 2008 il Liceo Scientifico Calini di Brescia, che nel 1940 lo aveva accettato come allievo, dopo la sua espulsione, in quanto ebreo, dal Liceo Classico Arnaldo della stessa città, intitola l’aula magna ad Alberto Dalla Volta, “la rara figura dell’uomo forte e mite, contro cui si spuntano le armi della notte”.

Le persone ricordate dal basso nel Percorso della Memoriae nelle Stolpersteine sono sia vittime innocenti e inconsapevoli della violenza, sia caduti a causa di una propria precisa scelta contro quella stessa violenza; differenti sono le loro scelte di vita, uguale la violenza che annienta le loro vite. Importante è ricordare sia ciò che le accomuna, sia ciò che le distingue; solamente in questo modo, forse, si riuscirà a far passare, una volta per tutte, il passato che non passa.

 




Brescia – Memorie e memoria dal basso (Seconda parte)

La Casa della Memoria è motore di molteplici iniziative e attività, orientate all’apertura verso l’esterno, alla collaborazione con la società civile, allo sviluppo del processo democratico e alla diffusione di una memoria condivisa, favorita dallaconoscenza e dalla rielaborazione.

Già nel 2012,rifacendosi alla legge del 2007 che dichiara quale “Giorno della memoria” il 9 maggio, propone un itinerario urbano, il Percorso della Memoria, che partendo da Piazza Loggia arrivi in Castello, individuato da una sequenza di formelle di granito, su ognuna delle quali incidere il nome di una vittima del terrorismo e della violenza politica. Il progetto viene elaborato da diverse istituzioni (Assessorati alla Cultura, Urbanistica e dei Lavori Pubblici del Comune di Brescia e la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Brescia e Mantova) che si coordinano all’interno della Casa della Memoria, e il Consiglio comunale vi aderisce all’unanimità. Il 9 maggio 2012 viene consegnata al Presidente della Repubblica la prima formella come segno di avvio alla realizzazione del progetto e il percorso è inaugurato sotto l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica il 28 maggio, con la posa delle prime formelle dedicate alle vittime bresciane, i cui nomi saranno successivamente seguiti da altri. In totale saranno oltre 400, individuati fra quelli citati dalla pubblicazione del Quirinale Per le vittime del terrorismo nell’Italia repubblicana e fra i caduti in altri episodi di violenza politica fondamentali della nostra storia (da Piazza Fontana, a Peteano, all’assassinio di Marco Biagi, ecc.) e della storia di altri Paesi (dagli Stati Uniti, alla Spagna, all’Inghilterra, alla Germania).

Viene scelto un percorso in salita, a simbolo della “necessità dell’impegno per il ricordo individuale e cosciente di chi intraprenda questo cammino e […] l’elevazione civile che la memoria di quelle vittime riconsegna alla coscienza”. Si vuole in questo modo confermare “una sorta di patto civile, inciso nella realtà urbana”, non con un monumento, che potrebbe confinare la memoria delle vittime in un singolo manufatto o luogo della città, bensì con un percorso “che coinvolga la città e la cittadinanza nel suo vivere quotidiano, senza enfasi eroiche” e renda Brescia “memoriale vivente ed universale, accessibile a chiunque, in Italia e nel mondo intero, si riconosca in questa condivisione di valori”.

Le spese per la realizzazione del progetto sono coperte in parte dai contributi dei promotori e da quelli di singoli/e cittadini e cittadine, versati in un apposito conto corrente presso la Casa della Memoria.

Nel 2014, con il progetto Una formella per ogni vittima, parte una sottoscrizione alla quale la cittadinanza può contribuire attraverso l’acquisto di una cartolina dedicata, messa a disposizione dalla Casa della Memoriaalle varie associazioni culturali, artistiche, sportive, alle librerie e ai punti vendita associati all’iniziativa. Il 28 maggio 2014, nella ricorrenza del 40° anniversario della strage di Piazza Loggia, la cartolina viene spedita dalla Casa della Memoria a tutte/i coloro che hanno dato il proprio contributo alla sottoscrizione.

Il Percorso della Memoria è dunque un work in progress che riesce a coinvolgere attivamente non solo le istituzioni, ma anche la cittadinanza e a superare la dimensione municipale, per assume rilevanza nazionale, riscuotendo fra gli altri il plauso di Agnese Moro, figlia dell’importante uomo politico assassinato dalle Brigate Rosse, e internazionale, con la consegna, nel settembre 2017, al Consolato generale d’Italia a New York e al museo del Memoriale dell’11 settembre, di una targa che accomuna le vittime dell’attentato alle Twin Towers con i caduti di Piazza Loggia.

In ambito locale, tuttavia, le critiche, benché minoritarie, non mancano; la Rete Antifascista, vicina agli ambienti della sinistra antagonista, per esempio, in un dossier autoprodotto, critica il desiderio di pacificazione e omologazione delle memorie sotteso all’iniziativa, insieme alla scelta di fare riferimento alla pubblicazione del Quirinale Per le vittime del terrorismo nell’Italia repubblicana e di assumere come data di inizio il 1962 per l’individuazione dei nominativi da incidere sulle formelle, espungendo di conseguenza dalle vittime “i proletari, gente che lottava per i propri diritti: la strage di Portella delle Ginestre (1947), l’eccidio delle Fonderie Riunite di Modena (1950), gli undici morti ammazzati durante le manifestazioni antifasciste di Reggio Emilia, Licata, Palermo, Catania (1960) e l’assassinio di Giovanni Ardizzone (1962)”. Il dossier sottolinea inoltre “l’esclusione di Luca Rossi, studente assassinato dai fascisti nel 1986, o quella di Tito Tobegia, mitico capo partigiano bresciano, morto in seguito a un’aggressione fascista nel 1968. E ancora tanti altri, perché di sangue proletario e rivoluzionario ne è corso a fiumi, fino a Carlo Giuliani o a Samb Modou e Diop Mor, i due lavoratori assassinati a Firenze il 13 dicembre 2011 da un cecchino di Casa Pound e il bresciano di nascita Davide “Dax” Cesare nel 2003”.

 

 

 




Brescia – Memorie e memoria dal basso (Parte prima)

Passeggiando per Brescia è importante guardare anche per terra per non perdersi l’orizzontale museo diffuso che dal 2012 ha iniziato a dipanarsi per le vie della città con le formelle per le vittime del terrorismo e le pietre di inciampo, realizzate per iniziativa rispettivamente della Casa della Memoriae della Cooperativa Cattolico Democratica di Cultura.

La città, fondata nel IX secolo a.C. sul colle Cidneo, è stata soggetta nel corso della storia a numerosi e differenti dominatori, dai Romani alla Repubblica di Venezia, dai Longobardi ai Visconti, dai Francesi agli Austriaci. A partire dalla dominazione romana, iniziata nel I secolo d.C., il centro urbano inizia a svilupparsi anche nella piana ai piedi del Cidneo, mentre il nucleo primitivo sul colle viene in parte a perdere di importanza, fino a quando, nel XIII secolo, vi si inizia la costruzione di una fortezza, di impianto prevalentemente veneziano-visconteo, comunemente conosciuta come il “Castello”.

Foto 1. Il castello di Brescia

Questo imponente complesso fortificato, uno dei più vasti in Italia, domina sulla città e perciò è anche noto come il “Falcone d’Italia”. Proprio grazie alla sua posizione e all’evoluzione delle tecniche militari, nel corso dei secoli diventa un sistema difensivo inespugnabile e un perfetto strumento di controllo sulla città da parte dei vari dominatori. Gastone di Foix nel febbraio 1512, dopo avere inutilmente intimato la resa alla città assediata, fedele ai Veneziani, vi fa irrompere dal Castello e da una delle porte cittadine 12.000 soldati francesi, che la mettono a ferro e fuoco per diversi giorni, causando migliaia di vittime in un tragico “carnevale di sangue” ricordato anche come “sacco di Brescia”. Nel 1849, durante l’insurrezione delle Dieci Giornate di Brescia, la guarnigione austriaca del generale Nugent, acquartierata in Castello, spara sulla città, che si arrende solamente il 1° aprile, dopo che il maresciallo Haynau la notte precedente ha raggiunto con le sue truppe la fortezza, attraverso la Strada del Soccorso, un percorso segreto di età viscontea che collega la sommità del Cidneo al centro urbano. La repressione è durissima; gli insorti fatti prigionieri sono rinchiusi in Castello e molti di loro fucilati nei fossati e sugli spalti, fino al 12 agosto, data dell’amnistia voluta da Radetzky. Tra la fine del XIX e l’inizio del secolo, le pendici del colle, fino allora brulle per permettere l’avvistamento di eventuali nemici, cambiano completamente volto; vengono creati viali alberati e collocati monumenti e steli commemorative e il Castello comincia ad assumere una funzione pubblica di carattere ricreativo e culturale-scientifico, a partire dal suo rilancio, che inizia ospitando nel 1904 l’Esposizione Industriale Bresciana e nel 1909 l’Esposizione internazionale di applicazione dell’elettricità. Dal 1943 al 1945 Brescia è parte della Repubblica Sociale Italiana, e nei “600 giorni di Salò” in città hanno sede alcuni ministeri e in Castello le compagnie Lazio, Ausiliaria, Ordine Pubblico, Pronto Intervento, qualche plotone delle SS tedesche, la guardia personale di Graziani, la commissione permanente di disciplina della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana). Sempre in Castello sono fucilati numerosi esponenti della Resistenza nella cosiddetta Fossa dei Martiri (foto 2); l’ultima esecuzione ha luogo il 24 marzo 1945 con la fucilazione alla schiena del partigiano Giacomo Cappellini, della quale recano testimonianza una lapide commemorativa e il muro scheggiato dai proiettili.

Foto 2. La fossa dei martiri

Un filo rosso di sangue, dolore e violenza, che intreccia tempi e memorie diverse, si dipana dal Castello, percorre la città e si coagula in alcuni luoghi precisi. Il Salone Vanvitelliano della Loggia, il palazzo comunale di Brescia situato nell’omonima piazza (in copertina), conserva in una parete interna il foro provocato da una granata austriaca durante le Dieci giornate del 1849, mentre una delle colonne dei portici che si affacciano su Piazza Loggia, esattamente di fronte al palazzo, mostra ancora le ferite dell’esplosione del 28 maggio 1974. Quel giorno Brescia è drammaticamente ferita dal terrorismo neofascista, colluso con apparati dello Stato; un ordigno esplosivo, collocato in un cestino portarifiuti sotto i portici che costeggiano Piazza Loggia, provoca una strage. Si contano 102 feriti e otto morti: un pensionato, ex partigiano, Euplo Natali, 69 anni; due operai, Bartolomeo Talenti, 56 anni, e Vittorio Zambarda, 60 anni; e cinque insegnanti, Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, Livia Bottardi Milani, 32 anni, Alberto Trebeschi, 37 anni, Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni e Luigi Pinto, 25 anni. Dopo depistaggi nelle indagini e un iter processuale lungo 43 anni si arriva al giudizio definitivo in Cassazione nel giugno 2017, che conferma la condanna all’ergastolo nei confronti di Carlo Maria Maggi, medico, ex ispettore veneto dell’organizzazione neofascista Ordine nuovo, e di Maurizio Tramonte, l’ex fonte ‘Tritone’ dei servizi segreti. Alla lettura del verdetto è presente in aula, tra gli altri, Manlio Milani, presidente dell’Associazione dei familiari dei caduti di Piazza Loggia, e fondatore nel 2000, con il Comune e la Provincia di Brescia, della Casa della Memoria, centro di documentazione sulla strage bresciana e la violenza terroristica, in particolare quella neofascista.

Foto 3. La stele e il manifesto a ricordo della strage