Irlanda – Le femministe Rosa e il diritto all’aborto

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Il 25 maggio 2018 è diventata già una data storica per molte e molti irlandesi. 

Chiamata al voto per decidere del diritto all’aborto della donna, il 66,4% della cittadinanza, in un Paese all’80% cattolico, ha votato per il sì, decidendo così, attraverso un referendum, l’abrogazione dell’ottavo emendamento della Costituzione, introdotto nel 1983 che, di fatto, rende illegale l’aborto anche in caso di malformazioni del feto, stupro, incesto e altro. L’interruzione di gravidanza è possibile soltanto in caso di pericolo di vita della donna.

Questa legge ha causato la morte di alcune donne (cui è stato comunque rifiutato l’aborto anche se in pericolo di vita) e anche una sorta di ‘turismo’ verso il Regno Unito, dove la pratica è consentita, relegando le donne più povere a strade insicure e pericolose.

Contro molte previsioni che fino agli ultimi giorni davano una sostanziale parità fra le due parti in gioco, ha vinto il Sì. Ora tocca al Parlamento emanare una nuova legge che abbia come focus il diritto della donna ad abortire e a essere tutelata e seguita in questa sua scelta.

Nei mesi precedenti molte attiviste sono scese in piazza e hanno organizzato marce e manifestazioni per il Sì. Mentre gli anti-abortisti hanno giocato su una vecchia retorica che dipinge l’aborto come un omicidio e che ha diffuso false notizie, donne e uomini per il Sì hanno posto l’accento sulla necessità di garantire la libertà di scelta della donna sul proprio corpo. 

Fra le principali organizzazioni attive nel campo c’è Rosa (for Reproductive rights, against Oppression, Sexism & Austerity), gruppo di femministe fondato da alcune donne del Partito socialista irlandese e poi ampliatosi. Rosa in onore di Rosa Luxemburg e di Rosa Parks: entrambe rivoluzionarie, attiviste, impegnate in primo piano nella lotta. 

Fra i dieci propositi del gruppo Rosa ha un posto fondamentale la salute della donna. È per questo che fra i primi punti, oltre all’eliminazione dell’ottavo emendamento, ci sono anche la tutela della salute della donna come obiettivo dello Stato, la completa gratuità dell’aborto, la disponibilità immediata della pillola anticoncezionale, l’educazione sessuale nelle scuole per rimuovere la cultura dello stupro. 

Ma accanto a queste mete, le attiviste di Rosa pongono altre questioni fondamentali: la separazione fra Stato e Chiesa è una di queste, perché è dalla Chiesa cattolica che i retaggi conservatori e sessisti si trasmettono nelle scuole e negli ospedali. Ma c’è anche un’istanza anticapitalista, che chiede di tassare i “super ricchi” e di favorire invece le donne, i lavoratori e i disoccupati. No all’austerity, ma sì a investimenti nel settore pubblico (ospedali, scuole, servizi sociali).

Negli ultimi mesi l’operato di queste attiviste si è concentrato sul referendum, al grido di #time4choice. L’hashtag è diventato virale sul web, proprio accanto a quel “Repeal” (Abroga), che adesso è diventato il simbolo di una vittoria. Sono scese in piazza, con gli abiti delle ancelle (The Handmaid’s Tale, la serie tv distopica che parla di donne e ribellione) o più semplicemente con una maglietta nera che gridava repeal.

Ma non bisogna dimenticare che il loro è un femminismo socialista, che combatte il sessimo così come il capitalismo, consapevole che le due lotte sono intrecciate e che non c’è femminismo vero senza lotta anticapitalista. Si ispirano a Marx ed Engels, lotta di classe e oppressione fanno parte del loro vocabolario, ma anche intersezionalità, lotta per i diritti civili e post-modernismo rientrano nei loro dibattiti e nel loro pensiero. 

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Elisabetta Elia, classe 1992, in lei vivono tre mondi: quello della Calabria, dove è nata, quello di Roma, dove ha studiato Lettere Moderne e poi giornalismo, quello del Kurdistan, dove non è ancora stata ma è sicura che andrà. Appassionata del mondo del sociale, dei cambiamenti che vengono dal basso e delle lotte femminili e femministe: la sua ambizione è vederli e raccontarli. E con le parole, magari, trasformare il mondo.