“Sabato parenti ed amici verranno a casa mia per festeggiare la mia cicatrice”. Nel 2012, una maestra, leggendo il tema di una bimba si imbattè in questa macabra frase. L’infibulazione è una pratica ancestrale e disumana che consiste nel mutilare la donna di parte dei suoi organi genitali. Ebbe origine nell’antico Egitto dove, nonostante attualmente sia vietata, la maggior parte delle bambine dai 4 agli 11 anni continua a essere sottoposta a quest’atroce tortura. È importante precisare che di questa prassi non vi è alcun cenno sul Corano, sebbene proprio tra i mussulmani è divenuta, nei secoli, parte degli usi e costumi. L’intervento sulle bambine viene spesso effettuato senza anestesia con strumenti non sterilizzati, vecchi , arrugginiti, che conseguentemente danno origine a infezioni,talvolta mortali. Molte vittime innocenti di questa crudele usanza hanno urlato al mondo intero il loro dissenso, tra questi spicca il nome di Waris Dirie, modella somala e ambasciatrice dell’Unfpa per la lotta all’infibulazione. Waris fu sottoposta al macabro rituale quando aveva sei anni, lei in seguito ha avuto la fortuna di sopravvivere, al contrario di sua sorella e sua cugina che morirono a seguito dell’intervento.
In Italia, malgrado l’infibulazione sia divenuta nel 2005 un reato penale, che costerebbe a chi la praticherà fino a 16 anni di reclusione, oltre 40 mila bambine sono state infibulate. Questo fenomeno andrebbe bloccato e dovrebbe creata maggior attenzione sull’argomento, affinché altre bambine non debbano subire più tale violenza fisica, e psichica. Il dolore fisico svanisce, ma le cicatrici dell’anima di queste donne rimarranno indelebili, per sempre