La collina delle donne

0
895
image_pdfimage_print

Sorgerà una collina nuova 

E dovrebbe avare un nome

Perché i nomi restano…

L’inferno dove la vita non contava più 

dei sacchi di amianto che svuotavano ogni giorno, 

o del muro di polvere attraverso cui i loro occhi faticarono a riconoscersi.

La collina delle donne la chiamerei

delle operaie che non son più

 di quelle che non dimenticano, 

delle madri, delle mogli, delle figlie e delle sorelle.

Questi sono alcuni versi di una poesia simbolo della lotta all’Eternit e all’amianto, scritta alcuni anni fa da un’oncologa, la dottoressa Daniela Degiovanni. Forte dell’esperienza di medica del lavoro a Casale Monferrato, la città della polvere bianca, in cui ha diagnosticato più di mille casi di mesotelioma, la dottoressa “Degio” ha lavorato per quarant’anni a contatto con gli operai dell’Eternit e con le loro famiglie.
Quarant’anni fa le prime diagnosi, le visite fatte in un semplice ambulatorio. La polvere di amianto gli operai la inalano, la spostano, la mangiano addirittura annidata tra i pranzi nelle pause, la riportano a casa negli indumenti da lavoro interamente imbiancati. Le mogli poi mettono a bagno le tute respirando i vapori intrisi d’amianto e spesso anch’esse iniziano ad accusare dolori alla schiena e le prime avvisaglie della malattia. Così, sempre più spesso, oltre ai lavoratori si ammalano le mogli, le madri, le donne di Casale che non lavorano nella fabbrica maledetta. È una strage silenziosa che si è protratta nel tempo, e che ancora esiste. Si stima che il picco della mortalità per mesotelioma si avrà nel 2020, anche se la fabbrica è chiusa da oltre trent’anni.
La dottoressa pioniera della lotta all’amianto non si è mai fermata, nei primi anni Ottanta ha creato il reparto oncologico dell’ospedale casalese, in seguito il servizio di cure domiciliari e infine, nel 2009, l’Hospice di Casale che ha già accolto più di 250 famiglie. Anche in questo modo la cittadina piemontese ha preso pian piano coscienza della strage in atto e proprio in questi ultimi giorni, 28 e 29 Aprile, a Casale si è celebrata la Giornata Mondiale delle Vittime dell’Amianto. Ricca di eventi e riconoscimenti per coloro che si sono distinti per l’impegno profuso nella cura, ricerca, diffusione di informazione, la manifestazione si caratterizza per la volontà di continuare a credere nel futuro, attraverso azioni di bonifica e battaglie sociali e legali connesse ai danni causati dall’amianto.
Gli eventi hanno avuto sede al parco EterNOT: il parco pubblico sorto sull’area occupata dall’Eternit, terreni bonificati dieci anni fa dove ora la città della fibra killer vuole dare una risposta al dolore sofferto per decenni. Dolore rinnovato acutamente dalla sentenza della Cassazione che ha dichiarato prescritti i reati a carico di Stefan Schmideiny, l’industriale svizzero ex proprietario della fabbrica, cancellando i diciotto anni di carcere inflitti nei precedenti gradi di giudizio per disastro ambientale.
Ma il dramma dell’amianto a Casale non può essere dimenticato e il parco vuole e deve essere il luogo della memoria. In mezzo ad esso sorge proprio la collina dedicata alle donne a cui l’amianto ha portato via la vita, donne come Luisa Minazzi, simbolo di Casale, direttrice didattica, ambientalista, e amministratrice comunale, morta di mesotelioma nel 2010. Luisa non lavorò mai all’Eternit, ma da bambina giocava nei giardini sui cumuli di fibre, il famoso polverino che, spostato dal vento, si infiltrava ovunque. Ora, sulla collina delle donne, i bambini possono finalmente correre.
EterNOT è la realizzazione dell’elaborazione di un lutto collettivo, quello che ha portato Casale ad essere tristemente famosa come luogo di dolore e morte. Ma non solo. La città è anche simbolo di lotta e di speranza, di consapevolezza e di resilienza da cui prendere esempio per bonificare, non solo i terreni inquinati ma soprattutto coscienze.