Occupazione femminile in Cina: i dati della disuguaglianza

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L’economia cinese è una delle più grandi realtà del XXI secolo. La Cina oggi si presenta come la seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti e prima di Giappone e Germania. La sua crescita economica è la più veloce al mondo e, pur contribuendo allo sviluppo economico complessivo a livello internazionale, essa ha provocato negli ultimi anni un inasprimento delle differenze di genere in ambito lavorativo.
Prima delle riforme del 1979, nella pianificazione della distribuzione del lavoro da parte dello Stato si evidenziava una sostanziale parità di impiego maschile e femminile, senza grandi differenze tra campagna e  città. Negli anni successivi la situazione dell’occupazione femminile ha assunto degli aspetti complessi e contraddittori. Si è assistito a un crescente gender gap in ogni settore lavorativo, con una notevole differenza nella retribuzione e nel collocamento delle donne, soprattutto nei segmenti più bassi delle aree di impiego.
Nel 2004 le donne costituivano il 44% della forza lavoro dell’intero paese, con il 60% di impiegate nell’agricoltura (il 9,4% in più degli uomini). Nel 2017 il tasso di occupazione femminile si è attestato al 60,4% (nel Regno Unito e negli Stati Uniti il dato è rispettivamente pari al 54,1% e al 53%, in Giappone al 47,7%, in India al 25,9%), ma sarebbe sbagliato pensare a un miglioramento delle condizioni di vita o del posizionamento delle lavoratrici. Le percentuali d’impiego in lavori poco qualificati, precari e sottopagati è del 20,8%, contro il 14,1% degli uomini.
Il censimento del 2010 mostra un tasso di impiego in declino a partire dal 1990 con l’84,3%, proseguendo con un 78% nel 2000, e giungendo infine al 71% nel 2010.
Queste statistiche rilevate dalla All China Women’s Federation, una organizzazione per la tutela dei diritti delle donne, dimostrano come la liberalizzazione del mercato del lavoro ha acuito gli effetti discriminatori a danno delle lavoratrici così come la scarsa rappresentanza femminile al governo.
Inoltre va preso in considerazione l’indebolimento delle politiche woman friendly attuate negli anni 90 in cui non è stato implementato un sistema di assistenza per le donne lavoratrici e un supporto socio sanitario per la prima infanzia. In questo sistema sono frequenti episodi di discriminazione già al momento dell’assunzione e minore tutela durante il periodo lavorativo. Ad acuire questa non rosea situazione, vi sono ingenti differenze salariali: le donne guadagnano il 35% in meno rispetto ai colleghi. Ciò porta la Cina a classificarsi al 91esimo posto su 145 nel ranking del World Economic Forum.
Risulta evidente che nella Cina dell’armonia sociale di Xi Jinping il potere politico delle donne, e anche quello economico, non sembrano partecipare allo sviluppo massiccio, a differenza di quanto viene rappresentato nelle statistiche internazionali.
Le lavoratrici sono sempre più richieste nel settore dei servizi e nei lavori informali in fabbrica ma hanno tutele sociali sempre più ridotte.  Per contro nel settore del management di alto livello si distingue una certa presenza femminile. È il caso di alcune manager di fama internazionale come Zhang Xin co-fondatrice di Soho China. La presenza è ben visibile in quanto limitata a poche realtà, ma questo purtroppo non si discosta dalla media dei Paesi occidentali.
Va ricordato però che nonostante i dati poco incoraggianti, sempre più donne conseguono lauree di secondo livello, come ricorda China startup outlook 2017: “su 7,3 milioni di laureati l’anno, più della metà sono donne.” E nel 2014 la Cina ha registrato il più alto numero di GMATs femminili ben il 65%  delle cinesi hanno sostenuto l’esame, richiesto dalla maggior parte delle Business School come criterio di ammissione per MBA e Masters. 

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Nata a Torino nel 1996, poi rinata più volte. Studentessa di Economia, da sempre ama scrivere e raccontare il mondo che la circonda. L'appassiona tutto quello che può essere tradotto in parole, matematica compresa. Di lei dicono che abbia affrontato una tempesta, e ne sia uscita più forte di com'era entrata.