Parità di genere e integrazione. Il ruolo del ricongiungimento familiare

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Il ricongiungimento familiare, che negli ultimi anni costituisce la principale modalità d’ingresso nel nostro Paese, è un istituto pensato già a partire dalla legge n. 943/86 al fine di stabilizzare i flussi migratori. Ricongiungimento che assume però dinamiche e caratteristiche a volte inaspettate dallo stesso legislatore e quindi, pur contribuendo a stabilizzare i flussi, in alcuni casi può disarticolare la forma familiare precedentemente costruita.

La migrazione in coppia non è priva di cambiamenti, di tensioni, di ripercussioni sulle dinamiche relazionali, in quanto i coniugi sono chiamati ad assumere nuovi stili di vita, nuovi comportamenti, nuovi ruoli, comprese nuove modalità di socializzazione dei figli, nuovi rapporti con il Paese di approdo. La migrazione può accentuare la solidarietà di coppia così come può ridurla: la famiglia migrante si colloca in un sistema sociale in cui i ruoli e le relazioni non sono più quelli della tradizione ma si sono modificati o sono in fase di modificazione con il conseguente rischio di un processo di marginalizzazione e di conflitti a livello di coppia o intergenerazionale. Facendo parte di quell’oscillazione tra la società di accoglienza e quella di origine, il nucleo familiare diventa “di transizione”: la famiglia rischia di perdere le proprie radici, oppure, in un processo di acculturazione forzata potrebbe reciderle di netto. Al contrario, può capitare che non si adegui al nuovo contesto sociale, con le regole della società di arrivo.

Il ricongiungimento familiare della donna, può rappresentare una forma di emancipazione, in quanto la migrazione può aumentare il potere decisionale della stessa. Per molte costituisce un modo per affrancarsi e prendere le distanze da tradizioni non più accettabili. Il ricongiungimento è altresì desiderato perché rappresenta la possibilità di mettere in cantiere progetti che nel Paese di origine non sarebbero possibili. Infine, le donne possono essere chiamate a risolvere i problemi posti dall’articolazione della famiglia nel nuovo contesto: rapporti con il vicinato e altre culture, inserimento dei figli nella scuola, sollecitazioni dalle diverse strutture e istituzioni amministrative, sociali e sanitarie. La donna gioca un ruolo centrale anche per il recupero delle tradizioni del luogo d’origine ma soprattutto nell’aggiustamento delle posizioni di gestione della famiglia, quindi assunzione di nuovi ruoli, di nuove aspettative, anche perché il controllo sociale della famiglia d’origine si affievolisce a causa della distanza e perché ci si confronta con il Paese di accoglienza. La donna che si fa carico della cura dei figli ed è garante del suo patrimonio identitario–culturale, ma anche la donna che ha affrontato il processo migratorio da sola e si trova facilmente in una situazione di marginalizzazione, deve poter usufruire di un supporto da parte delle istituzioni. Così come la donna che ha vissuto separata dal compagno per molto tempo e si ritrova in difficoltà a ricongiungersi.
Discorso a parte quando il ricongiungimento fallisce o la donna si trova in condizioni di separazione o diventa vittima di episodi di maltrattamenti da parte del compagno. Ciò determina un problema opposto: la separazione dal ricongiungimento. Questa procedura in casi del genere dovrebbe essere automaticamente slegata dal legame familiare e diventare individuale. Ostacoli procedurali ed estrema burocratizzazione fanno sì che alcuni legami rimangano tali anche quando i fatti li smentiscono: le mogli vengono a trovarsi in situazioni di rischio perché prive di protezione.
Una questione relativamente recente è quella creata dal cosiddetto “ricongiungimento strumentale”, che pone le donne in una condizione di grande incertezza: le future spose contrattano il matrimonio con un partner anche sconosciuto al solo fine di mettersi nelle condizioni di migrare legalmente. Questa è la sola esigenza e giustifica la fragilità e i malintesi che ne derivano, con conseguenze di una sicura frattura. La programmazione dei flussi, la chiusura delle frontiere potenziano questo fenomeno che è legato esclusivamente alla possibilità di ingresso regolare.

Va ricordato inoltre che il ricongiungimento sancisce “il diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare nei confronti dei familiari stranieri”, e, oltre che alla stabilizzazione dei flussi migratori, costituisce una svolta nel percorso delle famiglie stesse, che possono riscoprire al loro interno nuove risorse. Si assiste alla trasformazione dall’essere famiglia magrebina, cinese, peruviana in Italia alla famiglia magrebina, cinese, peruviana d’Italia in quanto la permanenza diventa stabile. Per consentire che questo avvenga devono instaurarsi nuovi rapporti con le istituzioni, canali di mediazione che offrano con più snellezza dialogo e accoglienza anche da un punto di vista psicologico oltre che linguistico e culturale.
Aumentare il potere decisionale delle donne ampliando le opportunità culturali contribuisce senz’altro alla diminuzione delle difficoltà psicologiche-relazionali, sia delle madri sia dei figli, nel contesto della società di accoglienza e per far ciò una conoscenza del diritto di famiglia effettuato nella realtà scolastica, quale può essere quella dei figli può essere di aiuto. Questo consentirebbe prima di tutto di superare le difficoltà linguistiche e di comprendere il nuovo contesto, individuando riferimenti, facilitando le condizioni di integrazione e contribuendo a diminuire le difficoltà di inserimento nel mondo scolastico di ragazze e ragazzi immigrati. Finora la carenza informativa e i servizi alle persone e del territorio non sono riusciti ad attrezzarsi per offrire le risorse adeguate alle persone propense a un inserimento stabile in Italia.

Una delle soluzioni potrebbe consistere nello svincolare il permesso di soggiorno dal ricongiungimento al marito o compagno in caso di separazione, divorzio, maltrattamenti in quanto lo status di residente non può dipendere da quello del coniuge o partner. In caso di divorzio o scioglimento della relazione, le donne devono acquisire un titolo autonomo di soggiorno, come previsto dall’articolo 59 della convenzione di Istanbul del 11-5-2011, ratificata dall’Italia con la legge del 27-6-2013 n 77, che trova però nel lasso di tempo trascorso dall’accertamento della problematica familiare al rilascio del nuovo permesso una norma di difficile attuazione.
Inoltre si dovrebbe proporre alle migranti una conoscenza del diritto di famiglia affinché si stabilisca una consapevolezza del ruolo di cittadine che costituisce la base per una migliore integrazione. Uno sforzo nel settore dell’istruzione diventa cruciale per preparare le donne immigrate e soprattutto le nuove generazioni a una partecipazione più effettiva nella società che le accoglie.

 

 

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Nata a Torino nel 1996, poi rinata più volte. Studentessa di Economia, da sempre ama scrivere e raccontare il mondo che la circonda. L'appassiona tutto quello che può essere tradotto in parole, matematica compresa. Di lei dicono che abbia affrontato una tempesta, e ne sia uscita più forte di com'era entrata.