La bomba sorrentina

Sicuramente lo è, una “bomba”, non soltanto per l’aspetto o per la carica calorica, quanto per l’espressione di sorpresa che vedrete sul volto di chi avrà la fortuna di assaggiarla.

Non è difficile da realizzare, io l’ho preparata in 10 minuti. Sono sola in casa, oggi, e mi ero appena accinta a pranzare con un’ovolina e una mezza porzione di gnocchetti alla sorrentina avanzati dalla cena di ieri sera quando… ho deciso di sperimentare una preparazione che avevo visto in tv qualche tempo fa (loro la farcivano con una forchettata di spaghetti, ma gli gnocchetti mi sono sembrati una splendida alternativa!).

Dunque questo è il procedimento sperimentato oggi: 

Ho scaldato l’ovolina in una piccola ciotola nel microonde a 165 W per 3/4 minuti. 

L’ho estratta dal forno appena prima che si “sedesse” e, ancora tiepida, l’ho aperta appena appena con le dita allargando delicatamente l’apertura. 

L’ho farcita con un paio di cucchiaiate di gnocchetti ben accompagnati da parecchi dei mezzi pomodorini di condimento. Ho aggiunto una foglia di basilico spezzettata e una spolverata di pepe. 

Ho restituito la forma rotonda alla mozzarellina modellandola con le mani: quando la mozzarella è tiepida diventa facile lavorarla come se fosse creta. 

L’ho richiusa premendo bene tra le dita i bordi dell’apertura praticata prima. 

L’ho quindi asciugata bene con un tovagliolo di carta. 

Ho disposto della farina, un uovo sbattuto con il sale e del pangrattato mescolato a un trito grossolano di mandorle pelate In tre piccole ciotole. 

I passaggi sono quelli della solita panatura delle cotolette:

– mozzarella (ben asciutta) nella farina

– poi nell’uovo 

– e quindi nel pangrattato (prima panatura)

per poi ripetere il passaggio nell’uovo e quello nel pangrattato (siamo alla seconda panatura).

Ho ripetuto infine per l’ultima volta il passaggio in uovo e pangrattato. 

In totale dunque una panatura tripla.

Ho scaldato l’olio di semi di girasole necessario a farla galleggiare in un pentolino stretto e aiutandomi con un cucchiaio (rischiereste di ustionarvi, lasciandola cadere) ho delicatamente immerso la mia piccola bomba una volta raggiunta la temperatura (circa 170°) giusta per la frittura. 

E adesso… godetevela, è davvero fantastica!

Gli gnocchetti alla sorrentina della sera prima

500 gr di pomodorini pachino lavati e tagliati a metà

Basilico abbondante

Olio evo, aglio e peperoncino 

500 gr di gnocchetti di patate (le “chicche”) 

Una mozzarella

In un tegame scaldare l’olio con l’aglio tagliato a fettine e il peperoncino. Quando sentirete sprigionarsi l’aroma di aglio, versate i pomodorini, fateli saltare a fuoco vivo, salateli con sale grosso, e sempre mescolando cuocete finché il fondo di olio sarà diventato rosato e “cremoso”.  Profumate con il basilico e aggiustate di sale dopo aver assaggiato. Spegnete il fuoco quando i pomodorini saranno appassiti e cremosi ma ancora sani.

Tagliate a pezzettoni la mozzarella.

Dieci minuti prima di cena cuocete gli gnocchetti in acqua salata. Nel frattempo, rimettete il tegame con i pomodori sul fuoco. 

Aiutandovi con una schiumaiola scolate gli gnocchetti appena vengono a galla e aggiungeteli direttamente nel tegame dei pomodori. Mescolate velocemente, aggiungete altro basilico e solo all’ultimo la mozzarella tagliata a pezzettoni con tutto il latte rimasto sul fondo del piatto.

Servite immediatamente.




Torta di fichi

Semplice come la Maremma, ancora grazie alla vecchissima signora che la preparava ogni anno.

Pelate slmeno una dozzina di fichi ben maturi, e conservateli su un piatto in frigo.

Preparate una crema con:

500 cc di latte

2 uova

2 tuorli

100 gr di zucchero

60 gr di farina

estratto di vaniglia

scorza di limone grattugiata.

Sbattete le uova con lo zucchero, aggiungete gli aromi, la farina e il latte a filo. Sul fuoco lento finché non si addensa. Lasciate raffreddare e conservate in frigo intanto che preparate il Pan di Spagna.

Pan di Spagna:

4 uova

2 chiare (quelle avanzare dalla crema)

250 gr di farina

200 gr di zucchero

un pizzico di sale

mezza bustina di lievito (se non volete rischiare)

Sbattete le uova con lo zucchero e solo quando saranno spumose aggiungete tutto il resto. Forno a 180° per circa 45’. Lasciate raffreddare.

Montiamo la torta.

Tagliate il Pan di Spagna eliminando la calotta superiore. Bagnatelo con cucchiaiate di  latte freddo. Spalmate la crema in uno strato spesso e disponete sopra i fichi tagliati in quattro, ricoprendo interamente la superficie.

Lasciate in frigo fino a che riuscite a farlo…




Arrosto sconcertante (di vitello con la sua salsa)

Ve lo consiglio, piace sempre a tutti ed è di una facilità sconcertante prepararlo.

Per la scelta del pezzo di carne affidatevi al macellaio (é il modo migliore, bisogna far leva sull’amor proprio del soggetto in questione).

Io calcolo un 100/120 grammi (al massimo!) di carne a testa per una cena formale, di più se invece è una normale cena familiare, diciamo sui 150 gr a testa, perché di solito fa da piatto unico, insieme a un bel purè.

Ingredienti

un arrosto di vitello del peso desiderato
2 carote
2 gambi di sedano
2 cipolle dorate
1 bicchiere colmo di vino bianco
1 bicchiere colmo di olio extravergine (circa, ognuno adegui la quantità alla pentola utilizzata: sul fondo deve esserci un dito di olio)
acqua BOLLENTE (a occhio, in un bicchiere normale, un dito di acqua caldissima)
sale
pepe nero

Procedimento
È fondamentale utilizzare un tegame dal fondo assai spesso, oppure una pentola ovale di ghisa pesante.

Tagliate le verdure in grossi pezzi. Di solito 3, al massimo 4 ognuna.
Versate tutto il bicchiere di olio nel tegame (deve essere proprio così abbondante, fidatevi), portatelo a temperatura e unite tutti le verdure. Cospargetele di pepe nero e fatele appena dorare a fuoco vivace.
Mettete a questo punto a rosolare anche la carne, nel tegame.  È molto importante rosolarla bene, girandola spesso senza bucarla. Usate due palette di legno.
Quando la vedrete ben dorata, versate il vino, lentamente, sulle verdure (evitate di bagnare direttamente la carne), lasciate che evapori a fuoco vivace, poi aggiungete un dito di acqua CALDISSIMA (questo è importante, deve essere molto calda per evitare uno choc termico alla carne, che si indurirebbe), chiudete con il coperchio e lasciate cuocere circa 1 ora abbassando la fiamma, che ora deve essere dolce.

Trascorso il tempo (dipende sempre dal peso dell’arrosto, e dalla qualità della carne. Io di solito come base calcolo 30 minuti ogni ½ kg di carne, ma la cucina è intuito, e dunque affidatevi anche a quello), salate la carne e rimettete il coperchio e aspettate che l’arrosto assorba il sale, poi scoperchiate e se necessario fate ridurre il fondo di cottura (ma non troppo. Anche qui, ascoltate cosa vi dice…)
Insomma, spegnete il fuoco dopo aver effettuato una sintesi personalissima tra un’alchimia temporo-olfattivo/visiva e una razional/intuitiva.

Se invece vi servisse ancora un consiglio (se la cucina vi annoia, o se siete alle prime armi), posso dirvi che ci si accorge dal colore dell’olio e delle verdure quando è ora di spegnere. L’acqua contenuta nell’olio evaporando lo lascia più limpido, e le verdure acquistano riflessi dorati. Io mi regolo così.
Togliete l’arrosto dal tegame e avvolgetelo subito in un foglio di alluminio. Tagliatelo (con un coltello a lama liscia affilatissima. Non utilizzate lame seghettate perché vi ritrovereste con della carne tritata…) a fette sottili solo quando sarà ben freddo.

Mentre l’arrosto riposa (se volete, anche in frigo), frullate con il minipimer le verdure direttamente nella pentola, insieme al loro sughetto. Otterrete una salsina davvero squisita. Riponetela in un contenitore a parte.

Servitela caldissima, sempre a parte, insieme alla carne, che vi suggerisco di accompagnare con un purè di patate cui avrete aggiunto un abbondante pizzico di noce moscata…

Un successo assicurato.

 

  1. S. Se una certa quantità di salsina dovesse sopravvivere all’arrosto (cosa di cui dubito, preparate del buon pane casereccio, ve lo chiederanno tutti per la scarpetta), vi consiglio di condirci dei ravioli.

 

 




Couscous con mandorle, uvetta e verdure al curry

La primavera è scoppiata e un’aria dolcissima finalmente fa gioire il corpo.
Tepore, alberi in fiore, rose pesanti di pioggia, una festa per gli occhi.
Così mi è venuta voglia di cibo arabo, profumo di Mediterraneo.

Ingredienti (per 6 persone circa)
semola per couscous  gr 360
2 melanzane lunghe (piccole)
1 carota
1 zucchina
1 barattolo di ceci lessati
curry
spezie per couscous
fogliette di menta
aglio
1 piccola cipolla rossa
50 gr di mandorle
1 bicchiere di uvetta sultanina
il succo di 1 arancia piccola
olio
burro 1 noce
sale q.b.
cc 360 di acqua (totali, dopo aver aggiunto il succo dell’arancia)

Procedimento
Tagliare le verdure a cubetti piccolissimi (diciamo meno di 1 cm di lato)
Tritare la cipolla e l’aglio e farli saltare in pochissimo olio, aggiungere i ceci scolati e rosolarli insieme a un cucchiaino di curry e a q.b. di sale. Aggiungere l’uvetta e insaporire. Versare il tutto nell’insalatiera dove andrà poi il couscous finito.
In una padella di ferro versare altro olio e far rosolare prima i cubetti di melanzana, poi le carote e infine le zucchine, salando a piacere e profumando con il curry. Versare anche le verdure nell’insalatiera.
Tritare grossolanamente le mandorle e tostarle leggermente nella stessa padella ormai vuota.
Far bollire l’acqua insieme al succo dell’arancia e alla noce di burro, salandola a piacere.
Nella padella utilizzata prima (e vuota!) versare la semola insieme a un cucchiaio di olio e mescolare bene finché sia unta in maniera uniforme. Aggiungere l’acqua (già miscelata con il succo), mescolare velocemente e coprire con un coperchio, lasciando a riposo 3/4 minuti.
Riaccendere il fornello e mescolando con una forchetta sgranare bene la semola finché non abbia perso l’acqua superflua (in questo modo non diventerà una pappa scotta).
Aggiungere un paio di cucchiaini di spezie per couscous e unire alle verdure nell’insalatiera.
Per finire, un giro d’olio buono e profumare con la menta e le mandorle.
Assaggiare sempre, alla fine, per armonizzare profumo e sapore.

 

 




Straccetti siculi con crema di zucca e patate

Gli straccetti di chianina panati al pecorino sono tenerissimi davvero e dal sapore di Sicilia.

Avevo questo carpaccio di chianina che mi rimproverava dal frigo, e la Crema di zucca e patate alla curcuma e spezie piccanti che stavo preparando richiedeva un degno accompagnamento, così, pensando al colore dorato della zucca, una nostalgia di braciolettine come le preparava la zia di mio padre mi ha colta.
Adoro la “mollica”, quel composto che in Sicilia sostituisce il pangrattato così come lo conosciamo qui, al nord (e sì, Roma è nord, per noi siciliani)

Ingredienti

350 gr di carpaccio di chianina

parti uguali di 

pangrattato  

pecorino (romano)

e provolone piccante grattugiato

N.B.

Più che utilizzare il normale pangrattato industriale sarebbe meglio passare al mixer della mollica di buon pane casereccio raffermo insieme ai formaggi.

margarina q.b.

sale e pepe

 

Mescolate circa 3 cucchiai di pangrattato a 3 di pecorino e 3 di provolone piccante (o nella proporzione che preferite).

Tagliate il carpaccio su un tagliere arrotolando prima le fettine in un blocco unico per velocizzare il lavoro.

Con le mani “aprite” i pezzetti distribuendo bene sopra del sale (poco) e del pepe.

Passate i pezzetti nel pangrattato mescolato ai formaggi.

Scaldate bene una padella (possibilmente di ferro) ungendone appena il fondo con la margarina, come si fa per le crepes.

Saltate velocemente a fuoco alto gli straccetti mescolando con un cucchiaio di legno e scuotendo la padella sul fuoco.

Appena hanno perso il colore rosato sono pronti.

 

 

Crema di zucca e patate alla curcuma e spezie piccanti

Una crema dorata, velocissima e pizzicosa quanto basta per ricordare il sole estivo.

 

Ingredienti

500 gr ca. di zucca pulita e tagliata a cubetti

4/5 patate medie tagliate a pezzetti

1/2 cipolla bianca

1 spicchio d’aglio

brodo vegetale home made ca 1 cucchiaio

pepe nero

pepe di Sechuan

ca 2 cm di radice di zenzero (pelato e tagliato a metà)

curcuma 1 cucchiaio

olio al peperoncino

 

Fate scaldare del buon olio in una casseruola e rosolate la cipolla e l’aglio tagliati a pezzetti.

Al momento opportuno aggiungete le patate, mescolate, e quindi la zucca e lo zenzero.

Lasciate appena saltare il tutto, insaporendo con il pepe nero, e dopo qualche minuto versate acqua tiepida coprendo appena le verdure.

Aggiungete anche il brodo vegetale e lasciate cuocere coperto ca 20 minuti.

Quando è cotto, aggiustate di sale (o con altro brodo vegetale).

Macinate direttamente nella pentola il pepe di Sechuan e completate con la curcuma.

Omogeneizzate con il mixer aggiungendo a filo dell’olio extravergine.

Completate con un giro d’olio al peperoncino direttamente nel piatto.

Servite caldissimo con crostini all’aglio o alla cipolla.

Di solito la accompagno con gli straccetti di chianina.

 

 




Il gelato di Schiavone

Con questa preparazione ho cercato di riprodurre il mitico gelato di Schiavone, un artigiano gelataio di Fontane Bianche, la spiaggia vicino Siracusa. Mitico il gelato e mitico Schiavone, che ne produceva pochissimo ogni giorno, e lo vendeva nelle ore più torride dei pomeriggi di agosto, che nella Sicilia del sud sono di per sé un’iperbole calda…

Verso le 15 bisognava mettersi in fila, al sole, sulla strada provinciale dove si apriva la sua bottega, per sperare di conquistarne una vaschetta… e non sempre ci si riusciva!

Bisognava poi precipitarsi a casa schivando macchine, motorini e polvere e affrettarsi a mangiarlo prima che con quel caldo letteralmente si vaporizzasse.

Ma che risate, e che gioia quando si usciva vittoriosi da quel calvario torrido, e che meraviglia tuffare il cucchiaio e leccare le gocce dense che cadevano dagli angoli della bocca…

E quando chiesi al mitico Schiavone per quale motivo ne preparasse sempre così poco (vero è che le mandorle se le tostava da sé, con un antico macinino di ferro, e sempre lì in quel buco di laboratorio, e sempre agosto era…) mi rispose che lui lavorava per vivere, mica voleva vivere per lavorare, perciò produceva quello che gli era sufficiente per campare discretamente, ma nemmeno un grammo di più. Dopo, nel pomeriggio, voleva andare al mare, mi disse.

È rimasto dentro di noi, puro godimento, con il suo gelato e la sua filosofia…

300 gr di mandorle con la pelle

3 tuorli d’uovo

75 gr di zucchero

75 gr di acqua

250 gr di panna fresca montata ma non del tutto

 

Tostare le mandorle in un padellino antiaderente e appena sono calde cospargetele di zucchero semolato. A poco a poco lo zucchero si scioglierà e rivestirà le mandorle, a questo punto spegnete e lasciatele freddare.

In una casseruola versate lo zucchero e l’acqua senza mescolare (questo è fondamentale!), ponete sul fuoco e portate a ebollizione. Spegnete senza mai toccare lo sciroppo.

In una ciotola versate i tuorli e cominciate a montarli con la frusta versando a filo (non tutto insieme altrimenti si cuociono!) lo sciroppo ancora caldissimo preparato prima. Montare molto bene.

Unite adesso le mandorle fredde e la panna semimontata, mescolando con delicatezza.

Rivestite uno stampo da plum-cake con la pellicola, versate il composto e mettete in freezer fino al giorno dopo. Non abbiate fretta.

Quando sarà il momento di sformarlo, rivestitelo con la salsa al cioccolato che trovate in coda.

 

Piccola Storia triste

Un brutto giorno Schiavone non aprì più il suo laboratorio, un silenzio irreale cadde su quella stradina che costeggiava la Provinciale… persone vagarono attonite senza sapere cosa fare dei propri corpi in quel caldo atroce, lacrime evaporarono da guance sbigottite… ci guardavamo muti e infelici, nelle narici il ricordo dell’odore di mandorle tostate ci riportava ancora all’estate precedente… ma cosa era successo? Nessuno sapeva spiegarselo.

Un giorno lo vidi, Schiavone, che dietro la serranda di quel piccolo antro aperta a metà riponeva nervosamente le sue poche attrezzature. Dentro il bugigattolo, il cilindro di ferro in cui arrostiva le mandorle zuccherate era fermo, e l’aria sembrava addirittura fredda, senza quel fuoco odoroso a scaldarla. Mi feci coraggio, era sempre stato un po’ scontroso, e affacciandomi, chinata sotto la serranda, gli chiesi perché mai ci avesse abbandonato così. Mi guardò, tutto storto e secco com’era, e mi raccontò che la moglie era scappata con un altro, e che lui allora voleva diventare nullatenente perché altrimenti avrebbe anche dovuto passarle gli alimenti, mentre lei se la spassava con “chiddu”…

Fu così che una storia d’amore pose fine a una poesia.

Salsa di cioccolato all’acqua

250 gr di acqua

100 gr di cioccolato fondente (consiglio sempre il Nero Perugina, imbattibile)

50 gr di zucchero

un pizzichino di sale

caffè solubile mezzo cucchiaino, oppure del normale espresso

Sciogliete il cioccolato nell’acqua con lo zucchero e lasciate bollire a lungo, finché non diventa (appunto) cremoso come una salsa.

A piacere aggiungete il caffè, a poco a poco, assaggiando…

È una poesia. E così abbiamo salvato la storia triste di Schiavone.

 




Pasta ‘ncaciata

I miei parenti provenivano da luoghi diversi della Sicilia, mio padre da Catania, mia madre da Siracusa, le sorelle del mio nonno materno, le fate anziane con le quali sono cresciuta, da San Cataldo, in provincia di Caltanissetta.
Molti, molti anni dopo la scomparsa di queste zie, una delle quali, quella che mi preparava questa pasta, amavo in modo particolare, mia figlia è stata salvata da un neurochirurgo che è nato, più di 60 anni fa, proprio a San Cataldo… i percorsi assurdi della vita hanno portato lui e il paesino di San Cataldo a entrare così, nuovamente, nel mio cuore.
Amo questo piatto, mi ricorda l’infanzia, e anche se non somiglia affatto alla “pasta ‘ncasciata” o “‘ncaciata” che di solito si trova sui libri di cucina siciliana, questo è il nome che ho imparato e voglio conservare.La Sicilia è un mondo. Di ogni piatto esistono mille variazioni, da provincia a provincia, da città a città, addirittura da paesino a paesino, così che per noi, siciliani nel mondo, ogni versione custodisce l’eco di un affetto.

 

Così la preparo io, e così piace ai miei, che sono sempre contentissimi di mangiarla…

Per 4 persone

1/2 kg di maglie siciliane Libera Terra (o altra pasta simile)
1 grosso cavolfiore viola (quasi introvabile al Nord, quindi io uso spesso quello verde a punta, romano, che non è la stessa cosa… ma rimane comunque accettabile)
1 spicchio di aglio
3 acciughe sotto sale
2 manciate di pinoli
2 manciate di uvetta
1/2 bicchiere di vino rosso

Poco caciocavallo o provolone piccante tagliato a piccoli cubetti pecorino e parmigiano grattugiati
pepe nero

 

– Cuocio il cavolfiore a vapore dopo averlo diviso in cimette, lasciandolo al dente. Conservo l’acqua che resta sul fondo della pentola.
– Metto a bagno l’uvetta nel vino.
– In una larga padella faccio dorare nell’olio lo spicchio d’aglio incamiciato e schiacciato, poi aggiungo le acciughe sciacquate e diliscate e lascio che si disfino. Quindi aggiungo le cimette di cavolfiore. Verso nella padella il vino rosso in cui avevo ammollato l’uvetta e faccio evaporare.
– Alzo il fuoco e mescolo velocemente facendolo quasi abbrustolire. Quando il cavolfiore si è scurito ed è quasi spappolato, aggiungo i pinoli e l’uvetta strizzata e continuo a rimestare a fuoco sempre vivace finché anche i pinoli sono dorati e il cavolfiore è asciutto e ben brunito.
– A questo punto cuocio la pasta nell’acqua profumata di cavolfiore (allungata e salata), la scolo e la verso nella padellona facendola saltare a lungo, finché non è rivestita ben bene dal condimento. Man mano spolvero di pecorino (che si legherà alla verdura avvolgendo la pasta), e di parmigiano.

– La pasta deve avere un aspetto abbrustolito ma non secco, morbido ma assolutamente NON pallido e umidiccio.
– E per finire, pepe nero abbondante.

 




La cassata di Pasqua in Sicilia

La cassata, il dolce più amato, nacque nella Palermo del periodo arabo, in quella che nell’XI secolo era la città più grande d’Europa. Si racconta che una notte la moglie di un pastore, piena di languore guardando la luna che si arrampicava nel cielo, ebbe l’ispirazione di mescolare la ricotta di pecora con lo zucchero o il miele. Chiamò questo dolce quas’at(“bacinella”), dal nome della ciotola in cui era contenuto l’impasto. In seguito i cuochi dell’Emiro, nella sua corte in piazza della Kalsa, decisero di avvolgere l’impasto in una sfoglia di pasta frolla da cuocere poi in forno. Nacque così la cassata al forno, la più antica delle versioni di questo dolce.

Nel periodo normanno, intorno alla fine del 1100, nel convento della Martorana di Palermo le suore crearono poi la pasta reale, un impasto dolcissimo fatto di farina di mandorle e zucchero che sostituì la pasta frolla come involucro. Si passò così dalla cassata al forno a quella a freddo. Ma non finisce qui. Anche gli spagnoli introdussero novità – come il cioccolato e il Pan di Spagna, chiamato così proprio per le sue origini – che entrarono a far parte della ricetta.

La cassata, come dolce di Pasqua, era dunque già una realtà nel 1575, quando il sinodo della diocesi di Mazara del Vallo la proclamò pietanza ufficiale della festa, vietando ai vari ordini monacali di prepararla durante il periodo che precedeva la festa religiosa, per non incorrere in tentazione. Un proverbio recita “Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua” (“Meschino è chi non mangia cassata la mattina di Pasqua”).

È con il barocco che si completa il capolavoro, la ricchezza degli stucchi che abbellivano la Sicilia si rifletté sulla cassata con le sontuose decorazioni di frutti canditi, un’esplosione di opulenza e sfarzo che diedero a questo dolce l’aspetto che noi tutti oggi conosciamo.

Tuttavia, ancora nel 1853, come testimonia il Nuovo dizionario siciliano-italiano di Vincenzo Mortillaro, per “cassata” si intendeva prevalentemente quella al forno, mentre quella ricoperta di glassa e decori di frutta candita si affermerà del tutto solo a partire dalla fine del XIX secolo. Quella che oggi conosciamo fu infatti “codificata” nel 1873 dal pasticciere palermitano Salvatore Gulì, che  introdusse nella ricetta la “zuccata”, coltivata dalle abili suore della Badia del Cancelliere di Palermo.

La cassata è arrivata fino a noi attraverso secoli e dominazioni, ed è finalmente riconosciuta come Prodotto Tipico Siciliano e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T.) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, su proposta della Regione Siciliana.

CASSATA SICILIANA AL FORNO

Perfetta per il pranzo di Pasqua perché si prepara il giorno prima.

La amo svisceratamente, insieme a quella classica, meraviglia degli occhi (e della gola)!

S prepara velocemente, è buona da morire, resiste alcuni giorni in frigo e si mangia a pranzo, a cena, a colazione, con il the, in piena notte… e, al dunque, il suo ripieno di ricotta non è nemmeno così calorico…

La frolla l’ho fatta con lo strutto, che la rende friabile e leggera:

L’involucro
400 g di farina
200 g di strutto
200 g di zucchero (lo Zefiro è meglio, oppure passare lo zucchero al Bimby per circa 1 minuto)
4 tuorli
poca scorza di limone (ne ho usate circa 2 strisce, tagliate prima con il pelapatate e poi tritate finemente)
1 pizzico di sale

Impastare velocemente il tutto e mettere in frigo almeno mezz’ora, meglio una notte.

Il ripieno

ca 1 kg di ricotta di pecora (… una parte se ne andrà con gli “assaggi”, a ogni passaggio di figli o compagni in cucina…) da lasciare a perdere acqua su un colino, in frigo, dal giorno prima. zucchero (Zefiro) qb (200 g circa o più, aggiustate secondo il vostro gusto)
zucchero vanigliato confezionato o home made (qui) circa 1/2 cucchiaio
100 gr di cioccolato fondente al 70%
scorze candite di arancia qb

– La dose dello zucchero è orientativa perché il mio consiglio è quello di assaggiare! assaggiare!! assaggiare!!! man mano che lavorate la ricotta con una forchetta o con una paletta semirigida incorporando lo zucchero Zefiro e poi lo zucchero vanigliato.
– Ricordate di NON frullare mai la ricotta perché diventerebbe semi-liquida perdendo consistenza. Dovete incorporare lo zucchero poco a poco, fino a raggiungere il sapore che gradite.
– Fatto questo, spezzettate (sempre senza frullatore!) il cioccolato (l’ho messo tra due fogli di carta-forno e preso a martellate…) e tagliuzzate le scorzette in cubetti; aggiungere il tutto alla ricotta mescolando poco e delicatamente, altrimenti il cioccolato la annerirà.

Imburrate una teglia rotonda del tipo a cerniera e coprite il fondo con un cerchio di carta da forno ritagliato a misura.  Infarinate i bordi.

Stendete la pasta in modo tale da ottenere due dischi, adagiate il disco più grande nella teglia lasciando che la pasta sbordi, e riempite con la ricotta. Ripiegate i bordi di pasta adagiandoli sul ripieno, spennellateli con un tuorlo d’uovo mescolato a pochissimo latte e ricoprite con l’altro disco di pasta premendolo delicatamente affinché aderisca perfettamente.

In questo modo, grazie al disco di carta forno, una volta cotta (e raffreddata) potrete sistemarla capovolta sul piatto da portata, e spolverarla di abbondante zucchero al velo.

In alternativa, con i rimasugli di pasta modellate delle roselline, alcune palline e foglioline e sistematele al centro della cassata.

Spennellate tutta la crostata, in ogni caso, con il tuorlo misto a latte.

Infornate a 180° fino a doratura omogenea (circa 45′ nel mio forno).

Riponete in frigo e lasciatela riposare fino all’indomani (se resistete).

 

 




I calzoni catanesi

RICETTA

La preparazione che vi propongo oggi è quella dei Calzoni della rosticceria catanese, perché per me la tipica pasta brioche siciliana non ha uguali al mondo. Provatela, è soffice, con una punta appena di dolcezza che riequilibra il gusto del ripieno stuzzicante e sapido. La sua realizzazione non è difficile, non preoccupatevi, avrete solo bisogno di un po’ di tempo, magari una domenica di pioggia, o un lungo e noioso pomeriggio d’estate.

I Calzoni

della rosticceria siciliana

Per realizzare gli impasti lievitati utilizzo il Bimby, secondo me insuperabile, ma naturalmente va bene sia una planetaria che la normale procedura manuale.

per il lievitino:

100 gr di farina 00
100 gr di acqua tiepida
1 cucchiaino di zucchero
12 gr (mezzo cubetto) di lievito di birra fresco
mescolare in una ciotola capiente il lievito, l’acqua e lo zucchero (nel Bimby vel. 2 per pochi secondi) finché il lievito si scioglie.

Aggiungere la farina e amalgamare bene (se a mano, usate la frusta) facendo attenzione a non lasciare grumi. (nel Bimby, a vel. 3 per ca. 30”).

Coprire e lasciare raddoppiare in luogo caldo (circa 1 ora).

per completare l’impasto:

Aggiungere (direttamente nella ciotola del lievitino o nel boccale del Bimby):

400 gr di farina Manitoba
150 gr di acqua tiepida
50 gr di strutto
50 gr di zucchero
10 gr di sale

Impastare bene (nel Bimby 5 minuti a vel. Spiga).

Se procedete a mano, meglio ammorbidire prima lo strutto nei 150 gr di acqua tiepida a cui avrete aggiunto anche il sale e lo zucchero.

Coprite e lasciate di nuovo raddoppiare il tutto (circa un’ora, ma dipende dalla temperatura ambiente).

A questo punto rovesciate l’impasto su un piano infarinato e lavorate a mano per un paio di minuti (è la parte più divertente).

E’ il momento di fare alcune “pieghe”, indispensabili per lo sviluppo del glutine: appiattite l’impasto con i palmi dandogli forma di rettangolo, quindi portate circa un terzo del rettangolo verso il centro e copritelo con la parte rimasta scoperta. Ripetete almeno un paio di volte, impastando nuovamente tra l’una e l’altra piegatura.

Dopo le piegature, appiattite a cerchio l’impasto e afferrate con due o tre dita un punto del bordo portandolo verso il centro. Continuate così, come fosse una girandola, per punti successivi, fino a completare la circonferenza. Avrete ottenuto così una palla.

Appiattitela e ripetete questo procedimento un paio di volte, ogni volta lavorando bene l’impasto tra l’una e l’altra “piegatura”. Sono passaggi importanti, rendono il risultato finale soffice e arioso.

Lasciate riposare ancora, coperto e al caldo, fino al raddoppio.

Porzionate la pasta (utilizzate la bilancia per ottenere pezzature regolari) tagliandola in pezzi da 80 gr  per calzoni grandi, oppure in pezzi da 40/50 gr per i calzoncini mignon.

I pezzi dovranno essere appiattiti e allargati con le mani, e rilavorati nuovamente portando i bordi verso il centro (come la girandola di poco prima) fino a ottenere delle piccole sfere.
Le pallotte così ottenute vanno spolverate di farina e coperte con pellicola fino al raddoppio.

 

Nell’attesa preparate il ripieno tritando gli ingredienti. Ve ne suggerisco alcuni, ma non voglio mettere limiti alla fantasia:

 

– formaggio (caciotta o mozzarella), prosciutto cotto e salsa di pomodoro (e se vi piace,  origano)

– mortadella e mozzarella

– melanzane fritte, sugo di pomodoro e uovo sodo

– cipolline brasate

– salsiccia arrosto e broccoletti ripassati (alla romana, stufati in padella con aglio e peperoncino)

– cavolfiore ripassato in padella con uvetta, pinoli e pecorino e completato da pezzetti di provolone piccante

 

Insomma, sbizzarritevi come volete!

Attenzione: lasciate raffreddare bene i ripieni cotti, se utilizzati troppo caldi potrebbero rompere la pasta.

Se utilizzate mozzarella, dopo averla tagliata lasciatela a scolare alcune ore su un colino (in frigo).

 

Una volta che le pallotte avranno raddoppiato le loro dimensioni, prendetene una e allargatela con le mani fino a ottenere un cerchio (NO matterello, rovinereste tutto il lavoro fatto finora per dare aria all’impasto!)

Farcite e chiudete a metà ogni panzerotto pizzicando i bordi dopo averli inumiditi con acqua per sigillarli meglio.

Quando avrete farcito tutti i panzerotti lasciateli lievitare infarinati e coperti finché non li vedrete ben gonfi.

Friggeteli poi in olio di semi di arachide o di girasole.

Sono davvero squisiti, soffici soffici proprio come quelli che ricordo!

 

La ricetta che vi proporrò la prossima volta sarà quella della CASSATA SICILIANA AL FORNO, perfetta per il pranzo di Pasqua (anche comoda, si prepara il giorno prima).