Da Trani a Fasano: Maria Teresa Stella e le altre

Il 4 giugno 2011 l’Amministrazione comunale di Fasano (BR), nei festeggiamenti del 150° dell’Unità d’Italia, scopre la targa in marmo di notevoli dimensioni, in memoria di Anna Teresa Stella, eroina fasanese:

Il 27 aprile 1799 qui cadde barbaramente assassinata dalla canaglia reazionaria borbonica

Anna Teresa Stella

creatura eccelsa glorioso vessillo di libertà e giustizia sociale

1. Fasano. Targa in memoria di Anna Teresa Stella

Anna Teresa Stella, originaria di Trani, diventa cittadina di Fasano dopo il matrimonio con il possidente fasanese Lorenzo Goffredi: da Trani a Fasano sono solo 100 chilometri ed entrambe le cittadine si affacciano sul mare Adriatico. 

Per capire cosa sia successo e il perché di questa dedica così particolare bisogna andare indietro nel tempo. 

Siamo nel 1799. Il 21 gennaio, a Napoli capitale del Regno, viene dichiarata la Repubblica napoletana. Re Ferdinando e Regina Carolina sono già fuggiti a Palermo il mese prima con il tesoro della corona, e a Napoli viene piantato dalle truppe francesi l’albero della libertà con la sua portata di idee giacobine. Per diffondere i nuovi ideali repubblicani e gli avvenimenti del nuovo corso esce, il 2 febbraio, il primo numero del “Monitore Napoletano”, periodico bisettimanale, di cui è direttrice Eleonora De Fonseca Pimentel, patriota, politica e giornalista.

Nel contempo, a Fasano, Anna Teresa, di idee repubblicane si distingue per leggere in pubblico le lettere dei liberali napoletani. Le legge in piazza, nel luogo dove è stata posta la targa, la stessa piazza che prenderà il nome di Ignazio Ciaia, anche lui fasanese, anche lui patriota, che fu membro nel primo governo provvisorio repubblicano del 1799.

Anna Teresa, con le letture pubbliche, anima la lotta per la libertà, la fraternità, l’uguaglianza, argomenti rivolti più alle persone colte con alti ideali che al popolo contadino, sempre più spremuto, non da ultimo, proprio dalle truppe francesi che pretendono quanto necessita al loro sostentamento. Non si tratta solo di cibo: le truppe si lasciano andare a saccheggi quale “incasso” per la loro prestazione di guerra. D’altronde, Bonaparte per primo ha spogliato palazzi, ville, conventi di opere d’arte, stature, obelischi e pezzi di pareti affrescate che hanno preso la strada di Parigi durante le campagne d’Italia.

I francesi, dunque, sono sì portatori di un nuovo modo di pensare, ma anche di vecchi comportamenti predatori. Quando partono e viene meno un presidio armato in difesa delle nuove idee, Anna Teresa viene catturata e imprigionata. È vedova, e questo molto probabilmente fa la differenza per la crudeltà usatale. Con il consenso delle autorità, il 27 aprile 1799 un gruppo di popolani a lei ostili, aizzati da un giacobino rinnegato, Cataldo De Santis, la preleva dalla cella, la espone alla berlina su di un asino. Viene ripetutamente frustata e poi fucilata nel luogo dove leggeva le lettere. Come se non bastasse, viene decapitata con un coltellaccio. Il cadavere, trascinato per le strade, è fatto selvaggiamente a pezzi e sparso, come monito ai cittadini di idee liberali. 

Il tutto sotto alla statua della Madonna del Pozzo.

È così che a distanza di 212 anni, il Comune di Fasano onora ancora una volta la concittadina che a pieno titolo dovrebbe essere inserita nei testi di storia adottati nelle scuole, insieme a tanti patrioti e patriote che hanno lottato per l’unità d’Italia. 

Anna Teresa Stella ha una strada dedicata sia a Fasano che a Trani (foto di copertina). 

2. Fasano. Via Stella

Nello stradario di quest’ultima cittadina sono presenti tre strade intitolate a donne collegate all’azione predatoria delle truppe francesi e agli avvenimenti del 1° aprile 1799.

Negli anni 1940-1950, il Comune intitola queste tre strade che da via Statuti Marittimi, al porto, vanno verso il centro per ricordare nella toponomastica tranese alcuni nomi di eroine protagoniste di vari episodi luminosi di dignità e sacrificio verificatisi durante i tragici avvenimenti del 1799, quando le truppe francesi comandate dal generale Broussier misero Trani a ferro e fuoco, portando morte e danni ingenti. 

Si tratta di via Felicia Nigretti, vico Maria Ciardi e via Vincenza Fabiano: tre donne che nella loro possibilità di scelta, se così si può dire, tra l’essere preda dei soldati o il sottrarsi all’aggressione a tutti i costi, hanno optato per quest’ultima, gettandosi nelle acque del porto, in un pozzo o in una cisterna trovandovi la morte.

3. Trani. Vico Maria Ciardi

Un’altra intitolazione toponomastica attira l’attenzione, stavolta a Molfetta: via Rosa Picca. Siamo duecentosettanta anni prima del 1799 di Trani, ma troviamo ancora i soldati francesi in azione.

Rosa Picca ha anche una targa a suo nome, posta dal Municipio: A Rosa Picca, che nel sacco di Molfetta presa d’assalto da’ francesi a 18 luglio del 1529 fuggì la violenza d’un soldato precipitandosi volontaria dal tetto di sua casa, il Municipio pose questa memoria nel 1890 per onorare il nome dell’eroica donna a cui più della vita fu cara la pudicizia.

Una storia, forse, come tante altre che la Puglia, però, non ha voluto dimenticare.

4. Molfetta. Via Rosa Picca




Ricordi di levatrici nel Veneto. La savia co-madre che allevia gli affanni del parto

Tra le intitolazioni toponomastiche femminili dei comuni, la figura delle levatrici con condotta, riceve riconoscimento e ricordo. È una figura sociale importante quella della levatrice, tra le più antiche della storia, il cui ruolo e considerazione ha sofferto nel tempo fasi alterne. 

Nell’XI secolo la levatrice diventa la specialista della gravidanza, la sapiente, sia riguardo a gestazioni complesse che a parti difficili. 

In epoca tardo medievale, nel periodo della caccia alle streghe per intenderci, si apre una fase oscura della storia dell’ostetricia e di persecuzioni, mentre nel periodo rinascimentale gli uomini iniziano a manifestare un interesse verso lo studio dell’anatomia femminile. Con il XVII secolo, il genere maschile entra ufficialmente nell’ambito dell’assistenza alla gravidanza e al parto che cessano così di essere considerati eventi sociali trasformandosi in questioni mediche, dove gli uomini insegnano alle donne l’arte dei parti, soppiantando ufficialmente la sapienza femminile.

È in questo periodo che la Repubblica di Venezia dà rilievo professionale alla categoria delle sue mammane, tanto da essere annesse al Collegio dei medici, a condizione che sostengano con esito positivo un esame di idoneità davanti a un medico del Magistrato della Sanità e a due levatrici esperte e riconosciute. Successivamente viene imposta anche la partecipazione a lezioni teoriche e pratiche e lo studio, come primo testo, del libro La commare o raccoglitrice, del medico Scipione Mercurio. Altri testi apparvero successivamente, nei quali non solo di questioni mediche si trattava, ma di un complesso di comportamenti e azioni che le commari-levatrici dovevano adottare sulla scorta del prontuario dell’arte ostetrica.

Oltre alle professioniste levatrici-ostetriche che superano l’esame, esistono le levatrici di fatto, donne che con conoscenza ed esperienza aiutano e assistono a partorire altre donne. Esiste a questo proposito una illuminante pubblicazione dal titolo Le levatrici a Battaglia dal XVII al XIX secolo, in cui l’autore, Luciano Donato, individua i nomi di 211 levatrici nei registri della parrocchia di Battaglia (PD), dal 24.11.1607 al 12.8.1871, donne che hanno dato assistenza a un solo parto, a due parti, fino al record di 948 parti nel periodo tra il 1846 e il 1871 raggiunto da Adelaide Simonetto. 

Esistono pertanto le levatrici autorizzate e quelle tollerate come Anna Pauletti Rech, nata il 25 marzo 1831, che a Pedavena (BL) aveva imparato ad assistere le partorienti da Corona Spada, altra mammana tollerata. Anna emigrerà con la famiglia nel 1876 in Brasile, dove metterà la sua sapienza a servizio delle donne emigranti, restando spesso lontana da casa per giorni per i parti più impegnativi. La zona dell’insediamento della sua comunità, nel Rio Grande do Sul, prenderà il suo nome. Il comune di Pedavena la ricorda con l’intitolazione di una scuola elementare e il comune di Seren del Grappa con un vicolo.

Foto 1. Seren del Grappa

Le levatrici vengono ricordate con molto affetto e stima dalla cittadinanza. Non di rado si trovano dipendenti comunali, quando telefoniamo per avere informazioni e dati sulle loro vite, che si ricordano di loro e a volte dicono: “mi ha fatto nascere!” con un senso di orgoglio.

Foto 2. Loria

Tra le levatrici ricordate nel nord-est c’è Maria Fontana a Loria (TV), classe 1885 che ha vissuto fino al 1970, Regina Moro, classe 1896 che ha lavorato a Curtarolo, Onorina Scanferla, classe 1912, vissuta a Bagnoli di Sopra, Nella Rezza, classe 1916 vissuta a Limena, comuni nella provincia di Padova. 

Foto 3. Curtarolo

Tra le curiosità troviamo che Onorina Scanferla e Nella Rezza hanno partecipato allo stesso concorso per il posto di ostetrica condotta per la provincia di Padova il 28 febbraio 1941 e Nella Rezza piazzandosi 5ª in graduatoria vince la condotta di Limena dove svolgerà la sua attività, mentre Onorina, pur piazzandosi 10ª non vince la condotta. Avrà la condotta di Bagnoli di Sopra.

Foto 4. Limena

Foto 5. Bagnoli di Sopra

Sempre in questa provincia, il comune di Sant’Angelo di Piove di Sacco intitola nel 1998 una via alla Cavalier* Maria Artusi, classe 1902, da poco scomparsa, per la professione svolta per oltre 40 anni di ostetrica nel comune e per i valori sempre dimostrati nella sua attività di solidarietà e assistenza alle partorienti, con il suo agire e la sua vita è entrata nel patrimonio della memoria collettiva come viene attestato dalla delibera di intitolazione della via.

Foto 6. Sant’Angelo di Piove di Sacco

Tutte le levatrici fin qui ricordate hanno vissuto lungamente e tra i motivi che possono contribuire a ciò si ritiene sia la soddisfazione nel proprio operato. Eloquente è quanto ha dichiarato in una recente intervista di Giusi Fasano a Maria Pollacci, classe 1924, vivente a Pedavena, 

«se voi aveste idea di quanto sia stupendo quello che faccio quando assisto un bambino che viene alla luce, sapreste come so io che la mia è una missione, che quando sono lì davanti a un esserino che sta nascendo non sto lavorando. Sto amando. Ci vuole amore, passione, professionalità. Non mi è mai morto un bambino e ormai, con la pratica che ho, capisco subito se è il caso di andare in ospedale, come ogni tanto succede» (articolo pubblicato il 9.2.2017 da Corriere.it). 

Sì, perché l’ostetrica del bellunese dal 3.9.1945 al 13.01.2017 ha fatto nascere 7642 tra bambine e bambini.

Ma ha anche un’altra particolarità Maria Pollacci, nel 1961 fece nascere un bambino, chiamata dal circo appena arrivato in paese a Cles, e con il neonato in braccio scortata dal domatore, lo presentò al pubblico dalla gabbia dei leoni, come fosse una cosa normale, riscuotendo un lungo applauso.

Ma la levatrice non assiste solo al parto, accompagna la donna in gravidanza, insegna alla puerpera come maneggiare la nuova creatura venuta al mondo, dà consigli igienici e sanitari, indicazioni su cosa mangiare, sul riposo, consola e rincuora, segue nella crescita chi ha aiutato venire alla luce. 

Così si hanno delle caratterizzazioni di levatrici come Elodia Cecuta levatrice del comune di Marano Lagunare (UD), paese di pescatori molto carino da visitare, che entrata nella storia del paese, non solo con l’intitolazione di una via, ma la si ricorda anche nel sito del comune http://www.comune.maranolagunare.ud.it/index.php?id=14345&L=0 nella pagina dedicata in dialetto a “Le Done Maranese” dove Bruno Rossetto racconta di quando era piccolo e aveva bisogno di fare delle punture “ricostituenti”, punture che gli faceva regolarmente Sora Ludia e al momento di pagare la prestazione con i soldi che la mamma gli aveva dato, Elodia Cecuta diceva al bambino “benedetto figlio, va a casa e salutami tanto tua madre!”. Nel periodo del fascismo, l’importanza sociale che Elodia aveva per la professione svolta, era vista con fastidio. È morta povera, anche se le donne del posto la ricordano signora perché ha aiutato tutte e tutti. Le donne che l’hanno conosciuta, ogni volta che leggono il suo nome segnato sulla strada oltre le saline, pensano che il Comune abbia scelto una strada larga e grande, così com’era largo e grande il suo cuore.

Foto 7. Marano Lagunare

Come non ricordare, a questo punto, il film di Luigi Comencini del 1953 Pane, amore e fantasia con la figura di Annarella, la levatrice che, nell’immediato dopoguerra, quando ancora il parto avveniva in casa, ha una condotta che non finisce mai, rispettata e stimata nel paese del centro Italia?

A comprova di quanto le levatrici siano parte del tessuto sociale e della storia dei luoghi, almeno fino a quando si partoriva regolarmente in casa, sono gli articoli di giornale sulla scomparsa dell’ultima levatrice del paese come Flora Mucchietto, spentasi il 22 agosto 2014 all’età di 92 anni che ha fatto nascere centinaia di bambine e bambini tra Montegaldella, Grisignano di Zocco e Cervarese, nota anche per la sua trattoria a conduzione familiare, o Genoveffa Girardi, levatrice comunale di Santa Lucia di Piave per 31 anni, deceduta nel 2015 a 91 anni, amata da tutto il paese che ha fatto nascere anche l’ex sindaco. È stata un vero punto di riferimento in un periodo di trasformazione del territorio da società prevalentemente agricola a sviluppata industrialmente, a ridosso dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale avvenuta nel 1978.

O ancora Alia De Nardo, morta a Tricesimo (UD) il 4.9.2017 a 101 anni, i cui tre figli erano cresciuti vedendola uscire di casa a tutte le ore, con la valigetta nera piena di ferri misteriosi, e avevano imparato a riconoscere nella luce dei suoi occhi, al rientro, la meraviglia della vita. Levatrice del paese, importante quanto il sindaco o il parroco, Alia De Nardo ha lavorato a San Vito, Pozzuolo, Treppo Carnico e Ligosullo.

L’affetto che i territori esprimono nei confronti delle levatrici è la testimonianza della legittimazione sociale verso chi ha svolto questa professione con tanta competenza, costanza, passione e dedizione, in un passato improntato alla socialità, quando ancora si partoriva tra le mura domestiche, rispetto all’attuale sopravvenuta esasperata medicalizzazione degli eventi quali la gestazione, la nascita e il puerperio che, se da una parte garantisce il minor tasso di rischio, dall’altra estranea dal contesto sociale di cura gli eventi. 




Venezia – A Cà Rezzonico in mostra i nudi di Giulia Lama

In uno dei più famosi palazzi veneziani, Cà Rezzonico, martedì 23 maggio, si è svolta la Conferenza inaugurale della mostra dal titolo Giulia Lama. Nudi. 

Nello splendido salone da ballo gremito di persone, Vittoria Surian, presidente dell’associazione culturale Eidos Venezia e artefice del progetto …Eppur ci sono! Tre donne intorno al… Settecento veneziano: Luisa, Giulia, Maddalena, ha spiegato come questo progetto intenda dare risalto al lavoro di donne che, inserendosi nell’ambiente culturale del tempo, hanno onorato nei secoli le Arti a Venezia, e ad alcune di queste donne, ma noi sappiamo che sono molte, dice ancora Vittoria Surian, l’associazione intende prestare attenzione insieme a tutte le persone che vogliono collaborare, poiché nonostante la raggiunta uguaglianza giuridica tra i sessi, si è ancora molto lontani dal conoscere ciò che le donne sapienti hanno fatto, detto, scritto, dipinto, musicato. Lo scopo è che questo sapere venga analizzato, studiato, approfondito per dare soprattutto ai giovani e alle giovani quella base culturale indispensabile per costruire il futuro. Per questo, chiediamo che in questo museo venga colmata l’assenza delle artiste, dice ancora Surian, che così presenta al pubblico, in chiave di politica pubblica da perseguire, il suo Manifesto per la presenza delle artiste nei Musei.

La Conferenza inaugurale, con Mariacristina Gribaudi, presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia, Alberto Craievich che ha curato anche la mostra e Daniele D’Anza, vede la presentazione di un’artista completa, Giulia Lama, nata il 1° ottobre 1681, con aspetti ancora da scoprire.

Foto 1. Sala degli Arazzi

Giulia è figlia d’arte – il padre Agostino era pittore, mercante d’arte e perito – e ha uno stile autonomo rispetto agli altri pittori contemporanei, dipinge con carattere e toni chiaroscuri forti. Oltre a dipingere ritratti, le vengono commissionati quadri a carattere religioso per Santa Maria dei Miracoli e per la scuola di San Teodoro, le viene commissionata inoltre la pala per l’altare maggiore di Santa Maria Formosa e molte altre opere. Commissioni che infastidiscono gli altri pittori che la vedono una concorrente, anche se non fu mai iscritta alla Fraglia veneziana, suscitando invidie e maldicenze, tanto da far scrivere all’abate Antonio Conti: “La povera donna è perseguitata dai pittori ma la sua virtù trionfa sui suoi nemici”. Giulia, che vive nello stesso periodo della più famosa pittrice Rosalba Carriera, si cimenta anche nella miniatura con ottimi risultati. 

Quelli in mostra nella Sala degli Arazzi di Cà Rezzonico, sono dodici splendidi studi di nudo tratti dal vero realizzati dall’artista e sono parte di una più ampia raccolta di sue opere grafiche, appartenenti al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe del Museo Correr. Sono corpi nudi studiati, analizzati, interiorizzati, restituiti sulla carta da disegno con il tratto in gessetto rosso o nero, con lumeggiature di gesso bianco, che esprimono vitalità e forza. Osservarli non lascia indifferente. 

E’ un’occasione da non perdere questa mostra, che sarà visitabile fino al 3 settembre, perché i disegni, patendo l’esposizione alla luce, possono essere messi in mostra solo ogni cinque anni. 

Ma Giulia Lama, oltre ad essere pittrice e aver studiato matematica, è anche poeta e la troviamo inserita nella raccolta di Luisa Bergalli del 1726, Componimenti poetici delle più illustri rimatrici di ogni secolo; è inoltre una ricamatrice eccellente con i cui proventi, oltre a quelli della pittura, si mantiene facendo vita ritiratissima. 

La presenza di Giulia Lama nella toponomastica si attesta nel comune di Napoli che, dimostrando rara attenzione all’arte “oltre confini”, le intitola una via nel 2014.

Intitolazione a Napoli. Foto di Giuliana Cacciapuoti

Oltre a Giulia Lama, spentasi il 7 ottobre 1747, questo progetto prevede, il 12 giugno, la presentazione di Luisa Bergalli, scrittrice e poeta, e Maddalena Lombardini, compositrice di fine Settecento. In questa occasione la musicista Paola Pezzolo dirigerà un trio di violini su musiche composte da Maddalena Lombardini, della quale quest’anno ricorre il bicentenario della morte.

Alla mostra Eidos ha abbinato la stampa del catalogo dei nudi in mostra nella Collezione Artemisia in cinquecento copie. 

Per informazioni: http://carezzonico.visitmuve.it/category/it/mostre/mostre-in-corso/




Reti e collaborazioni di marzo nel Nord-Est

Il forte legame di Toponomastica femminile con il territorio trova tanti punti di incontro con le varie associazioni attive per fare cultura, spesso cultura delle pari opportunità, che ancora manca. Nel mese di marzo appena concluso ci siamo trovate a sperimentare nuove collaborazioni.

In un contesto inusuale e specifico come quello degli oronimi bellunesi e del dizionario storico friulano, tra le pareti della Sala Nievo dell’Università di Padova, il sei marzo abbiamo portato i nostri studi sulle presenze femminili soprattutto delle città e, tra appassionate linguiste e linguisti, nel convegno organizzato da Ester Casoni della Fondazione Angelini – Centro studi sulla montagna, abbiamo scoperto, in una materia così vasta, che nella lingua locale del bellunese, quello che noi chiamiamo il monteè la monte, al femminile, fonte di pascoli e di cibo.

Con il Colobrì, tutti i colori del mondoe Non Una di Meno Padova, abbiamo partecipato il nove marzo alla passeggiata a Monselice con un gruppo di ragazze, fermandoci a leggere brani scelti di scrittrici e femministe nei luoghi significativi della città, compresa l’unica strada intitolata a una donna laica, Anna Bianchi Buggiani, che donò al Comune un edificio, appena dopo l’annessione del Veneto all’Italia, per fondare una scuola femminile, in un tempo in cui le bambine non andavano a scuola. Nel giro di venti anni le bambine iscritte erano 300.

Con il Comitato Pari Opportunità dell’Ordine dei Chimici di Venezia, il diciannove, ci siamo trovate nella sede del Centro Donna di Mestre, dove lo scorso mese è stata apposta nel giardino la panchina rossa contro il femminicidio con la scritta “La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”e si è poi svolto il convegno su Maria Sklodowska Curie, scienziata per la quale l’Ordine dei Chimici ha chiesto al Comune di Venezia di intitolarle una via. L’importanza della presenza della scienziata nella toponomastica della città è talmente rilevante poiché nessuna via, strada o piazza è dedicata a qualche donna di scienza. Nella toponomastica veneziana, le scienziate sono le grandi assenti!

Passando dalle scienziate al lavoro, e in particolare alle lotte per la sicurezza sul lavoro, a Mira, in provincia di Venezia, il 25 marzo, siamo state presenti all’incontro organizzato dal Comitato Wangari Maathai, dove, partendo dalla presentazione del libro di Ester Rizzo Camicette bianche. Oltre l’8 marzoe dalle cause che diedero origine alla commemorazione dell’8 marzo, attraverso la lettura delle testimonianze delle sopravissute e documentazione del tempo, sono state ricostruite le assenze e le carenze datoriali che portarono alle lotte, anche queste documentate, per avere maggiore sicurezza nei posti di lavoro. Nonostante ciò, a distanza di oltre un secolo, la situazione lavorativa delle donne è più precaria rispetto agli uomini e soggetta a discriminazioni e molestie sia morali che sessuali.

Tanti argomenti e contesti diversi in cui portare e continuare a portare il nostro sguardo di genere e contribuire alla riqualificazione e trasmissione della memoria alle nuove generazioni.




Toponomastica e linguaggio: esempi di visibilità e invisibilità femminile nelle intitolazioni

Il 6 marzo, al palazzo del Bo, in Aula Nievo nel cortile Antico dell’Università di Padova, si è svolto il convegno di studio su “Lingua e toponomastica, Percorsi di toponomastica nell’arco alpino”, organizzato dalla Fondazione Giovanni Angelini – Centro studi sulla montagna, in collaborazione con l’Università di Padova, Dipartimento di Studi linguistici e letterari e la Società Filologica Friulana.

Si è parlato di toponomastica dolomitica, di oronimi bellunesi, di varianti dolomitiche da antiche carte friulane e oronimi del Friuli e del suffisso “-essa, lessico e toponomastica di un femminile”.

Per l’occasione è stata allestita una piccola mostra curata da Toponomastica femminile  con alpiniste scalatrici, botaniche, cartografe e donne di montagna.

Poche sono le intitolazioni femminili nelle strade e nei luoghi deputati al ricordo pubblico, se poi si aggiunge l’uso di un linguaggio corrente e istituzionale che nasconde la presenza femminile attraverso l’uso del così detto maschile-neutro, diventa quasi scontata l’invisibilità delle donne. Eppure il forte legame tra la montagna e il potere femminile di generare viene tramandato dalla notte dei secoli a partire dal nome tibetano della montagna Everest, Chomolungma, che significa Madre dell’Universo, o dal nome della Cho Oyu che significa Dea Turchese, o dell’Annapurna che in nepalese significa Dea dell’Abbondanza. Ma le audaci, per superare i limiti sociali loro imposti, spesso hanno dovuto usare nomi maschili.