Il 5 febbraio, nell’Auditorium San Fedele, in Piazza Zamara, a Palazzolo sull’Oglio (Bs), è toccato a Cyril Aslanov, grande conoscitore del primo genocidio del Novecento, intervenire per fare memoria attiva della persecuzione feroce di un popolo.
Come è noto, il genocidio armeno si è svolto in due fasi principali. Il primo massacro (1894-1897) è legato alla figura del sultano Abdul Hamid II (da cui il termine “massacro hamidiano”), il quale volle punire una popolazione in rivolta ordinando terribili repressioni. Il secondo massacro (1915-1923), quello drammaticamente più importante, è invece legato al gruppo dei Giovani Turchi, che per mettere capo ai propri obiettivi nazionalisti pianificarono l’eliminazione sistematica della popolazione armena presente nel paese. Tutto ebbe inizio nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, quando nella città di Costantinopoli (l’odierna Istanbul) si verificò un improvviso rastrellamento degli intellettuali appartenenti all’élite armena presenti in città. In un solo giorno scomparvero quasi 300 persone appartenenti alla classe dirigente tra cui giornalisti, scrittori, avvocati e persino deputati al Parlamento.
Queste persone vennero deportate in Anatolia, e chi sopravvisse al duro tragitto venne massacrato una volta giunto a destinazione. Dopo aver eliminato la classe dirigente, il governo turco, con un decreto emesso sempre nel 1915, ordinò il disarmo di tutti i militari armeni arruolatisi per la guerra(circa 350.000), che vennero arrestati e massacrati. Infine il piano dei Giovani Turchi colpì l’intera popolazione armena dell’Anatolia, deportata verso la Mesopotamia. Presero avvio le terribili marce della morte che coinvolsero circa 1.200.000 persone. I Giovani Turchi uccisero senza pietà gli uomini e deportarono i bambini e le donne nel deserto siriano, dove morirono per la fame e per la sete. Totalmente abbandonati. Ad alcuni bambini vennero inchiodati ai piedi i ferri di cavallo. I beni sequestrati andarono ad arricchire alcune famiglie turche. Fu il Medz Yeghern, il ‘Grande Male’.
Tale orrore è stato dimostrato nel corso del tempo da varie personalità, tra le quali spicca lo studioso di origine ebraica Yehuda Bauer, che nel suo libro The Place of the Holocaust in the Contemporary History, definì il genocidio armeno il caso che più si avvicina alla Shoah o come il giurista polacco Raphael Lemkin – onorato nel Giardino dei Giusti di Brescia nel 2013. Lemkin dedicò la sua vita allo studio dei crimini contro l’umanità, ponendo le basi di un’assunzione di responsabilità degli Stati che ha portato all’istituzione del Tribunale Permanente dei Popoli. Dopo aver conosciuto lo sterminio degli armeni e la ferocia perpetrata dai nazisti in quel ‘contro evento’ che fu la Shoah, esule negli Usa, coniò il termine genocidio fatto proprio dall’Assemblea generale dell’Onu il 9 dicembre 1948. Infine non ci si può esimere dal ricordare un’altra figura eminente, Armin Wegner – poeta e intellettuale tedesco, testimone di verità per gli armeni e per gli ebrei – che eludendo i divieti delle autorità turche e tedesche, ha scattato centinaia di fotografie nei campi dei deportati, documentando, anche con lettere e diari, la tragedia del popolo armeno. Sull’argomento si segnala il pregevole testo edito in questi giorni dalla casa editrice Giuntina: Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno, che si avvale dell’autorevole prefazione di Antonia Arslan e dell’altrettanto efficace postfazione di Fulvio Cortese e Francesco Berti (traduzione di Rossanella Volponi) raccoglie, per la prima volta in Italia, le voci di eminenti personalità: da Lewis Einstein (I massacri armeni), a André Mandelstam (La Turchia), da Aaron Aaronsohn (Pro Armenia) a Raphael Lemkin (Dossier sul genocidio armeno).
«Per genocidio intendiamo la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico.[…] In senso generale, genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione, se non quando esso è realizzato mediante lo sterminio di tutti i membri di una nazione. Esso intende, piuttosto, designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, per annientare questi gruppi stessi».
R. Lemkin, Axis Rule in Occupied Europe