Generare, partorire, nascere. Una storia dall’antichità alla provetta, di Nadia Filippini
di Eleonora de Longis
“Si nasce da un corpo di donna; tutti, uomini e donne, nascono da un corpo di donna: non c’è nascita senza la gravidanza e il parto di una donna […]. Tuttavia questo fatto non ha trovato nella cultura occidentale un’iscrizione simbolica o un adeguato rilievo a livello rappresentativo, almeno non da quando la società indoeuropea ha imposto il proprio Olimpo maschile, declassando le Dee madri di più antica tradizione (Iside, Ishtar, Demetra)” (p.11).
Il percorso di Nadia Filippini attraverso le vicende della generazione, del parto, della nascita è un itinerario articolato, che si muove tra le diverse pieghe non solo della storia sociale e istituzionale, ma anche di quella culturale, delle mentalità, della religione e mostra come la rappresentazione della maternità sia in continuo movimento nel corso del tempo “anche se in forme tutt’altro che lineari e progressive, con fasi di improvvisa accelerazione e lunghe continuità e permanenze, accanto a innovazioni e mutamenti» (p. 10). Continuità e rotture di una vicenda ultramillenaria sono indagate nella parte del volume che affronta fecondazione, gravidanza, aborto, parto e nascita dall’antichità al Settecento. Le molte raffigurazioni della nascita di Maria nel corso dei secoli offrono uno specchio fedele dell’esperienza del parto nella tradizione dell’occidente cristiano. Anche sulla scorta di queste fonti iconografiche Nadia Filippini osserva con attenzione la scena del parto e della nascita, l’occupazione degli spazi, le figure coinvolte, le pratiche, i ruoli, tra i quali, centrale, quello della levatrice, un ruolo anch’esso destinato ad attraversare nel corso del tempo molte trasformazioni. O, per dir meglio, un ruolo plurale, che, fin dal mondo antico, comprendeva figure dotate di competenze diverse in merito alla fisiologia e alla patologia delle donne e del parto.
Il Settecento rappresenta uno snodo determinante, una cesura nella storia occidentale della nascita: mutano figure, luoghi e tecniche del parto. Si afferma il “chirurgo-ostetricante” che introduce pratiche e terapie nuove, sorgono gli ospedali specializzati nell’accoglienza delle partorienti, si modifica ulteriormente il ruolo della levatrice, “si avvia insomma quel processo di medicalizzazione che si dispiegherà più ampiamente nel secolo successivo” (p. 181) e sarà indice di profonde trasformazioni sociali e culturali che coinvolgeranno soprattutto l’interesse specifico – e “politico” – per la popolazione e una diversa sensibilità nei confronti del feto.
La lotta alla mortalità materna e infantile, combattuta fieramente da politici, intellettuali, medici, comporta in primo luogo la colpevolizzazione delle tradizionali forme di assistenza al parto e in primis della levatrice, come figura priva delle necessarie conoscenze mediche e scientifiche. Si avvia nei paesi occidentali il lungo processo di professionalizzazione e istituzionalizzazione delle levatrici mentre, con tempi e modalità diverse, si afferma sulla scena del parto il chirurgo-ostetrico. Anche le prime teorie della fecondazione – che diedero avvio alla ricerca embriologica come si svilupperà nell’Ottocento – contribuirono a far sorgere una nuova sensibilità degli ambienti religiosi e laici verso il feto come “cittadino non nato”. Johan Peter Frank, consigliere di vari sovrani europei e direttore di sanità nella Lombardia austriaca aveva affermato: “I cittadini che sono ancora racchiusi nell’utero materno non sono anch’essi membri dello Stato? Non abbisognano o non meritano essi la protezione dei magistrati?” (p. 240). Da tali premesse discendevano misure volte a controllare e tutelare da parte di medici e amministratori non solo il momento della nascita ma tutto il periodo precedente, la gravidanza. In questa prospettiva anche il taglio cesareo sulla donna in vita, a lungo considerato come un’indebita interferenza con un processo naturale, veniva legittimato come estremo tentativo di salvare la vita del nascituro (raramente della madre): in realtà solo i progressi nella conoscenza della sepsi e dell’antisepsi acquisiti nel corso del Novecento renderanno sicura tale pratica anche per la madre.
Il Novecento è l’epoca delle “molteplici rivoluzioni”: l’assistenza e la tutela della maternità per le donne lavoratrici, l’ospedalizzazione del parto, la diffusione di nuovi presidi igienico-sanitari volti ad assicurare la salute e il benessere del bambino trasformano profondamente, nel mondo occidentale, l’esperienza del parto e della nascita. Se nella prima metà del secolo aveva prevalso, sulla spinta dei movimenti di emancipazione femminile, l’affermazione dei diritti civili e politici, le esperienze dei movimenti femministi del dopoguerra avevano profondamente ribaltato la prospettiva delle donne nel rivendicare l’autonomia nella gestione del proprio corpo: “l’utero e mio e lo gestisco io” è la parola d’ordine significativa di questa rivoluzione copernicana al cui centro si collocava la libertà di scelta rispetto alla maternità, all’uso dei metodi contraccettivi, all’interruzione volontaria di gravidanza. Con tempi diversi, e attraverso il coinvolgimento dell’opinione pubblica, la legislazione dei paesi occidentali si adegua progressivamente alle rivendicazioni in fatto di contraccezione e IVG, mentre altri tabù sul parto e sulla nascita cadono per effetto degli sviluppi della medicina e delle tecnologie sanitarie e della sperimentazione di tecniche e metodi analgesici, che tendono a ridurre i dolori e le “violenze” associate al parto.
Tra le trasformazioni più radicali che, nel corso del Novecento, hanno coinvolto il campo della riproduzione si colloca senz’altro la fecondazione artificiale “perché attraversa molteplici piani dell’esperienza umana (dell’immaginario, del simbolico, della rappresentazione) e perché mette in atto cambiamenti profondi che investono, oltre che la maternità e la nascita, anche i ruoli sessuali e la famiglia, sollevando una serie di problemi bioetici” (p. 299).
Le questioni suscitate dalla fecondazione artificiale e le diverse risposte politiche e legislative che i paesi dell’occidente hanno dato alla crescente domanda di donne e uomini infertili di adire alle tecniche di PMA mettono in luce, secondo Filippini, le profonde ambivalenze e contraddizioni che, alle soglie del terzo millennio, segnano la realtà sociale del parto e della nascita.
Nadia Filippini
Generare, partorire, nascere. Una storia dall’antichità alla provetta
Viella
2017
€ 29
pp. 349