La II Rivoluzione Industriale
Porta il nome di seconda Rivoluzione industriale in generale l’arco di tempo a cavallo tra il 1840 e il 1870, periodo contrassegnato da grandi innovazioni tecnologichee, di conseguenza, forti sommovimenti sociali che partono dall’Inghilterra e si diffondono nell’Europa settentrionale.
Nei settori chimico, farmaceutico, elettrico e siderurgico la scienza fa passi da gigante. La scoperta dell’elettromagnetismo porta all’invenzione del telegrafo e poi del telefono, semplificando e accelerando enormemente le comunicazioni a distanza. L’uso dell’acciaio e del carbone permette il passaggio dalle imbarcazioni a remi e a vela alle navi a nafta e la costruzione delle prime ferrovie: tra queste la transiberiana da Mosca a Vladivostok (porto russo sull’Oceano Pacifico) e la linea New York-San Francisco, costata la vita a intere tribù di pellerossa.
FOTO 1. Le prime ferrovie
In questo periodo Londra e Parigi vedono costruire le prime linee urbane di metropolitane sotterranee, passando da cittadine settecentesche a metropoli moderne. I vecchi piccoli luoghi di lavoro urbani (che nel secolo precedente erano prevalentemente opifici tessili e laboratori di lavorazione di prodotti alimentari) nati con la prima Rivoluzione industriale si sviluppano notevolmente e sorgono in questi anni le grandi fabbrichesiderurgiche e metallurgiche, le fonderie e le acciaierie.
La prima delle grandi conseguenze di questo processo è l’inizio del disastro ambientale. La modernizzazione ottocentesca si basa su un concetto di sviluppo illimitato di origine illuminista, che credeva illimitate anche le risorse su cui questo sviluppo si sarebbe dovuto basare, risorse che invece illimitate non sono. Nel giro di pochi decenni l’aria delle città diventa grigia e irrespirabile e le campagne vengono depredate di suolo, legname, animali e ricchezze sotterranee per alimentare i bisogni industriali. L’Europa del Settecento era occupata prevalentemente da boschi e foreste, interrotte da piccoli centri abitati sparsi e poche città, oggi il vecchio continente è molto densamente popolato e di spazi verdi e incontaminati ne sono rimasti pochissimi.
L’abbondanza di prodotti industriali, realizzati in tempi brevi e a basso costo, determina un netto crollo nelle vendite dei prodotti artigianali, che richiedono tempi più lunghi e forza lavoro maggiore, mandando in miseriai piccoli produttori indipendenti di cui l’Europa preindustriale era piena.
Così cambiano radicalmente anche gli equilibri demografici: gran parte della popolazione rurale si trasferisce nelle città e chi prima era contadino, pastore o artigiano ora diventa operaio nelle nuove grandi fabbriche o disoccupato se le industrie sono al completo. Oltre che dalle campagne alle città, enormi masse si trasferiscono dalle zone più arretrate a quelle più industrializzate.
Mentre i lavori manuali di un tempo prevedevano specifiche conoscenze e abilità, l’impiego dell’operaio è fatto di seriali gesti faticosi, ma semplici e ripetitivi, che abbrutiscono l’essere umano: chi prima costruiva da solo un intero mobile con piallatura, cesellatura e decorazioni eseguite in maniera personale, ora si limita a girare un bullone e un altro operaio farà il passaggio successivo. Mentre il lavoratore dei secoli precedenti usava alcuni strumenti tecnici per facilitare la produzione, l’operaio moderno è quasi un’appendice del macchinario di cui è dipendente: non è più il falegname che ha bisogno della pialla ma è la macchina che per funzionare ha bisogno di un uomo che prema dei tasti. Questo meccanismo disumanizzante prende il nome di catena di montaggio.
FOTO 2. Tempi moderni
A risentirne è anche il salario: mentre la vita di campagna bastava a mantenere una famiglia, ora il padrone paga l’operaio quel minimo indispensabile a mantenerlo in vita e a farlo tornare a lavorare l’indomani e lo rende costantemente dipendente dal lavoro salariato impedendogli ogni futura emancipazione. La media della giornata lavorativa in fabbrica verso la metà dell’Ottocento dura tra le dodici e le quattordici ore, un orario massacrante.
Una produzione massiccia di beni di consumo ha bisogno di essere smaltita attraverso un altrettanto massiccio consumo di beni: cosa ci si fa con l’ingente quantità di merci prodotte se solo pochissime persone possono acquistarle? E soprattutto, i capitali spesi tra acquisto e manutenzione dei macchinari e salario degli operai devono rientrare attraverso le vendite, altrimenti le aziende falliscono e il sistema crolla su se stesso. Ogni volta che la produzione della merce eccede le vendite e i consumi calano drasticamente, si parla di crisi di sovrapproduzione. Da qui il bisogno di indurre le persone al consumismo con prezzi modici, salari più generosi e incentivi culturali. Ed è proprio la saturazione del mercato locale una delle cause che hanno spinto le potenze europee a espandersi in altre aree geografiche dando origine al fenomeno del colonialismo.
Da qui prende origine il movimento operaio, per rivendicare migliori condizioni di lavoro e di vita. Su quest’onda nel 1864 nasce la prima Associazione Internazionale dei Lavoratori, calderone dei programmi politici di tutti gli schieramenti rivoluzionari d’Europa. Non è un caso che la I Internazionale dei lavoratori venga fondata a Londra, una delle prima città fortemente industrializzate (insieme a gran parte dell’Inghilterra).
Una forma primitiva di lotta operaia già alla fine del Settecento, durante la prima Rivoluzione industriale, era stata il Luddismo: prendendo nome da un misterioso Capitan Ned Ludd (o Generale Nedd Ludd, a seconda delle fonti, uomo la cui reale esistenza non è mai stata accertata), i primissimi operai si ribellavano all’industrializzazione sfasciando i macchinari di cui erano ormai dipendenti, considerati fonte del peggioramento delle loro condizioni. Invece il movimento ottocentesco, sotto la guida marxista, mantiene comportamenti meno spontaneisti e più rigidamente organizzati.
FOTO 3. Luddismo
Film consigliato: Charlie Chaplin, Tempi moderni, 1936 (Foto 2)
FOTO 4. Schema di date