La nonna di Emiliano
Denotare il romanzo L’ospite di Lalla Romano, uscito nel 1973, come la vicenda dei giorni che il nipote neonato della scrittrice trascorre presso di lei, mentre i genitori sono in viaggio in Nepal, significa indurre immediatamente all’incomprensione di questo scritto breve e densissimo. Ben presto, infatti, la nonna, che ha accolto, con terrore e insieme con desiderio, la notizia dell’arrivo del piccolo Emiliano, ci dice esplicitamente che la lunga, eppure troppo breve, visita del bambino è in realtà l’epifania di un dio, dopo la quale le vite di coloro che lo hanno accolto non saranno più le stesse.
Malgrado il piccolo ospite sia figlio di Piero, il rapporto con lui per la nonna non è proiezione, tentativo di recupero, dell’amore, più antico e fallito, con Piero, la cui dinamica di sistematica frustrazione ed elusione dell’amore materno è narrata, dalle origini e fino alla prima maturità del figlio, nel romanzo Le parole tra noi leggére, ed è confermata ne L’ospite, immediatamente successivo. Già prima che Emiliano arrivi come ospite, appena nasce, la nonna sente che la sua esaltazione, la sua gratitudine sono dovute al fatto che Emiliano è Emiliano, lui stesso amato per sé stesso.
L’arrivo del neonato, più che quella degli altri abitanti della casa, il nonno Innocenzo, attento, sensibile e pensoso, la perspicace cameriera Rachele, sconvolge la vita della nonna. Durante la sua permanenza di quaranta giorni, “una quaresima”, Lalla non legge più, non scrive più, la sua scrivania di lavoro, ingombra di carte e pile di libri ormai inutili, è occupata da camomilla, acqua, pappa. Ma, nel suo nuovo ruolo di accudimento, l’intellettuale spodestata misura la propria goffaggine nelle faccende materiali e vive smacchi affettivi dolorosi, sconta, in realtà, un suo peccato originale verso il giovane dio: il calcolo di riservare a sé il ruolo di nutrirlo la notte per essere riconosciuta da lui e amata. Per orgoglio, non solo trascura il momento umile della preparazione della pappa, che induce per più giorni un errore nell’approntamento dei biberon, ma, sconfitta ben più dolorosa, il ruolo che si è ritagliata le sembra porti il bambino a vedere in lei soltanto la nutritrice, mentre la sua scelta affettiva, di rapporto, ricade piuttosto su Innocenzo e Rachele. Lalla accetta la dura punizione, che ritiene di aver meritato per il suo calcolo “criminoso”. Ma ben presto avviene una svolta: ella inizia “a fare”, per garantire cure umili e necessarie al bambino. Con estrema attenzione, senza mai entrare in automatismi, prepara pappe, frulla, passa.
Emiliano è un dio bellissimo, senza particolari graziosi o leziosi, è pieno di maestà e dignità, “un Mantegna”, è pure sereno e ineffabile come un Buddha, ride come un dio antropomorfo, ma, ancora, è divinità ancestrale, polimorfica: chiocciola, tartaruga, cetonia, marmotta, canta come un gallo e come un usignolo, sta teso in ascolto come un cane, a volte ha un piccolo ghigno di gatto, i suoi ditini scompigliano l’acqua come le ombrelle delle ortensie. Emiliano è un dio benigno, un salvatore. I nonni rincasano col bambino dopo una passeggiata. Lalla esce per prima dall’ascensore sullo stretto pianerottolo e nel muoversi col passeggino mette un piede nel vuoto, È di spalle alla ringhiera, tuttavia, riesce ad afferrarla e, mentre comprende di essere salva, vede alti sopra di sé il marito con il bambino in braccio. L’impressione che ne riceve è che siano stati loro, l’uomo col Bambino raggiante, a salvarla.
In uno tra i numerosi flash back del romanzo, ci vengono mostrati l’amore assoluto e la felice confidenza fisica tra il bambino e la propria madre. È innanzitutto per lei, Marlène, che l’amore della nonna paterna patisce una gelosia tormentosa, quella che Pasolini descrisse così acutamente in una tempestiva recensione del romanzo, forse la più nota.
La nonna, nella sua attenzione spasmodica sull’”essere più amato”, nota che Emiliano per strada è attratto dalle ragazze “bionde dai capelli sciolti a ciocche diseguali”, le osserva assorto e lei, con gioia insieme e pena, comprende che gli ricordano Marlène. Anche stavolta la gelosia di Lalla è priva di recriminazione e amarezza, è subito rassegnata, finanche lieta e grata, umile, come improntato all’umiltà, alla reverenza, alla gratitudine e alla consolazione è tutto il suo rapporto col bambino, carattere questo di cui ella ha consapevolezza fino a scrivere: “Mi domando se non avessi il<<complesso della schiava>>. E quand’anche?”.
Ma arriva fin troppo presto il momento in cui torna colei che Emiliano ama sopra tutti, cui appartiene totalmente e che totalmente gli appartiene. Con straordinaria grazia e naturalezza la coppia si riunisce. “Emiliano si volse a sua madre, ma come per scherzo. Lei non lo abbracciò né lo toccò. Lui si sporse verso di lei, che lo prese, poi si rivolse a Rachele, e tornò con lei; ma subito dopo tornò a voltarsi a Marlène. Così rimase con lei.”
Alla fine dell’estate successiva, Emiliano, che ha quasi due anni, torna nella casa dei nonni. Appare subito evidente che la riconosce, ne cerca pensoso e intento gli angoli già noti e praticati, ma non è più un dio, adesso, “Ora è soltanto umano. Prevale sempre la gioia in lui, ma non è più olimpica.”. È la saggia Rachele che, testimone della nuova esplorazione, come lo era stata della visita dell’anno precedente, suggella la fine irrecuperabile di un tempo favoloso con parole solenni: “- Emiliano, – disse, – si ricorda della sua giovinezza.”