Indice. Capitolo terzo
Nonostante vari Stati europei abbiano allargato il diritto di voto anche ad alcune fasce sociali meno abbienti, ne continuano a rimanere escluse le donne.
I primi Paesi a concedere il suffragio femminile, non universale ma ancora censitario, sono le isole Pitcairn (nel 1838), le isole Cook e la Nuova Zelanda (nel 1893), seguite poi dall’Australia (che nel 1902 concede il voto alle donne bianche ma non alle aborigene), tutte colonie dell’Impero britannico.
Invece a Londra il movimento per il suffragio femminile viene represso e le sue protagoniste arrestate: le donne inglesi potranno votare soltanto dopo la I Guerra mondiale.
In tutta l’Europa ricca esplode il movimento delle suffragette. Si rivendica il diritto di voto e di eleggibilità per le donne, alla pari che per gli uomini, fino a quel momento negato. Ma non per tutte le donne: la lotta è portata avanti da signore ricche provenienti dall’aristocrazia e dall’alta borghesia che vogliono il suffragio maschile e femminile ristretto per censo, fedeli alla tradizione del Seicento inglese secondo cui lo Stato esiste in funzione degli interessi da difendere e quindi deve essere amministrato solo da chi detiene una certa soglia di beni materiali. Così le richieste elettorali di queste donne non ottengono alcun seguito presso le lavoratrici salariate. Inoltre le suffragette, seppure con alcune eccezioni, chiedono nel complesso i diritti politici senza alcuna analisi o critica sul ruolo della donna nella società patriarcale: contestano il fatto che le donne non possano votare o sedere in Parlamento ma non si addentrano nella questione che la figura femminile sia sempre stata vista come quella il cui unico compito si limita ad accudire i figli o lavare i piatti. Quella che chiedono è quindi una parità formale dietro cui non vi è nessuna parità sostanziale e nessuna autonomia: in quel tipo di società, pur votando, la donna rimarrebbe succube di una figura maschile.
Se da un lato sono valide queste considerazioni, dall’altro occorre ricordare che le future leggi a tutela della maternità delle lavoratrici, di molto successive, saranno varate soltanto quando siederanno in Parlamento delle donne, spesso elette da altre donne. Quindi ottenere il voto è un primo passo, insufficiente ma importante, del lungo percorso che porterà poi al voto a tutte le donne e infine verso una parità più completa.
In ogni caso, anche se in un primo momento non ottengono il diritto di voto o si limitano a poter scegliere tra candidati uomini, con questa battaglia si sono prese la voce, la possibilità di essere ascoltate in pubblico. E non è poco.
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