Lingua di genere… in formazione (terza parte)

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Nella parte precedente abbiamo gettato uno sguardo su come i manuali scolastici pongono la questione della formazione del femminile e del maschile per i nomi di professione.

Vorremmo ora verificare sul campo la percezione delle alunne e degli alunni e l’influenza esercitata su di loro dai manuali stessi. Per fare questo abbiamo compiuto una ricerca su un campione di ragazze e ragazzi dell’Istituto comprensivo “San Nilo” di Grottaferrata (RM), appartenenti alle classi seconde e terze della Scuola secondaria di primo grado. Alle classi è stata sottoposta una lista di nomi di professione al maschile, con la richiesta di indicare il corrispondente femminile. I nomi erano preceduti dall’articolo per verificarne l’eventuale variazione. La stessa lista di parole è stata poi sottoposta a un gruppo di docenti dei Consigli di Classe delle stesse classi prese in esame. Interessante, infatti, è verificare la differenza di percezione tra ragazzi/e e adulti e soprattutto in quale direzione va poi l’inevitabile influenza dei/delle docenti sui/sulle alunni/e. Hanno risposto al questionario 74 studenti, di cui 38 femmine e 36 maschi, e 14 docenti (di cui solo un maschio, l’unico di tutta la scuola secondaria – e su questo si potrebbe dire molto, ma la femminilizzazione della scuola italiana non è oggetto di questo articolo – per cui il dato del sesso per i docenti non è stato preso in considerazione nelle statistiche).

Come c’era da aspettarsi, alcune parole sono state di più immediata trasformazione: nessun dubbio sul passaggio da il professorea la professoressae da il direttorea la direttricesia per alunni/e che per il/le insegnanti, termini talmente parte del vissuto quotidiano di ambedue i gruppi da non costituire affatto un problema.

Lo stesso si sarebbe potuto ipotizzare per il sintagma lo studente, ma qui iniziano le sorprese. Se infatti il gruppo docente, con una sola eccezione, ha indicato come femminile la studentessa, fra alunni e alunne trova posto significativo il femminile la studente.

In pratica, 5 alunni su 36 e 8 alunne su 38 hanno preferito una forma che seguisse la regola grammaticale accettata per tutte le altre parole in –entepiuttosto che la forma in –essa, contrariamente alla quasi totalità delle insegnanti.

Solo un insegnante invece ha optato per la studente, si può dire quindi che la quasi totalità del gruppo docente ha dimostrato di essere legata a una forma conservativa in modo maggiore che quello degli/delle studenti.

Se passiamo ad analizzare due forme oggi balzate particolarmente sotto i riflettori, cioè sindacoe ministro, troviamo una situazione più equilibrata fra i tre gruppi oggetto della nostra analisi.

Accanto ad una percentuale ancora molto alta di agentivo al maschile, articolo compreso – 79% del totale degli/delle intervistati/e dei tre gruppi per il sindacoe 78% per il ministro– inizia ad emergere la forma al femminile, con più del 20% per la ministrae circa il 10% per la sindaca. Forse una maggiore visibilità nei mass-mediae una più rilevante presenza delle donne a ricoprire tali cariche sta influenzando le scelte linguistiche di giovani e adulti/e verso una diminuzione del maschile neutro. Un indice sicuro di tale influenza è l’inversione di tendenza per il lemma cancelliere che, sicuramente grazie alla innegabile autorevolezza e visibilità della figura di Angela Merkel, diviene la cencellieraper il 73% del totale degli/delle intervistati/e.

In generale è emerso poi come la forma in –essasia decisamente un’opzione minoritaria per i/le giovani, segnalando un probabile declino di un suffisso avvertito come obsoleto, e quindi andando maggiormente incontro alle indicazioni di Sabatini. Ne troviamo conferma con la parola poeta. Nonostante nei manuali di grammatica adottati nelle classi si ricorra quasi nella totalità dei casi all’esempio de il poetache diviene immancabilmente la poetessa(forse uno dei motivi per cui il 100% delle insegnanti propende per questa soluzione) troviamo tra alunni e alunne, accanto alla forma invariata il poeta anche per le donne, pure l’opzione la poeta, e in misura non trascurabile:

Ciò è significativo non solo come conferma della perdita di produttività del suffisso –essa, ma anche della maggiore influenza, in termini di prescrittività, dei manuali di grammatica sugli/sulle docenti che non sugli/sulle alunni/e.

Concludiamo con due termini che ritengo interessanti per il fatto che, al contrario dei precedenti, risultano tra alunni e alunne molto meno consueti, sia perché meno usati dai media sia perché meno comuni nella loro esperienza quotidiana e raramente utilizzati nei testi scolastici: giudicee notaio.

Se per la quasi totalità delle docenti il giudiceviene ad indicare anche la forma femminile, sia per le alunne che per gli alunni la forma la giudicecostituisce l’opzione scelta per il 50%.

Se le docenti si orientano circa per l’80% alla forma il notaioanche per le donne, la proporzione si inverte per alunne e alunni, che rispettivamente scelgono la notaiaper il 70 e il 65%:

Laddove gli/le alunni/e sono più liberi dalle pressioni mediatiche e dalle aspettative degli adulti, per le parole meno conosciute e quindi più “neutre” per loro, tendono ad applicare in modo spontaneo la regola grammaticale della formazione del femminile in –aper le parole in –oo l’uso dell’articolo femminile, anche quando gli adulti mostrano più resistenze a fare altrettanto.

Innegabilmente i libri di testo scolastici e i mass-media esercitano una forte influenza sulla formazione di una coscienza linguistica fra le/gli studenti, che ancora si accingono ad acquisire la propria lingua senza sovrastrutture o pregiudizi.  In questo senso il ruolo delle e degli insegnanti si fa delicato e fondamentale: corriamo il rischio di trasmettere, anche involontariamente, i nostri schemi, che a nostra volta abbiamo ereditato.  Senza la pretesa di costruire nuove barricate in una società già fortemente segnata da conflitti di ogni sorta, mi sembra legittima ed estremamente equilibrata l’affermazione di Daniela Finocchi nell’arguto e piacevole libretto La grammatica la fa… la differenza!(2015): non sono necessarie invenzioni o stravolgimenti della grammatica per arrivare all’utilizzo di un linguaggio rispettoso e non sessista, sarebbe sufficiente applicare le regole che già esistono. L’italiano, infatti, contempla il maschile e il femminile e tutti i nomi si possono declinare. Occorre quindi smascherare la falsa universalità della cultura maschile perché il soggetto del discorso – l’Uomo, intendendo con esso anche la donna – lungi dall’essere universale e neutro, come vorrebbe la filosofia classica, rispecchia solo il punto di vista patriarcale. Ma i soggetti sono due, poiché l’umanità è costituita da uomini e donne: si nasce maschi o si nasce femmine. Il riconoscimento della differenza sessuale, come differenza non solo biologica, ma sociale, storica e simbolica, fa quindi emergere quella metà dell’umanità che non ha statuto di soggetto.

Una maggiore sensibilità in questo senso non può che arricchire la lingua. Concludo con una riflessione di Francesca Dragotto proposta nell’introduzione ai Lavori del seminario interdisciplinare Grammatica e sessismo. Questione di dati?[1], che trovo particolarmente felice: la soluzione non può però passare per un appiattimento su quello che da alcuni è bollato come politically correcte da altri come sensibilità ed espressione di pari opportunità. Si pensi agli effetti che una generalizzazione miope dei femminili produrrebbe comunque nell’uso: se, ad esempio, di Rita Levi Montalcini si dicesse che è una tra le più grandi scienziateper evitare il maschile inclusivo, la si priverebbe della primazia anche su buona parte degli uomini. Insomma, dietro alle forme raccomandate e ai problemi nella loro accettazione c’è molto più che un problema di cacofonia o di abitudini e un eccesso di razionalità a guidare i comportamenti verbali non ritengo sia auspicabile per la natura stessa della lingua. Il sessismo veicolato attraverso la lingua è un dato di fatto e non lo si ribadisce mai abbastanza; ma come la bellezza è negli occhi di chi guarda, così la discriminazione è anche nelle orecchie di chi ascolta.

[1]Cf. ://art.torvergata.it/retrieve/handle/2108/82705/155714/Dragotto_Grammatica%20e%20Sessismo_Sezioni.pdf

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Laureata in Lettere presso l’Università degli Studi di Bologna e in Linguistica presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, insegna Lettere nella scuola secondaria di primo grado. Attualmente frequenta il Dottorato in “Studi Comparati: Lingue, Lettarature e Arti” con indirizzo in “Linguistica Italiana e Teoria della Lettaratura” presso l’Università di Tor Vergata. I suoi recenti lavori si occupano di formazione alla lingua di genere e di scrittura femminile.