Una congiura del silenzio nei confronti dell’universo femminile artistico, letterario, politico è senza alcun dubbio esistita a Napoli. A partire dagli anni Cinquanta, fino al nuovo cambio di rotta nella Toponomastica cittadina, c’è stata una sistematica cancellazione dalla memoria collettiva di importanti intellettuali e artiste, che vissero e operarono in città. Esistenze segnate dalla mancanza di riconoscimento pubblico, osteggiate e svilite dai loro colleghi, a volte compagni di vita, amici e intellettuali che mai vollero dare spazio al lavoro e alle visioni in anticipo sui tempi, al loro essere sempre avanguardia originale nelle arti, nella scrittura, nella politica. Furono donne autonome e indipendenti. La prima biografia “rimossa” è quella della pittrice Maria Palligiano. L’intitolazione di una via a lei dedicata le ha dato la giusta visibilità nello spazio pubblico.
Riccardo Notte, suo figlio, racconta: «Era una femminista ante litteram, si sentiva spinta verso la più totale autonomia. Negli anni in cui viveva lei, la donna nella società non esisteva, figurarsi un’artista». Il primo a ridare visibilità all’artista nel 1996, fu il direttore dell’Istituto di Cultura francese Grenoble di Napoli. “Se qualcuno sta annegando, non lo lascio annegare, ma gli porgo una mano”. Con queste parole Jean Noel Schifano criticò coloro che pur avendo avuto l’occasione per presentarle al pubblico, avevano lasciato che le opere di Maria Palligiano marcissero in cantina per quasi tre decenni. La scrittrice Silvana Maja visitando la mostra fu profondamente colpita dai suoi quadri. Il figlio consegnò proprio a Maja i diari di sua madre, da lei ridotti a brandelli poche ore prima di morire, e un elenco delle persone che l’avevano conosciuta. Maja ne fu conquistata: scrive il romanzo “Ossidiana” biografia dell’artista, che diviene film nel 2006 e riconsegna alla memoria pubblica la storia e l’arte di Maria.
Palligiano visse la stagione sperimentale degli anni Sessanta con slancio ed entusiasmo. Ideali intensi e totalizzanti di perfezione e di giovinezza segnano la vita personale e artistica. Nel 1957 sposa Emilio Notte, direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli, famoso e importante protagonista dell’avanguardia artistica, da cui ha già avuto un figlio, Riccardo. Maria non rinunciò alla pittura e cercò di coniugare il suo ruolo di artista con quello di madre e moglie. La continua ricerca di sperimentazione e di emozione nell’arte, la condussero verso un altro amore, con cui creò azioni e performance di successo. Le sue scelte personali e artistiche creano scalpore, viene duramente giudicata dal consesso sociale, giudicata instabile e costretta a subire dei trattamenti psichiatrici. I pregiudizi che si sono formati su di lei spingono la società a cercare di “normalizzarla”, rendendola meno pericolosa. Le pressioni sociali, il mancato riconoscimento del suo lavoro pittorico, la perdita di motivazioni la inducono a porre fine alla sua vita a soli trentasei anni: un suicidio annunciato, contro la noia di una città retriva. I percorsi e le riscoperte della Toponomastica femminile hanno suggerito la figura di Maria P per una delle cinque nuove intitolazioni di vie da dedicare a pittrici napoletane o che avessero lavorato in città, nel quartiere di Barra. Nel 2014 la Commissione per la Toponomastica cittadina approva l’intitolazione di una strada e appone la targa stradale. Finalmente ricordo e riconoscimento dalla città che non seppe vedere la potenza e la forza della sua opera artistica.