Se ti piace la bicicletta come mezzo di trasporto e come stile di vita, se sei animato da una vivace curiosità per i luoghi sconosciuti al grande pubblico e da una grande adattabilità alle situazioni impreviste, il cicloturismo è un modo avventuroso per viaggiare, ma necessita di un’accurata preparazione e organizzazione tecnica. Il viaggiatore deve infatti essere in grado di fronteggiare in modo autonomo il pernottamento e ogni evenienza o guasto meccanico che possano verificarsi durante il tour.
Noi non ci siamo lasciati fermare e abbiamo percorso la Via del Vino nel Parco veneto dei Colli Euganei, partendo da Monselice alle 10 del mattino.
Abbiamo fatto sosta a Battaglia terme per ammirare, tra fiumi e canali navigabili, il maestoso Catajo:
La costruzione del Castello del Catajo è stata realizzata, tra il 1570 e il 1573, dal condottiero della Repubblica di Venezia Pio Enea I degli Obizzi, su insediamenti precedenti. Pio Enea II (1592-1674) procedette a delle modifiche; realizzò un teatro, poi trasformato in chiesetta neogotica, al posto delle scuderie e costruì la grotta con la Fontana dell’Elefante. Nel 1768 Tommaso degli Obizzi decorò il grande complesso con reperti archeologici e arredi lapidei, diventato poi di proprietà degli arciduchi d’Austria – Este e duchi di Modena che lo utilizzarono come sede di caccia e villeggiatura. Dopo essere diventato proprietà degli Asburgo (l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, assassinato il 28 giugno 1914 a Sarajevo, la notte prima della sua morte aveva dimorato in questa residenza), il Cataio appartenne alla famiglia Dalla Francesca.
Si articola su oltre 350 stanze, alcune delle quali affrescate da Giovan Battista Zelotti, allievo del Veronese. E’ circondato da un vastissimo parco di 26 ettari, non tutto aperto al pubblico, e il giardino delle delizie antistante il castello, di impianto romantico esteso su 3 ettari, con una grande peschiera e numerose piante esotiche.
Anche il Cataio ha il suo fantasma ovviamente generato da un episodio drammatico:
“Era la notte del 14 Novembre 1654 quando Lucrezia degli Obizzi (la famiglia Obizzi era proprietaria del maniero) fu uccisa con ferocia da uno spasimante respinto.”
La pietra macchiata del suo sangue è ancora lì, nel castello, e si dice che il suo spirito vaghi ancora tra le mura. Non pochi raccontano di aver visto una figura femminile, vestita di azzurro, affacciarsi dalle finestre dei piani più alti.
Passando tra masserie fortificate
abbiamo disegnato un percorso circolare lungo 50 Km, che ci ha condotto a visitare Villa dei Vescovi (dal 2005 parte del patrimonio del Fai) dove abbiamo consumato un gustoso pic-nic.
Se amate la natura, la visita della Villa non è completa senza una passeggiata nel Parco. Tutto intorno e tra i vigneti si viene incantati da scorci meravigliosi, i visitatori di tutte le età, adulti e bambini, possono rilassarsi, trascorrere momenti gioiosi, scoprirne tutti gli angoli.
Situata in località Luvigliano, frazione di Torreglia (Padova), Villa dei Vescovi è considerata il primo trapianto del gusto per la classicità romana nell’entroterra della Serenissima, custodisce il più straordinario esempio di decorazione ad affresco nel Veneto precedente alla rivoluzione imposta da Paolo Veronese.
Villa dei Vescovi venne edificata tra il 1535 e il 1542 su un terrapieno dei Colli Euganei dalla curia di Padova, per offrire al vescovo una sontuosa casa di villeggiatura estiva.
Il vescovo committente fu Francesco Pisani (episcopato dal 1524 al 1564), mentre per l’esecuzione dell’opera venne incaricato il nobiluomo Alvise Cornaro, amministratore della mensa vescovile dal 1529 al 1537. Cornaro, con l’appoggio del vescovo Pisani, ne affida il progetto al pittore architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona 1468 – Padova 1535).
Nella versione originale, la Villa era costituita da un compatto parallelepipedo a base quadrata, alleggerito su due lati del primo piano da due logge aperte sul paesaggio circostante. Abbracciata dalla verde tranquillità dei Colli Euganei, è immersa in un paesaggio di grande bellezza che riecheggia negli splendidi affreschi interni del fiammingo Lambert Sustris. Sorta nel Cinquecento come buen retiro del vescovo di Padova, la Villa costituisce la più importante dimora pre-palladiana del Rinascimento, frequentata per secoli da artisti e intellettuali che qui trovavano quiete e ispirazione.
All’interno la parte cinquecentesca prevedeva un ambiente centrale al piano terra, sovrastato da un cortile pensile in corrispondenza del piano nobile. Allontanandosi dai tradizionali canoni costruttivi locali, l’edificio superava quindi i confini regionali per trarre ispirazione dai contemporanei modelli fiorentini o per risalire addirittura agli esempi dell’antichità romana, fornendo così una personale anticipazione della posteriore opera palladiana.
Tale influenza della classicità si inseriva d’altra parte all’interno di un più ampio programma politico di trasformazioni territoriali, teso a ribadire l’origine romana della città di Padova: lo stesso nome di Luvigliano deriva infatti da “Livianum”, che all’epoca veniva identificato come il sito in cui Tito Livio avrebbe edificato la sua villa in campagna.
Tra gli architetti che succedettero al Falconetto, oltre all’intervento di Giulio Romano sul bugnato del piano terreno, è certa la presenza dell’istriano Andrea da Valle (?-1577) che, chiamato dai vescovi Alvise Pisani (episcopato dal 1567 al 1570) e Federico Corner (episcopato dal 1577 al 1590), diresse importanti interventi monumentali che modificarono il complesso della Villa, privilegiando e sviluppando il lato ovest. Venne costruito con la sua direzione un nuovo accesso principale costituito dalla corte quadrata e dalla recinzione merlata aperta in tre ampi portali. La facciata stessa della Villa venne arricchita con le scalinate di collegamento tra la loggia e la piattaforma a terrazza.
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La villa poggia su un terrazzamento in sommità del colle, con scalinate sostenute da arcate inserite nel declivio. Fanno parte del complesso edifici rustici, stalla, abitazione del gastaldo e quattro portali monumentali.
Successivamente Vincenzo Scamozzi (Vicenza 1552 – Venezia 1616) intervenne sulla facciata orientale con l’inserimento di una scalinata e di una grotta con fontana.
Nel Seicento, diversi vescovi dedicarono molta attenzione ai giardini, agli orti e al brolo negli spazi circostanti la Villa. All’episcopato (1697-1722) di Giorgio Corner (o Cornaro), vanno ascritti ulteriori miglioramenti, tra cui il completamento della scalinata dalla loggia orientale alla piattaforma, così come alcuni interventi sono attribuibili a Minotto Ottoboni (vescovo dal 1730 al 1742), mentre all’epoca del benedettino Nicolò Antonio Giustiniani (vescovo dal 1772 al 1796) o del suo predecessore, potrebbe collocarsi la revisione planimetrica con la risistemazione di alcuni spazi interni.
Nelle logge, finti archi, adornati di pergole e tralci di vite, si aprivano su paesaggi immaginari. Il ciclo risente evidentemente delle teorie di Alvise Cornaro, legate a modelli desunti dal mondo classico, già applicate in altre opere da lui sponsorizzate, come l’Odeo padovano.
La scoperta del parco prosegue tra le vigne, camminando lungo il perimetro delle mura o nelle vie tra i filari. Dai grappoli nascono Moscato e Fior d’Arancio.
Poco si conosce delle vicende di Villa dei Vescovi nell’Ottocento. Nel 1910, il vescovo Luigi Pellizzo decise di privarsi dell’uso della dimora per affittarla a un privato che si facesse carico dei restauri resi necessari. Durante la seconda guerra mondiale la residenza fu messa a disposizione delle famiglie sfollate e per un breve periodo fu anche sede del monastero delle suore Carmelitane Scalze.
Nel dopoguerra, Villa dei Vescovi divenne “Villa San Domenico Savio”, sede degli esercizi spirituali per i giovani.
Nel 1962 esaurita anche quest’ultima funzione la Villa venne quindi ceduta, destinando il ricavato all’Opera della Provvidenza Sant’Antonio, a Vittorio Olcese e all’allora consorte Giuliana Olcese de Cesare, che ne curarono un primo restauro sia nella struttura architettonica sia nella decorazione interna ad affresco, riportata finalmente alla luce dopo secoli di mascheratura.
Nel 2005 Maria Teresa Olcese Valoti, seconda moglie di Vittorio, e il loro figlio Pierpaolo decisero di donare Villa dei Vescovi al FAI.
Concepita sin dall’inizio come palazzo di città e destinata a ritrovo per intellettuali e circoli umanistici, l’imponente dimora è giunta straordinariamente intatta fino ai nostri giorni, mantenendo a tutt’oggi l’antico rapporto di dialogo e armoniosa
convivenza col paesaggio circostante.
A 20 minuti da Padova e a un’ora da Venezia, Villa dei Vescovi si trova nel cuore del Parco regionale dei Colli Euganei. Qui non mancano le occasioni di svago come il trekking tra i sentieri del Parco, le passeggiate a cavallo, il golf, il relax nei rinomati centri termali, l’itinerario gastronomico della Strada del Vino e la possibilità di visitare le splendide ville palladiane.
Prima di rimettervi sulla strada del ritorno vi consigliamo di fermarvi all’abbazia di santa Maria Assunta di Praglia destinata alla coltivazione delle piante officinali per la farmacia e alla preparazione di unguenti, creme e saponi naturali.
L’abbazia benedettina di Praglia sorge ai piedi dei Colli Euganei, a 12 Km da Padova, lungo l’antica strada che conduceva a Este. Il suo nome deriva dal toponimo Pratalea: località tenuta a prati.
La fondazione del monastero è databile agli anni tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo: dell’originario impianto medioevale oggi rimane soltanto la torre campanaria.
Dopo le due interruzioni ottocentesche – la prima per decreto napoleonico (1810), la seconda per la legislazione sabauda (1867) – il 26 aprile 1904 riprende a Praglia la vita di preghiera e lavoro, secondo la Regola di san Benedetto.