Erano arrabbiatissime le donne che hanno protestato a Firenze contro la sentenza con cui la Corte di Appello di Firenze ha assolto sei uomini dall’accusata di aver stuprato, nel luglio del 2008, una giovane donna nell’area del parcheggio della Fortezza da Basso.
Alla manifestazione, convocata da un nutrito gruppo di associazioni, sono intervenute in più di duemila da diverse città del centro e nord Italia per esprimere solidarietà alla donna e alzare la voce contro una sentenza che risulta essere più un giudizio sulle scelte di vita della vittima piuttosto che nei confronti di chi quella vita ha violato.
Le stesse motivazioni della sentenza racchiudono in sé giudizi morali nei confronti della donna che non ha avuto diritto di giustizia perché secondo i giudici la sua vita “non è lineare”, quattro pagine in cui sostengono che “il comportamento della ragazza ha dato modo ai ragazzi di pensare che la stessa fosse consenziente”. In un passaggio i giudici definiscono la ragazza “un soggetto fragile, ma al tempo stesso creativo, disinibito, in grado di gestire la propria (bi)sessualità, di avere rapporti fisici occasionali di cui nel contempo non era convinta”.
Erano tante le donne, ma c’erano anche uomini da alcune accettati da altre tollerati, che hanno prima sfilato intorno alla Fortezza da Basso, percorso autorizzato, ma poi hanno valutato che la gravità del caso pretendeva qualcosa di più che un girotondo e hanno deciso di osare di più.
Hanno prima occupato via Strozzi, davanti la questura, per proseguire verso il centro della città, via Cavour, la stazione ferroviaria, piazza del Duomo per tornare alla Fortezza.
Moltissimi i cartelli con l’hastag #nessuna scusa, ad indicare che non esistono giustificazioni per uno stupro, tanti slogan contro il patriarcato, alcuni anche duri sul tono “L’Italia stupra impunita, se non c’è giustizia ci sarà vendetta”. E non sono mancati riferimenti internazionalisti al coraggio e alle lotte delle “sorelle curde, yazide, nigeriane, indiane…”
La manifestazione, anche se in buona parte non autorizzata, si è conclusa intorno a mezzanotte e comunque senza incidenti, tra la curiosità dei molti turisti e la solidarietà delle e dei fiorentini che per qualche minuto hanno abbandonato la tv e si sono affacciati da balconi e finestre per salutare l’insolito corteo.
Anche a Roma, nel quartiere del Pigneto, in contemporanea con la manifestazione di Firenze, si è tenuta una protesta in solidarietà con la donna che ha subito violenza e contro la sentenza che ha assolto i suoi stupratori.
Per i giudici la giovane, all’epoca 23enne, avrebbe denunciato il rapporto sessuale per “rimuovere” un suo “discutibile momento di debolezza e fragilità”. E, comunque, i ragazzi possono aver “mal interpretato” la disponibilità della ragazza.
A questi giudici la ragazza ha voluto rispondere. Lo ha fatto con una lettera pubblicata sul blog Abbatto i muri: “Come potete immaginare che io mi senta adesso? Non riesco a descriverlo nemmeno io. La cosa più amara e dolorosa di questa vicenda é vedere come ogni volta che cerco con le mani e i denti di recuperare la mia vita, di reagire, di andare avanti, c’é sempre qualcosa che ritorna a ricordarmi che sì, sono stata stuprata e non sarò mai piú la stessa”. Lo ha fatto per ribadire alla Corte d’Appello che lei, nonostante la violenza sessuale, esiste ancora. “Esisto – scrive la ragazza – nonostante abbia vissuto anni sotto shock, sia stata imbottita di psicofarmaci, abbia convissuto con attacchi di panico e incubi ricorrenti, abbia tentato il suicidio più e più volte, abbia dovuto ricostruir a stenti briciola dopo briciola, frammento dopo frammento, la mia vita distrutta, maciullata dalla violenza: la violenza che mi é stata arrecata quella notte, la violenza dei mille interrogatori della polizia, la violenza di 19 ore di processo in cui é stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale”. Per l’avvocata Lisa Parrini che ha difeso la vittima si tratta di una sentenza impregnata di moralismo dal momento che è stata portata avanti indagando sulle abitudini sessuali della donna violentata per stabilire se davvero si è trattato di stupro. “Ogni maledetta volta dopo aver lavorato su me stessa, cercato di elaborare il trauma, espulso da me i sensi di colpa introiettati, il fatto di sentirmi sbagliata, sporca, colpevole – scrive la ragazza – dopo aver cercato di trasformare il dolore, la paura, il pianto in forza, in arte, ecco un altro articolo che parla di me. E io mi ritrovo catapultata di nuovo in quella strada, nel centro antiviolenza, nell‘aula di tribunale”.
“Abbiamo perso tutti – condanna la ragazza – non hanno vinto loro, gli stupratori, la loro arroganza, il loro fumo negli occhi, le loro vite vincenti”. E, dopo che i giudici di appello hanno clamorosamente ribaltato la sentenza del primo processo che condannava i sei ragazzi del branco, arriva addirittura a pensare che, forse, tornando indietro non denuncerebbe le violenze subite. “Che se anche la giustizia con me non funziona prima o poi funzionerà – è l’auspicio – cambierà, dio santo, certo che cambierà”. “Ebbene sì – conclude – se per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, mille testimonianze oltre alla tua, le prove del dna, ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se giri film o fai teatro, se hai fatto della body art, se non sei un tipo casa e chiesa e non ti periti di scendere in piazza e lottare per i tuoi diritti, se insomma sei una donna non conforme, non puoi essere creduta”.