ITALIA – Cotte crude terre mostra a cura di Saverio Simi de Burgis

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di Domenico Simi de Burgis

“Atelier 3+10” è un insieme di tredici giovani artisti che, guidati da Marija Markovic e Zongqi Geng a nome della loro multiculturalità (vengono tutti da paesi molto diversi), hanno fondato questo gruppo prendendo in affitto un capannone in via Cappelletto 20 a Mestre e trasformandolo in studio e spazio espositivo a loro destinato.

L’iniziativa risale ormai a qualche mese fa ma già tre mostre sono state realizzate in questo breve arco di tempo. La prima, “Contents in continents”, ha inaugurato lo spazio e non aveva un tema ben preciso ma raccoglieva testimonianze di diverse culture ed esperienze pittoriche e non, nello spirito del gruppo: un breve sunto si può esprimere attraverso i quadri quasi antropologici che ritraggono donne serbe in costumi tradizionali di Ivana Bukovac (artista però ospite come anche tanti altri esposti in quell’occasione) oppure le sculture incubo di Marija Markovic o anche l’aggrovigliarsi umano nella colonna in legno di Zongqi Geng.

Al contrario di questa, la mostra “Cotte crude terre” segue un filo ben preciso che è quello della terracotta.

Le opere infatti sono tutte modellate a partire da questo materiale. La mostra è caratterizzata da un alternarsi significativo di artisti maturi con giovani. Il contrasto è evidente e colpisce positivamente passare dall’atmosfera ragionata e grave nel gesto delle opere di Giovanni Scardovi, Ilaria Ciardi, Sergio Monari, Gianni Guidi, Maurizio Bonora, Ampelio Zappalorto, Sarah Marchetto, il duo Albertini e Moioli e gli iraniani Amir Sharifpour e Sima Shafti all’atmosfera invece più fresca e spensierata soprattutto nella forma e nel gesto più che nel contenuto di Marija Markovic, Zongqi Geng, Lorenzo Rumonato e Valter Cerneka. Un alternarsi quindi di sensazioni passando accanto alla gravosità del bellissimo disco solare dai volti contrapposti di Scardovi con un palo a forma di braccio che indica l’oltre fuoriuscendo dalla bocca, alla pesantezza del tempo espressa dalle tartarughe perfettamente rifinite della Ciardi, alla libertà del volo pensato dal volto di Monari coronato da un nido, all’espressione stravolta dell’opera di Zappalorto, passando ancora per l’angoscia espressa dalle teste imprigionate e deformate di Zongqi Geng o alla calma trasmessa dal cerchio sacrale steso a terra come un mandala accompagnato da una poesia e prolungato sulla parete da una stoffa di Shafti o dei coni-alberi di Sharifpour fino ad arrivare alla figura mistica di sirena accompagnata da una riflessione particolare sulla base della stessa che diventa parte integrante dell’opera al contrario delle numerose altre di Bonora.

Una veloce riflessione la merita anche la terracotta. Un materiale in qualche modo magico per il suo legame con l’origine nel senso per cui l’argilla viene modellata e dalla sua informità si crea una forma definita, attraverso infine un processo alchemico che è quello della cottura che trasforma e agisce sul materiale stesso fino al momento della creazione.

Belle da ricordare sono le parole a tal proposito di Giovanni Scardovi nella presentazione della mostra parafrasabili così: “La terracotta è il materiale più antico perché uno dei primi a essere utilizzati, il più moderno in quanto utilizzato dagli uomini legati all’origine”.