Il 14 febbraio 2004 il corpo senza vita di Marco Pantani fu rinvenuto nel residence “le Rose” collocato nei pressi di Rimini. Aveva solo 34 anni e soffriva di una grave depressione causata da un’accusa infamante che gli aveva rovinato per sempre la carriera. Il 5 giugno del 1999, prima di percorrere un’ennesima tappa del giro d’Italia in cui risultava essere in vantaggio rispetto agli altri corridori, nella sua camera d’albergo si presentarono alcuni ispettori dell’Unione Ciclistica Internazionale, in quella circostanza risultò dalle analisi del sangue a lui effettuate che aveva un ematocrito irregolare, ossia un livello troppo alto dei globuli rossi. Pantani negò di aver fatto uso di sostanze dopanti, né mai risultò positivo a un test antidoping, ma quel test rovinò per sempre la sua credibilità.
Durante la sua carriera ciclistica aveva collezionato 42 vittorie e nel 1998 aveva trionfato sia nel Tour de France che nel Giro d’Italia. L’esito delle indagini sulla sua morte si conclusero adducendo che si fosse trattato di suicidio, ma la sua famiglia non ha mai creduto che il “Pirata” si fosse volontariamente tolto la vita e nel 2014 grazie alla caparbietà del suo legale, l’avvocato Antonio De Rensis è riuscita a far riaprire le indagini. I punti da chiarire sono molti, vi è la certezza che l’inchiesta non fu svolta in maniera ineccepibile. Sul luogo del delitto non furono prese tutte le precauzioni utili per non alterare la scena, il corpo del ciclista inoltre presentava molte ferite, ma per i poliziotti si trattò di un’emorragia. Il medico legale apparve sul posto solo il giorno dopo. L’ora della morte fu calcolata tra le 11:30 e le 12:30, stranamente poco prima Pantani chiese alla portineria di chiamare i carabinieri. Non ci è dato sapere quale sarà l’esito finale di questa dolorosa vicenda, resta però l’amarezza di aver assistito a un ennesimo caso di “malagiustizia”.