La notizia più terribile della settimana è quella del peschereccio di soli 30 metri con più di 700 persone a bordo affondato a una settantina di chilometri a nord delle coste libiche, mentre era diretto verso la Sicilia. Il peschereccio si sarebbe capovolto quando stava per essere raggiunto da una nave commerciale, la King Jacob, allertata dalla Guardia Costiera. Sono solo 28 i sopravvissuti. Più di due volte il naufragio di Lampedusa.
Ma l’indignazione nasce ricordando che la tragedia è in atto nell’indifferenza generale dall’inizio del 2015. Con l’Unione Europea che non trova motivi d’urgenza per modificare nè le limitazioni dell’operazione Triton (pattugliamento limitato alle acque di Schengen), nè gli accordi di Dublino sull’accoglienza dei richiedenti asilo.
I morti del Mediterraneo sono le vittime di una guerra feroce nella quale ci nascondiamo, dopo aver ceduto ai trafficanti di morte il monopolio sulle coste nordafricane e su vasti tratti del nostro mare.
Lo dimostra anche l’episodio del peschereccio siciliano che è stato attaccato e poi sequestrato da uomini armati che lo hanno abbordato con un grosso rimorchiatore. Il motopesca “Airone”, del compartimento marittimo di Mazara del Vallo si trovava a 30/40 miglia dalla costa della città libica di Misurata quando è stato dirottato verso il paese nordafricano. A dare l’allarme via radio alla Guardia costiera è stato un altro peschereccio siciliano che si trovava a poca distanza dall’Airone.
L’imbarcazione che ha abbordato il peschereccio non aveva contrassegni militari o simili.
Non è un caso isolato: per decenni motopescherecci italiani sono stati sequestrati dalle autorità di Tripoli, ma perché veniva contestato lo sconfinamento in acque territoriali libiche. Ora, però, il timore principale è che il motopesca possa essere stato sequestrato da miliziani jihadisti che controllano una parte del paese.
La Libia è stata terra di pirati dalla fine del Settecento, al punto che i Marines vi sbarcarono nel 1805 per un’incursione di terra ancora oggi ricordata nel loro inno, e può tornarlo perché la cattura di navi commerciali in transito è la forma più agile per trovare risorse. Basti pensare che davanti alle coste libiche passa il traffico marittimo che collega Gibilterra al Canale di Suez, ovvero l’Atlantico all’Estremo Oriente.
Le coste fra Derna e Sirte, area di insediamento jihadista, offrono facile riparo a possibili barchini che, sul modello degli Al Shabaab, potrebbero minacciare le rotte nel Mediterraneo Centrale trasformandosi in una fonte di auto-sostentamento per qualsiasi gruppo terroristico o clan criminale. Uno dei principi su cui si basa lo Stato Islamico è mantenersi con le risorse trovate in loco, come è nella tradizione delle tribù del deserto, e in Libia si tratta del mare e del greggio. Da qui lo scenario anche del possibile uso delle acque antistanti alla Libia per traffici illeciti di petrolio da vendere sul mercato nero e armi da importare da ovunque, in maniera analoga a quanto i jihadisti riescono attualmente a fare lungo il confine fra lo Stato Islamico – ex Siria-Iraq – e la Turchia di Recep Tayyp Erdogan.
Per questo è stato presentato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il rapporto di un gruppo di esperti che sostiene la necessità di una «forza marittima internazionale» per sorvegliare le coste libiche «visto che il governo in carica è impossibilitato a farlo». Lo scenario di un Golfo della Sirte in balia dei barchini-kamikaze dei jihadisti trasformato in piattaforma di traffici illegali di armi e petrolio nel Mediterraneo è una prospettiva da far tremare i polsi, divenuta reale a causa del collasso delle autorità di Tripoli e dell’insediamento lungo la costa di gruppi, clan, tribù e cellule di fedeltà diversa ma accomunate dalla volontà di aumentare i profitti.
È in tale cornice che l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati ha avvertito l’Unione Europea sulla verosimile possibilità di un «aumento massiccio» dell’immigrazione clandestina dal Maghreb: se nel 2014 gli arrivi sono stati 220 mila il numero potrebbe moltiplicarsi per l’estensione delle aree di instabilità e l’aumentata capacità dei trafficanti di gestire i flussi.
È l’intero Mediterraneo a dover fare i conti con i pericoli libici.
Perchè l’Ue non agisce e consente stragi di massa voltandosi dall’altra parte?