Donne e sport. Una storia olimpica

Nell’Antica Grecia l’attività sportiva era generalmente riservata ai maschi di rango aristocratico e fisicamente perfetti. Conseguentemente le Olimpiadi, celebrate ogni quattro anni dal 776 a.C. al 393 d.C., prevedevano una partecipazione limitata ai soli cittadini greci, liberi e di sesso maschile.
Alla prima edizione del 776 a.C. nella città di Olimpia nessuna donna era presente, nemmeno come spettatrice. Sappiamo però che Cinisca di Sparta (in copertina), nel corso delle Olimpiadi del 396 a.C., vinse la corsa dei carri a quattro cavalli diventando un esempio da emulare per le donne dell’epoca.

Altre iniziarono a cimentarsi nelle gare olimpiche di corsa dei carri, raggiungendo ottimi risultati come la spartana Eurileonide che, nel 368 a.C., vinse la gara con il carro a due cavalli.

Il Movimento olimpico moderno, nato alla fine del XIX secolo, considerava lo sport un’attività aperta a tutti.
Allo stesso tempo De Coubertin, il barone francese principale artefice del movimento, si oppose all’agonismo femminile, sostenendo che la differente fisiologia della donna e il diverso ruolo nella società la rendevano inadatta all’attività sportiva.
Per questo ad Atene nel 1896, prima Olimpiade moderna, le donne non poterono partecipare. Tuttavia ci fu una competitrice non ufficiale alla maratona, una donna greca di umili origini conosciuta come Melpomene, il cui nome reale era Stamati Revithi. Non le venne consentito di correre nella gara maschile, ma gareggiò da sola il giorno successivo.

Nonostante i pregiudizi le donne cominciarono a partecipare ai giochi della seconda Olimpiade, celebrata a Parigi nel 1900: furono 22 (su 997) le atlete in gara, distribuite tra tennis, vela, croquet, equitazione e golf.

Il primo oro olimpico femminile individuale fu vinto nel tennis dalla britannica, Charlotte Cooper, che in finale batté 6-1, 6-4 la francese Hélène Prevost.

Nel 1908, a Londra, si presentarono trentasei donne su un totale di 2008 atleti, sempre in modo non ufficiale.

Nelle Olimpiadi del 1912, a Stoccolma, le donne furono ammesse anche alle competizioni di nuoto: l’australiana Fanni Duraci vinse i 100 m stile libero eguagliando il tempo realizzato ad Atene (1896) dalla medaglia d’oro maschile.

Furono le Olimpiadi di Anversa, nel 1920, ad accogliere per la prima volta le atlete in forma ufficiale, anche se in poche specialità (77 atlete su 2.664 presenze). Otto anni dopo, ad Amsterdam, le donne ebbero la possibilità di competere nelle gare di atletica, aumentando notevolmente la loro partecipazione, che finalmente raggiunse il 10%: 290 donne su un totale di 2883 atleti.

Tra il 1928 e il 1936 le principali discipline aprirono le porte alla componente femminile. Nel 1948, a Londra, FrancinaElsje Blankers Koen l’olandese soprannominata mammina volante, conquistò ben quattro titoli olimpici in atletica leggera.

La presenza femminile è cresciuta gradualmente nelle competizioni successive.

Nel 1988 a Seul, in Corea del Sud, le presenze superarono quota duemila. Nel 1991 il Comitato olimpico internazionale stabilì che tutti i nuovi sport avrebbero dovuto prevedere la partecipazione donne.

Durante i giochi di Londra del 2012 per la prima volta tutte le nazioni iscritte presentarono almeno una donna nella loro delegazione. In quell’occasione, per esempio, si aprirono le porte delle Olimpiadi per le atlete del Qatar, del Brunei e dell’Arabia Saudita. Con le Olimpiadi di Londra il numero delle donne partecipanti raggiunse la quasi parità con il numero degli atleti, il 45% del totale. Quella di Londra è stata l’edizione olimpica in cui si affermò nella boxe la giovane Sadaf Rahimi, una ragazza afgana che gareggiava in uno sport prettamente maschile. Il pugilato femminile, infatti, fa parte degli sport olimpici soltanto dal 2009.

Anche nelle cerimonie di apertura delle edizioni Olimpiche, che hanno nella spettacolarità dell’evento forti connotazioni simboliche, si sono trascinati i pregiudizi e le restrizioni.
Solo a Città del Messico, nel 1968, per la prima volta un’atleta venne chiamata a svolgere il compito di tedofora accendendo la fiaccola olimpica e dando l’avvio ai giochi.
Il suo nome era Norma Enriqueta Basilio de Sotelo.

Nel 2000 Ai giochi di Sydney del 2000 la fiamma olimpica venne portata da donne-tedoforo per commemorare i cento anni della partecipazione ai Giochi di rappresentative femminili.

Quanto peso hanno oggi le donne all’interno della posizione raggiunta dai loro rispettivi Paesi ai Giochi olimpici lo si desume dalle statistiche.

Prendiamo a titolo di esempio il medagliere di Rio.

 

Posizione

per medaglie totali

Medaglie

totali

Medaglie

femminili

Posizione

per medaglie femminili

1 U.S.A. 116 61 1
2 Cina 69 41 2
3 U.K. 64 24 4
4 Russia 56 29 3
5 Giappone 41 18 5
6 Francia 39 11 10
6 Germania 36 15 7
8 Italia 28 10 13
9 Australia 27 12 9
10 Canada 21 16 6

 

La specificità della struttura organica femminile porta a risultati eccellenti in quelle discipline dove vengono privilegiate «non già la forza e la potenza muscolare ma la resistenza, la flessibilità e l’agilità. La medicina sportiva mette in rilievo come alla minor massa muscolare femminile e al minor numero di globuli rossi presenti nel sangue, che limitano il picco di potenza, faccia da contrappeso una maggiore ampiezza di movimento delle articolazioni femminili ed un minor consumo di ossigeno a parità di sforzo»

(M. Aiello, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Ed. Felice Le Monnier, Firenze 2004)