Il genere della salute

L’approccio “neutrale” della medicina, “indifferente‟rispetto alla differenza sessuale, si è evidenziato a lungo nell’ambito della sperimentazione dei farmaci. La ricerca biomedica nei decenni trascorsi ha teso a riflettere prevalentemente una prospettiva maschile, assimilando la donna all’uomo, fatte salve alcune particolari specializzazioni. Molti ricercatori e medici in taluni capitoli della patologia umana non hanno tenuto adeguatamente in considerazione le differenze tra i sessi per quanto riguarda lo studio delle sintomatologie, l’accertamento delle diagnosi e l’efficacia dei trattamenti.
Tale mancata considerazione delle differenze sessuali si inserisce nell’ambito di una ricerca che tende alla generalizzazione dei fenomeni organici, anch’essa peraltro necessaria, non prestando sempre sufficiente attenzione alle differenze, oltre che di sesso, anche di età (si pensi ai minori e agli anziani), di disabilità e di etnicità. È doveroso tuttavia segnalare che non solamente una clinica più “matura”, ma anche una ricerca più attenta, offrono sempre di più esempi di maggiori equilibri nella formulazione dei protocolli e i relativi arruolamenti dei soggetti. Inoltre, una medicina di genere assume un valore importante non solo per l’appropriatezza delle cure, mirate per ogni individuo, ma anche per il risparmio di risorse che ne deriva. Negli anni Settanta e Ottanta del Novecento negli Stati Uniti ci si rese conto che per l’erronea convinzione della perfetta equivalenza tra i sessi in campo medico, le donne non ricevevano terapie adeguate. Grazie a ricercatrici come Marianne J. Legato, fondatrice e direttrice della Partnership for Gender-Specific Medicine presso la Columbia University, si intraprese un’azione di stimolo per includere le donne nei trial clinici. L’idea era quella di andare oltre la salute prettamente femminile, di considerare le altre patologie oltre quelle che affliggono il sistema riproduttivo e analizzare, oltre ai fattori biologici, anche quelli socioculturali. Con il passare degli anni è risultato evidente che ciascun genere deve essere considerato per la sua specificità, sia per valutare il modo in cui si sviluppa una patologia, sia nella ricerca e nella sperimentazione di nuovi farmaci. Dal punto di vista farmacologico il genere influenza sia il percorso dei farmaci all’interno dell’organismo (farmacocinetica), sia il loro meccanismo d’azione (farmacodinamica). Inoltre, variabili importanti per valutare l’azione dei farmaci come peso e altezza, volume e distribuzione corporea sono diverse nei due sessi, ad esempio i farmaci che hanno una maggiore affinità per i grassi (farmaci lipofili) hanno un volume di distribuzione più ampio nelle donne a causa della presenza maggiore di grassi (circa il 25%) nel corpo femminile rispetto a quello maschile. Nel 1994 negli Stati Uniti venne istituito presso la Food and Drug Administration  un ufficio dedicato, denominato Office of Women’s Health, con l’obiettivo di favorire l’inclusione delle donne negli studi clinici, valutando le differenti risposte per l’efficacia e la sicurezza dei farmaci. Nel 1995 le indicazioni precedenti vennero ulteriormente rafforzate nel documento Investigational New Drug Applications esigendo esplicitamente nella sperimentazione la non discriminazione per sesso, oltre a età e razza. Nell’ambito della sperimentazione clinica dei farmaci le donne risultano essere “soggetti deboli”, o comunque non oggetto di adeguata considerazione in ordine alla loro specificità sia in senso quantitativo (numero di donne arruolate rispetto al numero di uomini) sia in senso qualitativo (analisi dei dati rispetto alla differenza sessuale).  Le aree di criticità e svantaggio delle donne si evidenziano, in particolare, nell’ambito delle sperimentazioni di farmaci per patologie non specificamente e tradizionalmente femminili (anche se scarsi sono i dati riportati, proprio a conferma di tale disinteresse). La maggior parte delle sperimentazioni non prevede una differenza tra maschi e femmine al momento dell’arruolamento e dell’analisi dei dati. La percentuale di donne reclutate nella sperimentazione, confrontata con quella degli uomini, rimane bassa: si parla di “inappropriatezza rappresentativa‟o “sottorappresentazione‟delle donne. Il dosaggio dei farmaci è in genere misurato su uomini (di peso standard di 70 kg) e la donna è considerata una “variazione‟del modello maschile.
Resta il fatto che il cammino che un farmaco intraprende una volta entrato nell’organismo e il tempo che impiega per essere assorbito sono diversi nei due sessi. Ad esempio, studi recenti hanno dimostrato che alcuni farmaci utilizzati nel trattamento dell’ipertensione come i calcio-antagonisti, sembrano più efficaci nelle donne, mentre gli aceinibitori riducono la mortalità tra gli uomini ma non tra le donne[1].
Un altro esempio significativo riguarda l’aspirina che è usata sia per uomini che per donne come prevenzione di patologie cardiovascolari, ma che induce reazioni avverse nelle donne con percentuale superiore, a causa di una differenza nella coagulazione del sangue[2].
Similarmente, nella terapia della depressione, le donne sembrano rispondere meglio agli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) mentre gli uomini trarrebbero maggiori benefici con gli antidepressivi triclici (TCA) e questo perché la capacità di legame delle proteine plasmatiche mostra differenze di genere nel senso che le donne sono caratterizzate da una minore concentrazione plasmatica di proteine rispetto agli uomini. Questa differenza riveste una certa importanza per vari composti psicotropi: infatti, sebbene le capacità di legame alle proteine plasmatiche sia molto variabile tra i vari farmaci, la maggior parte degli ansiolitici, ad esempio, ha un’alta capacità di legame proteico[3].
Per quanto riguarda il nostro Paese il  Ministero della Salute nel 2005 ha varato il  progetto “La salute delle donne” da un tavolo tecnico istituito presso la Segreteria del Sottosegretariato alla Salute. Ad esso hanno partecipato l’Istituto Superiore di Sanità, l’Agenzia Italiana per il Farmaco, l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali e la Società Italiana di Farmacologia. Il progetto ha ottenuto nel 2007 finanziamenti per la ricerca nell’ambito della medicina di genere.

Gli obiettivi futuri sono quelli di sviluppare la medicina di genere in modo da ottimizzare così terapie e prevenzione rispetto al target femminile in cui è sempre più evidente che farmaci e patologie si comportano in modo differente rispetto al target maschile; creare un collegamento fra ricercatori/ricercatrici e componente medica per un’attenta valutazione di differenze biologiche, fisiologiche, patologiche tra uomini e donne al fine di giungere a un livello sempre maggiore di medicina personalizzata; sostenere ricerca e osservazione clinica in ottica di genere allo scopo di identificare i problemi di assistenza sanitaria e tutelare in toto la salute sia delle donne che degli uomini; infine, migliorare la conoscenza in campo farmacologico sviluppando alleanze tra Università e ditte farmaceutiche al fine di evidenziare le differenze farmacocinetiche e farmacodinamiche legate all’uso di nuovi farmaci.

 

[1]Michael Alderman Albert Einstein College of Medicine, New York

[2]The Puzzle of Aspirin and Sex, in New England Journal of Medicine, 2005

[3]Impact of gender on pharmacokinetics and metabolism of psychotropic drugs 2007;  D. Marazziti A. Baldini M. Carlini L. Bevilacqua M. Catena F. Golia M. Picchetti L. Dell’Osso Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Università di Pisa