ITALIA – Alta finanza e ambientalismo: gli “Amici di villa Buri” a Verona

Piacque a Marina Salamon e Marco Benatti, imprenditori veronesi attenti alle vicende sociali e politiche della città,  il progetto  di salvaguardare l’ambiente e il parco di Villa Buri, attraverso la conservazione ambientale e la promozione di interventi ed esperienze basate sull’incontro, il confronto e il dialogo di carattere interculturale e interreligioso; la difesa e la promozione dei diritti umani e di una cultura di pace; una economia di giustizia, per uno sviluppo equo, solidale e ecosostenibile, che consenta all’intera umanità di esercitare il diritto ad una vita dignitosa; un equilibrato rapporto tra la persona umana e la natura per la promozione di una società fondata sulla tutela dell’ambiente e sull’uso appropriato delle risorse naturali. Il risultato dell’incontro alla celebre Festa dei Popoli  del 2002,  fu la sottoscrizione di un contratto di comodato tra i coniugi Benatti, Salamon e l’Associazione Villa Buri onlus costituitasi nel 2003.

Tra le iniziative previste vi sono in particolare la promozione culturale di manifestazioni ed eventi di vario genere: formativi, educativi, di spettacolo e ricreativi, rivolti anche a soggetti svantaggiati.

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Villa Buri, nota anche come villa Spolverini o villa Bernini Buri, è una villa veneta ubicata in località Bosco Buri nei pressi del borgo di San Michele Extra, in provincia di Verona.

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È un complesso monumentale formato dalla casa patronale, dalla cappella, dai rustici, dalle scuderie, dalle stalle, dalla casa del fattore, dalla barchessa, circondata da 300 ettari di campagna e da un parco all’inglese in gran parte alberato anche con alberi esotici che, dalle sponde del fiume Adige, si estende per circa 25 ettari. È tradizione che abbia costruito la villa Gian Antonio Spolverini agli inizi del ‘600 su disegno di Domenico Brugnoli, nipote del Sanmicheli, ma sul luogo i Buri erano presenti già dal 1574.

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La prima notizia della proprietà Buri si riferisce al dicembre 1738 quando il duca di Lorena e la consorte Maria Teresa, regina d’Ungheria e Arciduchessa d’Austria, giunsero con dame e cavalieri per “fare la quarantia di giorni vent’otto” richiesta dalla epidemia pestilenziale che si andava diffondendo a Verona.

La villa divenne salotto dell’aristocrazia del Settecento, centro culturale nell’Ottocento e fiorente azienda agricola nel Novecento.  Nel 1921 l’ultimo conte che risiedette nella villa, Giuseppe Bernini Buri, si iscrisse al Partito Nazionale Fascista.

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Dopo la fine della seconda guerra mondiale, per otto giorni circa, dal 25 aprile ai primi del maggio successivo, fuggiti i tedeschi insediatisi in alcuni locali del palazzo, ancora sfollati i proprietari, la villa fu oggetto di saccheggio da parte della popolazione civile locale: vennero distrutti la biblioteca e l’archivio; venne asportato tutto il patrimonio artistico (comprendente 280 quadri circa); sparirono il mobilio e le suppellettili; il parco venne devastato e gli arredi sacri della cappella trovarono nuovi possessori.

Nel 1961 i Bernini Buri affittarono e poi vendettero (1971) la proprietà (20 ettari) ai Fratelli della Sacra Famiglia, che trasformarono la villa in un seminario. I nuovi proprietari vendettero in seguito la parte del parco a ridosso dell’Adige detta oggi Bosco Buri al Comune di Verona ed alcuni ettari di seminativo ad un privato. Per anni il palazzo fu casa di formazione, per poi divenire scuola media diocesana, fino al 1997, anno in cui la Diocesi di Verona decise la chiusura di tali istituti. I Fratelli della Sacra Famiglia svolgono tuttora attività di catechesi e di insegnamento in diocesi.

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Nel 1994 aprirono un Centro Diurno per minori in difficoltà.

A loro si deve il restauro della villa e dei fabbricati rurali, la realizzazione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria: esemplare, per la cura della struttura e dell’ambiente di villa e parco, fra tutte la realizzazione dello scantinato, per eliminare infiltrazioni d’acqua dal sottosuolo, e scavato senza l’utilizzo di mezzi meccanici per evitare che le vibrazioni potessero recare pregiudizio alla struttura.

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Nel 2000 i fratelli decisero di vendere la proprietà diventata troppo grande e “ricca” per la piccola comunità che vi viveva. Nel 2001 si riunirono i rappresentanti di varie associazioni e discussero sull’eventualità di acquistare la villa. Il progetto, che queste associazioni si erano prefissate di portare a termine, era quello di creare un “Grande parco Culturale” a villa Buri.

Dal 1992 il parco fu sede della celebre Festa dei Popoli e proprio durante l’evento del 2002 avvenne un incontro del tutto casuale tra Marina Salamon e Marco Benatti, imprenditori veronesi attenti alle vicende sociali e politiche della città.

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Il progetto piacque anche a loro e il risultato dell’incontro fu la sottoscrizione di un contratto di comodato tra i coniugi Benatti e Salamon e l’Associazione Villa Buri onlus costituitasi nel 2003.

Nel 2004 venne costituita l’Associazione Amici di Villa-Bosco Buri che ha il compito di mantenere e valorizzare il parco.

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A fianco alla villa c’è quella che era la casa della servitù. L’orologio che possiede è privo di lancette, queste ultime portate via dai tedeschi nella guerra. Oggi all’interno c’è un centro di accoglienza.

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Vicino alla barchessa c’è quella che era la casa dei lavoranti, ossia le persone che lavoravano le terre dei Buri intorno al parco. Oggi è di proprietà di un privato.

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Come tutte le ville venete anche villa Buri aveva una barchessa. Questa posta dietro alla casa della servitù e dentro a dei portici possedeva le stalle, le cucine, i magazzini e altri locali di servizio. Oggi è magazzino dell’associazione Amici di Villa-Bosco Buri.

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Nel 1776 Girolamo Buri sposò Isotta Spolverini e dal loro matrimonio nacque Giovanni Danese Buri, che strutturò il parco a giardino all’inglese guadagnandosi l’encomio di intellettuali famosi ed esperti del settore come Ippolito Pindemonte e Luigi Mabil.

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Il giardino prevedeva viali curvilinei e raggruppamenti liberi di piante, si ispirava cioè a un pittoresco bosco naturale.

Vi si trovavano reparti e installazioni speciali, come piazzali da gioco, campi di sport, padiglioni per caffè, chioschi e recicinti per spettacoli all’aperto e audizioni. Anche la natura diventava spettacolo, come dimostra la collina artificiale costruita per osservare l’Adige.

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Prevedeva, naturalmente, ampia presenza di piante coltivate, tra cui molte esotiche.

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Per questo sono ancora presenti numerosi alberi anche di ragguardevoli dimensioni e in qualche caso plurisecolari: “platano, sequoia, tuja, sofora, libocedro, farnia, carpine, olmo, magnolia, faggio, tiglio, betulla, acero, frassino”, per un totale di oltre 80 specie diverse.

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A volte  le api scelgono bosco Buri  per la costruzione del loro favo.

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Ai giorni nostri il Parco ha perso parte delle sue caratteristiche originarie mantenendo tuttavia il suo fascino e dando spazio a laboratori di erboristeria e corsi di yoga.

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Un posto da conoscere, adatto a chi desidera vivere a contatto con la natura e conoscere i suoi segreti, a chi ama passeggiare e ristorarsi all’ombra di grandi alberi e respirare aria fresca e profumata, cibarsi e utilizzare prodotti naturali.

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ITALIA – La natura a due passi dalla città: Parco dell’Adige Sud

Su una superficie di oltre 1 milione di metri quadrati, il Parco dell’Adige, quale area naturale protetta di interesse locale, rappresenta un polmone verde vicino al centro della città, che ben si presta a divenire luogo di abituale frequentazione per tutti i cittadini che qui possono ritemprarsi in un’incantevole ambiente naturale.

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Nel Parco dell’Adige Sud potrete percorrere un sentiero che inizia da Lungadige Galtarossa e arriva fino a Bosco Buri costeggiando la riva dell’Adige.

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Lungo l’itinerario troverete cartelli informativi che favoriscono la comprensione dell’ambiente fluviale e costituiscono un utile strumento di lavoro per genitori, insegnanti e scolaresche.

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Uno degli elementi naturalistici più interessanti è l’isola del Pestrino. Formatasi con il continuo depositarsi del materiale portato dal fiume e fittamente popolata da specie vegetali e animali essa è l’esempio di un biotopo tipico delle zone umide ormai quasi scomparso lungo il corso del fiume Adige.

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L’isola è il cuore di un’oasi di protezione faunistica che si estende per 790 ettari.

L’itinerario è un percorso sterrato e quello che appare come un normale sasso può rivelarsi un insieme di vividi e lucenti cristalli dalle forme perfette, quel che a prima vista sembra un ramoscello potrebbe essere invece un bellissimo insetto.

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Continuando il percorso si supera la diga di santa Caterina e si raggiunge il ponte del Pestrino.  Da qui si può continuare lungo del fiume verso la fattoria didattica del Giarol Grande dove potrete trovare un punto di ristoro e spaccio di prodotti biologici.

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Ci sarà la possibilità di ammirare da vicino alcuni animali della fattoria e percorrere il sentiero della salute che si snoda vicino alla Fossa Morandina per circa un chilometro.

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Per gli appassionati della mountain bike, 10 Km di percorso sono una piacevole opportunità per una facile pedalata, mentre i più allenati possono spingersi oltre l’itinerario ambientale fino a raggiungere Zevio, per poi ritornare lungo l’altra sponda, toccando vecchie corti rurali immesse nel verde della Bassa veronese.




ITALIA – Alla scoperta del patrimonio Unesco veronese

La bella Verona è patrimonio dell’umanità.  Per ammirare il suo eccezionale valore è necessario superare un percorso impegnativo, lungo 12 Km, che inizia dal Centro trekking Batteria di Scarpa.

Andando oltre il vallo di Cangrande  e percorrendo la Strada Castellana, tra muretti a secco e pergolati,

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è possibile raggiungere, attraverso i boschi, Poiano 3^ e 4^ Torricella. Il paesaggio che circonda la città di Verona cambia sotto gli occhi di chi si mette in cammino per raggiungere Castel san Felice che, con torri, rondelle, bastioni, fossati e terrapieni, fa parte della cinta muraria urbana, estesa oltre 9 chilometri e per quasi 100 ettari.

La flora costituita prevalentemente  da ornielli profumati, bagolare e carpini neri e bianchi ospita passeri italiani, cince,  scoiattoli, gheppi. I cipressi sono invece frutto delle opere di rimboschimento degli anni Sessanta così come gazze e cornacchie sono ospiti dell’inquinamento urbano a scapito di passeri e cince.

Tuttora rimangono imponenti i resti della città fortificata romana, il perimetro della città murata scaligera con i suoi castelli, la struttura della fortezza veneta, la grandiosa disposizione della piazzaforte asburgica, cardine del Quadrilatero. Per questo motivo nel 2000 Verona è stata decretata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, poiché “rappresenta in modo eccezionale il concetto di città fortificata durante diverse epoche significative della storia Europea”.

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Prima di risalire i colli per raggiungere il Parco delle Torricelle, così chiamato per la presenza di tre torri austriache edificate dall’esercito in ritirata, si attraversa il quartiere di Avesa, caratteristica località delle lavandaie costruita sulle grotte carsiche della Lessinia, preziose anche per i siti archeologici che conservano i resti dell’uomo di Neantherland.

Le case delle lavandaie mantengono un aspetto inalterato. Le acque carsiche fluiscono perennemente in questo angolo  silente tanto da sembrare incantato.

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All’ingresso del piccolo quartiere delle lavandaie, nel 1.200, i monaci Camaldolesi edificarono una chiesetta.

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Anche l’altare fu costruito con un blocco unico di tufo.

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All’interno si conservano gli affreschi e le croci dei Templari.

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Ad Avesa sopravvivono tradizioni dimenticate.

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Le case hanno un aspetto caratteristico determinato  dalle piccole dimensioni.

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Attraverso viuzze lambite dalle acque risorgive si raggiungono i boschi e i sentieri delle colline veronesi.

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In cima a queste alture, si scorgono, in stato di abbandono, le suddette torricelle austriache, utilizzate come base di appoggio per ripetitori e trasmettitori.

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Si prosegue il cammino sulla Strada  del vino della Valpolicella. La leggenda narra che il nome della Valpolicella era composto dalle parole “valle”, “poli” e “cellae”, a significare “valle dalle molte cantine”. La zona comprende i comuni della fascia settentrionale della provincia di Verona, da est a ovest. L’uso della specificazione Classico è riservato al prodotto della zona più antica che comprende i comuni di Negrar, Marano, Fumane, S.Ambrogio, San Pietro in Cariano.

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Il sentiero si immerge nel bosco dell’alta Valdonega.

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Dopo un centinaio di metri ecco comparire la fontana di Sommavalle.

Un imponente costone di roccia pressoché verticale sembra accogliere il visitatore. I rilievi circostanti rappresentano il bacino di carico dell’acqua piovana che poi, continuamente, sgorga dalla sorgente, anche in periodi di siccità seppur in quantità minore.

La conformazione della sorgente sembra risalire all’ epoca romana.

Grazie alla presenza dell’acqua, si è creato un vitale e particolare ambiente naturale. Al piede del citato costone di roccia calcarea, è stata ricavata una grotta con due aperture sovrapposte nella roccia, simili a finestrelle, dotate di inferriate.

Realizzazione probabilmente finalizzata a salvaguardare il corretto attingimento e l’uso dell’acqua. Sopra le finestre, si possono individuare i resti di una scritta romana scolpita nella pietra o forse su una targa.

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Secondo alcuni, all’interno della grotta della sorgente, dovrebbe aver origine un tunnel  perforato dai romani, che condurrebbe in città.

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La sorgente della Fontana di Sommavalle affiora nella zona più alta della valle Valdonega situata subito a nord della città di Verona.

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Dirigendosi verso valle si giunge al castello S. Felice.

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Nello spazio urbano veronese sono visibili ancora oggi opere monumentali che formano un repertorio di quasi 2000 anni di storia dell’arte fortificatoria.

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Secondo le testimonianze storiche, gli antichi Romani costruirono una prima parte delle mura a difesa della città nel I secolo a.C. Decisero di trincerare artificialmente la parte a sud, perché a nord, ad ovest e ad est ci si avvaleva della protezione naturale fornita dal fiume Adige.

Nel 265 d.C. all’epoca dell’imperatore Gallieno, a causa della minaccia rappresentata dagli Alemanni, fu necessaria un’opera di restauro delle mura, la cui conservazione, dopo quasi due secoli di pace, era in pessimo stato. L’Arena venne inglobata nel complesso difensivo perché i nemici non fossero facilitati nell’ingresso in città. Di epoca romana rimangono ben conservate anche porta Borsari e porta Leoni.

Successivamente, in epoca scaligera fu aggiunto un impianto di mura che sosteneva l’azione del fiume a nord e che si estendeva fino a Castel San Felice.

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In epoca veneziana, a sud e ad est, furono aggiunti bastioni, torri e roccaforti grazie all’operato dell’architetto-ingegnere Michele Sanmicheli che realizzò peraltro le imponenti porta Palio, porta San Zeno e porta Nuova. (Nella foto i tipici mattoni veneziani)

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Per il ruolo strategico e prioritario che giocava Verona, l’Impero Austriaco fra il 1833 e il 1866 rinforzò, attraverso un consistente investimento, le fortificazioni della città e le inserì nel più ampio sistema difensivo austriaco, adottando i moderni criteri di difesa contro l’artiglieria pesante e con la capacità di sferrare ritorni controffesivi.

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Le mura di Verona hanno sempre scoraggiato i nemici, per questo la città non è mai stata protagonista di grandi battaglie.