FRANCIA – Finalissima Euro 2016 Francia – Portagallo. Islanda la vincintrice simbolica

L’Europa ha assistito attonita al risultato del referendum sulla Brexit che ha decretato l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. Contemporaneamente, lo svolgersi dei campionati di calcio Euro 2016 ha in un primo momento distolto l’attenzione delle masse, ciò nonostante l’Europa si è ritrovata frammentata e claudicante, infatti sull’onda della Brexit, altri paesi membri dell’UE, tra cui la Francia, paese ospitante dell’edizione 2016, si sono interrogati sulla probabilità di non essere più parte di un’Europa che pare aver perso la sua identità.
In Italia da alcuni anni si discute su questa tematica, ma in questo momento il coraggio e l’audacia degli azzurri in campo ha distolto l’attenzione degli Italiani. La squadra azzurra sin dal principio era stata data per perdente, infatti in molti non avrebbero scommesso che avrebbe superato la fase preliminare, invece sin dalla prima partita hanno mostrato grinta e valore battendo il Belgio che risultava essere tra le favorite. L’Italia si è classificata prima nel suo girone e negli ottavi ha battuto la Spagna, squadra tra le più temute. Ai quarti si è dovuta arrendere ai rigori contro i teutonici campioni del mondo .
La delusione è giunta proprio quando il sogno europeo covato per 48 anni sembrava trasformarsi in realtà .
Gli azzurri sono tornati a casa con un trofeo simbolicamente più importante, perché grazie al duro lavoro dei giocatori e del loro allenatore Antonio Conte, hanno riportato gli italiani a credere nella nazionale di calcio divenuta sinonimo di unità.
Unica nota negativa è stata dovuta al comportamento semplicistico e irriverente di Pellé nei confronti del portiere tedesco Neuer. L’attaccante italiano nelle precedenti partite si era mostrato decisivo segnando 2 gol decisivi, uno durante la partita col Belgio e l’altro contro la Spagna.
La finale degli europei si disputerà tra la squadra del Portogallo e quella della Francia, domenica 10 luglio alle 21:00 a St Denis presso lo Stade de France che ha ospitato l’apertura di Euro 2016, ma in molti hanno decretato l’Islanda come vincitrice simbolica, che ha per la prima volta partecipato agli europei, strappando la qualificazione, sconfiggendo nel 2014 l’Olanda. L’Islanda è stata sconfitta il 3 Luglio dalla Francia, ma dopo la partita tutti gli spettatori hanno cantato con i calciatori Islandesi l’inno nazionale, nel pieno rispetto di valori quali solidarietà e condivisione.
Non ci resta che incrociare le dita per l’Europa sempre più priva di dignità e, calcisticamente parlando, che vinca la migliore!




FRANCIA – Maltempo: aumentano i morti tra Francia, Germania e Belgio. Louvre chiuso

La piena della Senna ha raggiunto i sei metri. Secondo gli esperti, un picco massimo di 6,30-6-50 metri è atteso nel tardo pomeriggio. Un livello comunque inferiore agli 8,62 del 1910, quando il fiume esondò nella grande piena del secolo.
Il Premier francese Manuel Valls ha convocato una riunione interministeriale, mentre è stata attivata una cellula di crisi per coordinare la risposta alle inondazioni che colpiscono Parigi e tutto il Paese. “Il momento richiede vigilanza e attenzione – ha spiegato – tutti i servizi dello Stato sono mobilitati per far fronte a una situazione che, sfortunatamente, potrebbe prolungarsi”.

Intanto, nel Paese si contano già tre vittime, un uomo trascinato via dalla corrente mentre era a cavallo su un lungofiume a Yerres, 25 chilometri a sudest di Parigi, una donna di 86 anni ritrovata annegata a pochi passi dalla sua casa nella Seine-et-Marne e un’altra donna ritrovata morta annegata nel fiume Vernisson, nel Loiret. Ma il bilancio che, ha avvertito il ministro dell’Ambiente Segolène Royal, potrebbe rivelarsi più grave quando le acque si ritireranno.

Centinaia di abitanti sono stati intanto evacuati in diversi comuni dell’Ile-de-France. A Parigi anche il Grand Palais e la centralissima stazione della metro di Cluny/La Sorbonne, nei pressi della storica univeristà, sono stati chiusi, scrive il Parisien.fr.
Gli otto dipartimenti della regione dell’Ile-de-France e cinque dipartimenti della Valle della Loira centrali sono a livello di allerta inondazione: rosso per il dipartimento Seine-et-Marne e arancione per gli altri.

Al Louvre si lavora per spostare e mettere in sicurezza il patrimonio di opere di uno dei più importanti musei del mondo, minacciato dalla possibile esondazione della Senna. Altri musei e le istituzioni culturali sono stati chiusi in tutta la Francia, tra cui i rinomati castelli di Chambord e Azay-le-Rideau.

E’ stato ritrovato il corpo dell’uomo dato per disperso in Belgio, precisamente ad Harsin, nella provincia belga del Lussemburgo: si tratta di un sessantenne, sorpreso dall’acqua e dal fango mentre cercava di salvare i suoi alveari. La conferma arriva dal sindaco di Nassogne, uno dei villaggi maggiormente danneggiati dall’alluvione.




GINEVRA – Le Società Nazionali di Croce Rossa contrarie all’accordo tra UE e Turchia

Alcune Società Nazionali di Croce Rossa della zona Europa, tra cui l’Italia con il Presidente Francesco Rocca, esprimono forti preoccupazioni per le conseguenze sul piano umanitario in seguito  per arginare i flussi migratori verso l’Europa.

Le Società, pur apprezzando gli sforzi compiuti dai paesi dell’UE nell’affrontare l’enorme crisi umanitaria in corso, sottolineano che l’accordo rischia di violare i diritti umani dei rifugiati, nonché il diritto internazionale ed europeo. In sintesi si chiede di garantire la possibilità di richiedere asilo agli aventi diritto, e di accedere a procedure eque ed efficaci per la determinazione dello status di rifugiato, nonché di garantire la protezione contro i respingimenti.

In Grecia è in corso una terribile emergenza umanitaria. Si tratta di una crisi europea che richiede atti concreti e autentici di solidarietà tra gli Stati. Né la Grecia né la Turchia possono prendersi cura esclusivamente di tutti i migranti che arrivano sul loro territorio. Nonostante gli sforzi dell’Unione Europea per fermare i flussi migratori, sulle isole greche continuano ad arrivare ogni giorno circa mille migranti che, come testimoniato dalla Croce Rossa Ellenica e dalle altre Società intervenute sul posto, ad oggi sono bloccati in condizioni spaventose, vivendo in tende esposti alle intemperie, e con condizioni igieniche e sanitarie molto precarie, così come precario è l’accesso al cibo, ai generi di prima necessità e all’istruzione.
In seguito all’accordo UE-Turchia, migliaia di persone sono state trasportate dalle isole greche sulle terraferma, creando confusione e panico che aggravano ulteriormente le condizioni già insicure di questi vulnerabili.

“Non bisogna dimenticare – dicono le Società Nazionali della Croce Rossa della zona Europa – che dietro alle trattative politiche su numeri e accordi finanziari, c’è la situazione disperata di centinaia di migliaia di persone vulnerabili, uomini, donne, padri, madri e figli, che rischiano la vita ogni giorno per cercare la salvezza in Europa. Riteniamo che l’accordo UE-Turchia rifletta una mancanza di empatia e umanità rispetto alla vera natura della disperazione che ha spinto molte persone ad intraprendere questi viaggi pericolosi. Secondo la nostra esperienza, le politiche di deterrenza e le chiusure dei confini hanno avuto un effetto limitato nel ridurre la vulnerabilità delle persone di fronte alla disperazione.

I controlli indiscriminati alle frontiere e la criminalizzazione della migrazione irregolare tendono a esporre i più vulnerabili, in particolare donne e bambini, a rischi sempre maggiori, come la separazione familiare, gli abusi sessuali, la tratta, le violenze e la morte.

Come abbiamo visto più volte, quando si chiude un confine, si creano rapidamente nuove rotte. Abbiamo a che fare con le ripercussioni enormi di conflitti irrisolti e con la povertà estrema, che richiedono urgentemente soluzioni politiche e azioni concrete come creare percorsi sicuri e legali in Europa, facilitare il ricongiungimento familiare, impostare operazioni di ricerca e soccorso nell’intero bacino del Mediterraneo garantendo assistenza ai migranti in difficoltà, dare priorità alla collaborazione tra Stati per garantire senza ostacoli la sicurezza e l’assistenza umanitaria alle vittime di conflitti e violenze.
Mentre Croce Rossa e Mezzaluna Rossa continueranno a fornire assistenza e protezione ai migranti vulnerabili lungo le rotte migratorie, gli Stati dell’UE devono assumersi congiuntamente le loro responsabilità e trovare soluzioni durature e più umane. In base alla nostra esperienza, oltre il 40 per cento dei Siriani che arrivano sulle isole greche vogliono riunirsi ai familiari già presenti in altri Stati europei. È importante sottolineare che le misure attuate non devono essere a scapito dei rifugiati provenienti da altri paesi, come l’Afghanistan, l’Iraq e l’Eritrea, che oltretutto stanno compiendo pericolose traversate in mare per ottenere la protezione internazionale in Europa.
Siamo consapevoli delle sfide che la situazione provocata dalla grande ondata migratoria in corso comporta per i governi dell’UE. Tuttavia, siamo convinti che le Società Nazionali di Croce Rossa e gli Stati membri dell’UE dovrebbero affrontare questo sforzo insieme. Ci aspettiamo di più da parte dei nostri governi e allo stesso tempo siamo pronti a fornire il nostro supporto”, concludono in una nota congiunta le Società Nazionali di Croce Rossa zona Europa.
La nota è sottoscritta dalle Società Nazionali di Croce Rossa dei seguenti Paesi: Austria, Belgio, Regno Unito, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Olanda, Norvegia, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera.




EUROPA – Un nuovo terrorista ricercato per gli attacchi di Parigi e Brussel. Trentuno le vittime, Undici i dispersi

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C’è un nuovo ricercato, ritenuto coinvolto negli attacchi terroristici sia di Parigi che Bruxelles: si tratta di Naim Al Hamed, siriano originario di Hama, di 28 anni. Il nome compare su una lista di cinque principali sospettati introvabili stilata dalle intelligence occidentali, che si presume siano stati coinvolti negli attentati del 13 novembre a Parigi e in quelli del 22 marzo a Bruxelles. La notizia era stata pubblicata da alcuni media spagnoli ed è stata ripresa La Dernière Heure belga. L’uomo, di cui è stato reso noto un documento con foto, è descritto come «molto pericoloso e forse armato».

L’attentato di  Istanbul è stato organizzato dal gruppo Stato islamico. Lo ha dichiarato il ministro dell’interno turco, Efkan Ala, che ha detto che l’attentatore suicida era un miliziano affiliato ai jihadisti dell’Is. Nell’attacco sono morte quattro persone, tra cui due israeliani e un iraniano. Il ministro ha annunciato che sarà imposto il coprifuoco in diverse città turche.

Dopo aver esplicitamente parlato di armi atomiche, Vladimir Putin rincara. Parlando a un evento del ministero della Difesa, il leader russo ha ordinato all’esercito del suo Paese di “agire in maniera estremamente dura in Siria, distruggendo chi minaccia le forze di Mosca attive per combattere il Califfato”. E ancora: “Ogni obiettivo che minacci unità russe o nostre infrastrutture al suolo sarà distrutto immediatamente”. Ma non è tutto, perché il punto più delicato dell’intervento dello zar è quello che segue: “Un’attenzione particolare – ha rimarcato – sarà prestata al rafforzamento del potenziale bellico delle nostre forze strategiche nucleari”. E ancora: “Marina, aviazione ed esercito verranno dotati di nuove componenti della nostra forza nucleare”. Dunque le parole di Sergei Shoighu, ministro della Difesa di Mosca, che ha ricordato come “il 95% dei sistemi di lancio delle armi nucleari russe sono pronte al combattimento. Le forze armate – ha concluso – hanno ricevuto quest’anno 35 nuovi missili balistici nucleari”.

Nell’inchiesta in corso spuntano intanto nuovi inquietanti particolari sul piano dei fratelli El Bakraoui. Il quotidiano la la Dernière heure, citando fonti di polizia, rivela che i due volevano colpire le centrali nuclearei del Belgio. A far accelerare i due è stata la cattura di Salah Abdeslam e del suo complice Choukri a Molenbeek, circostanza che ha costretto i fratelli El Bakraoui ad abbandonare questo obiettivo e puntare tutto sulle strage in centro. “La situazione è precipitata e si sono sentiti sotto pressione – ha rivelato una fonte della polizia – hanno dovuto optare per l’obiettivo più facile”.

LE VITTIME

Patricia Rizzo, l’italiana tra i morti – Patricia Rizzo, la funzionaria italiana dell’Unione morta negli attentati di Bruxelles, è stata per cinque anni uno dei dirigenti più importanti dell’Efsa, l’Authority Alimentare Europea con sede a Parma. Dal 2003 al 2008, prima di trasferirsi in Belgio, aveva ricoperto il ruolo di assistente di direzione ed aveva abitato nella città emiliana dove molti ancora la ricordano. A confermare la notizia della morte è stato il cugino Massimo Leonora. “Purtroppo Patricia non è più tra noi. Mi manchi, ci manchi”, ha scritto su Facebook.

Tra le vittime una tedesca di origine italiana – Tra le vittime degli attacchi Jennifer Scintu, tedesca 29enne di origini italiane, che mercoledì al momento dell’esplosione era in aeroporto. La donna si trovava al check in di un volo per New York assieme al marito Lars Waetzmann, ora ricoverato in gravi condizioni in un ospedale dalla capitale belga. Jennifer, nata e cresciuta in Germania, aveva i nonni in Sardegna, ad Ales, e spesso tornava a trovarli con la madre Miriana. La morte della giovane è stata confermata dalla polizia di Aquisgrana, città dove la 29enne risiedeva.
Loubna, insegnante che lascia tre figli – Si è infranta la speranza dei parenti di Loubna Lafquiri. La donna, mamma di tre bambini e di professione insegnante, è morta alla stazione della metropolitana Maelbeek, colpita dai terroristi. L’annuncio, carica di rabbia e di dolore, è arrivato dalla famiglia: “Con il cuore spezzato annunciamo la morte di Loubna. Dopo un’attesa interminabile, è arrivata la terribile notizia. Lubna, una madre di 3 magnifici bambini, insegnante esemplare. Strappata alla sua famiglia da dei vigliacchi”.

Bart, 21enne pronto a volare dalla fidanzata negli Usa – Doveva prendere l’aereo per gli Stati Uniti. Un lungo volo per riabbracciare la sua fidanzata, che vive in Georgia. E’ stato investito dall’esplosione mentre era intento a effettuare il check in al banco dell’American Airlines. Bart Migom, 21 anni, è una delle vittime dell’attentato all’aeroporto di Zavenetem.

Donati gli organi di Leopold, studente modello – Una delle vittime è il giovane Leopold Hecht, 20 anni, morto in seguito alle ferite riportate nell’attentato alla metropolitana. La sua famiglia ha autorizzato l’espianto degli organi del ragazzo: “Siamo convinti avrebbe condiviso questa scelta – ha dichiarato commossa la madre -. Speriamo questa decisione possa salvare una vita o aiutare qualche persona in difficoltà”.

David, il britannico che viveva a Bruxelles – Anche David Dixon è morto in seguito all’attentato alla metrò. Il 53enne era originario di Hartlepool, città portuale britannica affacciata sul mare del Nord, ma viveva da tempo a Bruxelles. La notizia del decesso è stata confermata dalle autorità del Regno Unito. “Abbiamo ricevuto la notizia più terribile e devastante”, hanno commentato o i suoi familiari.

Elita, in viaggio per partecipare a un funerale – Drammatica anche la storia di Elita Weah, 41 anni, di nazionalità olandese. Si trovava all’aeroporto di Zaventem per partire alla volta degli Stati Uniti. Avrebbe voluto infatti partecipare al funerale di un familiare. Lascia una figlia di 13 anni.

Frank, un’ora dopo sarebbe stato già in volo – E’ deceduto mentre aspettava di partire il 24enne di origini cinesi Frank Deng. Il volo era in programma un’ora dopo l’esplosione.

Yves lascia due figli – Si sono infrante anche le speranze dei familiari di Yves Ciyombo Cibuabua. Padre di due bambini, è morto nell’esplosione alla fermata Maelbeek della metropolitana di Bruxelles.

I fratelli Sascha e Alexander – Doppia tragedia per la famiglia Pinczowski, di origine olandese. Nell’attentato all’aeroporto hanno infatti perso la vita i fratelli Sascha e Alexander, residenti a New York.

Olivier, morto mentre andava al lavoro – La follia dei terroristi è costata la vita anche al belga Olivier Delespesse, rimasto ucciso mentre si stava recando al lavoro in metropolitana. A confermarlo è stato il governo della Vallonia. Il funzionario del ministero dell’Istruzione, come Leopold, era sul treno sventrato a Maelbeek. “Olivier era una persona simpatica, gioiosa, amichevole, una persona eccezionale per i suoi amici e i suoi colleghi. La sua morte è profondamente scioccante e ingiusta”, scrivono i suoi colleghi.

Adelma, morta sotto gli occhi delle figlie – Il papà che decide di portate le bimbe a giocare pochi metri più in là. La deflagrazione. E mamma Adelma Marina Tapia Ruiz che perde la vita, sotto gli occhi dei suoi familiari rimasti quasi del tutto illesi nell’esplosione avvenuta all’aeroporto. Leggi l’articolo

Fabienne aveva appena concluso il turno – Fabienne Vansteenkiste è un’altra delle vittime dell’esplosione all’aeroporto. 51 anni, al momento della deflagrazione aveva da poco concluso il suo turno di lavoro e stava per tornare a casa. E’ morta mercoledì per le ferite riportate.

I DISPERSI
I nomi dei dispersi – Non si hanno notizie, invece, di Berit Viktorsson, Andrè Adam, la cui moglie è invece ricoverata in ospedale, Johanna Atlegrim, Aline Bastin, Sabrina Fazal, Antonio Monteagudo, Raghavendran Ganesan, Janina Panasewicz, Justin e Stephanie Shults.




FRANCIA – Le vittime libanesi non interessano nessuno

Le fiamme che venerdì scorso hanno illuminato Parigi, pregne di morte e rabbia, hanno scosso le coscienze del mondo intero, provocato sdegno e generato intolleranza negli animi di chi ha sempre provato un’insofferenza latente nei confronti dei musulmani. Ad essi, però va ricordato che i terroristi dell’Isis hanno massacrato in Libano, due giorni prima degli attentati verificatisi a Parigi, 44 persone e ferito 139, tutti musulmani, ma le vittime libanesi non interessano a nessuno, come peraltro i 224 turisti deceduti nell’esplosione dell’aereo passeggeri recante bandiera russa, nei pressi della regione del Sinai. Durante la notte i jihadisti hanno esultato sui social network, postando messaggi come:”Ricordate, ricordate il 14 novembre di #Parigi. Non dimenticheranno mai questo giorno, così come gli americani l’11 settembre”, “La Francia manda i suoi aerei in Siria, bombarda uccidendo i bambini, oggi beve dalla stessa coppa”. La replica di Hollande è stata di far bombardare le basi strategiche e di addestramento dell’Isis, in Siria, sostenendo di non aver ucciso durante il raid alcun civile, come se gli ordigni sapessero distinguere e colpire solo gli jihadisti. Il giorno dopo la mattanza compiuta dai terroristi, la capitale francese si è svegliata stordita, sui muri erano ancora affissi alcuni manifesti che riportavano lo slogan “Je suis Charlie”, ricordando e denunciando il massacro avvenuto nella sede della testata satirica Charlie Hebdo, con l’unica differenza che in quell’occasione i monumenti erano stati tappezzati con matite, mentre in questi giorni la gente posa su di essi dei fiori. La gente s’incontra per strada, si abbraccia, cerca conforto nel dialogo, spesso s’incontravano per le strade gruppi di gente tra di essa sconosciuti. Uno dei luoghi colpiti dai terroristi venerdì è stato il teatro Bataclan, quando gli attentatori hanno fatto irruzione nella sala, era in corso il concerto della band statunitense Eagles of Death Metal,in cui ha perso la vita la studentessa italiana Valeria Solesin. Sin da subito, la priorità della polizia francese, è stata quella di arrestare la mente del commando, ossia il belga Abdelhamid Abaaoud, morto assieme a sua cugina, che si è fatta esplodere durante lo scontro a fuoco del 18 novembre, in cui le teste di cuoio hanno arrestato otto probabili jihadisti. Il clima di terrore, sta portando i paesi europei a rafforzare le misure di sicurezza, infatti nei giorni seguenti sono state sospese due partite di calcio, la prima tra Spagna e Belgio e la seconda ad Hannover tra Germania e Olanda a causa di un pacco contenente esplosivo. Avrebbe dovuto assistere a quest’ultima partita anche la cancelliera tedesca Angela Merkel.




GRECIA – Il no stravince al referendum. Tsakalotos Nuovo ministro delle Finanze: “Non possiamo accettare una soluzione non praticabile”

Solo una trentina di righe in cui viene chiesto un prestito triennale e in cambio vengono promesse una serie di riforme. Questa la proposta della Grecia di Tsipras e del neo ministro Euclid Tsakalatos all’Europa dei creditori, inviata al fondo salva-stati “Esm”.

“La repubblica greca è pronta a varare un comprensivo pacchetto di riforme e misure incentrato ad assicurare la sostenibilità del bilancio, la stabilità finanziaria e la crescita economica di lungo periodo”. Oltre alle riforme immediate di fisco e pensioni, il governo promette di includere anche delle “misure aggiuntive per rafforzare e modernizzare l’economia”. “Per evitare ogni dubbio questa missiva sovrascrive le nostre precedenti richieste inviate nella lettera datata 20 giugno 2015” conclude la lettera.

Riportiamo  le ana­lisi del suc­ces­sore di Yanis Varou­fa­kis dei pro­blemi che affronterà come nuovo mini­stro delle Finanze di Atene:

“La nostra tesi prin­ci­pale è che la crisi greca non sia asso­lu­ta­mente da con­si­de­rarsi un caso par­ti­co­lare. Al con­tra­rio, essa costi­tui­sce il para­digma di una più gene­rale crisi dell’assetto poli­tico ed eco­no­mico neoliberista.

In que­sto senso, è neces­sa­rio non solo com­pren­dere le ori­gini della crisi eco­no­mica glo­bale ma anche capire per­ché la strut­tura eco­no­mica e isti­tu­zio­nale dell’eurozona si sia rive­lata ina­de­guata per affron­tare gli effetti della crisi esplosa nel 2008.

Le poli­ti­che di auste­rità che hanno domi­nato la scena sin dall’avvento della crisi hanno raf­for­zato l’impostazione neo­li­be­ri­sta dell’economia e della società. Lo spa­zio per rispon­dere alle domande pro­ve­nienti dagli strati più bassi della società si sono andati dram­ma­ti­ca­mente ridu­cendo, anche rispetto al periodo, comun­que con­tras­se­gnato dall’egemonia neo­li­be­rale, pre­ce­dente la crisi.

Tale irri­gi­di­mento ha coin­ciso con un sem­pre mag­giore distacco tra le élite la realtà sociale o, alter­na­ti­va­mente, con una cre­scente inca­pa­cità delle mede­sime élite di rece­pire pro­po­ste di solu­zione ai pro­blemi pro­ve­nienti dall’esterno dei loro circoli.

La riso­lu­zione finale della pre­sente crisi non potrà por­tare alla rico­stru­zione delle con­di­zioni vis­sute delle eco­no­mie neo­li­be­rali prima del 2008 né, tan­to­meno, con­durre verso il ritorno di un sistema social­de­mo­cra­tico di tipo Key­ne­siano. Dovremmo ricor­dare che non vi fu nes­sun ritorno agli sta­tus quo pre­ce­denti in seguito alle due grandi crisi degli anni ’30 e ’70.

Dun­que, da que­sta crisi si muo­verà o nella dire­zione di un’economia capi­ta­li­stica carat­te­riz­zata da un sostan­ziale auto­ri­ta­ri­smo oppure verso un lungo periodo di tra­scen­denza rispetto ad alcuni degli ele­menti fon­da­men­tali del capitalismo.

La nostra visione rispetto alla situa­zione attuale può essere sin­te­tiz­zata nelle quat­tro tesi che seguono.

La crisi che ha inve­stito la Gre­cia non pre­senta alcun carat­tere di eccezionalità
La nar­ra­tiva che vor­rebbe la Gre­cia come un caso iso­lato ed ecce­zio­nale si fonda su tre ele­menti tra di loro inter­con­nessi. In primo luogo, l’irresponsabilità fiscale dei poli­tici greci. In secondo luogo, le dina­mi­che clien­te­lari che afflig­gono il sistema poli­tico greco. Infine, sia l’irresponsabilità della classe poli­tica che il clien­te­li­smo dif­fuso sareb­bero da ricon­durre a una gene­rale inca­pa­cità di moder­niz­zarsi del paese.

Tutto ciò dovrebbe con­durre a una giu­sti­fi­ca­zione dell’austerità fon­data sulla favola cal­vi­ni­sta cara ad Angela Mer­kel, per la quale i pec­ca­tori deb­bono essere puniti per gli sba­gli da loro com­messi nel pas­sato. La nostra visione non potrebbe essere più lon­tana da quella appena sintetizzata.

La Gre­cia, all’alba dell’esplosione della crisi, era com­ple­ta­mente posi­zio­nata all’interno di un’impostazione neo­li­be­ri­sta sia dal punto di vista eco­no­mico che da quello poli­tico. Il paese si tro­vava a con­di­vi­dere con gli altri Stati mem­bri tutti i tratti carat­te­riz­zanti le eco­no­mie fon­date su basi neo­li­be­ri­ste, così come tutti i fal­li­menti spe­ri­men­tati dalle stesse eco­no­mie. In altre parole, la crisi greca è com­pren­si­bile solo se la si guarda come una mani­fe­sta­zione della crisi glo­bale del neo­li­be­ri­smo piut­to­sto che come una crisi dovuta all’incapacità di appli­care, in modo effi­cace, le ricette pro­prie dello stesso sistema neoliberale.

Siamo di fronte ad una crisi glo­bale del neo­li­be­ri­smo e del capitalismo
La nostra seconda tesi è con­fer­mata dal fatto che l’epicentro della crisi è loca­liz­za­bile nei paesi più avan­zati dal punto di vista dell’applicazione delle ricette neo­li­be­ri­ste, piut­to­sto che in paesi ‘sta­ta­li­sti’ quali la Fran­cia o la Gre­cia. La nostra inter­pre­ta­zione della crisi, inol­tre, rifiuta net­ta­mente l’interpretazione orto­dossa sulla base della quale il mal­fun­zio­na­mento dei sistemi eco­no­mici sarebbe da ricon­durre a ragioni eso­gene al sistema stesso. Le radici della crisi sono, altresì, legate all’incertezza e all’instabilità endo­ge­na­mente pro­dotta dal sistema capitalistico.

La crisi ha messo a nudo la fra­gi­lità del sistema poli­tico post 2008.
Dopo una breve fase in cui i prin­ci­pali ele­menti carat­te­riz­zanti l’impostazione neo­li­be­ri­sta – la dere­go­la­men­ta­zione del sistema finan­zia­rio, i super­bo­nus dei mana­ger, gli squi­li­bri macroe­co­no­mici tra paesi o gli effetti dell’individualismo sulla coe­sione sociale – sono stati messi in discus­sione dalle stesse élite, vi è stato un rapida e rin­no­vata con­ver­genza verso lo sta­tus quo ideologico.

In tale con­te­sto, la domanda da un milione di dol­lari è stata: per quale motivo la crisi del 2008 non è stata colta, dalla social­de­mo­cra­zia, come un’opportunità per riaf­fer­mare le pro­prie ragioni sull’ideologia neoliberista?

Per­ché la crisi del 2008 non è stata colta dalla social­de­mo­cra­zia come un’opportunità per riaf­fer­mare le pro­prie ragioni sull’ideologia neo­li­be­ri­sta?

La nostra ipo­tesi è che i social­de­mo­cra­tici siano intrap­po­lati in quel che viene defi­nito da Blyth nel 2002 il «cogni­tive loc­king». Dopo tanti anni di ege­mo­nia cul­tu­rale neo­li­be­ri­sta i social­de­mo­cra­tici si son sco­perti non più in grado di guar­dare il modo da un’altra prospettiva.

Dalla crisi attuale non è pos­si­bile tor­nare indietro.
La nostra tesi con­clu­siva è che dalla crisi che stiamo spe­ri­men­tando non è pos­si­bile tor­nare indie­tro. Le strade pos­si­bili sono due. Una svolta verso una forma di capi­ta­li­smo auto­ri­ta­rio o una tra­scen­denza di alcuni degli ele­menti fon­da­men­tali del capi­ta­li­smo. Nel secondo caso si avrà un disve­la­mento degli effetti cor­ro­sivi pro­dotti da una visione inge­gne­ri­stica della eco­no­mia in cui un unico modello è valido per tutte le società.

Il razionalismo-tecnocratico fa di con­cetti quali la «com­pe­ti­ti­vità» o la «fles­si­bi­lità del mer­cato del lavoro» ele­menti di per sé pre­gni di valore e sulla base dei quali i paesi ven­gono costan­te­mente clas­si­fi­cati. Que­sta visione ha avuto un effetto deva­stante sullo stato di salute delle demo­cra­zie occi­den­tali. E sulla capa­cità di costruire una nar­ra­tiva basata sulle domande cre­scenti pro­ve­nienti dagli strati più bassi della società.

Il legame fon­da­men­tale tra la demo­cra­zia e il fun­zio­na­mento del sistema eco­no­mico dovrà, dun­que, essere posto al cen­tro della rispo­sta della sini­stra alla pre­sente crisi.”

* Quello qui è pre­sen­tato è un estratto da «Cru­ci­ble of resi­stance. Greece, the Euro­zone and the World Eco­no­mic Cri­sis» di Euclid Tsa­ka­lo­tos e Chri­stos Laskos (Plu­to­Press 2013).

E’ uno dei testi migliori sulla crisi tra Gre­cia e Europa e pre­senta le ana­lisi del suc­ces­sore di Yanis Varou­fa­kis sui pro­blemi che ora affronta come nuovo mini­stro delle finanze di Atene.

Tra­du­zione di Dario Guarascio

LE POSIZIONI DELL’EUROGRUPPO:

Taglio del debito? Non se ne parla, ma la Grexit è cosa buona

LETTONIA: «Se in un sistema c’è un elemento che non funziona, rimuovere quell’elemento può essere positivo» per l’insieme dell’Eurozona. Il ministro delle Finanze della Lettonia, Janis Reirs, non ha lasciato alcun dubbio sulla sua posizione. E arrivando all’Eurogruppo straordinario sulla Grecia ha ricordato che il suo Paese ha fatto grandi riforme strutturali che comprendevano anche «il taglio del 30% del personale e dei salari» nel settore pubblico.
ESTONIA –  Il 6 luglio con un provocatorio tweet il presidente estone Toomas Hendrik Ilves aveva proposto di chiedere con un referendum negli altri 18 paesi se i cittadini vogliono aumentarsi la tasse per un altro salvataggio della Grecia.
FINLANDIA –  I piccoli Paesi del Nord sono più duri della Germania, aveva dichiarato qualche giorno fa il ministro delle Finanze francese Michel Sapin. E tra i più duri c’è la Finlandia. Il ministro di Helsinki Alexander Stubb ha chiarito subito: «Non vogliamo alleggerire il debito greco, è stato già fatto nel 2011 e 2012». E ha chiuso anche al progetto di un prestito ponte da elargire attraverso lo European Stability mechanism (Esm).Tuttavia il 6 luglio aveva spiegato di essere disponibile a discutere di una eventuale estensione dei prestiti. La linea morbida nei confronti della Grecia rischia in Finlandia di alimentare il partito euroscettico.
SLOVACCHIA –  La ristrutturazione del debito «è la questione più delicata per la maggior parte dei Paesi» dell’eurozona e per la Slovacchia «è assolutamente impossibile», sono state invece le parole nette del ministro slovacco delle Finanze Peter Kazmir.

LA GERMANIA E I SUOI ALLEATI: NO ALLA  GREXIT

GERMANIA – In Germania non c’è solo il falco delle finanze Wolfgang Schauble a imporre la linea dura. Ma anche i nomi più in vista della Spd, che fa parte della Grosse Koalition di governo. I tedeschi sulla carta vogliono evitare la Grexit, ma le posizioni sono distantissime. Schaeuble ha dichiarato: «Chi conosce i trattati Ue sa che il taglio del debito è vietato». Mentre la cancelliera Angela Merkel ha avvertito: «Mancano ancora le basi per negoziare». E al termine dell’Eurosummit ha aggiunto: «Stasera molti attorno al tavolo hanno detto che un haircut del debito greco non avrà luogo perché questo è vietato nell’euro zona». «Prima di parlare di una ristrutturazione del debito», ha concluso, «vediamo quel che la Grecia può fare».
LITUANIA –  La Lituania chiede riforme, ma è disponibile al negoziato: «Siamo qui per ascoltare il nuovo ministro greco Tsakalotos» in quanto è «necessario rendere le cose più chiare e trovare una strada da seguire», perché «in politica c’è sempre spazio per un compromesso», ha detto il ministro delle finanze lituano Rimantas Sadzius. La Grexit, ha sottolineato, «per noi non è un’opzione per noi».
AUSTRIA –  Il giorno successivo al referendum, il cancelliere austriaco Werner Faymann, considerato nell’ultimo periodo ben disposto verso Atene, aveva spiegato: «Non vedo una strategia» del governo greco, «Un ponte si può costruire solo se anche l’altra parte contribuisce un po’».

SPAGNA – Il governo Rajoy era tra i più intransigenti verso Atene, ma il 7 luglio il ministro delle Finanze De Guindos che aspira al ruolo di presidente dell’Eurogruppo sostiene che Madrid «rispetta l’esito del referendum» ed è «aperta» ad un «nuovo round di aiuti». «Non contemplo l’uscita della Grecia dall’euro».

IL CASO: L’ITALIA

ITALIA –  L’Italia dovrebbe essere, a guardare le sue condizioni finanziarie, tra i migliori alleati della Grecia. Ma per ora si tiene strategicamente ben distante. Il premier Matteo Renzi ha institito sulla necessità di una maggiore integrazione politica europea. E per l’apertura di una fase sempre più necessaria di crescita e investimenti che superi le rigidità dell’euroburocrazia. Ma il primo ministro ha cercato in questi mesi di dialogare direttamente con Berlino. E il carico del nostro debito rende la sua posizione assai scomoda in questo frangente. Uscendo dall’Eurosummit, Renzi ha dichiarato: «Rispetto all’ultima volta non mi pare ci siano le condizioni per parlare ‘in modo strategico del debito’ della Grecia». «La palla», ha aggiunto, «ora è nel campo del governo greco, che domenica dovrà presentare le sue proposte: se saranno ritenute accettabili, si troverà l’intesa, come credo e spero».

SI’ ALL’ACCORDO

IRLANDA – Stupisce la totale apertura irlandese. La nazione Smeraldo che ha subito i colpi duri della crisi del debito si è schierata a fianco dei greci. La ristrutturazione del debito «fa parte delle discussioni» sulla Grecia, ha detto il ministro delle Finanze irlandese Michael Noonan. Il premier Enda Kenny è stato ancora più caloroso: «È giunto il momento ora di dare un po’ di speranza al popolo greco».

LUSSEMBURGO – Il Lussemburgo membro fondatore dell’Unione e Paese del presidente della Commissione Jean Claude Juncker è aperto a tutti gli scenari: «Dobbiamo ascoltare tutte le opzioni», inclusa quella della ristrutturazione del debito, «anche se questo non vuol dire che io sia d’accordo», ha dichiarato il ministro delle finanze del Gran Ducato, Pierre Gramegna.
BELGIO – Il Belgio fa parte del gruppo dei Paesi più concilianti nei confronti di Atene. Eppure il premier Charles Michel non nasconde la stanchezza: «Aspettiamo da parte di Tsipras proposte concrete, precise e convincenti, e innanzitutto ascolteremo quello che ha da dire». Per fare un accordo, ha aggiunto Michel, «bisogna essere in due».
FRANCIA: «Tsipras faccia proposte serie e credibili», chiede il presidente Hollande, che sempre a fianco della cancelliera tedesca ha definito «urgente per la Grecia e l’Europa» che si arrivi a un’intesa. Altri esponenti francesi si sono sbilanciati di più. Il ministro dell’Economia Emmanuel Macron, subito dopo il risultato del referendum di Atene, aveva invitato i governi europei a essere ragionevoli: «Sarebbe un errore storico schiacciare il popolo greco». Lo stesso ha ribadito il collega alle Finanze Michel Sapin: il posto della Grecia «è in Europa ed è nell’euro», h affermato Sapin, dicendosi convinto che Atene sia «capace di fare proposte concrete, solide, durevoli, che sono indispensabili per il dialogo con i partner». Il ministro ha inoltre sottolineato che la Francia, considerata da alcuni più accomodante della Germania, ha «le stesse esigenze degli altri in materia di serietà delle proposte», ma «ha forse un po’ più il senso della storia dell’Europa».




IRLANDA – Primo paese al mondo a chiedere il matrimonio gay con un referendum

L’Irlanda è stata il primo paese al mondo a chiedere ai cittadini di decidere in un referendum se le coppie omosessuali abbiano diritto a sposarsi, come gli eterosessuali. ll 62,1% ha votato sì, i no si sono fermati al 37,9%. I voti complessivi a favore sono stati 1.201.607, mentre quelli contrari 734.300. La presidente della Camera dei Deputati, Boldrini, ha commentato: “Essere europei significa riconoscere i diritti”.

I Paesi in cui i matrimoni omosessuali sono legali salgono a quota 21 tra cui l’Olanda, dove sono stati legalizzati nel 2001, il Belgio (due anni dopo) e ancora il Regno Unito, lo scorso anno. Per un Paese come l’Irlanda, che ha depenalizzato l’omosessualità solo nel 1993,  è un passo particolarmente significativo. Per quanto riguarda adozioni e maternità surrogate nessun cambiamento: l’adozione è già possibile per le coppie gay, nel caso di unioni civili o convivenze, se uno dei due partner è legalmente genitore. La maternità surrogata non è regolata in Irlanda e il governo sta lavorando per legiferare in proposito.

Il premier irlandese Enda Kenny ha ringraziato i giovani per la vittoria del sì. Tantissimi si sono anche impegnati a fare campagna per il sì sui social network, mentre molti sono rientrati dall’estero per votare. Secondo Kenny, cattolico praticante, la decisione manda anche un messaggio alla comunità internazionale sulla “leadership pionieristica“ dell’Irlanda.

“È una rivoluzione sociale” dice l’arcivescovo di Dublino e Primate d’Irlanda – Diarmuid Martin -. La chiesa ora deve fare i conti con la realtà”. I vescovi irlandesi avevano lanciato un appello chiedendo di rispettare i valori della famiglia tradizionale.

Il voto è stato accolto con entusiasmo dal Commissario europeo Cecilia Malmstrom, liberale svedese: “Congratulazioni all’Irlanda per aver votato sì alle nozze gay e si all’amore per tutti” ha twittato aggiungendo tre cuoricini. Un tweet che è stato rilanciato anche dall’account della  Commissione europea.

“Dall’Irlanda una spinta in più. È tempo che anche l’Italia abbia una legge sulle unioni civili. Essere europei significa riconoscere i diritti”, scrive la presidente della Camera, Laura Boldrini.




“Atom for peace”. Sarà vero?

«Meglio non avere un accordo che un cattivo accordo», ha proclamato  la Guida Suprema Ali Khamenei, riecheggiando le parole del premier israeliano Benjamin Netanyahu, ostinato avversario dell’intesa di Losanna.

In sincronia con il presidente iraniano Hassan Rohani, Khamenei si è detto molto irritato perché l’Iran vorrebbe la revoca immediata delle sanzioni e non graduale, agganciata alle ispezioni dell’Aiea come nelle intenzioni dichiarate dal Cinque più Uno. Le sanzioni, secondo Teheran, devono essere cancellate il giorno stesso dell’accordo definitivo previsto entro il 30 giugno. La leadership iraniana sembra pretenziosa e intrattabile.

Il leader, in un intervento trasmesso dalla tv di Stato in occasione della Giornata nazionale della tecnologia nucleare, ha spiegato: “Vogliamo un accordo vantaggioso per tutte le parti coinvolte nei colloqui sul nucleare” e ha aggiunto: “Il presidente Usa, Barack Obama, ha riconosciuto che il popolo iraniano non si arrenderà a sopraffazioni, sanzioni e minacce, e questo fatto è una conquista” da parte della Repubblica islamica in sede di negoziati sul nucleare con le potenze mondiali.

Avere reattori civili in Iran non è come mettere il cartello “Zona denuclearizzata” all’ingresso delle nostre città di provincia, testimonianza di un grande impegno pacifista per un mondo libero da armi atomiche durato sino agli anni Ottanta.

Per Barack Obama la situazione si complica, il presidente degli USA dovrebbe pensare a un piano B, lo scenario è  mutato da  quando,  nel 1954,  Eisenhower approvò ufficialmente il progetto “Atom for Peace” al fine di agevolare l’introduzione dell’energia nucleare in applicazioni civili e per la produzione di energia elettrica, e trovare un punto di equilibrio diventa più difficile.

In Medio Oriente le trattative sono complesse e anche le parole hanno un significato diverso: l’Iran dei persiani è in guerra, le milizie sciite combattono in Iraq e in Siria contro il Califfato sunnita e i suoi alleati, da Al Qaeda alle monarchie arabe del Golfo, alla Turchia. Nello Yemen, Teheran è ai ferri corti con l’Arabia Saudita, in un conflitto dai connotati sempre più settari e inconciliabili, in cui si è arrivati a schierare navi da guerra nello Stretto di Bab el Mandeb, “la Porta delle lacrime”.

E la parola nucleare è legata più alla parola guerra che al termine energia, come vogliono invece  far credere.

Neanche la CIA sa esattamente quante testate nucleari abbia Israele (che si rifiuta categoricamente di dare spiegazioni in merito) ma la stima migliore ne accredita 80 a Tel Aviv, con plutonio sufficiente per arrivare fino a 200. Solo nel 1998 l’odierno presidente Shimon Peres rivelò che gli esperimenti israeliani sul nucleare erano cominciati già negli anni Cinquanta. Israele disporrebbe di unità terrestri, aeree e sottomarine, per il lancio dei missili.

Mentre l’Iran, per quanto accusato da Israele di essere a un passo dall’ottenere un ordigno nucleare, non ha ancora  un armamento.

L’Iran di oggi come quello dello Shah Mohammed Reza Palhevi, allora alleato di Washington, ambisce a essere una potenza nel Golfo. I suoi avversari arabi fanno di tutto per impedirlo e non esitano ad allearsi con Al Qaeda e il Califfato per raggiungere lo scopo. In questo conflitto, interno all’Islam, ma con implicazioni globali, gli Stati Uniti e l’Europa sono in posizione contraddittoria: combattono lo Stato Islamico, ormai penetrato a Damasco, e allo stesso tempo dichiarano di sostenere i sauditi nello Yemen e fanno affari con le petromonarchie che appoggiano i movimenti più radicali e terroristi.

In un colloquio a Teheran di qualche tempo fa, Shariatmadari, che perse un braccio nelle prigioni dello Shah e a sua volta torturava i prigionieri politici nel carcere di Evin, fu esplicito: «Sono gli americani che devono fare la pace con noi, non noi con loro».

Khamenei parla all’Iran  e alla comunità internazionale occidentale e araba. Deve accontentare l’ala estremista della rivoluzione islamica contraria all’accordo di Losanna.

In cima alla lista dei Paesi che possiedono armi nucleari ci sono gli Stati Uniti,che hanno condotto più test, dispongono di 7.650 testate, di cui 2.150 attive e così distribuite: 500 testate terrestri, 1.150 assegnate ai sottomarini nucleari e 300 pronte per essere montate sugli aerei. Inoltre, nell’alveo del programma di condivisione nucleare della NATO, la CIA riferisce di altre 200 bombe termonucleari (B61 a gravità) schierate in cinque Paesi NATO: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia.

La Russia dispone di 8.420 testate nucleari, di cui 1.720 attive. Gli effetti delle sperimentazioni atomiche sovietiche sono ancora oggi evidenti in molte aree dove furono condotti i test. Nell’odierno Kazakhstan, ad esempio, tra il 1949 e il 1989 il sito di Semipalatinsk fu teatro di ben 456 esplosioni termonucleari. Inutile dire che quell’area è estremamente radioattiva, per un raggio di almeno 80 km, tale che intere comunità e villaggi, ancorché distanti, portano addosso i segni indelebili di quegli esperimenti, che si sostanziano in deformazioni, leucemie e malattie ereditarie.

La Cina si ha iniziato a produrre  armi nucleari  dal 1950, dopo che gli Stati Uniti intrapresero esperimenti nucleari nel Pacifico (proprio durante la guerra tra le due Coree). Il primo test di successo con un ordigno nucleare è targato 1964, cui seguì la prima prova termonucleare due anni e mezzo più tardi (il più breve tempo tra fissione e fusione le prove di tutte le potenze nucleari). Oggi si suppone che la Cina abbia circa 140 testate terrestri e 40 assegnate per gli aerei. La CIA, che ne ha stimate 240 in totale, ritiene che le restanti testate siano conservate per un futuro impiego in un sottomarino nucleare, che oggi non possiede.

La Francia, dopo USA e Russia, è la terza potenza nucleare al mondo, anche se dispone di “sole” 300 testate, 250 delle quali assegnate a sottomarini nucleari e le restanti 50 pensate per attacchi aerei. Nel 1996, sotto la presidenza Chirac, ha smantellato tutte le testate terrestri.

Il Regno Unito ha condiviso con gli americani il “Progetto Manhattan”, padre di tutte le sperimentazioni nucleari, sviluppando poi un proprio personale programma (pur condividendo oltre la metà dei test con gli USA). Oggi dispone di 160 ordigni operativi, esclusivamente per uso sottomarino.

Pakistan e India dispongono entrambe di circa 100 testate (90/110). Islamabad decise di avviare un proprio programma nucleare nel 1972, in seguito alla guerra con l’India, sperimentando test sotterranei (nel distretto di Chagai, vicino al confine con l’Iran) e oggi dispone di missili nucleari terrestri e aerei. L’India, di converso, ha prodotto armi nucleari proprie dopo i test nucleari della Cina a metà degli anni Sessanta, testando i propri ordigni dal 1974 al 1998. Dispone di missili nucleari aerei e terrestri e da anni cerca di allargare il programma nucleare alle forze marine.

La Corea del Nord, secondo le stime della CIA, avrebbe meno di 10 testate nucleari che ha sperimentato in tre occasioni (2006, 2009 e 2013), fatto che ha comportato per Pyongyang dure reazioni della comunità internazionale e nuove sanzioni economiche. Tuttavia, la minaccia nucleare nordcoreana, particolarmente contro Corea del Sud e Stati Uniti, è poco più che un bluff. Infatti, anche se la Corea ha condotto tre test nucleari sotterranei ed effettuato test missilistici balistici, e nonostante la certezza che gli scienziati nordcoreani abbiano separato abbastanza plutonio per le 10 testate di cui sopra, non è confermato che Pyongyang sia davvero in grado di armare i missili e lanciarli, non disponendo né di sottomarini né di aerei in grado di condurre un efficace attacco dal cielo.

Mutatis mutandis, anche la politica energetica internazionale è stata modificata.

Nonostante i dati favorevoli al nucleare (soprattutto in Francia), secondo l’IAEA (International Atomic Energy Agency) il peso dell’energia nucleare rispetto alle altre fonti di energia era destinato a ridursi entro il 2020. Questa previsione è datata 2004 ed è  stata smentita dagli ultimi eventi della politica energetica internazionale. L’affermazione e l’ascesa di nuovi paesi sullo scacchiere mondiale (es. Cina e India) e la conseguente crescita della domanda di energia mondiale ha spinto alla cantierizzazione di nuovi reattori nucleari. In Asia sono attualmente in cantiere almeno 15 nuove centrali nucleari (Cina, Corea del Sud, India e Taiwan). La situazione in Europa  merita invece un livello di approfondimento maggiore. L’assenza di investimenti nella costruzione di nuove centrali nucleari in Europa negli anni ’90 è un dato di fatto. La Finlandia è stato l’unico paese europeo ad avere messo in cantiere nell’ultimo decennio del ‘900 la costruzione di una nuova centrale nucleare (centrale di Olkiluoto, attiva entro il 2010).

L’approccio nei confronti del nucleare da parte dei paesi europei è radicalmente mutato nel corso del primo decennio degli anni duemila. L’effetto serra e il caro petrolio hanno fatto riavvicinare all’energia nucleare anche i paesi occidentali più scettici. Agli inizi degli anni duemila molti paesi europei nuclearizzati (Svezia, Germania, Olanda e Belgio) avevano deciso di non sostituire le attuali centrali nucleari al termine del loro ciclo produttivo.

L’acuirsi del problema ambientale e le cicliche crisi del petrolio e del gas hanno però rimesso in discussione il destino del nucleare in Europa. La politica prevalente in questi ultimi anni tende a prolungare la vita delle centrali nucleari europea, in attesa di una possibile risposta ai problemi del nucleare da parte della ricerca scientifica. Prevale pertanto una politica di attesa.

Sono circa 440 i reattori nucleari attivi nel mondo. I paesi con maggiore presenza di reattori nucleari sono i seguenti: USA (1049), Francia (59) e Giappone (53).




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BELGIO – Paese in stato di allerta. Due morti e 13 arresti durante l’operazione antiterrorismo

All’indomani della maxi-operazione delle forze di sicurezza, con due morti e 13 persone arrestate, dodici le abitazioni perquisite – presunti membri di una cellula di jihadisti, tornati dalla Siria, pronti a fare un attentato contro la polizia – l’allerta in Belgio resta al livello tre su una scala di quattro, e il Paese si risveglia nella paura. La sicurezza è stata rafforzata nel Paese, soprattutto nei commissariati, dove gli agenti di guardia sono armati di mitragliette. Inoltre è stato chiesto alla popolazione di non andare ai posti di polizia se non in caso di stretta necessità. I membri del personale operativo della polizia locale di Anversa hanno ricevuto il permesso di portare a casa la loro arma di servizio. Intanto le principali scuole ebraiche di Bruxelles e Anversa sono rimaste chiuse, mentre le misure di sicurezza sono state rafforzate presso le istituzioni europee. Secondo indiscrezioni circolate nelle ultime ore e diffuse da alcuni media belgi (Derniere Heure e on-line fiamminghi) i jihadisti stavano preparando il rapimento e la decapitazione di un importante personaggio.

L’emittente belga Rtl riporta, invece, che i membri della cellula di presunti jihadisti neutralizzata ieri sera dalle forze speciali belghe a Verviers probabilmente erano di origine cecena. Nel municipio di Moelenbeek, a Bruxelles, il sindaco Francoise Schepmans ha confermato al quotidiano Soir che una persona è stata fermata nel corso di cinque perquisizioni. Un’altra perquisizione è stata condotta nell’area di Schaerbeek. Secondo iTele una decina di arresti sono stati condotti nell’area attorno a Parigi, in Francia, e a Berlino, in Germania. Ma al momento non sono stati stabiliti legami con l’operazione in Belgio, anche se secondo indiscrezioni ci sarebbero state operazioni coordinate in sette Paesi Ue e nello Yemen. Nello Yemen è stato fermato un belga sospettato di far parte di una cellula di Al-Qaida, e viene interrogato in queste ore.