Tempo al tempo

Da qualche settimana arrivo a fine giornata completamente stanca. Puntualmente poi non riesco a prendere sonno, ma che sono insonne già ve l’ho detto. Proprio la mancanza di riposo mi rende difficile ricaricare le pile, ammesso che davvero si possano ricaricare e che non vadano ad esaurimento. È un periodo molto frenetico della mia vita, di quelli in cui mi sveglio alla mattina già con una lista di cose da fare che puntualmente non riesco a portare a termine, allungandola di giorno in giorno.
Si tratta per lo più di faccende legate all’università o al lavoro e per questo non posso né procrastinarle né sbrigarle con velocità. Ma devo dire di essere diventata piuttosto lenta, ultimamente, come se ancora non sentissi il tempo incalzare e rimanessi nel mio letargico sonno d’inverno.
Sta tornando invece la primavera, a giorni alterni, mescolando sole e pioggia come solo Marzo sa fare, abile amante che confonde regalandoti gioia e tristezza, in un tira e molla quotidiano.
Mi convinco di non essere meteoropatica e mi scrollo: “datti da fare, non rimandare, non perdere tempo!”.
Ecco, intimarmi di non perdere tempo funziona. Ho sempre avuto la paura di restare ferma, lontano dagli altri, al blocco di partenza mentre tutti corrono. Ho scoperto poi che guardare i famosi “altri” non porta più lontano che restare fermi. Gli occhi con cui li vedo non sono gli stessi con cui mi specchio, riflettendo su di me le mie ansie e analizzandomi punto per punto.
Mi guardo come fossi un problema complesso di matematica e osservo chi ho intorno come se fosse già arrivato, come se avesse già la soluzione mentre ancora io raccolgo i dati.
È una sensazione spiacevole e forse si chiama inadeguatezza, ma se da sola fa paura, parlandone con i miei amici ne abbiamo riso, scoprendo che alla vista degli altri sono “determinata, capace, ambiziosa e sicura di me.” Decidete voi se sono io troppo autocritica o se sono loro troppo miopi, perché a me sembra che stiano esagerando. Certo è che mi fa molto piacere, e riesce a risolvere buona parte della mia sensazione di perenne affanno.
La restante, anche se non ha una vera e propria soluzione, ha certamente una causa nota: l’aver passato due anni della mia vita a rincorrere la remissione, perché guarire è una parola ancora tabù. Per molti, anche cancro è una parola vietata, sostituita con la tautologica “brutta malattia”. Oltretutto, trovatemi voi una malattia bella.
In qualunque modo lo si chiami, il tumore mi ha tolto la spensieratezza tipica con cui affrontavo la mia vita da sedicenne, appesantendomi lo spirito con quel senso di tempo perennemente sfuggente. Saranno stare le ore aspettate nelle sale di aspetto, mai nome fu più azzeccato, impiegate in elaborati esercizi mentali, o le giornate tutte uguali a ritmo di gocce di chemioterapia distillate dalla flebo in endovena.
Spossata dal mondo che mi era piovuto sulle spalle, non avevo la forza di fare nulla, se non sopravvivere ai giorni. Mi sentivo il corpo vuoto e per compensazione mi riempivo la testa di tutte le cose che avrei potuto fare, se solo non fossi stata malata.
Devo dire che sono obiettivi quasi tutti nella lista attuale. Quella che mi mette tanta ansia ora. Ironicamente, prima avevo tutto il tempo e mi pareva di sprecarlo, ora non ne ho abbastanza. Il risultato non cambia, mi sento sempre fuori tempo, un po’ annoiata, un po’ affannata.
Ma forse il tempo che passa non è sprecato, è solo speso in attesa di tempi migliori. Chissà.
Arriverà Maggio e porterà solo gioie, non pioggia. E anche gli esami universitari, non dimentichiamocelo.

 

 




Oltre la piazza: Modena parking

 

Se pensi che la vita abbia un senso se non trascendentale almeno concreto, sei capitato nella città sbagliata.

Se pensi che pagando le tasse comunali ti spetti di diritto un posto dove poter parcheggiare la tua auto senza subire atti vandalici, inizia anche a pensare di cambiare città.

Perché a Modena  non puoi proprio lasciare l’auto e rimanere tranquillo.

Non puoi nemmeno fartene una ragione attribuendo la colpa della tua preoccupazione alla caotica vita cittadina tipica di una grande città, di una metropoli, perchè Modena non lo è.

Puoi solamente avvelenarti il fegato quando vai a riprendere l’auto e la trovi sfregiata con raschi e ammaccature di dimensioni varie.

Puoi ammalarti di gastrite a forza di pagare multe per la segnaletica impazzita.

Possedere un auto a Modena costa più di quanto dovrebbe.

Guardiamo questo tratto di via Francesco Selmi.

Un senso di qua

E l’altro in direzione opposta, verso il semaforo posizionato all’estremità della stessa strada.

Ma quello che proprio non va sono i divieti di sosta. Ci sono e nessuno li rispetta. Incomincia così il dramma del povero visitatore che, non conoscendo le zone e chi vi abita, pensa che anche questi segnali siano stati posizionati erroneamente.

Sarà vero? Si domanda, senza poter ricevere risposta.

La multa è assicurata. L’unica cosa certa in una vita senza senso.

Qualcuno si vendica imbrattandoli con la vernice, ma niente, l’illegittimità regna sovrana e non l’annulli con nessun mezzo.

Con un’amministrazione comunale assente diventa legittimo creare la propria segnaletica. Ed ecco che qualcuno delimita il proprio posto auto abusivo.

Questa è la situazione in via San Paolo, a due passi da Piazza Grande e dalla Ghirlandina, patrimonio dell’Umanità.

A cosa servono queste videocamere? Soltanto a multare i residenti che non pagano il pass per transitare  e per parcheggiare! Nel centro storico. Un modo come un altro per fare cassa e non fornire servizi.

I ciottoli del selciato sono gli stessi della piazza ma, la tutela ambientale e dei cittadini, il benessere, finiscono dove termina il marketing per il turismo.

 

Dove saranno finiti i vigili urbani? Cosa fa tutto il giorno la polizia municipale di Modena?

Questo resta un grande mistero.

Il confronto con altre città nasce spontaneo: pensiamo alla vigilata, ordinata, pulita e ben gestita Verona.

Eppure i modenesi si paragonano ai veneziani. “Anche a Modena c’erano i canali”, dicono. “Modena era come Venezia”. Era.. Secoli fa!

Sta di fatto che i veneti la segnaletica non l’hanno venduta.

 

Ed ecco qui le strisce abusive grigie, metallizzate e  fluorescenti in via San Paolo.

 

Queste, invece, sono strisce e segni lasciati con tutt’altra finalità sull’auto del malcapitato che ha parcheggiato dove non doveva.

Diciamolo pure, Modena lascia il segno!

Insomma, più che un “Modena Park” sarebbe servito e servirebbe un Modena parking!  Sicuramente la vita avrebbe un senso, almeno per chi si sposta in auto!




Levami quel peso dal cuore

Chi sono?

Vedevo opportunità all’orizzonte, là dove il cielo si confonde con il mare e non si distinguono più i colori. Le vedevo come si scorgono i profili delle navi, e come una bambina le indicavo con il dito dalla spiaggia. Ero forse una bambina davvero, a 16 anni e una manciata di idee in testa. Ora nemmeno le ricordo, quelle idee. Mi ricordo però perfettamente il giorno in cui le opportunità sparirono dalla mia visuale, prima timidamente, poi di colpo. Mi dissero che avevo un tumore con lo stesso tono con cui si annunciano le previsioni del tempo. “Domani sono previste ampie schiarite in tutto il nord-ovest, ma tra quindici giorni al massimo perderai tutti i capelli.”  Fu allora che compresi che ogni cosa sarebbe cambiata, senza cambiare per nulla.
Mi spiego: i miei compagni di scuola, i miei parenti, i libri da studiare e i muri di casa sarebbero stati sempre gli stessi, ma ero io a vederli ogni giorno un po’ diversi. I giorni poi, si somigliano tutti, cambiano i numeri, cambiano i nomi: lunedì, martedì, venerdì … ma hanno tutti la stessa cadenza sorda, si ripetono e si ripetono ancora. Io anche cambiavo e restavo sempre la stessa, mi confondevo come cielo e mare al tramonto. E nelle stesse acque dove vedevo le opportunità ora scorgevo minacce.
Molte volte ho creduto di non vedere più l’alba, e gli orizzonti nitidi dei giorni di sole.
Ho imparato però che forse non dovevo guardare così lontano, ma coniugare tutti i verbi al presente. Me lo ha imposto una malattia che prevede cicli di cura lunghi e dolorosi e controlli serrati, dove la parola “guarire” compare solo dopo 5 anni.

Ma non voglio parlare di questo, o si, anche. Ma parlare di cancro in questo modo, raccontando per filo e per segno la propria battaglia, non è poi difficile, e a me le cose facili non piacciono.
Per quanto le storie di “cancer surviors” siano bellissime, si somigliano sempre un po’ tutte.
E nemmeno io sono così speciale. Ora che sono in remissione da un bel po’- senza contare troppo gli anni e voler fare bilanci-  vivo la mia vita da ventunenne che studia e ha qualche sogno nel cassetto, dove ogni tanto dovrebbe fare un po’ d’ordine. Insomma, normale.

Eppure sono certa che qualcosa da dire ce l’abbia. Qualcosa di bello, o di interessante, o anche semplicemente di vero. Un messaggio di speranza, uno scorcio di vita quotidiana, un po’ di me e un po’ degli altri. Un po’ di riflessioni, un po’ di spensieratezza.
Tutti abbiamo bisogno di leggerezza nella vita. Io lo sostengo da sempre, da quando in una radiografia ho scoperto un bel malloppo di 15 cm, che opprimeva il petto.
Da allora, ho fatto di tutto per levarmi quel peso dal cuore. Ma sono certa che ciascuno abbia i propri fardelli. Io sono riuscita a liberarmi del mio, e non era per nulla scontato. Magari, pian piano, vi racconto come.