ITALIA – Ernest Hemingway ragazzo di Bassano del Grappa

“Vorrei essere seppellito lassù, lungo il Brenta, dove sorgono le grandi ville con i prati, i giardini, platani, cipressi. Conosco qualcuno che forse mi lascerebbe seppellire nelle sue terre”. Recita così un manoscritto di Ernest Hamingway. Bassano del Grappa, allo sbocco del fiume Brenta dalle montagne, fu nel 1917 e nel 1918 punto di massima resistenza contro i reiterati tentativi austro-ungarici di irrompere nella Piana veneta e travolgere lo schieramento italiano.

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Poco a nord dal celebre ponte in legno del Palladio, sulla riva est del fiume, sorge Ca’ Erizzo, un’elegante struttura del ‘400, con successivi rifacimenti e abbellimenti. Nel 1918 la villa fu residenza della Sezione Uno delle ambulanze della Croce Rossa americana.

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Tra i volontari autisti c’erano i futuri scrittori John Dos Passos, Dudley Poore, John Howard Lawson, Sydney Fairbanks  ed Ernest Hemingway, il cui racconto MS 843 del 1919 intitolato “The Woppian Way” o “The passing of Pickles McCarty” prende le mosse proprio da Ca’ Erizzo e dagli Arditi ch’erano ivi pure accantonati.

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Ernest, il più irrequieto del gruppo, era solito scorazzare, nelle sue giornate libere  su una motocicletta Triumph, con la quale fra l’altro una sera andò a sbattere contro un albero.

In una parte del complesso, restaurato dall’attuale proprietario, Renato Luca, ha sede il Museo Hemingway e della Grande Guerra, che ospita  una “Collezione Hemingway” con una vasta documentazione.

Il museo occupa cinque grandi locali situati a livello strada con accesso diretto da essa. La parte espositiva è formata da 58 grandi pannelli, ricchissimi di spiegazioni storiche, di fotografie e di testimonianze.

La sua peculiarità, al di là del potere evocatore del grande evento funesto e dell’esauriente illustrazione dei suoi passaggi cruciali, è quella di fornire una testimonianza, unica in Italia, sulla partecipazione degli Stati Uniti alla Prima Guerra mondiale.

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Nella sala d’ingresso, Hemingway accoglie il visitatore con i suoi romanzi ispirati dalla Grande Guerra: “Addio alle armi” e “Di là dal fiume e tra gli alberi”. Poco dopo,  il 9 ottobre 1927, uscì sul «New York Herald Tribune» una recensione di Virginia Woolf alla prepubblicazione di “Uomini senza donne”, il racconto era destinato a diventare “Addio alle armi”.

E’ singolare pensare che una delle rappresentazioni più forti della guerra offerte da Hemingway non sia frutto di una esperienza diretta. Lui a Caporetto non c’era, non c’è mai stato. Ernest Hemingway  non era uno storico, ma uno scrittore di fiction e un buon giornalista. Negli anni di guerra ha sperimentato la sofferenza direttamente, ha visto la morte e le trincee e ha voluto che tutto questo fosse parte di un racconto.

Ha fatto quindi il giornalista: ha parlato con tutti quelli che avevano visto la rotta di Caporetto, ha letto tutto quello che c’era da leggere e poi ha creato un libro che è più reale della realtà e che alla fine è anche una denuncia della follia della guerra e fortemente antimilitarista. Il protagonista è sul fiume, sull’Isonzo, e vede i carabinieri che stanno fucilando gli ufficiali che, nella confusione della battaglia, si sono ritirati. Corre verso il fiume e si butta in acqua ed è proprio in quel momento che decide che quella non è la sua guerra e che vuole tornare a casa.

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Un’altra singolare documentazione riguarda la partecipazione degli aviatori americani al conflitto. Passando alle altre sale, le tappe salienti della Grande Guerra si succedono con ritmo incalzante, sempre ricchissime di documentazioni inedite e non riscontrabili in musei analoghi.

Ernest Hemingway soggiornò presso Villa Ca’ Erizzo durante il periodo della Grande Guerra. Questo è il motivo per cui si è voluto dedicargli questo importante spazio e allestimento storico-culturale.

Di questo noto personaggio del mondo della letteratura e non solo, in anni di paziente ricerca, si è voluto raccogliere una vasta documentazione archivistico-fotografica, nonchè numerose sue opere editoriali, in diverse edizioni in lingua italiana e straniera.

Lo stesso dicasi per rare e originali riviste, che hanno voluto ampiamente trattare della sua vita e della sua attività.

Questo museo vuole porsi come struttura e fondazione che nel tempo andrà a studiare e sviluppare tutto ciò che di inedito e originale custodisce. Il fine è di contribuire a valorizzare la prestigiosa presenza che Hemingway ha voluto riservare all’Italia e al Veneto durante le sue frequenti permanenze. Perchè, come afferma il nipote John, “è qui che tutto è cominciato dell’uomo che conosciamo come Ernst Hemingway”.

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A Ernest fu trasmessa dal padre una vibrante passione per tutte le attività legate all’aria aperta, l’amore per la natura, quella più selvaggia e incontaminata, per la pesca e la caccia.

Queste ultime due passioni, col trascorrere degli anni, ebbe modo di praticarle in molti continenti, effettuando lunghi viaggi e permanenze in diversi stati del Nord e Sud America, in Africa, in Asia e in Europa.

Lo scrittore fu ripetutamente e lungamente presente in Italia, spesso in Veneto, affascinato dalla sua laguna dove cacciò e fu più volte ospite del barone Raimondo Franchetti, a Torcello.

In una delle sale del museo, Hemingway accoglie il visitatore in una suggestiva scenografia, che lo vede riprodotto a grandezza naturale, così come ritratto in una foto durante l’ultimo dei suoi safari in Africa.

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La crisi italiana che vogliono nascondere

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Da quando è iniziata la crisi, in Grecia si sono suicidate 10.000 persone, a riferire questo dato  Theodoros Giannaros, 58 anni, direttore dell’Ospedale Elpis:

“Penso continuamente a quei 10 mila morti che abbiamo seppellito nel silenzio. Penso a mio figlio. E penso che se in Germania un cane muore in malo modo, ecco che il caso finisce sui giornali, se ne dibatte in tv. Ma avete mai sentito parlare dei nostri giovani, dei nostri anziani che si sono suicidati? La guerra civile della Jugoslavia ha fatto 20 mila morti. Quella, però, era una guerra. Che cos’è, invece, questa nostra strage? È una domanda a cui non so rispondere, posso solo dire che in questo momento mi vergogno di essere un europeo”.

In Italia  i morti non si contano, di loro ci giunge notizia attraverso i giornali e  ci sembrano casi isolati e sporadici.

Si è impiccato il giorno prima dell’esecuzione dello sfratto dell’appartamento dove viveva a Casalecchio. L’uomo, un 53enne agente di commercio, secondo quanto riporta l’edizione locale del Resto del Carlino, reduce dal fallimento della propria attività economica – si occupava della gestione di una rete di distributori automatici di acqua ed alimenti – è stato trovato morto dalla madre.

Separato, padre di una figlia piccola, viveva con una nuova compagna e da due anni era tornato ad abitare assieme alla madre 81enne nell’appartamento, venduto all’asta giudiziaria. Il 53enne aveva manifestato anche chiari segni di depressione, tanto che da alcuni anni era seguito dal servizio di igiene mentale dell’Ausl. A Casalecchio sono intervenuti i carabinieri e il 118.

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Tragedia sull’argine del Brenta, un operaio si suicida impiccandosi.
Il corpo della vittima, un padovano 32enne di Piove di Sacco, è stato trovato martedì pomeriggio da un passante nel territorio di Campolongo Maggiore, nella limitrofa provincia veneziana.

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 Costretta a vivere in tenda da giugno dopo essere stata sfrattata, è morta la donna la cui storia disperata era stata raccontata dal Carlino domenica scorsa. Il dramma di Luana Brugè, 45 anni, di Porto Recanati, si è tragicamente concluso lunedì notte nell’abitazione della madre a Loreto, dove la donna si è spenta dopo un malore. Probabilmente sfiancata dalle precarie condizioni in cui si trovava, disidratata, dopo essersi accampata per giorni vicino al fiume Potenza, la 45enne era stata accompagnata a Loreto dal compagno.

 La donna, dopo aver perso l’abitazione perché non riusciva più a pagare l’affitto e senza un lavoro che potesse garantirle un guadagno anche minimo, aveva trovato riparo nella tenda acquistata per una manciata di euro al supermercato, nonostante il caldo torrido di questo periodo. Ma per lei era l’unica soluzione. Aveva detto di aver cercato un’occupazione come donna delle pulizie, ma senza risultati. E anche il compagno, che lavorava come operaio, è disoccupato. Quindi, prima di decidere di rifugiarsi nella tenda, alla coppia non era rimasto altro da fare che affidare la bimba alla nonna. “Almeno mia figlia vive decorosamente – aveva spiegato la 45enne –. Non posso portarla in questo tugurio. Noi ci arrangiamo come possibile ma lei non deve sapere nulla. Appena ho un passaggio vado a trovarla da mia madre. Qui non voglio che venga”.

Brugè aveva abitato, fino ai primi di giugno, in via San Giovanni Bosco, nel centro di Porto Recanati. “Mio marito ha perso il lavoro da mesi e non ha trovato più nulla – aveva proseguito nel racconto delle sue difficili condizioni di vita –. Io non trovo un posto da oltre un anno. Nemmeno come donna delle pulizie. Ho provato anche negli chalet per la stagione estiva, ma già avevano il personale al completo. Ho girato dappertutto e chiesto anche aiuto al Comune, ma senza ottenere qualcosa di concreto. Non mi ha ascoltato nessuno. Il proprietario di casa, che mi aveva garantito di riuscire a farmi rimanere in casa fino a fine mese, mi ha detto che dovevo andarmene”.

La 45enne si era già sentita male sabato scorso, a causa del gran caldo. La donna era stata soccorsa dalla Croce Azzurra che l’aveva trovata in un forte stato di disidratazione. Quella mattina erano intervenuti anche i vigili urbani e gli assistenti sociali che si erano resi disponibili ad aiutare la coppia. Purtroppo non è stato possibile. La 45enne è morta prima per un collasso cardio-circolatorio. Nessun commento da parte della famiglia della donna che si è chiusa nel proprio dolore, per proteggere la nipotina.

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Sono sempre di più le famiglie che non riescono a pagare l’affitto e il dato emerge dall’analisi pubblicata dall’Agenzia di statistica del ministero dell’Interno sull’andamento degli sfratti in Italia nel 2014. Numeri che fanno paura e raccontano una vera e propria emergenza sociale, che di anno in anno si va aggravando.

Nei primi sei mesi del 2014 i nuovi sfratti emessi sono stati 39.427 (di cui 35.257 per morosità), le richieste di esecuzione con ufficiale giudiziario 74.718, gli sfratti eseguiti con la forza pubblica hanno raggiunto la cifra di 18.465. Nei primi sei mesi del 2013 (anno in cui si è raggiunto il picco negativo di 73.385 sfratti) gli sfratti emessi erano stati 38.869, 75.348 le richieste di esecuzione, 16.520 gli sfratti eseguiti con la forza pubblica.
A conti fatti il numero degli sfratti continua costantemente a crescere dal 2008, anno di inizio della crisi economica. Inoltre ad aumentare sempre di più sono gli sfratti per “morosità”, che hanno raggiunto la percentuale del 90%: la maggior parte delle famiglie che perdono casa non possono permettersi di pagarla, spesso perché ha perso il lavoro.
Dal 2014 sembra proprio che l’emergenza abitativa non riguardi più soltanto le grandi metropoli del nostro Paese, come spiega Walter De Cesaris, segretario nazionale dell’Unione Inquilini: “Il numero degli sfratti per morosità emessi nelle province ha raggiunto quelli emessi nei capoluoghi e sempre più si sfratta con la forza pubblica. Questo mostra il fallimento delle politiche del governo a partire dalle mirabolanti promesse avanzate nel cosiddetto ‘Piano casa’ del Ministro Lupi. Serve una vera politica sociale della casa che oggi non c’è“.
Ma non solo: pure i fatti di cronaca ci portano a pensare che la questione casa sia ormai una vera e propria emergenza.

Anche una giovane madre di Bologna si è impiccata lasciando orfani i suoi due figli, proprio a pochi giorni dall’arrivo dell’ufficiale giudiziario. Inoltre il 28 giugno è scaduta la proroga di quattro mesi per finita locazione per le categorie protette: “Il nostro non è più un grido d’allarme ma una dichiarazione di guerra” tuonano i movimenti per il diritto alla casa, in protesta davanti al tribunale civile di Roma che promettono una calda estate di mobilitazioni.

E come se non bastasse, nel pieno della crisi,  il Governo Renzi ha pensato bene di opporsi all’impignorabilità della prima casa, bocciando – nel dettaglio – la mozione presentata dal Movimento 5 Stelle che prevedeva “la sospensione per 36 mesi della procedura espropriativa immobiliare” qualora “l’immobile non sia sottoposto a sequestro e a confisca in attuazione della legislazione contro la criminalità organizzata” e l’assunzione di “iniziative per prevedere, al contempo, l’istituzione di un fondo, con dotazione annua di almeno dieci milioni di euro, per la remunerazione degli interessi ai creditori“.

I testi approvati – si legge su http://www.mafia-capitale.it/ – sono molto blandi e impegnano il governo solo a “a valutare l’opportunità di adottare iniziative di rango normativo volte ad individuare misure di natura economica per la gestione dei mutui ipotecari per la prima casa in sofferenza, con particolare riferimento ai nuclei familiari, soprattutto quelli numerosi, che si trovano in situazione di temporanea insolvenza“.

Si è preferito dare dieci milioni di euro al porto di Molfetta per fare un favore al senatore Azzollini su cui pende una richiesta di arresto. Rinunciando a un F35 si potrebbero salvare 144mila famiglie.

Solo grazie al sito web del Pentagono veniamo a sapere che la Difesa italiana ha firmato a inizio giugno un nuovo contratto con Lockheed Martin ordinando altri quattro F35 e portando così a 14 il totale dei velivoli acquistati finora dal nostro Paese. Il contratto, da circa 35 milioni di euro, è relativo all’ordine di un nuovo lotto di F35 (il decimo) comprendente quattro aerei: due convenzionali e due in ‘versione portaerei’ a decollo corto e atterraggio verticale. La cifra, una sorta di piccola caparra di prenotazione, riguarda solo i componenti a lunga consegna (Long Lead Items), mentre il grosso del pagamento – 150 milioni di euro ad aereo – verrà versato a rate alla conferma d’acquisto (2016) e poi alla consegna. E’ stato firmato anche un altro contratto datato 30 giugno, da circa mezzo milione di dollari: ennesimo pagamento per lo sviluppo del software di bordo che prosegue, con enormi difficoltà e ritardi, dal 2002.

Significa che a questo governo non importa nulla delle famiglie italiane.

In Italia non c’è solidarietà verso chi è in difficoltà, il voto contrario di tutta la maggioranza permette da oggi di perdere la prima casa anche per un piccolo debito, diciamo grazie a Renzi, è lui che porta via il bene primario degli italiani. Siamo un paese dove il Governo porta sempre più alla disperazione e alla povertà le famiglie.

Talvolta è davvero triste scoprire l’esistenza degli emarginati e degli ultimi, che in un silenzio di omissione e noncuranza, vivono abbandonati miseramente dal mondo.

Sono uomini e donne che privati dei diritti essenziali di sopravvivenza trascorrono un’esistenza  peggiore di chi sbarca quotidianamente sulle nostre coste. Tutto ciò dovrebbe far riflettere.