EUROPA – Profughi: interviene l’Ue. Scontri a Mantova e in Germania, tragedia in Austria

Slogan minacciosi, offese reciproche, tensione che si taglia con il coltello. Finché non arrivano anche le botte: qualche pugno dei manifestanti di estrema destra colpisce gli agenti della polizia e questi, per tenere i neofascisti a distanza, alzano i manganelli e li fanno indietreggiare.

Da una parte circa 150 manifestanti scesi in piazza Sant’Isidoro per dire no all’accoglienza dei profughi ospitati all’ex hotel Maragò, dall’altra una quarantina di esponenti di associazioni di sinistra (La Boje, Mantova Antifascista). In mezzo gli agenti della polizia in tenuta antisommossa. Fuori dal palcoscenico della serata di violenza  sono rimasti loro, i profughi: un convitato di pietra attorno al quale si è sviluppata una serata che la città non è certo abituata a vivere.
La questura aveva autorizzato entrambe le manifestazioni ma con un veto preciso: nessun contatto tra i due gruppi né, naturalmente, tra i neofascisti e la struttura che ospita i migranti. Ma che non tirasse una buona aria si era capito già quando, in favore di telecamera, erano partiti i primi slogan da destra. In piazza – al di là del sedicente comitato apartitico per “Mantova ai virgiliani” – esponenti di Fronte Skinheads e Forza Nuova, guidati dal coordinatore del Nord Luca Castellini, e più di una voce che inneggiava al leader della Lega Nord, Matteo Salvini. Gruppi che, lo avrebbero spiegato loro stessi nel corso della serata, muovono soprattutto da Brescia e Verona e si spostano di città in città per protestare contro l’accoglienza dei profughi.

Poco dopo le 21 il momento di maggior tensione. I neofascisti hanno provato a superare il limite imposto dalla questura per procedere lungo via Stazione: in quella direzione avrebbero incontrato prima l’hotel dei profughi e poi, poco oltre, il presidio di La Boje. Quando si sono frapposti, alcuni agenti sono stati colpiti: inevitabile a quel punto la reazione della polizia che ha colpito i manifestanti con una rapida serie di manganellate. Non una carica prolungata o particolarmente violenta, ma sufficiente a far arretrare i manifestanti (uno dei quali, riferiscono, sarebbe rimasto ferito alla testa). Una notizia però non confermata. «Vogliamo andare dal titolare dell’hotel e dirgli che è un pezzo di m… – dicono alla cronista della Gazzetta – perché si arricchisce con i soldi dell’accoglienza dei profughi, con i soldi degli italiani».
All’inizio della serata era presente anche Luca De Marchi, consigliere comunale ex leghista. Che poi, visto il tenore della manifestazione, se n’è andato. I neofascisti lo hanno accusato di codardia, ma lui prende nettamente le distanze: «Io sono un uomo delle istituzioni: se la questura dice di rimanere in piazza Sant’Isidoro, io non vado oltre. Sono rimasto lì con il mio popolo, fatto di gente comune che i profughi non li vuole ma che non si scontra con la polizia. Sono volati pugni e manganellate? È una roba penosa che Mantova non merita».
Sempre a distanza la quarantina di simpatizzanti di La Boje e Mantova Antifascista: «Questi neofascisti replicano lo stesso schema in tutte le città in cui vanno – attacca Enrico Lancerotto di La Boje – provano a convogliare la rabbia della gente contro delle persone che hanno la sola colpa di scappare dalle guerre».

Angela Merkel bacchetta Italia e Grecia sull’emergenza profughi: i centri di registrazione dei profughi nei due Paesi vanno realizzati rapidamente, entro l’anno. Parigi e Berlino ritengono che, nell’emergenza attuale, i ritardi siano inaccettabili. Anche sulla gestione dei profughi, una situazione «straordinaria» in cui si trova l’Europa, Angela Merkel e François Hollande hanno accordato le voci, lanciando a Berlino un documento di lavoro comune, affidato ai reciproci ministri dell’Interno. Oltre a un richiamo all’unisono ai Paesi membri che non rispettano la piena comune applicazione del diritto d’asilo in Europa. La bilaterale col presidente francese ha preceduto di poco un incontro a tre con il presidente ucraino Petro Poroshenko sulla situazione nell’Est del Paese per rilanciare gli accordi di Minsk.

Merkel e Hollande hanno chiesto, incontrando la stampa in un primo momento da soli, che la Commissione europea «prema sui Paesi che non rispettano le condizioni del diritto d’asilo, per fare in modo che finalmente si verifichi». «Si tratta della registrazione, degli standard minimi dei centri di accoglienza e degli standard minimi sulle forniture sanitarie», ha puntualizzato la cancelliera. Poi il passaggio che riguarda Roma e Atene: «I capi di governo hanno stabilito che vengano allestiti dei centri di registrazione nei Paesi colpiti dai primi arrivi, come la Grecia e l’Italia, mettendo a disposizione personale comune. Questi centri devono essere fatti velocemente, entro l’anno. Ritardi non possono essere accettati», ha avvertito la cancelliera.
Le ha fatto subito eco Hollande, che ha rivendicato «un’accelerazione» su questo fronte. «È indispensabile» – ha insistito a sua volta il presidente- «che questi centri vengano realizzati, per registrare chi arriva sulle nostre coste e che qui si prendano le doverose decisioni su quelli che hanno diritto e quelli che non possono essere accettati». L’inquilino dell’Eliseo ha poi ribadito l’allarme generale che vive il continente, alle prese con una sfida «molto difficile»: «Ci sono volte in cui l’Europa si trova di fronte a situazioni straordinarie. Questa è una situazione straordinaria», ha affermato, e «nessun Paese può risolvere da solo» il problema. Serve una stretta cooperazione europea. È Stata invece Merkel a ricordare che nell’Ue la «distribuzione (dei profughi) non è ancora equa».
TUMULTI IN GERMANIA – Gli ammonimenti arrivano a ridosso di un week-end difficilissimo in Germania, dove si sono verificati gravi tumulti in Sassonia, con 30 agenti feriti e panico fra i rifugiati. Merkel è alle prese con i numeri inattesi dei richiedenti asilo nel suo Paese – oltre 800 mila quelli stimati per il 2015, il doppio della cifra calcolata fino a qualche giorno fa – e l’insofferenza di frange di popolazione innescate dai populisti anti-immigrati di Pegida e dagli estremisti di destra.

BUDAPEST – Tragedia dell’immigrazione in Austria: da 20 a 50 rifugiati sono stati trovati morti in un tir abbandonato lungo l’autostrada orientale A4 tra il Burgenland Neusiedl e Parndorf. I migranti sarebbero rimasti asfissiati nel cassone. L’episodio arriva dopo l’ennesima strage nel Canale di Sicilia: ieri sono state trovate morte 51 persone su un’imbarcazione diretta dalla Libia all’Italia e nello stesso giorno in cui un nuovo dramma si concretizza in mare, con numerose vittime per un naufragio al largo delle coste nordafricane.

In una conferenza stampa, gli inquirenti austriaci hanno spiegato che c’è il sospetto che i profughi fossero morti già da un giorno e mezzo o due. Sarebbero morti prima di varcare il confine tra Ungheria e Austria. Il camion era fermo su una piazzola d’emergenza sull’autostrada orientale A4, tra le città di Neusiedl e Parndorf. Alla guida non c’era nessuno. La polizia sta dando la caccia al conducente del veicolo, del quale non si ha alcun indizio. Il camion ha richiamato l’attenzione degli agenti perchè da varie ore era fermo. Il capo di Gabinetto del premier ungherese Viktor Orban ha fatto sapere che la targa del veicolo è ungherese, intestata ad un cittadino romeno. La polizia ungherese sta lavorando con le autorità austriache per scoprire che cosa sia accaduto e chi sia responsabile dei decessi dei migranti.

Appello all’unità dalla Ue –  a Vienna i leader europei erano riuniti per un vertice sui Balcani occidentali. E in serata la cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato: “Abbiamo raggiunto con Italia e Grecia l’accordo sul fatto che i cosiddetti centri di registrazione o Hot Spots debbano essere allestiti entro la fine dell’anno”. Merkel ha anche detto che “Italia e Grecia potranno accettare centri del genere, soltanto se altri Paesi sono pronti ad accogliere la loro quota di asilanti.

Da parte della Commissione Ue, nel pomeriggio, era arrivato un appello all’unità, davanti alla tragedia austriaca. In una nota si invocano “azioni comuni e solidarietà tra tutti”: “C’è la necessità urgente che tutti gli Stati membri sostengano le proposte avanzate dalla Commissione, anche chi sinora è stato riluttante”. Si sottolinea inoltre come ci si trovi di fronte “non a una crisi italiana, greca, franco-tedesca ungherese, ma europea”.

Il ministro dell’Interno austriaco, Johanna Mikl-Leitner, ha chiesto all’Ue di istituire subito dei centri di accoglienza sui confini dell’Unione europea “per permettere il trasferimento in sicurezza di profughi nei 28 stati membri”. Poi ha aggiunto: “Questo è un giorno buio, è necessaria tutta la forza e tolleranza zero contro i trafficanti di esseri umani”.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha espresso la propria solidarietà, amicizia e vicinanza al Cancelliere austriaco Werner Faymann di fronte alla drammatica notizia dei morti asfissiati nel camion. “Una morte assurda, che sconvolge la coscienza di ognuno di noi e che sottolinea, una volta di più se ce ne fosse ancora bisogna, la centralità e l’urgenza del tema dell’immigrazione in una Europa dove tornano ad erigersi muri”.

Siamo tutti sconvolti dalla notizia agghiacciante dei profughi morti nel tir. Questo è un ammonimento all’Europa a offrire solidarietà e a trovare soluzioni”, ha affermato la cancelliera tedesca Angela Merkel, per poi aggiungere: “Troveremo il modo di distribuire il carico e le sfide in modo equo”. Poco prima era intervenuto anche il ministro dell’Interno tedesco Thomas De Maiziere che ha ribadito in una conferenza stampa a Berlino “l’urgenza dei centri in Grecia e Italia” da allestire entro la fine di questo anno. Un invito che era arrivato pochi giorni fa anche dalla stessa Merkel e dal presidente francese Francois Hollande.

“Abbiamo un obbligo morale e legale di proteggere i rifugiati” e serve un “approccio europeo” alla gestione della crisi in corso, ha affermato l’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, che ha rivelato che si sta lavorando a nuove proposte, con l’elaborazione di “una lista comune di Paesi d’origine sicuri e un meccanismo di ricollocazione”.

Record di arrivi in Ungheria. Intanto la rotta balcanica continua ad essere presa d’assalto dai migranti. Le previsioni espresse dall’Unhcr nei giorni scorsi sembrano trovare conferma nella realtà: nelle ultime 24 ore, secondo quanto riferito dalla polizia magiara, tremila migranti (tra cui 700 bambini) hanno raggiunto l’Ungheria. Si tratta del numero maggiore di arrivi in un solo giorno in Ungheria, dove dall’inizio dell’anno sono entrati 140 mila migranti della rotta balcanica, più del doppio rispetto all’intero 2014. Secondo il governo ungherese si potrebbe arrivare alla cifra di 300mila migranti alla fine dell’anno.

Nonostante la decisione di Budapest di erigere la barriera metallica lungo il confine con la Serbia (nei piani del premier Orban dovrebbe essere terminata il 31 agosto) i migranti riescono comunque ad oltrepassare il confine, e per questo le autorità hanno disposto l’invio di ulteriori 2.100 poliziotti alla frontiera, con cani, cavalli e l’appoggio degli elicotteri.

Il partito del premier Viktor Orban intende inoltre chiedere al Parlamento l’autorizzazione all’invio dell’esercito per bloccare l’enorme flusso migratorio. Secondo la polizia tale incremento di arrivi si spiega con il desiderio dei migranti di raggiungere l’Ungheria prima del completamento del muro “difensivo” previsto entro la fine di agosto.

Ieri la polizia ungherese ha lanciato gas lacrimogeni contro i profughi siriani nell’affollato campo d’accoglienza di Roszke, presso la frontiera con la Serbia. Gli scontri sono scoppiati dopo il rifiuto dei migranti di farsi registrare e prendere le impronte digitali, nel timore di essere poi costretti a chiedere asilo a Budapest, mentre il loro obiettivo è raggiungere il nord Europa.

Il grande afflusso di migranti sulla rotta balcanica, iniziato con l’approdo di migliaia di persone sull’isola greca di Kos, ha messo a dura prova Serbia e Macedonia, chiamate a fronteggiare un evento di difficile gestione. Oggi Belgrado e Skopje hanno chiesto un piano d’azione all’Unione Europa per rispondere alla crisi. “A meno che non abbiamo una risposta europea a questa crisi, nessuno si deve illudere che possa essere risolta”, ha detto il ministro degli Esteri macedone, Nikola Poposki, intervenendo al vertice, in corso a Vienna, tra la Ue ed i Paesi balcanici.

La questione dell’immigrazione è ovviamente al centro del “Western Balkans Summit”, secondo vertice del “Processo di Berlino” avviato con la conferenza dello scorso agosto. Vi partecipano capi di Governo e ministri di 6 Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia), di Germania, Austria, Francia, Italia, Croazia e Slovenia, ed inoltre il presidente della Commissione Ue, l’Alto Rappresentante Ue per gli Affari Esteri e il Commissario UE per l’Allargamento. Per l’Italia è presente il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.




Tra le celebrità invitate all’Expo manca il Lavoro. La protesta europea e italiana

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E’ stato un grande concerto  in piazza Duomo a Milano a dare il via ad Expo 2015, che si apre ufficialmente oggi, Primo maggio, giorno della Festa del lavoro. Un’accoglienza in grande stile, è stata quella che la città ha riservato all’Esposizione Universale e a tutti i partecipanti. Protagonista della serata, assieme all’orchestra della Scala, è stato Andrea Bocelli, che ha cantato per oltre tre ore per gli oltre 20mila milanesi e turisti che hanno assistito al grande show. Il concerto, presentato da Paolo Bonolis e Antonella Clerici, AmbassadorExpo Milano 2015, è stato trasmesso in diretta su Rai1 e in mondovisione, oltre che sulle frequenze di Rai Radio2 e in streaming sul sito di Expo.

Agnese Landini, moglie del premier Matteo Renzi, ha partecipato alla serata insieme alla figlia Ester. Ad accoglierle, al loro arrivo in piazza Duomo, c’erano il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina e Debora Serracchiani, vice segretario del Pd e governatore del Friuli. Renzi, invece, dopo aver partecipato all’inaugurazione del Silos Armani, museo che lo stilista ha aperto per i milanesi in occasione dei suoi 40 anni di carriera, ha preferito rientrare in albergo. Tra i 3700 ospiti seduti in platea c’erano anche il presidente del Coni Giovanni Malagò, l’ex ct della nazionale Marcello Lippi, che ora allena in Cina ed è stato un importante sostegno per Expo. Sono arrivati anche il calciatore dell’Inter Hernanes, Antonio Cabrini, gli chef Davide Oldani, Gianfranco Vissani, e poi Giorgio Squinzi, l’ad di Telecom Marco Patuano e di Rcs Pietro Scott Jovane. In piazza sono arrivati anche l’ex sindaco Letizia Moratti e l’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni.

Ad aprire la serata è stato un brano molto conosciuto come il brindisi della Traviata, intonato da Andrea Bocelli, accompagnato dal soprano Diana Damrau e dall’orchestra della Scala. Tante le arie celebri cantate nel corso della serata, tra cui l’aria finale del primo atto di Violetta. Tra i brani interpretati anche il finale dell’Andrea Chenier, l’ouverture di Attila e l’immancabile Va’ pensiero del Nabucco, e a chiudere la serata il ‘Nessun dorma’ della Turandot, che cantato da Luciano Pavarotti ha accompagnato tanti momenti importanti della storia italiana.

Oltre a Bocelli, Ambassador Extraordinary di Expo Milano 2015, si sono alternati sul palco il pianista cinese Lang Lang, anche lui Ambassador della manifestazione, le soprano Diana Damrau e Maria Luigia Borsi, il tenore Francesco Meli, il baritono Simone Piazzola. Ad accompagnarli il coro e l’orchestra della Scala, diretti dai maestri Bruno Casoni e Marco Armiliato. A fare gli onori di casa il commissario unico di Expo Giuseppe Sala, che ha salutato il pubblico e ha mostrato in anteprima l’accensione dell’Albero della Vita, simbolo di Expo 2015 ideato da Marco Balich. Per il bis, infine, è stato scelto ‘O sole mio’. L’impegno di Bocelli continuerà con la partecipazione a Expo attraverso la sua fondazione, che ha l’obiettivo di aiutare persone affette da malattie rare, in condizioni di povertà ed emarginazione sociale.

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Chiusi in assemblee riservate per stabilire il programma della “May Day”, la manifestazione dei No Expo sfilerà a Milano, i movimenti antagonisti prevedono azioni diffuse per tutta la città. “Non ci preoccupiamo di ciò che possono fare dei gruppi singoli, ma della strumentalizzazione di polizia e media” spiega Elio di “Off Topic”, uno dei movimenti della rete No Expo. I No Expo stranieri, provenienti da Austria, Germania, Francia preferiscono invece non farsi intervistare.

Precari, studenti, contadini, lavoratori, sindacati di base, collettivi, centri sociali, produttori e movimenti ecologisti hanno individuato nella cinque giornate di Milano un momento centrale per una lotta comune nella costruzione di territori, città e di un mondo diverso. Dal 29 aprile al 3 maggio, prima, durante e dopo l’inaugurazione di Expo, Milano sarà laboratorio sociale di resistenze e alternative.

Storie diverse provenienti da luoghi differenti si uniranno in una sola opposizione, gioiosa, potente ed arrabbiata, ad un’idea di saccheggio e devastazione, secondo quanto affermato, ben rappresentata dal progetto Expo, dal sistema che promuove e di cui si fa portatore oltre i 6 mesi dell’evento: debito per tutti e tutte, colate di cementificazione e precarietà quotidiana perricattare il presente ed ipotecare il futuro.

La forza e il miscuglio di “intelligenze offensive”, che in quei cinque giorni invaderanno Milano, obbligheranno gli organi d’informazione, “oggi impegnati nella demonizzazione del percorso No Expo”,a parlare della potenza dei contenuti della protesta e della moltitudine che scenderà per le strade.

“La città vetrina che vogliono mostrare è una città buona per pochissimi, è una città che cancella diritti, possibilità e futuri. La città secondo Expo è la città che vorrebbero replicare ovunque, riproducendo dominio e sfruttamento in ogni luogo e su ogni essere. Alla vetrina preferiamo gli angoli nascosti e reali, le periferie e le esperienze di lotta, le diversità e le vite che si nascondono dietro le immagini patinate con cui si cerca di imbellettare la realtà di crisi e di fatica che tutte e tutti viviamo ogni giorno.

Apriamo allora questa città, per cinque giorni che altro non sono che i primi cinque giorni di contrasto ad Expo iniziato. Cinque giorni che vogliamo attraversati dal maggior numero possibile di persone, che costruiscano un corteo partecipato e di massa,che renda visibili le ragioni della nostra opposizione al modello Expo e che sappia parlare con gli strati popolari di questa città.

Cinque giorni che seguono anni di lotta e denuncia sociale.
Cinque giorni che precedono l’alterexpo, ovvero i nostri sei mesi di opposizione al grande evento.

Se i sei mesi di Expo significheranno per istituzioni e media confermare vane promesse, per noi saranno il periodo per sedimentare le anomale reti ricompositive che stiamo sperimentando per fortificare i percorsi contro il Jobs Act, per il diritto all’abitare, per i diritti ed il riconoscimento delle libertà sessuali e dei generi, per la difesa dei territori da eventi e opere grandi, piccole, medie che altro non sono che atti predatori di spazi, ricchezze, beni comuni, diritti, agibilità e risorse per tutti. Non solo in Italia.

Il nostro No Expo è un percorso di senso che non si esaurirà con le giornate dal 29 aprile al 3 maggio,e che certamente non finirà il 1 novembre. È, e sarà sempre, complice e solidale con le lotte No Tav che dalla Val di Susa a Brescia, passando per l’alessandrino e il territorio ligure, mostrano la dignità delle popolazioni locali contro un’opera inutile, così come è vicina a tutti i piccoli e grandi movimenti di resistenza alle grandi opere inutili ed imposte. È, e sarà sempre, dalla parte degli antifascisti che difendono la memoria ed il territorio dall’ignobile ideologia fascista, che in tempi di crisi lucra sulle difficoltà quotidiane per farsi spazio.

Per questo l’assemblea nazionale di sabato chiede l’immediata liberazione dei compagni colpiti da
arresti per avere difeso l’antifascismo a Cremona”.

Il programma della cinque giorni di Milano, “contro e oltre” il modello Expo 2015:

29 APRILE MILANO SI OPPONE ALLA MARCIA FASCISTA-coordinamento Fascisti e Razzisti No Grazie
30 APRILE: CORTEO STUDENTESCO NAZIONALE- INIZIO CAMPEGGIO INTERNAZIONALE NOEXPO che durerà fino al 3 maggio con dibattiti e workshop
1 MAGGIO: #NOEXPOMAYDAY ore 14 piazza XXIV MAGGIO
2 MAGGIO: MOBILITAZIONI DIFFUSE CONTRO EXPO
3 MAGGIO: ASSEMBLEA PLENARIA GENERALE di lancio della mobilitazione per i 6 mesi di Expo
DAL 3 MAGGIO IN AVANTI: 6 MESI DI #ALTEREXPO! conflitto, incontro e alternativa contro il modello Expo e oltre i grandi eventi.




A un secolo dalla tragedia armena

Il 5 febbraio, nell’Auditorium San Fedele, in Piazza Zamara, a Palazzolo sull’Oglio (Bs), è toccato a Cyril Aslanov, grande conoscitore del primo genocidio del Novecento, intervenire per fare memoria attiva della persecuzione feroce di un popolo.

Come è noto, il genocidio armeno si è svolto in due fasi principali. Il primo massacro (1894-1897) è legato alla figura del sultano Abdul Hamid II (da cui il termine “massacro hamidiano”), il quale volle punire una popolazione in rivolta ordinando terribili repressioni. Il secondo massacro (1915-1923), quello drammaticamente più importante, è invece legato al gruppo dei Giovani Turchi, che per mettere capo ai propri obiettivi nazionalisti pianificarono l’eliminazione sistematica della popolazione armena presente nel paese. Tutto ebbe inizio nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, quando nella città di Costantinopoli (l’odierna Istanbul) si verificò un improvviso rastrellamento degli intellettuali appartenenti all’élite armena presenti in città. In un solo giorno scomparvero quasi 300 persone appartenenti alla classe dirigente tra cui giornalisti, scrittori, avvocati e persino deputati al Parlamento.

Queste persone vennero deportate in Anatolia, e chi sopravvisse al duro tragitto venne massacrato una volta giunto a destinazione. Dopo aver eliminato la classe dirigente, il governo turco, con un decreto emesso sempre nel 1915, ordinò il disarmo di tutti i militari armeni arruolatisi per la guerra(circa 350.000), che vennero arrestati e massacrati. Infine il piano dei Giovani Turchi colpì l’intera popolazione armena dell’Anatolia, deportata verso la Mesopotamia. Presero avvio le terribili marce della morte che coinvolsero circa 1.200.000 persone. I Giovani Turchi uccisero senza pietà gli uomini e deportarono i bambini e le donne nel deserto siriano, dove morirono per la fame e per la sete. Totalmente abbandonati. Ad alcuni bambini vennero inchiodati ai piedi i ferri di cavallo. I beni sequestrati andarono ad arricchire alcune famiglie turche. Fu il Medz Yeghern, il ‘Grande Male’.

Tale orrore è stato dimostrato nel corso del tempo da varie personalità, tra le quali spicca lo studioso di origine ebraica Yehuda Bauer, che nel suo libro The Place of the Holocaust in the Contemporary History, definì il genocidio armeno il caso che più si avvicina alla Shoah o come il giurista polacco Raphael Lemkin – onorato nel Giardino dei Giusti di Brescia nel 2013. Lemkin dedicò la sua vita allo studio dei crimini contro l’umanità, ponendo le basi di un’assunzione di responsabilità degli Stati che ha portato all’istituzione del Tribunale Permanente dei Popoli. Dopo aver conosciuto lo sterminio degli armeni e la ferocia perpetrata dai nazisti in quel ‘contro evento’ che fu la Shoah, esule negli Usa, coniò il termine genocidio fatto proprio dall’Assemblea generale dell’Onu il 9 dicembre 1948. Infine non ci si può esimere dal ricordare un’altra figura eminente, Armin Wegner – poeta e intellettuale tedesco, testimone di verità per gli armeni e per gli ebrei – che eludendo i divieti delle autorità turche e tedesche, ha scattato centinaia di fotografie nei campi dei deportati, documentando, anche con lettere e diari, la tragedia del popolo armeno. Sull’argomento si segnala il pregevole testo edito in questi giorni dalla casa editrice Giuntina: Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno, che si avvale dell’autorevole prefazione di Antonia Arslan e dell’altrettanto efficace postfazione di Fulvio Cortese e Francesco Berti (traduzione di Rossanella Volponi) raccoglie, per la prima volta in Italia, le voci di eminenti personalità: da Lewis Einstein (I massacri armeni), a André Mandelstam (La Turchia), da Aaron Aaronsohn (Pro Armenia) a Raphael Lemkin (Dossier sul genocidio armeno).

«Per genocidio intendiamo la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico.[…] In senso generale, genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione, se non quando esso è realizzato mediante lo sterminio di tutti i membri di una nazione. Esso intende, piuttosto, designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, per annientare questi gruppi stessi».

R. Lemkin, Axis Rule in Occupied Europe