EUROPA – Un nuovo terrorista ricercato per gli attacchi di Parigi e Brussel. Trentuno le vittime, Undici i dispersi

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C’è un nuovo ricercato, ritenuto coinvolto negli attacchi terroristici sia di Parigi che Bruxelles: si tratta di Naim Al Hamed, siriano originario di Hama, di 28 anni. Il nome compare su una lista di cinque principali sospettati introvabili stilata dalle intelligence occidentali, che si presume siano stati coinvolti negli attentati del 13 novembre a Parigi e in quelli del 22 marzo a Bruxelles. La notizia era stata pubblicata da alcuni media spagnoli ed è stata ripresa La Dernière Heure belga. L’uomo, di cui è stato reso noto un documento con foto, è descritto come «molto pericoloso e forse armato».

L’attentato di  Istanbul è stato organizzato dal gruppo Stato islamico. Lo ha dichiarato il ministro dell’interno turco, Efkan Ala, che ha detto che l’attentatore suicida era un miliziano affiliato ai jihadisti dell’Is. Nell’attacco sono morte quattro persone, tra cui due israeliani e un iraniano. Il ministro ha annunciato che sarà imposto il coprifuoco in diverse città turche.

Dopo aver esplicitamente parlato di armi atomiche, Vladimir Putin rincara. Parlando a un evento del ministero della Difesa, il leader russo ha ordinato all’esercito del suo Paese di “agire in maniera estremamente dura in Siria, distruggendo chi minaccia le forze di Mosca attive per combattere il Califfato”. E ancora: “Ogni obiettivo che minacci unità russe o nostre infrastrutture al suolo sarà distrutto immediatamente”. Ma non è tutto, perché il punto più delicato dell’intervento dello zar è quello che segue: “Un’attenzione particolare – ha rimarcato – sarà prestata al rafforzamento del potenziale bellico delle nostre forze strategiche nucleari”. E ancora: “Marina, aviazione ed esercito verranno dotati di nuove componenti della nostra forza nucleare”. Dunque le parole di Sergei Shoighu, ministro della Difesa di Mosca, che ha ricordato come “il 95% dei sistemi di lancio delle armi nucleari russe sono pronte al combattimento. Le forze armate – ha concluso – hanno ricevuto quest’anno 35 nuovi missili balistici nucleari”.

Nell’inchiesta in corso spuntano intanto nuovi inquietanti particolari sul piano dei fratelli El Bakraoui. Il quotidiano la la Dernière heure, citando fonti di polizia, rivela che i due volevano colpire le centrali nuclearei del Belgio. A far accelerare i due è stata la cattura di Salah Abdeslam e del suo complice Choukri a Molenbeek, circostanza che ha costretto i fratelli El Bakraoui ad abbandonare questo obiettivo e puntare tutto sulle strage in centro. “La situazione è precipitata e si sono sentiti sotto pressione – ha rivelato una fonte della polizia – hanno dovuto optare per l’obiettivo più facile”.

LE VITTIME

Patricia Rizzo, l’italiana tra i morti – Patricia Rizzo, la funzionaria italiana dell’Unione morta negli attentati di Bruxelles, è stata per cinque anni uno dei dirigenti più importanti dell’Efsa, l’Authority Alimentare Europea con sede a Parma. Dal 2003 al 2008, prima di trasferirsi in Belgio, aveva ricoperto il ruolo di assistente di direzione ed aveva abitato nella città emiliana dove molti ancora la ricordano. A confermare la notizia della morte è stato il cugino Massimo Leonora. “Purtroppo Patricia non è più tra noi. Mi manchi, ci manchi”, ha scritto su Facebook.

Tra le vittime una tedesca di origine italiana – Tra le vittime degli attacchi Jennifer Scintu, tedesca 29enne di origini italiane, che mercoledì al momento dell’esplosione era in aeroporto. La donna si trovava al check in di un volo per New York assieme al marito Lars Waetzmann, ora ricoverato in gravi condizioni in un ospedale dalla capitale belga. Jennifer, nata e cresciuta in Germania, aveva i nonni in Sardegna, ad Ales, e spesso tornava a trovarli con la madre Miriana. La morte della giovane è stata confermata dalla polizia di Aquisgrana, città dove la 29enne risiedeva.
Loubna, insegnante che lascia tre figli – Si è infranta la speranza dei parenti di Loubna Lafquiri. La donna, mamma di tre bambini e di professione insegnante, è morta alla stazione della metropolitana Maelbeek, colpita dai terroristi. L’annuncio, carica di rabbia e di dolore, è arrivato dalla famiglia: “Con il cuore spezzato annunciamo la morte di Loubna. Dopo un’attesa interminabile, è arrivata la terribile notizia. Lubna, una madre di 3 magnifici bambini, insegnante esemplare. Strappata alla sua famiglia da dei vigliacchi”.

Bart, 21enne pronto a volare dalla fidanzata negli Usa – Doveva prendere l’aereo per gli Stati Uniti. Un lungo volo per riabbracciare la sua fidanzata, che vive in Georgia. E’ stato investito dall’esplosione mentre era intento a effettuare il check in al banco dell’American Airlines. Bart Migom, 21 anni, è una delle vittime dell’attentato all’aeroporto di Zavenetem.

Donati gli organi di Leopold, studente modello – Una delle vittime è il giovane Leopold Hecht, 20 anni, morto in seguito alle ferite riportate nell’attentato alla metropolitana. La sua famiglia ha autorizzato l’espianto degli organi del ragazzo: “Siamo convinti avrebbe condiviso questa scelta – ha dichiarato commossa la madre -. Speriamo questa decisione possa salvare una vita o aiutare qualche persona in difficoltà”.

David, il britannico che viveva a Bruxelles – Anche David Dixon è morto in seguito all’attentato alla metrò. Il 53enne era originario di Hartlepool, città portuale britannica affacciata sul mare del Nord, ma viveva da tempo a Bruxelles. La notizia del decesso è stata confermata dalle autorità del Regno Unito. “Abbiamo ricevuto la notizia più terribile e devastante”, hanno commentato o i suoi familiari.

Elita, in viaggio per partecipare a un funerale – Drammatica anche la storia di Elita Weah, 41 anni, di nazionalità olandese. Si trovava all’aeroporto di Zaventem per partire alla volta degli Stati Uniti. Avrebbe voluto infatti partecipare al funerale di un familiare. Lascia una figlia di 13 anni.

Frank, un’ora dopo sarebbe stato già in volo – E’ deceduto mentre aspettava di partire il 24enne di origini cinesi Frank Deng. Il volo era in programma un’ora dopo l’esplosione.

Yves lascia due figli – Si sono infrante anche le speranze dei familiari di Yves Ciyombo Cibuabua. Padre di due bambini, è morto nell’esplosione alla fermata Maelbeek della metropolitana di Bruxelles.

I fratelli Sascha e Alexander – Doppia tragedia per la famiglia Pinczowski, di origine olandese. Nell’attentato all’aeroporto hanno infatti perso la vita i fratelli Sascha e Alexander, residenti a New York.

Olivier, morto mentre andava al lavoro – La follia dei terroristi è costata la vita anche al belga Olivier Delespesse, rimasto ucciso mentre si stava recando al lavoro in metropolitana. A confermarlo è stato il governo della Vallonia. Il funzionario del ministero dell’Istruzione, come Leopold, era sul treno sventrato a Maelbeek. “Olivier era una persona simpatica, gioiosa, amichevole, una persona eccezionale per i suoi amici e i suoi colleghi. La sua morte è profondamente scioccante e ingiusta”, scrivono i suoi colleghi.

Adelma, morta sotto gli occhi delle figlie – Il papà che decide di portate le bimbe a giocare pochi metri più in là. La deflagrazione. E mamma Adelma Marina Tapia Ruiz che perde la vita, sotto gli occhi dei suoi familiari rimasti quasi del tutto illesi nell’esplosione avvenuta all’aeroporto. Leggi l’articolo

Fabienne aveva appena concluso il turno – Fabienne Vansteenkiste è un’altra delle vittime dell’esplosione all’aeroporto. 51 anni, al momento della deflagrazione aveva da poco concluso il suo turno di lavoro e stava per tornare a casa. E’ morta mercoledì per le ferite riportate.

I DISPERSI
I nomi dei dispersi – Non si hanno notizie, invece, di Berit Viktorsson, Andrè Adam, la cui moglie è invece ricoverata in ospedale, Johanna Atlegrim, Aline Bastin, Sabrina Fazal, Antonio Monteagudo, Raghavendran Ganesan, Janina Panasewicz, Justin e Stephanie Shults.




SIRIA – L’Isis rapisce ancora: 86 eritrei e una bambina assira

In Libia si regista un altro rapimento di cristiani da parte dell’Isis, lo annuncia Meron Estefanos, la direttrice della ong svedese Eritrean Initiative on Refugee: 86 migranti eritrei, tra i quali 12 donne e bambini, di religione cristiana sarebbero stati sequestrati mentre erano in viaggio verso Tripoli. I jihadisti avrebbero separato i cristiani dai migranti musulmani dopo averli interrogati sul Corano, e hanno lasciato questi ultimi liberi.

Sono stati 3480 i migranti salvati  in 15  barconi alla deriva al largo della Libia in un’operazione congiunta alle quale hanno partecipato navi italiane e straniere. Le richieste di soccorso erano giunte in mattinata alla centrale operativa della Guardia Costiera tramite telefono satellitare. Le imbarcazioni, 9 barconi e 6 gommoni, si trovavano in un tratto di mare a circa 45 miglia dalle coste libiche. In particolare, SkyNews ha riferito che la nave inglese Hms Bulwark, con a bordo il ministro della Difesa, Michael Fallon, ha fatto rotta «a tutta velocità» verso la Libia per prendere parte a un’operazione di salvataggio di «migliaia» di migranti alla deriva nel Mediterraneo su 14 barconi, ciascuno con a bordo decine o centinaia di persone.

Si è trattato di un’operazione senza precedenti, con tutte le navi europee dell’area che hanno ricevuto l’ordine di lanciarsi al soccorso, sostiene Skynews. Fallon aveva comunque chiesto che anche «altre marine europee vengano nel Mediterraneo ad aiutare». La maggioranza dei migranti sarà sbarcata in Italia, in Grecia, a Malta o in altri paesi rivieraschi: proprio la Gran Bretagna, infatti, si è già chiamata fuori da ogni ipotesi di ripartizione di quote di migranti.
Anche Moas e Medici senza Frontiere al lavoro: 2000 già in salvo
Alle operazioni di soccorso hanno partecipato tre motovedette e un aereo ATR42 della Guardia Costiera, unità della Guardia di Finanza e della Marina Militare Italiana, il rimorchiatore Phoenix, le navi della Marina militare tedesca Hessen e Berlin e la nave Le Eithne appartenente alla Marina militare irlandese, ma anche le unità di Moas (Migrant Offshore Aid Station, l’Ong maltese fondata da Christopher e Regina Catrambone) e Medici Senza Frontiere, e proprio il Moas segnala che il coordinamento dei soccorsi tra navi italiane, tedesche e irlandesi ha salvato 2000 persone da 5 scafi. Di queste, 372 provenienti dall’Eritrea sono ora imbarcate sulla Phoenix e già dirette verso la Sicilia.

Tra gennaio e maggio l’Italia ha registrato circa 46.500 arrivi, registrando un incremento del 12% rispetto allo stesso periodo del 2014. Lo ribadisce lo stesso Unhcr. Le proiezioni per il 2015 riguardano circa 200.000 persone, contro il 170.000 dello scorso anno. E domenica, nel primo pomeriggio, arriveranno altri 650 migranti al porto di Palermo: sono stati soccorsi nei giorni scorsi nel Canale di Sicilia e saranno ospitati nei centri di accoglienza di Palermo e provincia. Altri 105, prevalentemente nigeriani, somali o del Burkina Faso, sono giunti a Pozzallo già sabato pomeriggio con una nave militare, mentre altri 106 sono sbarcati a Lampedusa dopo essere stati soccorsi dalla Guardia di finanza. Non fanno parte del conteggio dei circa 3.000 in difficoltà.

SIRIA – «I miliziani avevano intimato a tutti i cristiani di lasciare il villaggio, altrimenti sarebbero stati uccisi. Nonostante questo, noi avevamo deciso di rimanere nella nostra casa. Il 22 agosto ci hanno fatti salire con la forza su un autobus dicendo che ci portavano nella clinica di Qaraqosh. Dopo, hanno aperto le nostre borse in cerca di soldi e di gioielli. Un uomo dell’Isis si è accorto che tenevo Cristina tra le braccia e l’ha presa con la forza. Supplicavo di riavere mia figlia ma l’unica risposta è stata: “Sali sull’autobus o ti ammazzo”. Non ho potuto fare niente». Aida Ebada appartiene alla comunità dei cristiani assiri della piana di Ninive, in Iraq, culla storica del cristianesimo mesopotamico. Il Califfato li ha derubati e umiliati, cacciati dalle case e dalle chiese, e in alcuni casi portato via anche i loro bambini, come Cristina di tre anni.
L’appello
A Erbil, in un campo profughi dove alla fine Aida è scappata con il marito e gli altri quattro figli, una delegazione di frati della Basilica di San Francesco d’Assisi ha ascoltato la sua testimonianza. Il dolore di questa madre li ha spinti a lanciare un appello con l’hashtag #savecristina: Salvate Cristina. Le missioni e le mense francescane d’Italia intanto hanno attivato il numero solidale 45505 dal 7 al 26 giugno per aiutare i profughi in Iraq.

Con la foto incorniciata della bambina in mano e il volto quarantatreenne sfigurato da rughe centenarie e occhiaie profonde, la madre ripete da dieci mesi il racconto del rapimento. L’ha denunciato alla tv irachena, ne ha parlato a numerosi siti cristiani, lo ha spiegato agli attivisti di Amnesty International. Non ha intenzione di smettere. La vicenda di Cristina è una delle numerose violenze contro i minorenni avvenute in questi mesi nel califfato.

Lo scorso febbraio, diciotto esperti del Comitato Onu sui diritti dell’Infanzia hanno denunciato che «i bambini delle minoranze etniche e religiose vengono uccisi sistematicamente dall’Isis: ci sono stati ripetuti casi di esecuzioni di massa, come pure notizie di decapitazioni, crocifissioni e di minorenni sepolti vivi». Le vittime appartengono soprattutto a minoranze, come gli yazidi e i cristiani, ma sono anche sciiti e sunniti. Il rapporto denunciava la vendita dei bambini come schiavi e le violenze sessuali sistematiche. Secondo alcune testimonianze, i piccoli schiavi al mercato di Mosul vengono «esposti con i cartellini con il prezzo» e quello più alto è riservato a maschi e femmine di età compresa tra uno e nove anni (proprio come Cristina). La madre chiede al mondo di non restare indifferente. «Queste cose che stanno succedendo in Iraq, come rapire una bambina innocente, e questi crimini come rubare il denaro, togliere tutto alla gente… che cos’è tutto questo? Questo non è umano. Che cosa abbiamo fatto di male? Restituitemi mia figlia».




“Atom for peace”. Sarà vero?

«Meglio non avere un accordo che un cattivo accordo», ha proclamato  la Guida Suprema Ali Khamenei, riecheggiando le parole del premier israeliano Benjamin Netanyahu, ostinato avversario dell’intesa di Losanna.

In sincronia con il presidente iraniano Hassan Rohani, Khamenei si è detto molto irritato perché l’Iran vorrebbe la revoca immediata delle sanzioni e non graduale, agganciata alle ispezioni dell’Aiea come nelle intenzioni dichiarate dal Cinque più Uno. Le sanzioni, secondo Teheran, devono essere cancellate il giorno stesso dell’accordo definitivo previsto entro il 30 giugno. La leadership iraniana sembra pretenziosa e intrattabile.

Il leader, in un intervento trasmesso dalla tv di Stato in occasione della Giornata nazionale della tecnologia nucleare, ha spiegato: “Vogliamo un accordo vantaggioso per tutte le parti coinvolte nei colloqui sul nucleare” e ha aggiunto: “Il presidente Usa, Barack Obama, ha riconosciuto che il popolo iraniano non si arrenderà a sopraffazioni, sanzioni e minacce, e questo fatto è una conquista” da parte della Repubblica islamica in sede di negoziati sul nucleare con le potenze mondiali.

Avere reattori civili in Iran non è come mettere il cartello “Zona denuclearizzata” all’ingresso delle nostre città di provincia, testimonianza di un grande impegno pacifista per un mondo libero da armi atomiche durato sino agli anni Ottanta.

Per Barack Obama la situazione si complica, il presidente degli USA dovrebbe pensare a un piano B, lo scenario è  mutato da  quando,  nel 1954,  Eisenhower approvò ufficialmente il progetto “Atom for Peace” al fine di agevolare l’introduzione dell’energia nucleare in applicazioni civili e per la produzione di energia elettrica, e trovare un punto di equilibrio diventa più difficile.

In Medio Oriente le trattative sono complesse e anche le parole hanno un significato diverso: l’Iran dei persiani è in guerra, le milizie sciite combattono in Iraq e in Siria contro il Califfato sunnita e i suoi alleati, da Al Qaeda alle monarchie arabe del Golfo, alla Turchia. Nello Yemen, Teheran è ai ferri corti con l’Arabia Saudita, in un conflitto dai connotati sempre più settari e inconciliabili, in cui si è arrivati a schierare navi da guerra nello Stretto di Bab el Mandeb, “la Porta delle lacrime”.

E la parola nucleare è legata più alla parola guerra che al termine energia, come vogliono invece  far credere.

Neanche la CIA sa esattamente quante testate nucleari abbia Israele (che si rifiuta categoricamente di dare spiegazioni in merito) ma la stima migliore ne accredita 80 a Tel Aviv, con plutonio sufficiente per arrivare fino a 200. Solo nel 1998 l’odierno presidente Shimon Peres rivelò che gli esperimenti israeliani sul nucleare erano cominciati già negli anni Cinquanta. Israele disporrebbe di unità terrestri, aeree e sottomarine, per il lancio dei missili.

Mentre l’Iran, per quanto accusato da Israele di essere a un passo dall’ottenere un ordigno nucleare, non ha ancora  un armamento.

L’Iran di oggi come quello dello Shah Mohammed Reza Palhevi, allora alleato di Washington, ambisce a essere una potenza nel Golfo. I suoi avversari arabi fanno di tutto per impedirlo e non esitano ad allearsi con Al Qaeda e il Califfato per raggiungere lo scopo. In questo conflitto, interno all’Islam, ma con implicazioni globali, gli Stati Uniti e l’Europa sono in posizione contraddittoria: combattono lo Stato Islamico, ormai penetrato a Damasco, e allo stesso tempo dichiarano di sostenere i sauditi nello Yemen e fanno affari con le petromonarchie che appoggiano i movimenti più radicali e terroristi.

In un colloquio a Teheran di qualche tempo fa, Shariatmadari, che perse un braccio nelle prigioni dello Shah e a sua volta torturava i prigionieri politici nel carcere di Evin, fu esplicito: «Sono gli americani che devono fare la pace con noi, non noi con loro».

Khamenei parla all’Iran  e alla comunità internazionale occidentale e araba. Deve accontentare l’ala estremista della rivoluzione islamica contraria all’accordo di Losanna.

In cima alla lista dei Paesi che possiedono armi nucleari ci sono gli Stati Uniti,che hanno condotto più test, dispongono di 7.650 testate, di cui 2.150 attive e così distribuite: 500 testate terrestri, 1.150 assegnate ai sottomarini nucleari e 300 pronte per essere montate sugli aerei. Inoltre, nell’alveo del programma di condivisione nucleare della NATO, la CIA riferisce di altre 200 bombe termonucleari (B61 a gravità) schierate in cinque Paesi NATO: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia.

La Russia dispone di 8.420 testate nucleari, di cui 1.720 attive. Gli effetti delle sperimentazioni atomiche sovietiche sono ancora oggi evidenti in molte aree dove furono condotti i test. Nell’odierno Kazakhstan, ad esempio, tra il 1949 e il 1989 il sito di Semipalatinsk fu teatro di ben 456 esplosioni termonucleari. Inutile dire che quell’area è estremamente radioattiva, per un raggio di almeno 80 km, tale che intere comunità e villaggi, ancorché distanti, portano addosso i segni indelebili di quegli esperimenti, che si sostanziano in deformazioni, leucemie e malattie ereditarie.

La Cina si ha iniziato a produrre  armi nucleari  dal 1950, dopo che gli Stati Uniti intrapresero esperimenti nucleari nel Pacifico (proprio durante la guerra tra le due Coree). Il primo test di successo con un ordigno nucleare è targato 1964, cui seguì la prima prova termonucleare due anni e mezzo più tardi (il più breve tempo tra fissione e fusione le prove di tutte le potenze nucleari). Oggi si suppone che la Cina abbia circa 140 testate terrestri e 40 assegnate per gli aerei. La CIA, che ne ha stimate 240 in totale, ritiene che le restanti testate siano conservate per un futuro impiego in un sottomarino nucleare, che oggi non possiede.

La Francia, dopo USA e Russia, è la terza potenza nucleare al mondo, anche se dispone di “sole” 300 testate, 250 delle quali assegnate a sottomarini nucleari e le restanti 50 pensate per attacchi aerei. Nel 1996, sotto la presidenza Chirac, ha smantellato tutte le testate terrestri.

Il Regno Unito ha condiviso con gli americani il “Progetto Manhattan”, padre di tutte le sperimentazioni nucleari, sviluppando poi un proprio personale programma (pur condividendo oltre la metà dei test con gli USA). Oggi dispone di 160 ordigni operativi, esclusivamente per uso sottomarino.

Pakistan e India dispongono entrambe di circa 100 testate (90/110). Islamabad decise di avviare un proprio programma nucleare nel 1972, in seguito alla guerra con l’India, sperimentando test sotterranei (nel distretto di Chagai, vicino al confine con l’Iran) e oggi dispone di missili nucleari terrestri e aerei. L’India, di converso, ha prodotto armi nucleari proprie dopo i test nucleari della Cina a metà degli anni Sessanta, testando i propri ordigni dal 1974 al 1998. Dispone di missili nucleari aerei e terrestri e da anni cerca di allargare il programma nucleare alle forze marine.

La Corea del Nord, secondo le stime della CIA, avrebbe meno di 10 testate nucleari che ha sperimentato in tre occasioni (2006, 2009 e 2013), fatto che ha comportato per Pyongyang dure reazioni della comunità internazionale e nuove sanzioni economiche. Tuttavia, la minaccia nucleare nordcoreana, particolarmente contro Corea del Sud e Stati Uniti, è poco più che un bluff. Infatti, anche se la Corea ha condotto tre test nucleari sotterranei ed effettuato test missilistici balistici, e nonostante la certezza che gli scienziati nordcoreani abbiano separato abbastanza plutonio per le 10 testate di cui sopra, non è confermato che Pyongyang sia davvero in grado di armare i missili e lanciarli, non disponendo né di sottomarini né di aerei in grado di condurre un efficace attacco dal cielo.

Mutatis mutandis, anche la politica energetica internazionale è stata modificata.

Nonostante i dati favorevoli al nucleare (soprattutto in Francia), secondo l’IAEA (International Atomic Energy Agency) il peso dell’energia nucleare rispetto alle altre fonti di energia era destinato a ridursi entro il 2020. Questa previsione è datata 2004 ed è  stata smentita dagli ultimi eventi della politica energetica internazionale. L’affermazione e l’ascesa di nuovi paesi sullo scacchiere mondiale (es. Cina e India) e la conseguente crescita della domanda di energia mondiale ha spinto alla cantierizzazione di nuovi reattori nucleari. In Asia sono attualmente in cantiere almeno 15 nuove centrali nucleari (Cina, Corea del Sud, India e Taiwan). La situazione in Europa  merita invece un livello di approfondimento maggiore. L’assenza di investimenti nella costruzione di nuove centrali nucleari in Europa negli anni ’90 è un dato di fatto. La Finlandia è stato l’unico paese europeo ad avere messo in cantiere nell’ultimo decennio del ‘900 la costruzione di una nuova centrale nucleare (centrale di Olkiluoto, attiva entro il 2010).

L’approccio nei confronti del nucleare da parte dei paesi europei è radicalmente mutato nel corso del primo decennio degli anni duemila. L’effetto serra e il caro petrolio hanno fatto riavvicinare all’energia nucleare anche i paesi occidentali più scettici. Agli inizi degli anni duemila molti paesi europei nuclearizzati (Svezia, Germania, Olanda e Belgio) avevano deciso di non sostituire le attuali centrali nucleari al termine del loro ciclo produttivo.

L’acuirsi del problema ambientale e le cicliche crisi del petrolio e del gas hanno però rimesso in discussione il destino del nucleare in Europa. La politica prevalente in questi ultimi anni tende a prolungare la vita delle centrali nucleari europea, in attesa di una possibile risposta ai problemi del nucleare da parte della ricerca scientifica. Prevale pertanto una politica di attesa.

Sono circa 440 i reattori nucleari attivi nel mondo. I paesi con maggiore presenza di reattori nucleari sono i seguenti: USA (1049), Francia (59) e Giappone (53).