Un coro di voci per salvare la Casa
di Barbara Belotti, Livia Capasso, Maria Pia Ercolini
In un tweet di lunedì 21 maggio Michela Marzano ha posto una domanda serissima: “Com’è possibile che a rompere il patto con la Casa Internazionale delle Donne sia una giunta guidata da una donna?”. E ancora: “La sindaca Raggi – prima donna eletta a Roma – non conosce, oppure dimentica, oppure sottovaluta, l’importanza che i luoghi di accoglienza e di rilancio culturale rivestono oggi per tutte quelle donne che, nonostante i progressi dell’uguaglianza, continuano a subire violenze e ad essere emarginate?”.
Forse è proprio questo che appare più incredibile, doloroso, paradossale e la riflessione di Michela Marzano diventa la riflessione di tutte e di tutti.
Il contenzioso fra il Comune di Roma e la Casa Internazionale delle Donne ha radici lontane. Dalla valutazione del debito accumulato negli anni, era nato un dialogo-confronto già con le precedenti amministrazioni, persino con quella del sindaco Alemanno che rinnovò la convenzione, segno evidente che le azioni svolte dalla Casa Internazionale, il suo radicamento storico, il suo valore simbolico venivano considerate un bene comune per l’intera città anche da amministrazioni “meno amiche”. La giunta Marino andò oltre, istituendo un’apposita commissione per procedere alla valutazione e rimodulazione dei costi esorbitanti che il mantenimento, e non soltanto l’affitto dei locali, richiedeva.
“Laboratorio politico e culturale unico nel suo genere” è stata definita l’esperienza del Buon Pastore in un comunicato stampa della Regione Lazio dello scorso dicembre, in cui si annunciava un contributo straordinario di 90 mila euro per il sostegno ai servizi di consulenza di tipo legale, psicologico e per la genitorialità messi in atto dalla Casa Internazionale delle Donne, riconoscendole di “rappresentare per le donne di Roma, in Italia e per le visitatrici straniere un punto di riferimento certo”. La giunta Zingaretti, intervenendo economicamente, entrava di fatto a far parte di un tavolo di discussione che sembrava disponibile al dialogo: poche settimane prima, infatti, il Comune di Roma, in un comunicato stampa, dichiarava che grazie a “un confronto aperto e costruttivo” era possibile “arrivare a una soluzione condivisa”. Il comunicato stampa del Campidoglio chiudeva l’incontro del 13 novembre 2017 fra le rappresentanti della Casa Internazionale delle Donne e l’assessora al Patrimonio, Rosalba Castiglione, l’assessora alle P.O. Flavia Marzano e la dirigente dell’assessorato al patrimonio Stefania Grassia.
Poi il cambiamento di strategia e di prospettiva da parte del Comune che ha trasformato la Casa Internazionale da laboratorio politico e bene comune in bene immobiliare.
È di questi giorni la mobilitazione di moltissime donne e moltissimi uomini contro la decisione della sindaca Raggi di riallineare il progetto alle moderne esigenze dell’Amministrazione – ovvero quelle di risanamento del bilancio comunale – e contro la minaccia di sfratto.
Irene Giacobbe, Vicedirettora della rivista e presidente della Associazione e Testata on line POWER & GENDER, ricapitola i punti salienti della questione:
“La Casa Internazionale non costa niente al Comune, versa mensilmente all’amministrazione capitolina l’affitto che può: abbiamo versato dal 2003 circa 600.000 euro. La Casa mantiene e cura, con interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, che forse non le compete, un complesso immobiliare del 1600 che era abbandonato e condannato al degrado e per il quale sono stati versati affitti anche nel periodo di “occupazione” dello stabile.
Non ci sono debiti né con fornitori, né per le utenze o tasse comunali. La Casa dà lavoro, versa i contributi INPS, accantona correttamente il denaro per le lavoratrici che sono impiegate stabilmente. Per il ruolo che svolge, che ha svolto e che continuerà a svolgere può essere inserita tra gli enti che possono fruire dell’utilizzo dei locali in comodato d’uso, in base ad una legge nazionale sul volontariato votata nel 2015.”
Dopo la riunione del 21 maggio tra le rappresentanti della Casa Internazionale delle Donne e il Comune, il confronto si è fatto più teso e, come afferma Irene Giacobbe, intorno al Campidoglio si è alzata un’aria tossica “quella della misoginia e del potere patriarcale, che inquina da millenni menti e cuori. La Casa immette nel respiro di Roma la consapevolezza di sé e della propria storia, delle lotte che hanno portato a migliorare la vita di tutte le donne; non è un polline miracoloso che viaggia nell’aria e che respiriamo tutte, ma è la speranza per tutte di un respiro vitale.”
La Regione Lazio si schiera nuovamente a fianco del Buon Pastore, come dichiara Marta Bonafoni:
“In questa battaglia a difesa della casa Internazionale delle Donne c’è innanzitutto il riconoscimento di quel luogo come uno spazio di autonomia politica delle donne di straordinaria importanza. Un valore non computabile con metodi ragionieristici. Poi arriva la questione del rientro dal debito, sulla quale la Casa ha già proposto un piano puntuale di fattibilità, che tiene ovviamente conto del valore sociale ed economico dei servizi sociali e culturali attivi nel Buon Pastore. Su entrambi questi aspetti la Regione è a fianco della Casa Internazionale delle Donne e farà la sua parte”.
Dalla stessa parte stanno le migliaia di persone che hanno partecipato alle assemblee pubbliche e alla manifestazione di lunedì scorso in piazza del Campidoglio, durante la riunione fra la sindaca Raggi e le rappresentanti della Casa Internazionale.
Molta la determinazione a non fare passi indietro, a non arrendersi, a difendere i progetti femminili e femministi messi in atto in questi anni dalle tante realtà associativi all’interno della Casa. Determinazione accompagnata dalla grande ironia con la quale le donne e gli uomini, ai piedi del Palazzo Senatorio, apostrofavano Virginia Raggi:
“A te le pecore, a noi il Buon Pastore”.