È giovane e bella Caterina Sforza. Nel quadro La dama dei gelsomini di Lorenzo di Credi, dipinto presumibilmente tra il 1485 e il 1490 e ritenuto da gran parte degli studi l’unico ritratto certo della nobildonna, è raffigurata una giovane dai capelli biondi con alle spalle un paesaggio. La fanciulla tiene in mano alcuni gelsomini, forse simboli collegabili agli interessi di Caterina per le scienze, sia la botanica che la chimica, che la portarono a ricercare e individuare molti rimedi naturali nella cosmesi e nella medicina.
Ma chi è stata Caterina Sforza e quale ruolo ha avuto nella storia rinascimentale d’Italia?
Era figlia naturale di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, e di Lucrezia Landriani. Nell’infanzia della bambina, più che la madre, furono presenti la nonna Bianca Maria Visconti, che si prese cura di lei, la seguì amorevolmente e la educò ai doveri e agli onori del suo ruolo, e Bona di Savoia, la moglie del padre, che la accolse con affetto sincero e gentilezza, riuscendo a instaurare un rapporto affettuoso durato tutta la vita.
La bambina ricevette una buonissima educazione alla quale rispose mostrandosi allieva interessata, dotata di grande memoria, desiderosa di conoscere e comprendere ciò che le veniva insegnato. Vivendo in una corte immersa nel clima raffinato dell’Umanesimo, conobbe gli artisti e i letterati che frequentavano e animavano il ducato di Milano; studiò la lingua latina, la cultura classica, si appassionò alle scienze, in particolar modo alla botanica e alla chimica; subì anche il fascino delle armi, che imparò a usare ereditando il gusto dal padre e dalla nonna Bianca Maria: amò il combattimento, fu coraggiosa e ardita.
Come era uso nelle famiglie nobili del passato, Caterina venne presto osservata dal padre attraverso le lenti delle politiche matrimoniali e delle alleanze strategiche: Galeazzo Maria, nonostante il sincero affetto per la figlia, la considerò una pedina da manovrare per creare alleanze dinastiche favorevoli ai suoi progetti politici. Di questo Caterina era conscia, diede prova, a tempo debito, di essere ubbidiente e decisa nell’accettare il proprio destino; non si dimostrerò, al contrario, passivo strumento nelle mani altrui, anzi saprò essere protagonista di tante vicende storiche e politiche.
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Una delle prime apparizioni ufficiali di Caterina avvenne a Firenze, nel 1471. Si recò in Toscana insieme al padre Galeazzo e a Bona di Savoia per visitare la famiglia Medici. La corte milanese si mosse con gran pompa: carri rivestiti con tessuti d’oro e d’argento, moltissimi cavalli riccamente bardati, 100 uomini armati, 500 fanti, 50 staffieri vestiti di seta e argento, 500 coppie di cani e moltissimi falconi e sparvieri per la caccia; con la famiglia ducale, inoltre, un lungo seguito di aristocratici e cortigiani. Ad accoglierli tutto il fasto di cui era capace la famiglia medicea, che trasformò la città in un grande palcoscenico teatrale. Non è difficile immaginare il fascino subito da Caterina alla vista degli ingegni di Brunelleschi, straordinarie macchine per “effetti speciali” che animarono gli allestimenti delle rappresentazioni. La città e la famiglia toscana, conosciuti in questa occasione, tornarono nella sua vita ma lei, ancora bambina, questo non poteva ancora saperlo.
Nel 1473 venne firmato il contratto di fidanzamento con Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, e il matrimonio fu celebrato per procura a Milano; solo nel 1477, quando Caterina raggiunse “un’età conveniente”, si unì al marito.
A Roma, pur ancora molto giovane, divenne un personaggio di spicco nella corte di Sisto IV. Raffinata come era, frequentò artisti, letterati, musicisti, partecipò a cerimonie pubbliche, ricevimenti, visite diplomatiche e si trovò al centro della considerazione anche del papa. Commissionò opere, fece realizzare architetture, collezionò oggetti preziosi; nei territori romagnoli governati dal marito contribuì a trasformare il volto dei centri urbani rafforzando la rocca di Imola, costruendo edifici difensivi, palazzi e ville secondo il gusto elegante del Rinascimento. A Milano, quando tornava per mantenere vivi i legami familiari e politici con la famiglia d’origine, ebbe modo, presumibilmente, di conoscere e seguire i lavori e le ricerche, anche scientifiche, di Leonardo. La passione per le scienze non l’abbandonò mai e, nonostante gli impegni da affrontare, non tralasciò i suoi studi riuscendo via via a conseguire un’esperienza e una conoscenza tali da potersi confrontare con medici e scienziati del tempo.
Di questi interessi scientifici resta un libro, Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, in cui sono racchiuse 471 ricette.
Ecco alcuni di quei rimedi:
Aqua a fare la faccia bianchissima et bella et lucente et colorita: piglia chiara de ove et falla distillar in alambicco et con quella aqua lava la faccia che è perfectissiina a far bella et leva tutti li segni et cicatrici; […] A guarir le mano crepate: piglia succo de ortiga et un poco de sale et nzestica insieme bene et ognete le mano dove sonno crepate; […] A fare aqua de oclmi perfectissimna: piglia aqua vida (acquavite) aqua rosada aqua de imuta aqua de finochi zucaro fino et mestica omnni cosa insieme etpoi mmzetti una goccia ne lo occhio; […] A far li denti bianchi: piglio un maruio bianco, corallo bianco, osso di seppia, salgetnnma, incenso et mastice. Polverizza bene et metti detta polvere in un sacchetto di tela piccolo, frega i denti poi lava con buon vino et poi frega coli una pezza di panno scarlatto; A fare odorare la bocca et el fiato: piglio scorsa de cedro, noce moscata, garofoni et salvia. Fa polvere, incorpora con vino et fanne pallottole et pigliane prima ti el cibo et de poi del cibo […] A far venir capelli de color castagnaccio se prima fossero bianchi: piglio mela cruda et fanne aqua con alambicco de vetro a fuoco lento et bagna 4 o5 volte la settimana et veniranno eccellenti”.
In una delle prime biografie scritte su Caterina Sforza, Pier Desiderio Pasolini raccontò:
“Era in lei (scrivono i contemporanei) una virtù meravigliosa per trovare tempo per tutto e per tutti. Nonostante le cure della famiglia, dei figlioli, della corte, della politica, trovava modo di leggere molto, e pare che più che altro leggesse libri storici e divoti”. E ancora: “Caterina è l’ideale della virago cantata dal Boiardo, dall’Ariosto e dai poeti romanzeschi. Caterina è l’ultimo, ma forse il perfetto tipo dell’eroina cavalleresca del medioevo. Essa è grande nella storia non già per aver iniziato tempi nuovi, ma per avervi spiccato come figura antica”.
Come scrive Joyce de Vries nel suo Caterina Sforza and the art of appearances, il termine virago mette in evidenza i tratti duplici del personaggio, quelli femminili e quelli maschili, che si alternano nel corso della sua vita.
La storia ci ha tramandato anche un altro suo aspetto interessante, emerso soprattutto dopo la morte di Sisto IV, nell’estate del 1484, quando tumulti popolari e disordini terrorizzarono Roma. Le biografie ricordano Caterina audace e determinata mentre cercava di raggiungere Castel Sant’Angelo e rivendicare il ruolo del marito Girolamo Riario a governatore; la sua fu la difesa estrema del potere che sembrava vacillare e, a capo di un contingente di soldati, resistette ben dodici giorni prima di arrendersi.
Gli stessi tratti ardimentosi li mostrò alla morte di Girolamo, ucciso in una congiura il 14 aprile 1488. In pochi giorni passò dalla condizione di prigioniera a Signora dei territori di Forlì e Imola e il 30 dello stesso mese diventò reggente per conto del figlio Ottaviano. Seppe ancora una volta adattarsi alle mutate condizioni proponendo di sé una doppia immagine, quella di vedova fedele e di reggente determinata. Vendicò la morte del marito mettendo in prigione chiunque avesse appoggiato la congiura contro di lui, distrusse le abitazioni delle famiglie avverse al suo potere distribuendo i loro beni fra le persone indigenti.
Dopo la vendetta Caterina, che controllava Imola e Forlì con i loro territori, potè dedicarsi alla politica e al governo, non solo stabilendo alleanze strategiche ma prendendo decisioni per il suo Stato: rivide il sistema fiscale, ridusse o eliminò alcuni dazi, controllò le spese, si dedicò all’approvvigionamento delle truppe militari e al loro addestramento. Per la sicurezza dei suoi possedimenti, situati in una posizione di passaggio obbligato tra Nord e il Sud Italia, pur consapevole del valore strategico degli apparati militari in questo periodo di forti tensioni fra il regno di Napoli e il Ducato di Milano, preferì rimanere neutrale.
La terribilità e la forza indomabile di Caterina si rivelarono in un’altra occasione, nel 1495, quando fu assassinato in un agguato il suo secondo marito, Giacomo Feo, sposato in gran segreto per non perdere la tutela del figlio e il controllo del governo. Le testimonianze storiche attestano verso i congiurati una severità impressionante nelle punizioni che apparvero, al giudizio dei contemporanei, superiori per durezza alle repressioni dopo la morte di Riario. La Signora di Imola e Forlì fece scelte politiche e svolse compiti con impegno straordinario e, sempre secondo Joyce de Vries, il suo ruolo pubblico fu gestito da lei in modo tale da contrastare la disapprovazione sociale che accompagnava le donne in posizioni di comando.
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La terza fase della vita di Caterina cominciò quando incontrò l’ambasciatore della Repubblica di Firenze Giovanni de’ Medici detto il Popolano, membro di un ramo collaterale della famiglia toscana. Questo matrimonio fu celebrato nel 1497, Caterina aveva 34 anni, Giovanni quattro di meno, dalla loro unione nacque Ludovico.
La loro storia era destinata a durare poco, Giovanni si ammalò improvvisamente, a nulla servirono le cure e il trasferimento a Santa Maria in Bagno, dove si sperava che le acque termali potessero avere un effetto benefico. Caterina era sempre al suo capezzale, lo assistette fino alla fine avvenuta il 14 settembre 1498; da quel momento in poi decise di chiamare il figlio col nome Giovanni, in memoria del padre. Per chi era al comando, il dolore non poteva prendere il sopravvento sui doveri politici e militari e Caterina non fu da meno. Si scontrò con l’esercito di Venezia per la difesa di Forlì, nel 1499 si preparò ad affrontare le truppe del re di Francia Luigi XII rinforzando le rocche, facendo scorte di viveri per sopportare l’assedio, addestrando i soldati e le nuove reclute. “La più bella, la più audace e fiera, la più gloriosa donna d’Italia, pari se non superiore ai grandi condottieri del suo tempo” l’ha definita Cecilia Brogi nel suo libro su Caterina Sforza; le cronache del tempo raccontano che riuscì a contrastare con successo l’assedio dell’esercito francese per molti giorni, cercando di contrattaccare in ogni modo. A capo dell’esercito francese era Cesare Borgia, che aspirava al comando della Romagna: il figlio di Alessandro VI ebbe la meglio solo il 12 gennaio 1500, dopo che la Rocca di Ravaldino fu bombardata per sei giorni consecutivi. Machiavelli definì la strenua difesa di Caterina come una “Magnanima impresa”: ben si capisce quindi l’appellativo di Tygre assegnatole dalle cronache del tempo.
Caterina, al momento della cattura, si dichiarò prigioniera delle truppe francesi, sapendo che una legge in vigore in Francia non consentiva alle donne di essere trattate come detenute di guerra. Se Cesare Borgia abbia fatto buon viso a cattivo gioco a questo guizzo di furbizia non è del tutto accertato, di fatto la donna venne presa in consegna dai suoi uomini, trattata come un’ospite ma trasferita a Roma. In un primo momento fu condotta in Vaticano e alloggiata nel Palazzo del Belvedere; successivamente, incolpata di aver attentato alla vita di papa Borgia, fu rinchiusa nelle prigioni di Castel Sant’Angelo. Anche senza fonti storiche unanimi, non è difficile immaginare che l’irriducibile donna sarebbe stata realmente capace di avvelenare il pontefice pur di riconquistare la libertà e i suoi territori.
Nella fortezza di Castel Sant’Angelo Caterina rimase per circa un anno, fino all’estate del 1501, liberata grazie all’intervento dell’esercito francese. Riacquistata la libertà fu costretta però a firmare un documento di rinuncia a ogni pretesa di governo sui territori di Imola e Forlì.
Ora le restava solo la possibilità di lasciare Roma alla volta di Firenze e raggiungere i suoi figli e la sua unica figlia Bianca. Caterina, ai tempi in cui Giovanni de’ Medici era ambasciatore, aveva ottenuto la cittadinanza fiorentina: questo status le permise di vivere nei possedimenti del suo ultimo marito, soprattutto nella Villa di Castello.
Siamo alla quarta fase della sua esistenza, ancora una volta densa di contrasti.
In primo luogo quelli con il cognato per l’affidamento del figlio più piccolo, Giovanni.
Al momento dell’arresto il bambino le venne sottratto ma, una volta riacquistata la libertà, Caterina sfoderò tutta la determinazione di madre e diede battaglia legale, vedendo alla fine riconosciuti i suoi diritti. La sua detenzione non poteva essere paragonata a quella per un delitto comune e il giudice, nel 1504, le restituì il piccolo, il futuro Giovanni Dalle Bande Nere. Caterina lottò anche per riconquistare i territori sottratti da papa Alessandro VI Borgia, scomparso nel 1503: la sua morte significava la perdita di potere del figlio Cesare e Caterina cominciò a sperare di poter tornare a governare Imola e Forlì; anche il nuovo papa Giulio II non era contrario alla manovra politica. Questa volta però fu il popolo a non volere più il governo della contessa e quindi non le rimase altra possibilità che chiudere definitivamente questa fase della sua esistenza.
Si dedico unicamente alla famiglia, alle relazioni sociali, alle ricerche chimiche, cosmetiche e mediche e alla scoperta di rimedi naturali. Nonostante gli interessi per il mondo medico-scientifico, nulla poté la sua esperienza contro una forte polmonite che la uccise nella primavera del 1509.
In copertina: Roma, foto di Linda Zennaro