ITALIA – Leggi Ue sulla salute: on line c’è chi le trasgredisce. La chiamano satira!

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E siamo stufi anche delle emerite sciocchezze del Giomale ( http://www.ilgiomale.it/wordpress/ ), che dopo Esami di Stato, Marò e pena di morte, ne inventa una grossa sulla legalizzazione della cannabis in Italia:

“La Legalizzazione in Italia è ormai una certezza, dopo la legge firmata alla Camera da ben 218 parlamentari Italiani, la legalizzazione della Cannabis sarà presto una realtà con cui ognuno di noi dovrà convivere.
Oltre a combattere lo spaccio e la criminalità organizzata, con la legalizzazione apriremo le porte ad un Business di Milioni di euro, sia per le grandi Lobby del Tabacco, sia per le casse dello stato.

La prima a muoversi è stata la Marlboro, che ha già realizzato le sigarette alla Marjuana, considerate dei veri e propri spinelli commerciali, già pronti all’uso, che verranno lanciati in Italia subito dopo l’effettiva Legalizzazione”.

Non tralasciando di raccogliere interventi di fantomatiche associazioni:

“l’Associazione Genitori Cattolici di Roma, che oggi è scesa a manifestare contro la legalizzazione e la commercializzazione degli Spinelli.
Fabio Renato, Co-Fondatore dell’associazione ha dichiarato: “Ogni giorno lottiamo contro le etichette sociali per impedire che i nostri figli comincino a fumare sigarette, e ahimè non sempre riusciamo a impedirlo, cosa dovremo fare se gli spinelli saranno pubblicizzati e disponibili in ogni angolo della città? E’ un errore madornale, questo è solo frutto della tentazione di Satana.”

E pubblicando un’immagine fuori legge, che non riporta nemmeno il messaggio per la tutela della salute dei cittadini.

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Nessuno sembra essersene accorto: il sito è ancora on line e va alla grande. Ricordiamo ai redattori del “magazine satirico”, come lo definiscono, anche se a Noi questa tutto sembra tranne che satira, quanto accaduto e stabilito nel 2000:

“Il fumo uccide” e “il fumo può uccidere”. Sono le scritte che compaiono sui pacchetti di sigarette per decisione del Consiglio dei ministri dell’ Unione europea, riunito il 19 giugno 2000 a Lussemburgo, che ha votato una direttiva che inasprisce le norme sulla produzione e sul consumo di sigarette, ribadendo in larga parte quanto già approvato dal Parlamento europeo il 13 giugno dello stesso anno a Strasburgo. L’ Ue ha fatto dunque un altro passo avanti nella lotta contro il fumo, che provoca ogni anno nei Quindici la morte di 500.000 persone, una al minuto. L’ accordo raggiunto dai ministri della Sanità comunitari introduce norme più rigide per la fabbricazione, l’ etichettatura e la composizione delle sigarette “made in Ue”. L’ intesa è stata accolta con entusiasmo dal ministro Umberto Veronesi, padre del disegno di legge italiano antifumo che nei prossimi giorni dovrebbe essere varato definitivamente dal governo, che l’ ha definito “di importanza storica”. “L’ Ue ha lanciato un messaggio molto forte a tutti i paesi membri sulla grave pericolosità del fumo, che rafforza il disegno di legge italiano: ora – ha detto il ministro – bisogna passare da una società in cui il fumo è considerato la norma, ad una cultura in cui la norma è non fumare”. La normativa Ue in particolare riduce il tenore massimo di catrame, nicotina, e monossido di carbonio nelle sigarette, impone l’ iscrizione su una superficie pari a almeno il 25% dei pacchetti di sigarette dell’ avvertenza “il fumo uccide”, accanto ad altri moniti supplementari come “fumare è causa di impotenza”. Dal 2003, quando la legge Ue entrerà in applicazione, dovranno scomparire inoltre sui pacchetti di sigarette le menzioni light, ultralight o mild, che ingannano i consumatori facendo credere ad una minore pericolosità. La normativa, combattuta dalle multinazionali del tabacco e adottata con il voto contrario della Germania, potrebbe essere resa ancora più severa agli eurodeputati che dovranno adottarla in seconda lettura in autunno. Il Parlamento europeo chiede infatti almeno il 35% della superficie dei pacchetti per le avvertenze anti-fumo, l’ interdizione dell’ ammoniaca (che crea assuefazione) fra gli additivi e un divieto di vendita ai meno di 16 anni. Veronesi ha confermato che il “no” all’ ammoniaca potrebbe essere accolto in seconda lettura, ma si è detto contrario a un divieto per gli under 16 che potrebbe avere effetti boomerang, incitando i giovani alla trasgressione. Ma il grande cambiamento di mentalità sul fumo deve partire dai giovanissimi, fra gli 8 e i 10 anni, verso i quali vanno avviati programmi di dissuasione. Desta preoccupazione l’ aumento del vizio del fumo fra le donne, mentre è in forte calo fra gli uomini: “La madre quarantenne che fuma – ha detto il ministro – crea condizioni imitative nei figli, soprattutto i maschi, fra i 10 ed i 14 anni”.

AUSTRALIA – L’Australia ha approvato una legge che vieta la stampa dei loghi sui pacchetti di sigarette. Tutte le sigarette avranno una stessa confezione di colore olivastro. Inoltre dovranno riportare informazioni sui danni che il fumo arreca. La decisione mina gli introiti delle grandi multinazionali. Inoltre secondo queste ultime, darebbe spazio al contrabbando di tabacco. Anche l’Unione Europea, attraverso un suo portavoce, ha fatto sapere che un provvedimento simile potrebbe essere messo in pratica in Europa a partire dal prossimo autunno.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il fumo è “una delle più grandi minacce per la salute pubblica che il mondo abbia mai affrontato”.

Il fumo provoca il cancro ai polmoni e malattie respiratorie croniche, oltre a quelle cardiovascolari che sono la prima causa di morte per malattia nel mondo. Le cifre dell’OMS parlano di 8 milioni di decessi all’anno entro il 2030 se la situazione resterà così com’è.

Dopo la sentenza australiana contro il ricorso dei giganti del tabacco alla legge contro i pacchetti di sigarette tutti uguali la Commissione Europea attraverso il portavoce Antony Gravili ha detto che sta seguendo la vicenda da vicino.

Infatti in autunno dovrà essere presentato il nuovo piano contro il fumo che sostituirà quello del 2001.

Gravili ha dichiarato: “Stiamo lavorando ad una proposta di revisione della direttiva () sui prodotti del tabacco. Saranno discusse molte cose tra cui la possibilità di imballaggi tutti uguali.”

Ha aggiunto, riferendosi alle avvertenze sanitarie grafiche attualmUEente richieste sul retro dei pacchetti di marca in Europa: “Una delle cose che stiamo prendendo in considerazione è, ad esempio, rendere l’immagine sulla confezione più grande.”

Coloro che sono contari al fumo sostengono che un’operazione del genere eviterebbe l’effetto del marchio sui giovani. L’ipotesi è che il marchio della sigaretta diventi una moda così come possono esserlo le scarpe, e che, attraverso questo meccanismo, ci si possa poi assuefare al fumo.

Le grandi multinazionali sostengono invece che i paccheti di sigarette tutti uguali, oltre a violare il diritto di proprietà intellettuale, faciliterebbero il mercato di contrabbando delle sigarette.

C’è poi un altro aspetto non di poco conto: le grandi multinazionali sostengono che venga leso il diritto al libero mercato perchè si dovrebbero cambiare gli imballaggi a seconda dei paesi.

Anche la Gran Bretagna sta valutando l’ipotesi degli imballaggi uguali, considerando i vari aspetti legislativi. A breve dovrebbe decidere sull’oportunità di procedere con la legislazione o meno.

L’OMS si augura che la decisione australiana abbia un effetto domino: infatti anche la Nuova Zelanda, il Canada e l’Irlanda stanno valutando se adottare provvedimenti simili.

PRINCIPALI NORMATIVE IN ITALIA

La disciplina che regola il settore del tabacco in Italia è molto vasta ed articolata. Per orientarsi in modo più agevole riportiamo nel seguito le principali norme di riferimento relative alla regolamentazione del settore dei tabacchi lavorati in Italia.

Pubblicità

La principale norma di riferimento
Legge n.165 del 10 aprile 1962 e successive modificazioni.
La legge prevede un divieto totale della pubblicità diretta ed indiretta dei prodotti del tabacco.

Il confezionamento e il prodotto

Decreto legislativo n. 184 del 24 giugno 2003.
Il Decreto ha recepito la direttiva 2001/37/CE relativa all’etichettatura, produzione e vendita dei prodotti del tabacco ha introdotto nuove e più ampie avvertenze sanitarie sui pacchetti dei prodotti del tabacco, limiti ad alcuni contenuti nelle sigarette, la comunicazione degli ingredienti utilizzati nella fabbricazione, l’eliminazione dei termini light, mild, ecc.
Il Decreto Legislativo ha fatto propri i contenuti della direttiva 2001/37/CE relativi a:

le dimensioni delle avvertenze sanitarie (30% front e 40%back del packaging);
i livelli massimi dei contenuti nelle sigarette (che devono ricoprire almeno il 20 % della superficie laterale del pacchetto);
le due avvertenze generali (“Il fumo uccide” e “il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno”) alla rotazione di otto (su 14) avvertenze supplementari;
la comunicazione al Ministero della Salute ed al Ministero dell’Economia, da parte dei produttori ed importatori, dell’elenco di tutti gli ingredienti utilizzati nella fabbricazione con le relative quantità, suddivisi in base alla marca ed al tipo;
il divieto dell’uso sulla confezione dei tabacchi lavorati di diciture (quali “light”, “ultra light”, “mild”), marchi, immagini ed altri elementi figurativi o simboli suscettibili di suggerire che un particolare prodotto del tabacco sia meno nocivo di altri;
la possibilità di effettuare ulteriori analisi per determinare il tenore di altre sostanze nocive (diverse da catrame, nicotina e di monossido di carbonio) contenute nelle sigarette;
la possibilità di introdurre in futuro fotografie a colori sui pacchetti, illustrative degli effetti del fumo sulla salute.
Sono, infine, previste sanzioni amministrative pecuniarie da 10.000 a 50.000 euro (salvo che il fatto non costituisca reato), per chiunque fabbrica, immette sul mercato, importa od esporta prodotti non conformi a quanto prescritto.

Tassazione

Le principali norme di riferimento.
Legge n. 825 del 13 luglio 1965 e successive modificazioni, che disciplina le tabelle di vendita al pubblico, l’iscrizione in tariffa dei prodotti, le richieste di variazione prezzi da parte dei produttori e/o importatori. La normativa prevede, inoltre, che le richieste di variazione prezzi debbano essere corredate da una scheda rappresentativa degli effetti economico-finanziari conseguenti la variazione richiesta, in relazione ai volumi di vendita di ciascun prodotto.
Legge n. 76 del 7 marzo 1985, e successive modificazioni – sul sistema di imposizione fiscale:
I tabacchi lavorati destinati alla vendita al pubblico nel territorio soggetti a monopolio sono gravati dall’imposta di consumo (Accisa) e dall’IVA.
Decreto Legge n. 331 del 30 agosto 1993 – sull’armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sui tabacchi lavorati e in materia di IVA.
Decreto Legge n. 24 del 30 gennaio 2004 – Art. 4 – coordinato con la Legge di conversione 31 marzo 2004, n. 87 – che ha introdotto tra l’altro l’accisa minima.
Decreto Legge n. 168 del 12 luglio 2004 – Art. 2, commi 6, 7 e 8 convertito con modifiche dalla legge 30 luglio 2004, n. 91 – che ha introdotto la revisione semestrale della MPPC (Most Popular Price Class).

Il regime dei depositi fiscali e della circolazione dei tabacchi lavorati

Le regole che disciplinano la commercializzazione di tabacchi lavorati, discendono da un sistema normativo, armonizzato a livello comunitario, che regola la circolazione delle merci nella UE abolendo i controlli alle frontiere tra gli Stati membri (Dir. 92/12/CE e successive modificazioni).
La disciplina, che si riferisce anche al regime di accertamento e versamento delle imposte sui tabacchi lavorati (IVA+Accisa), incide in modo rilevante sull’attività di distribuzione e vendita che, per garantire la sicura riscossione del gettito fiscale derivante dalla commercializzazione dei prodotti in questione, viene svolta sotto il costante controllo delle Autorità fiscali degli Stati membri.

In Italia, l’attività di controllo sulla produzione, distribuzione e vendita dei tabacchi lavorati è svolta dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) che ha mantenuto le proprie funzioni di organo di controllo della riscossione e del versamento delle imposte gravanti sui tabacchi lavorati in qualità di Organo del Ministero dell’Economia (D.M. 67/1999).

L’AAMS svolge le proprie funzioni di controllo fiscale attraverso la vigilanza permanente esercitata da propri funzionari all’interno di tutti i depositi fiscali di fabbricazione dei prodotti da fumo presenti in Italia e nei depositi fiscali di distribuzione che movimentano un volume di tabacchi lavorati superiore a 10 milioni di Kg l’anno.
L’AAMS, nell’esercitare l’attività di vigilanza permanente, si avvale anche della collaborazione della Guardia di Finanza, con funzioni di polizia fiscale in Italia.

In Italia, la commercializzazione dei tabacchi lavorati è sottoposta al controllo preventivo da parte di AAMS.
In particolare, i prodotti del tabacco prima di essere immessi in consumo devono essere iscritti nella tariffa di vendita al pubblico.

I prezzi di vendita al pubblico e le relative variazioni sono richiesti dai produttori.
I produttori richiedono l’iscrizione in tariffa all’AAMS che ne controlla sia l’esatta descrizione del prodotto, verificandone la corretta classificazione (sigaretta, sigaro, trinciati, ecc.) al fine dell’applicazione dell’aliquota fiscale corrispondente, sia che il prodotto rispetti le norme in materia di etichettatura (avvertenze sanitarie) dei contenuti per le sigarette.

Le richieste di variazione prezzi devono essere correlate da una scheda tecnica rappresentativa degli effetti economici derivanti dalla variazione di prezzo richiesta.

Dall’avvio del procedimento, l’AAMS ha 120 giorni per accettare o rigettare la richiesta. Se l’esito del controllo è positivo l’iscrizione in tariffa viene sancita da decreto direttoriale pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Soltanto a conclusione di tale procedimento il nuovo prodotto potrà essere messo in commercio.

L’autorizzazione preventiva è necessaria, inoltre, anche per eventuali modifiche al packaging dei prodotti e per le variazioni dei livelli dei tenori di nicotina, catrame e monossido di carbonio per le sigarette.

La Legge Sirchia e Limitazioni del fumo nei luoghi pubblici in Italia

Legge n. 3 del 16 gennaio 2003 – Art. 51 “Divieto di fumo esteso ai locali aperti al pubblico” e successive modificazioni e provvedimento attuativo D.P.C.M. del 23 dicembre 2003.
La cosiddetta Legge Sirchia, che regolamenta il fumo nei locali pubblici e privati aperti al pubblico, al fine di tutelare la salute dei non fumatori, ha esteso il divieto di fumo, già previsto per i luoghi pubblici (ospedali, cinema, teatri e uffici della Pubblica Amministrazione aperti al pubblico), anche ai locali aperti al pubblico (bar, ristoranti), oltreché ai luoghi di lavoro ed alle carceri, ad eccezione dei locali privati non aperti al pubblico e di quelli riservati ai fumatori.
E’ prevista la costituzione, all’interno degli stessi, di apposite aree riservate ai fumatori, che dovranno essere materialmente separate dalle aree riservate ai non fumatori, dotate di idonei sistemi di ventilazione per garantire un adeguato ricambio d’aria e segnalate con idonea cartellonistica. Dove tali prescrizioni non saranno realizzabili vigerà il divieto di fumo totale. Il divieto entrerà in vigore dal 10 gennaio 2005.

Le direttive UE

Il legislatore comunitario ha dato via alle seguenti direttive:
Direttiva in materia di etichettatura

La Direttiva 2001/37/CE ha introdotto nuove disposizioni armonizzative in materia di etichettatura, produzione e vendita dei prodotti del tabacco.
In particolare, la direttiva prevede:

un notevole aumento delle dimensioni delle avvertenze sanitarie: 30% front e 40% back sul packaging dei prodotti del tabacco;
l’abolizione dei termini light, mild, ecc.;
la comunicazione degli ingredienti utilizzati nella fabbricazione;
la rotazione di 2 avvertenze generali e 14 avvertenze sanitarie supplementari;
la possibilità di introdurre immagini (foto a colori c.d. pittogrammi) abbinate alle avvertenze sanitarie supplementari e finalizzate alla descrizione visiva degli effetti del fumo sulla salute;
la riduzione a 10 mg del limite massimo di catrame per le sigarette;
l’introduzione, per la prima volta, dei limiti massimi anche per il monossido di carbonio con 10 mg/sigaretta e per la nicotina con un valore non superiore a 1 mg/sigaretta.
Direttiva cul controllo del tabacco

Direttiva 2001/37/CE – La direttiva ha lo scopo di ravvicinare le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative degli stati membri della UE in materia di:

contenuto massimo di catrame, nicotina e monossido di carbonio delle sigarette;
di avvertenze sanitarie e di altra natura, stampate sui pacchetti;
di alcune misure relative agli ingredienti;
divieto dell’uso delle diciture quali light, mild, ecc., suscettibili di suggerire che un particolare prodotto del tabacco sia meno nocivo di altri.
Con una sentenza del 10 dicembre 2002, la COGE (Corte di Giustizia Europea) ha deciso per la validità della Direttiva, fatta eccezione per un punto (relativo all’uso delle diciture ligth, mild, ecc., sui tabacchi lavorati destinati all’esportazione, cioè commercializzati al di fuori della U.E.).

Direttive sulla pubblicità dei tabacchi

Già la direttiva 89/552/CEE, cosiddetta “televisione senza frontiere”, aveva vietato in precedenza qualsiasi forma di pubblicità dei tabacchi lavorati su tale mezzo di comunicazione.

Successivamente, era intervenuta la direttiva 98/43/CE che introduceva, in pratica, un divieto generale di qualsiasi pubblicità diretta ed indiretta dei prodotti del tabacco nell’area comunitaria. La Corte di Giustizia l’aveva annullata, con sentenza del 5 ottobre 2000, in quanto lesiva della libera circolazione dei beni e dei servizi nel mercato della U.E.
Questa sentenza ha stabilito chiaramente che il legislatore non ha l’autorità di armonizzare legislazioni nazionali riguardanti prassi pubblicitarie che non esercitino effetti al di là delle frontiere di uno Stato membro.

La nuova direttiva 2003/33/CE in materia di pubblicità e sponsorizzazione dei tabacchi

Tale direttiva 2003/33/CE, adottata il 26 giugno 2003, è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco.

La direttiva costituisce un ulteriore passo verso la restrizione in ambito comunitario della possibilità di promuovere i prodotti del tabacco ed è stata giustificata dalla Commissione UE con l’intento di armonizzare le legislazioni introdotte nel settore a livello nazionale dei diversi Stati membri.

La direttiva prevede, tra l’altro, le seguenti disposizioni:

divieto di sponsorizzare eventi o attività che coinvolgano più stati membri o abbiano luogo in più stati membri o che producano effetti oltre le frontiere di un Paese;
divieto di pubblicizzare marche di tabacchi attraverso la radio e Internet (questo genere di pubblicità è già vietata in televisione da vari anni ai sensi della Direttiva 97/36/CE che ha modificato la direttiva 89/552/CEE);
divieto di distribuire gratuitamente tabacchi nel corso di eventi sponsorizzati che coinvolgano più Stati membri;
l’applicazione di sanzioni alle violazioni di queste norme, in forme che dotino implicitamente i singoli cittadini e le organizzazioni nazionali “aventi causa” del diritto di intentare azioni giudiziarie.
Sostanzialmente, gli unici ambiti in cui la pubblicità sarà consentita sono le pubblicazioni ed informazioni commerciali esclusivamente destinate agli operatori del settore, quelle prodotte o stampate in Paesi terzi che non siano principalmente destinate al mercato comunitario, nonché le sponsorizzazioni a carattere locale, laddove, secondo la normativa locale, siano ammissibili. In merito, si rileva che con Decreto Legge n. 10 del 15 febbraio 2007, il Governo italiano ha recepito le osservazioni della Commissione Europea, abrogando la norma che consentiva eventi che, pur avendo implicazioni transfrontaliere (ad es. via TV), si svolgevano esclusivamente sul territorio nazionale.




EUROPA – Profughi: interviene l’Ue. Scontri a Mantova e in Germania, tragedia in Austria

Slogan minacciosi, offese reciproche, tensione che si taglia con il coltello. Finché non arrivano anche le botte: qualche pugno dei manifestanti di estrema destra colpisce gli agenti della polizia e questi, per tenere i neofascisti a distanza, alzano i manganelli e li fanno indietreggiare.

Da una parte circa 150 manifestanti scesi in piazza Sant’Isidoro per dire no all’accoglienza dei profughi ospitati all’ex hotel Maragò, dall’altra una quarantina di esponenti di associazioni di sinistra (La Boje, Mantova Antifascista). In mezzo gli agenti della polizia in tenuta antisommossa. Fuori dal palcoscenico della serata di violenza  sono rimasti loro, i profughi: un convitato di pietra attorno al quale si è sviluppata una serata che la città non è certo abituata a vivere.
La questura aveva autorizzato entrambe le manifestazioni ma con un veto preciso: nessun contatto tra i due gruppi né, naturalmente, tra i neofascisti e la struttura che ospita i migranti. Ma che non tirasse una buona aria si era capito già quando, in favore di telecamera, erano partiti i primi slogan da destra. In piazza – al di là del sedicente comitato apartitico per “Mantova ai virgiliani” – esponenti di Fronte Skinheads e Forza Nuova, guidati dal coordinatore del Nord Luca Castellini, e più di una voce che inneggiava al leader della Lega Nord, Matteo Salvini. Gruppi che, lo avrebbero spiegato loro stessi nel corso della serata, muovono soprattutto da Brescia e Verona e si spostano di città in città per protestare contro l’accoglienza dei profughi.

Poco dopo le 21 il momento di maggior tensione. I neofascisti hanno provato a superare il limite imposto dalla questura per procedere lungo via Stazione: in quella direzione avrebbero incontrato prima l’hotel dei profughi e poi, poco oltre, il presidio di La Boje. Quando si sono frapposti, alcuni agenti sono stati colpiti: inevitabile a quel punto la reazione della polizia che ha colpito i manifestanti con una rapida serie di manganellate. Non una carica prolungata o particolarmente violenta, ma sufficiente a far arretrare i manifestanti (uno dei quali, riferiscono, sarebbe rimasto ferito alla testa). Una notizia però non confermata. «Vogliamo andare dal titolare dell’hotel e dirgli che è un pezzo di m… – dicono alla cronista della Gazzetta – perché si arricchisce con i soldi dell’accoglienza dei profughi, con i soldi degli italiani».
All’inizio della serata era presente anche Luca De Marchi, consigliere comunale ex leghista. Che poi, visto il tenore della manifestazione, se n’è andato. I neofascisti lo hanno accusato di codardia, ma lui prende nettamente le distanze: «Io sono un uomo delle istituzioni: se la questura dice di rimanere in piazza Sant’Isidoro, io non vado oltre. Sono rimasto lì con il mio popolo, fatto di gente comune che i profughi non li vuole ma che non si scontra con la polizia. Sono volati pugni e manganellate? È una roba penosa che Mantova non merita».
Sempre a distanza la quarantina di simpatizzanti di La Boje e Mantova Antifascista: «Questi neofascisti replicano lo stesso schema in tutte le città in cui vanno – attacca Enrico Lancerotto di La Boje – provano a convogliare la rabbia della gente contro delle persone che hanno la sola colpa di scappare dalle guerre».

Angela Merkel bacchetta Italia e Grecia sull’emergenza profughi: i centri di registrazione dei profughi nei due Paesi vanno realizzati rapidamente, entro l’anno. Parigi e Berlino ritengono che, nell’emergenza attuale, i ritardi siano inaccettabili. Anche sulla gestione dei profughi, una situazione «straordinaria» in cui si trova l’Europa, Angela Merkel e François Hollande hanno accordato le voci, lanciando a Berlino un documento di lavoro comune, affidato ai reciproci ministri dell’Interno. Oltre a un richiamo all’unisono ai Paesi membri che non rispettano la piena comune applicazione del diritto d’asilo in Europa. La bilaterale col presidente francese ha preceduto di poco un incontro a tre con il presidente ucraino Petro Poroshenko sulla situazione nell’Est del Paese per rilanciare gli accordi di Minsk.

Merkel e Hollande hanno chiesto, incontrando la stampa in un primo momento da soli, che la Commissione europea «prema sui Paesi che non rispettano le condizioni del diritto d’asilo, per fare in modo che finalmente si verifichi». «Si tratta della registrazione, degli standard minimi dei centri di accoglienza e degli standard minimi sulle forniture sanitarie», ha puntualizzato la cancelliera. Poi il passaggio che riguarda Roma e Atene: «I capi di governo hanno stabilito che vengano allestiti dei centri di registrazione nei Paesi colpiti dai primi arrivi, come la Grecia e l’Italia, mettendo a disposizione personale comune. Questi centri devono essere fatti velocemente, entro l’anno. Ritardi non possono essere accettati», ha avvertito la cancelliera.
Le ha fatto subito eco Hollande, che ha rivendicato «un’accelerazione» su questo fronte. «È indispensabile» – ha insistito a sua volta il presidente- «che questi centri vengano realizzati, per registrare chi arriva sulle nostre coste e che qui si prendano le doverose decisioni su quelli che hanno diritto e quelli che non possono essere accettati». L’inquilino dell’Eliseo ha poi ribadito l’allarme generale che vive il continente, alle prese con una sfida «molto difficile»: «Ci sono volte in cui l’Europa si trova di fronte a situazioni straordinarie. Questa è una situazione straordinaria», ha affermato, e «nessun Paese può risolvere da solo» il problema. Serve una stretta cooperazione europea. È Stata invece Merkel a ricordare che nell’Ue la «distribuzione (dei profughi) non è ancora equa».
TUMULTI IN GERMANIA – Gli ammonimenti arrivano a ridosso di un week-end difficilissimo in Germania, dove si sono verificati gravi tumulti in Sassonia, con 30 agenti feriti e panico fra i rifugiati. Merkel è alle prese con i numeri inattesi dei richiedenti asilo nel suo Paese – oltre 800 mila quelli stimati per il 2015, il doppio della cifra calcolata fino a qualche giorno fa – e l’insofferenza di frange di popolazione innescate dai populisti anti-immigrati di Pegida e dagli estremisti di destra.

BUDAPEST – Tragedia dell’immigrazione in Austria: da 20 a 50 rifugiati sono stati trovati morti in un tir abbandonato lungo l’autostrada orientale A4 tra il Burgenland Neusiedl e Parndorf. I migranti sarebbero rimasti asfissiati nel cassone. L’episodio arriva dopo l’ennesima strage nel Canale di Sicilia: ieri sono state trovate morte 51 persone su un’imbarcazione diretta dalla Libia all’Italia e nello stesso giorno in cui un nuovo dramma si concretizza in mare, con numerose vittime per un naufragio al largo delle coste nordafricane.

In una conferenza stampa, gli inquirenti austriaci hanno spiegato che c’è il sospetto che i profughi fossero morti già da un giorno e mezzo o due. Sarebbero morti prima di varcare il confine tra Ungheria e Austria. Il camion era fermo su una piazzola d’emergenza sull’autostrada orientale A4, tra le città di Neusiedl e Parndorf. Alla guida non c’era nessuno. La polizia sta dando la caccia al conducente del veicolo, del quale non si ha alcun indizio. Il camion ha richiamato l’attenzione degli agenti perchè da varie ore era fermo. Il capo di Gabinetto del premier ungherese Viktor Orban ha fatto sapere che la targa del veicolo è ungherese, intestata ad un cittadino romeno. La polizia ungherese sta lavorando con le autorità austriache per scoprire che cosa sia accaduto e chi sia responsabile dei decessi dei migranti.

Appello all’unità dalla Ue –  a Vienna i leader europei erano riuniti per un vertice sui Balcani occidentali. E in serata la cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato: “Abbiamo raggiunto con Italia e Grecia l’accordo sul fatto che i cosiddetti centri di registrazione o Hot Spots debbano essere allestiti entro la fine dell’anno”. Merkel ha anche detto che “Italia e Grecia potranno accettare centri del genere, soltanto se altri Paesi sono pronti ad accogliere la loro quota di asilanti.

Da parte della Commissione Ue, nel pomeriggio, era arrivato un appello all’unità, davanti alla tragedia austriaca. In una nota si invocano “azioni comuni e solidarietà tra tutti”: “C’è la necessità urgente che tutti gli Stati membri sostengano le proposte avanzate dalla Commissione, anche chi sinora è stato riluttante”. Si sottolinea inoltre come ci si trovi di fronte “non a una crisi italiana, greca, franco-tedesca ungherese, ma europea”.

Il ministro dell’Interno austriaco, Johanna Mikl-Leitner, ha chiesto all’Ue di istituire subito dei centri di accoglienza sui confini dell’Unione europea “per permettere il trasferimento in sicurezza di profughi nei 28 stati membri”. Poi ha aggiunto: “Questo è un giorno buio, è necessaria tutta la forza e tolleranza zero contro i trafficanti di esseri umani”.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha espresso la propria solidarietà, amicizia e vicinanza al Cancelliere austriaco Werner Faymann di fronte alla drammatica notizia dei morti asfissiati nel camion. “Una morte assurda, che sconvolge la coscienza di ognuno di noi e che sottolinea, una volta di più se ce ne fosse ancora bisogna, la centralità e l’urgenza del tema dell’immigrazione in una Europa dove tornano ad erigersi muri”.

Siamo tutti sconvolti dalla notizia agghiacciante dei profughi morti nel tir. Questo è un ammonimento all’Europa a offrire solidarietà e a trovare soluzioni”, ha affermato la cancelliera tedesca Angela Merkel, per poi aggiungere: “Troveremo il modo di distribuire il carico e le sfide in modo equo”. Poco prima era intervenuto anche il ministro dell’Interno tedesco Thomas De Maiziere che ha ribadito in una conferenza stampa a Berlino “l’urgenza dei centri in Grecia e Italia” da allestire entro la fine di questo anno. Un invito che era arrivato pochi giorni fa anche dalla stessa Merkel e dal presidente francese Francois Hollande.

“Abbiamo un obbligo morale e legale di proteggere i rifugiati” e serve un “approccio europeo” alla gestione della crisi in corso, ha affermato l’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, che ha rivelato che si sta lavorando a nuove proposte, con l’elaborazione di “una lista comune di Paesi d’origine sicuri e un meccanismo di ricollocazione”.

Record di arrivi in Ungheria. Intanto la rotta balcanica continua ad essere presa d’assalto dai migranti. Le previsioni espresse dall’Unhcr nei giorni scorsi sembrano trovare conferma nella realtà: nelle ultime 24 ore, secondo quanto riferito dalla polizia magiara, tremila migranti (tra cui 700 bambini) hanno raggiunto l’Ungheria. Si tratta del numero maggiore di arrivi in un solo giorno in Ungheria, dove dall’inizio dell’anno sono entrati 140 mila migranti della rotta balcanica, più del doppio rispetto all’intero 2014. Secondo il governo ungherese si potrebbe arrivare alla cifra di 300mila migranti alla fine dell’anno.

Nonostante la decisione di Budapest di erigere la barriera metallica lungo il confine con la Serbia (nei piani del premier Orban dovrebbe essere terminata il 31 agosto) i migranti riescono comunque ad oltrepassare il confine, e per questo le autorità hanno disposto l’invio di ulteriori 2.100 poliziotti alla frontiera, con cani, cavalli e l’appoggio degli elicotteri.

Il partito del premier Viktor Orban intende inoltre chiedere al Parlamento l’autorizzazione all’invio dell’esercito per bloccare l’enorme flusso migratorio. Secondo la polizia tale incremento di arrivi si spiega con il desiderio dei migranti di raggiungere l’Ungheria prima del completamento del muro “difensivo” previsto entro la fine di agosto.

Ieri la polizia ungherese ha lanciato gas lacrimogeni contro i profughi siriani nell’affollato campo d’accoglienza di Roszke, presso la frontiera con la Serbia. Gli scontri sono scoppiati dopo il rifiuto dei migranti di farsi registrare e prendere le impronte digitali, nel timore di essere poi costretti a chiedere asilo a Budapest, mentre il loro obiettivo è raggiungere il nord Europa.

Il grande afflusso di migranti sulla rotta balcanica, iniziato con l’approdo di migliaia di persone sull’isola greca di Kos, ha messo a dura prova Serbia e Macedonia, chiamate a fronteggiare un evento di difficile gestione. Oggi Belgrado e Skopje hanno chiesto un piano d’azione all’Unione Europa per rispondere alla crisi. “A meno che non abbiamo una risposta europea a questa crisi, nessuno si deve illudere che possa essere risolta”, ha detto il ministro degli Esteri macedone, Nikola Poposki, intervenendo al vertice, in corso a Vienna, tra la Ue ed i Paesi balcanici.

La questione dell’immigrazione è ovviamente al centro del “Western Balkans Summit”, secondo vertice del “Processo di Berlino” avviato con la conferenza dello scorso agosto. Vi partecipano capi di Governo e ministri di 6 Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia), di Germania, Austria, Francia, Italia, Croazia e Slovenia, ed inoltre il presidente della Commissione Ue, l’Alto Rappresentante Ue per gli Affari Esteri e il Commissario UE per l’Allargamento. Per l’Italia è presente il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.




ITALIA – Xylella: nuovi tagli a Oria (Br). Fiaccolata in attesa del Commissario europeo

Il rumore sordo delle motoseghe è tornato a farsi sentire in contrada Frascata, a Oria. Un cordone di sicurezza protegge le motoseghe dalle possibili contestazioni.

Ma in attesa dell’incontro tra i vertici della Regione Puglia, gli scienziati e il  Commissario Europeo Vytenis Andriukaitis in visita in Puglia il prossimo 20 luglio il comitato #difendiAMOgliulivi, per il quale “la responsabilità della devastazione del patrimonio olivetato compiuta a Oria ricade sulla Commissione Tecnica Regionale”, che “agisce sulla base di teorie e ipotesi scientifiche senza tuttavia aver mai prodotto alcuna pubblicazione ufficiale riguardante il ceppo pugliese del batterio Xylella, l’eventuale patogenicità dello stesso ed una diagnosi che consideri tutti i fattori inerenti al complesso del disseccamento rapido degli olivi”, ha organizzato  la fiaccolata “Fuori la mafia della Xylella dallo Stato”.

Mentre infine la Procura leccese ha chiesto altri sei mesi di proroga per le sue indagini, sembra che la partita politico-istituzionale sulla Xylella si stia invece giocando proprio in queste settimane, se non in questi giorni. Tant’è che il commissario europeo per la Salute, Vytenis Andriukaitis, lunedì prossimo verrà qui in Salento a vedere la situazione. Ma lo hanno già “blindato”: ad ora le autorità italiane non hanno permesso alla Ong “Peacelink” (accreditata a Bruxelles) e neanche ai comitati locali d’incontrarlo.

Nella sua “Relazione sullo stato di attuazione delle misure di contrasto alla Xylella fastidiosa in Italia”, datata 6 luglio 2015, il ministero per le Politiche agricole certifica che dall’ottobre 2014 al giugno scorso sono stati effettuati 26.755 analisi campionarie su piante in provincia di Lecce e a Oria (Brindisi), l’87 per cento delle quali su ulivi, il resto su mandorli, oleandri e viti. E tra quelle piante esaminate, 23.867 non mostravano sintomi di contagio da Xylella. Risultati? La positività è stata riscontrata in 612, la negatività in 24.381.
A proposito, annota poi il ministero che “complessivamente in tutta Italia sono state portate a termine quasi 33.600 ispezioni” e “si può dichiarare l’intero territorio italiano ufficialmente indenne da Xylella, a eccezione delle aree delimitate delle Province di Lecce e Brindisi”.
Così adesso si spiega un certo, crescente, malumore a Bruxelles e la richiesta, che stanno mettendo a punto in Commissione, di dettagliati chiarimenti sull’intera faccenda.
Là qualcuno non pensa certo, almeno a stretto giro, di farlo sapere ufficialmente, ma comincia a sentirsi preso in giro. E non solamente per questi numeri. Perché, ad esempio, fin dal maggio scorso l’esito delle analisi effettuate su cinque dei sette ulivi tagliati a Oria il 13 aprile perché “infetti” era risultato sorprendente: solamente due avevano tracce di Xylella e solamente sulle fronde.
E allora, proprio sulla base di queste analisi, a Bruxelles ci si chiede quale senso avesse spedire a far diventare legna da ardere altri quarantacinque ulivi sempre di Oria. Poi, caso Oria a parte, l’Ue si domanda soprattutto perché si sia parlato d’epidemia, di milioni di ulivi da tagliare e di catastrofe agricola. Perché, insomma, il governo italiano descriva, appunto, una “situazione di emergenza non fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari”.
La domanda ovviamente resta tutta: cosa sta disseccando parecchi ulivi salentini? Visto pure che sempre il nostro governo e sempre nella sua Relazione mette nero su bianco che è stata “esclusa qualsiasi forma inquinante del terreno e dell’ambiente” a fronte del “quadro sintomatologico fitosanitario alquanto complesso tale da definire un nuovo temine tecnico Complesso del disseccamento rapido dell’olivo”.

Sono in ballo finanziamenti da milioni di euro.

E le associazioni sostengono una “verità diversa da quella “finta” e “gonfiata” ufficiale”. Affermano che non si tratta di una epidemia che richiede uno stato di emergenza, che richiede aiuti per centinaia di milioni di euro.

​Il sipario va alzandosi. E la scena via via è sconfortante. Che nemmeno il 2 per cento (quasi l’1,8) del campione degli ulivi salentini analizzati sia risultato positivo alla Xylella ha dovuto adesso metterlo nero su bianco il governo italiano, nella sua relazione ufficiale consegnata una settimana fa alla Commissione europea. Eppure annota anche “la notevole criticità per la gestione di questa emergenza fitosanitaria, unica per la sua specificità” e, addirittura, una “situazione di emergenza che, per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari”.

Fonti ufficiali sostengono che l’estensione dei focolai in Puglia è stata aggravata dalle condizioni climatiche dell’inverno 2013-2014, la cui particolare mitezza non è stata in grado di compiere un abbattimento di massa del vettore sufficiente a contenere la diffusione dell’infezione. Come concausa viene segnalato l’eccessivo sfruttamento agronomico del suolo, il cui humus si è impoverito; che nel 2015 alla distribuzione puntiforme dei focolai della provincia di Lecce se ne è aggiunto anche uno in provincia di Brindisi, nel comune di Oria, che attesta il travalicamento a nord dei precedenti limiti territoriali.

La Xylella è fortemente dannosa e, essendo anche non nativa dell’Europa, i protocolli la classificano come un patogeno da quarantena.

In California, ma anche in altri stati americani e in altri paesi come il Brasile, la Xylella è un problema rilevante, responsabile di numerosi danni agronomici. Non esistono cure.

L’ Europa non ospitava la Xylella  anche se ci fu una segnalazione non confermata in Kosovo nel 1998.

Non si sa come sia sbucata in Italia. Con i traffici commerciali è possibile che un microrganismo possa essere trasportato oltremare mentre tutti sono ignari. La pista investigativa ha poi negli anni successivi portato al Costa Rica, perché la Xylella analizzata ha un profilo genetico che appartiene a quello della sottospecie pauca, proveniente proprio da lì, a quanto pare arrivata tramite una pianta da caffè. Il batterio è trasportato da un insetto particolare che funge da vettore.

Qualcuno ipotizza che ci sia lo zampino della Monsanto.

La magistratura ha anche aperto un’indagine sul fatto che a fini sperimentali sia stato importato un ceppo a Bari, che non si sa come non si sa quando sarebbe stato rilasciato per sbaglio nel Salento. Il fenomeno ha iniziato a manifestarsi nel 2009/2010 nell’entroterra di Gallipoli e nella parte occidentale della penisola salentina. Focolai puntiformi molto virulenti del Complesso del disseccamento rapido dell’olivo sono segnalati su ulivi in tutto il Salento e nella provincia di Lecce, con centinaia di impianti già appassiti e morti.

Vedremo cosa concluderà, mentre il parere degli esperti è che non ci siano stati rilasci.

Immediatamente le autorità scientifiche si sono concentrate su di essa e hanno disposto l’allarme per la contaminazione, che si potrebbe estendere rapidamente, e per la ricerca del vettore. L’esportazione delle barbatelle da vigna è stata proibita in via precauzionale, per esempio. La Regione Puglia ha iniziato a emettere comunicati, forse poco cauti dato che nella popolazione si diffondono agitazione e allarmismo.

La rilevazione di Xylella fastidiosa nei tessuti vegetali viene effettuata presso il laboratorio Basile Caramia di Locorotondo, con un protocollo dell’Istituto di virologia vegetale, dal Cnr e dall’Università di Bari.

Ogni risultato positivo viene messo poi a conferma presso il laboratorio di riferimento a Bari. In media vengono analizzati 150 campioni al giorno, ciascuno pagato 10 € dal Servizio Fitosanitario Regionale. I test per la presenza di Xylella sono stati confermati non solo per gli ulivi, ma anche per verbena odorosa, oleandro, ciliegio, mandorlo, alcune varietà di mirto, ranno lanterno e rosmarino (generi Aloysia, Nerium, Prunus, Myrtus, Rhamnus, Rosmarinus). Si contano numerosi focolai sparsi a macchia di leopardo. Anche per questo le reazioni degli agricoltori del luogo sono contrastanti: alcuni lamentano morie impressionanti, altri praticamente cascano dalle nuvole.

Il vettore invece è stato scoperto dopo pochi mesi: è la sputacchina media (Philaenus spumarius), ordine Rhynchota.

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In Italia ormai l’unica logica che sembra contare è quella che vede come unico fine la sicurezza, nessuno si pone domande e cerca risposte, metodi alternativi all’abbattimento degli alberi.

Qualcuno ha forse pensato che per eliminare la Xylella sia innanzitutto necessario ripulire i terreni lasciati all’incuria dove è possibile che trovi condizioni ideali per riprodursi e diffondersi? Nessuno.

Gli abbattimenti sono ripresi dopo quelli del 13 aprile scorso e guarda caso stanno interessando alcuni alberi piantati nella stessa zona di quelli che, pochi mesi fa, hanno avuto lo stesso destino. Alcuni di questi ulivi erano centenari e le loro coltivazioni sono più che una fonte alimentare ed economica: sono oltre 2000 anni di storia e cultura, simbolo dell’identità italiana e pugliese.

Il Corpo Forestale dello Stato, invece di essere impiegato per far mantenere pulite e in ordine le campagne, che solitamente si trasformano in discariche pericolose perchè facilmente infiammabili, ha predisposto un cordone di sicurezza che impedisce a chiunque di avvicinarsi alla zona delle eradicazioni al fine di evitare eventuali disordini da parte di manifestanti contrari alle misure che si stanno adottando per contrastare la diffusione della Xylella Fastidiosa, il batterio che provocherebbe l’essiccazione degli ulivi.

ulivo

Tutte le vie di accesso ai campi siti lungo la Oria-Carosino, zona in cui le motoseghe stanno abbattendo gli alberi in questo momento, sono bloccate.

Si sa a malapena come contenere la diffusione della malattia e le zone colpite sono solo una parte della produzione olivicola regionale. Il timore è che l’infestazione giunga ai centri di Andria-Cerignola-Bitonto, e da lì in poi continui a propagarsi nella penisola (il che sarebbe una catastrofe).

Per questo il piano proposto fin da subito è totalmente drastico: estirpare le piante in una zona di quarantena con fascia-cuscinetto di sicurezza circostante.  Sono tanti i terreni con ulivi non coltivati  pieni di sterpaglie su cui non si agisce. Mentre vengono  stabilite varie “misure agronomiche da attuare negli uliveti” (arature, potature regolari, falciature) e un “piano di controllo degli insetti vettori e potenziali vettori” mediante l’applicazione di insetticidi sistemici sull’intero ecosistema agrario.

Anche l’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, ha rilasciato un parere tecnico-scientifico che porta a cercare di impedire ogni possibilità di contaminazione al di fuori delle zone colpite, temendo che il vettore non sia contenuto e che le misure agronomiche abbiano effetti deleteri sull’ambiente; mentre l’Unione Europea vuole mettere in quarantena buona parte del Salento. Il caso mediatico cresce.

A opporsi, oltre ad alcuni gruppi di agricoltori, sono i responsabili dei parchi naturali, poiché i trattamenti generali sono eccessivi per le aree protette secondo la legislazione.
Chi ci guadagna? Chi ci rimette?

Ci sono finanziamenti comunitari sia per il miglioramento della condizione di uliveti mal curati (e che facilmente vengono contagiati e quindi destinati all’espianto) sia per il piano di contenimento regionale (“bonifica” delle zone demaniali ed estirpazione, demaniale e privata). Per le estirpazioni non ci sono risarcimenti, mentre i fondi per i ricercatori a Bari languono. Sono domande che rappresentano una situazione di preoccupazione, confusione, timore e sensazione di essere presi in giro, diffusa fra gli abitanti. I produttori locali sono piuttosto sconfortati per varie ragioni:

la gestione del problema ha una cattiva tempistica ed emergono notizie confuse di primi focolai di disseccamento rinvenuti già nel 2010 se non nel 2008 (molto prima dell’outbreak ufficiale);
la prevalenza della Xylella negli alberi affetti dalla malattia manca all’inizio di dati chiari con pubblicazione esclusiva di quelli sui primi campionamenti totali, i quali erano stati fraintesi nei rilevamenti a campione (che confermavano circa 400 campioni positivi su 16.000 campioni casuali totali riguardanti piante sia sane che malate);
c’è impazienza sull’esito dei test di patogenicità;
mancano risposte su una possibile cura e sui stanziamenti per la ricerca i cui fondi languono;
l’ingente utilizzo di insetticidi e l’inquinamento della falde suscitano preoccupazione per la salute pubblica, nonché per il danneggiamento della fauna;
attualmente non ci sono indennizzi per i proprietari di oliveto che stanno andando incontro a espianto forzato.

Intanto il tempo passa e la situazione si fa sempre più caotica nei comunicati: ora eradicare, ora solo trattare, ora estirpare di nuovo, ora lasciar stare. I coltivatori locali si spazientiscono dopo tanti allarmismi. Ma a oggi, il Corpo Forestale definisce la situazione  fuori controllo.




GRECIA – Il Coniglio di Stato boccia il ricorso. Il 5 luglio si andrà al voto

Il referendum sul programma di aiuti proposto dai creditori è costituzionale. Il Consiglio di Stato boccia il ricorso contro il quesito e cade così anche uno degli ultimi ostacoli sulla strada della consultazione popolare in Grecia: domenica 5 luglio gli elettori potranno esprimersi a favore o contro il piano.

Al popolo greco è chiesto di decidere se accettare o meno una bozza di accordo tra la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale avanzata all’incontro dell’Eurogruppo del 25 giugno e che consiste in due documenti: il primo si chiama “Riforme per il completamento dell’attuale programma e per andare oltre” mentre il secondo si chiama “Analisi preliminare della sostenibilità del debito”.
– Se si rifiutano le proposte delle istituzioni, votare Non Approvo / NO.
– Se si accettano le proposte delle istituzioni, votare Approvo / SI.

Nel caso di una vittoria dei Sì  il governo di Alexis Tsipras sarebbe politicamente nei guai: avendo fatto campagna per il No e avendo criticato l’accordo oggetto della consultazione, ne uscirebbe sconfitto e sconfessato dagli elettori. Il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, ha già annunciato che se vinceranno i Sì lascerà il suo incarico; Tsipras non è stato altrettanto esplicito ma ha fatto capire di non essere “un uomo per tutte le stagioni”. La vittoria del Sì renderebbe praticamente inevitabile un accordo con l’UE sulla base delle condizioni richieste a giugno, ma non è detto che Tsipras abbia intenzione di firmarlo: è plausibile che dopo un’eventuale sconfitta al referendum si dimetta e che a quel punto i partiti che hanno fatto campagna per il Sì formino un nuovo governo di unità nazionale, con l’obiettivo minimo di concordare le condizioni per il prestito.

Se vincessero i No Il governo Tsipras uscirebbe dal referendum immediatamente rafforzato e potrebbe ripresentarsi davanti alle autorità europee con una nuova legittimazione popolare, chiedendo e sperando di ottenere modifiche favorevoli alle richieste dei creditori per ottenere un nuovo prestito. La vittoria del No sarebbe anche una sconfitta politica per i leader europei che hanno sostenuto la linea più dura, come la cancelliera tedesca Angela Merkel, e che hanno scommesso su un indebolimento del governo Tsipras e delle posizioni della Grecia.
Tsipras ha detto che la vittoria del No farebbe ripartire i negoziati e permetterebbe di ottenere un accordo migliore per la Grecia, ma non sarebbe comunque facile: la ragione è che in ogni caso la Grecia sta finendo i soldi e senza un prestito internazionale è destinata alla bancarotta, che vinca il Sì o che vinca il No.

A poche ore dalla chiamata alle urne, mentre i sostenitori dei due schieramenti opposti scendono in piazza per le ultime manifestazioni, cresce la tensione sul fronte Atene-Bruxelles. Fonti dell’agenzia Reuters hanno rivelato che le potenze europee avrebbero cercato di bloccare il report del Fmi (poi diffuso giovedì 2 luglio) in cui si chiedeva di tagliare il debito greco: un documento che è subito diventato uno dei punti a cui si aggrappa il premier Tsipras nelle sue argomentazioni per il “no” e che mette in difficoltà l’Ue. Dal punto di vista finanziario, le banche greche hanno fatto sapere di avere la disponibilità di un miliardo di euro fino a lunedì. Poi, in base al risultato del voto, sarà la Bce a decidere come comportarsi. Il vicepresidente della Banca centrale europea Vitor Constancio ha già fatto sapere che “se vincerà il sì, si potrebbe allentare la stretta sui fondi della liquidità d’emergenza. Se vincerà il no, allora sarà più difficile per l’intesa essere raggiunta”.

L’ennesima giornata di passione per i greci si chiude con due manifestazioni ad Atene dei due schieramenti opposti per il referendum. Circa 25mila le persone a piazza Syntagma, per sostenere il fronte del ‘no’. Qui non sono mancate le tensioni poco prima dell’inizio dell’evento: circa 300 persone con il volto coperto dai passamontagna hanno cercato di forzare un cordone di poliziotti posto all’inizio di via Ermou. Nei pressi dello stadio Panathenian, invece, il raduno di coloro che propendono per il ‘sì’: stando alla polizia, 17mila i partecipanti.

Dopo la diffusione dei risultati di un sondaggio ancora incompleto sulle intenzioni di voto dei greci, la cautela è d’obbligo. Mentre il premier greco Alexis Tsipras invita i cittadini a non farsi suggestionare (“È meglio stare calmi e aspettare che il popolo prenda nelle sue mani il suo futuro. Andiamo a votare tranquilli”), il presidente della commissione Ue Jean-Claude Juncker continua a schierarsi per il “sì” (“Se i greci rifiuteranno il programma di aiuti, la posizione della Grecia sarà drammaticamente indebolita”). Il leader greco poi attacca il Fondo monetario internazionale: “Ora l’Fmi afferma che il debito greco può essere sostenibile solo con un taglio del 30 per cento e un periodo di grazia di 20 anni”. Ma questo rapporto, diffuso nelle scorse ore, “non è mai stato condiviso con le istituzioni nei cinque mesi in cui abbiamo negoziato”.

Tutti gli occhi sono puntati però sul risultato. Per il momento sono i numeri stessi a non consentire un’analisi: i nuovi rilevamenti aggiornati a venerdì 3 luglio, quando in Grecia mancano due giorni alla consultazione, fotografano una situazione in bilico, con l’elettorato diviso quasi perfettamente a metà tra favorevoli e contrari. Secondo quello realizzato dalla società Alco per il quotidiano Ethnos, i sì sarebbero al 44,8% mentre i no si attesterebbero al 43,4%. Gli indecisi scendono all’11,8%. In compenso il 74% dei greci vuole che il paese resti nell’eurozona e solo il 15% vorrebbe tornare ad una moneta nazionale. Spaccatura degli elettori e sostanziale parità sono confermate anche da un sondaggio commissionato da Bloomberg all’università della Macedonia: no al 43%, sì al 42,5.

Considerato il numero degli indecisi e il margine di errore di qualsiasi poll, impossibile trarre conclusioni. Il sostegno al no, cioè la posizione sostenuta dal governo, è comunque calato rispetto allo scorso sabato, quando si attestava a oltre il 50%. Nella notte il premier Alexis Tsipras ha parlato di nuovo in tv garantendo: “Il giorno dopo il referendum sarò a Bruxelles e un accordo sarà firmato” entro 48 ore dal voto. Mentre il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis ha detto che non solo un accordo è in vista” anche con la vittoria del no, ma “è più o meno fatto”. Da Bruxelles, puntuale, è arrivata la smentita: se vincesse il ‘no’ “la posizione greca ne uscirebbe drammaticamente indebolita“, ha detto il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. E “anche in caso di vittoria del ‘sì’- in seguito alla quale iTsipras ha fatto capire di essere pronto a dimettersi – dovremmo affrontare negoziati difficili”. Parole smentite duramente anche dal presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem: “Un accordo già fatto? Affermazione totalmente falsa”.

Il fondo salva Stati: “Grecia ha fatto evento di default ma non chiediamo restituzione immediata dei prestiti” – Intanto il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) ha diffuso un comunicato in cui attesta che Atene, non avendo pagato martedì la rata da 1,6 miliardi dovuta al Fondo monetario internazionale, ha fatto quello che viene definito un “evento di default”. Di conseguenza i Paesi dell’Eurozona che ne sono azionisti “si riservano il diritto di richiedere prima della scadenza il rimborso di 130,9 miliardi di euro di prestiti”. Vale a dire che per ora, come auspicato due giorni fa dal vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, hanno deciso di non chiedere il pagamento immediato, cosa che avrebbe accelerato il percorso della dichiarazione di default delle Gracia. Il capo dell’Efsf, Klaus Regling, ha detto però che “questo evento di default è motivo di profonda preoccupazione. Si rompe l’impegno assunto da parte della Grecia di onorare i suoi obblighi finanziari verso tutti i suoi creditori, e si apre la porta a gravi conseguenze per l’economia greca e il popolo greco”. L’Efsf resta “in stretto coordinamento con gli Stati membri dell’area dell’euro, la Commissione europea e il Fondo monetario internazionale per decidere le sue azioni future”. In ogni caso il mancato pagamento greco “non ha alcuna influenza sulla capacità dell’Efsf di rimborsare i propri obbligazionisti. Gli investitori sanno che le obbligazioni Efsf beneficiano di una struttura di garanzia solida”.

Forniture problematiche nelle Cicladi a causa delle limitazioni ai pagamenti verso l’estero – Nel frattempo la popolazione, al quinto giorno con le banche chiuse e tetti ai prelievi ai bancomat, è sempre più in difficoltà. Secondo l’edizione online di Kathimerini, diverse isole dell’arcipelago delle Cicladi sono già alle prese con problemi di approvvigionamento, soprattutto per alcune categorie di generi alimentari, come la carne, e per le medicine. Alla base del problema, secondo la Camera di Commercio, c’è il fatto che le imprese locali non possono pagare i fornitori esteri a causa del limitazioni ai movimenti dei capitali. L’associazione ha chiesto al governo di intervenire per evitare ripercussioni sul turismo. Il vice ministro competente, Elena Kountoura, ha assicurato che da lunedì sono stati fatti tutti gli sforzi per dare priorità all’invio dei pagamenti di alberghi e ristoranti e limitare questi problemi. L’Associazione delle agenzie turistiche elleniche (Sete) calcola però che negli ultimi giorni il calo delle prenotazioni, rispetto alle attese, è stato superiore al 30 per cento.




FRANCIA – Tensione al confine di Ventimiglia per i 40mila. Grande attesa per il vertice del 25 giugno

“Quello che sta accadendo a Ventimiglia è un pugno in faccia all’Europa”, ha denunciato Alfano. Anche il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ha criticato la chiusura della frontiera decisa da Parigi e le resistenze di alcuni paesi dell’Unione ad aderire al piano che prevede che ogni stato accolga una quota di profughi.

La Francia chiarisce la sua posizione, senza concedere nulla. Secondo il responsabile dell’interno francese Cazeneuve, prima di chiedere aiuto ai paesi vicini, il governo italiano deve aprire dei centri per identificare e registare i migranti, in modo da separare chi può chiedere asilo e ha quindi diritto di essere accolto e circolare in Europa, da chi è arrivato per motivi economici e, senza permesso di soggiorno, deve essere respinto, secondo i trattati comunitari.

Senza questa selezione a monte, ha detto Cazeneuve, non può funzionare il principio di distribuzione dei profughi tra tutti i paesi europei proposto dalla Commissione europea e sostenuto dall’Italia.

Mentre cresce l’attesa per il 25 giugno, quando i leader Ue si incontreranno per discutere dell’emergenza immigrati e approvare il piano licenziato dalla commissione Ue per distribuire fra i membri dell’Unione i 40mila arrivati in Italia e Grecia, sale la tensione al confine di Ventimiglia tra Italia e Francia. Lì infatti la polizia transalpina impedisce ai migranti di varcare la frontiera e, secondo quanto risulterebbe allo stesso sindaco di Ventimiglia, alcuni di quelli che erano riusciti nelle ultime ore ad entrare in Francia sarebbero stati riportati nel nostro Paese. Intanto fonti governative preannunciano che Matteo Renzi affronterà l’emergenza immigrazione a livello europeo nei colloqui con i capi di governo francese François Hollande e inglese David Cameron nel corso dei colloqui già previsti in occasione delle loro rispettive visite all’expo di Milano nei prossimi giorni. Per quello che riguarda una soluzione comunitaria all’emergenza, al momento il fronte contrario alle quote obbligatorie è piuttosto vasto e annovera Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Paesi dell’est e baltici, Spagna e Francia. Quest’ultima, insieme alla Polonia, starebbe però cambiando idea. Prima del cruciale appuntamento, è atteso il via libera da parte dei ministri degli Esteri – il prossimo 22 giugno – alla missione per colpire i barconi in acque internazionali e libiche. In Italia intanto l’emergenza, culminata con le situazioni estreme delle stazioni Tiburtina a Roma e Centrale a Milano, ha esacerbato ulteriormente la polemica politica tra il governo e le forze che, come Lega e M5s, contestano la politica di Palazzo Chigi in materia. Nel dibattito si è inserita anche la Chiesa italiana, attraverso il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, il quale ha sottolineato che “sicurezza e legalità sono un dovere preciso di uno Stato democratico e civile, ma questo dovere non può essere chiusura e non accoglienza verso chi è disperato”.

Beppe Grillo intanto parla di un’Italia diventata “un bivacco permanente di sfollati nelle stazioni e ai confini con gli altri Stati” e chiede di modificare in fretta il regolamento Ue di Dublino che impone di ospitare il profugo nel Paese in cui viene identificato. Parlando da Milano, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha attaccato indirettamente la Lega di Matteo Salvini: “Ci sono tanti che abbaiano alla luna – ha detto – vivono sulle paure e pensano che l’unica dimensione sia chiudersi a chiave in casa. Non è così. Serve un ideale comune, non limitarsi a vivacchiare e alimentare paure. Vorrei che provassimo – ha aggiunto – a dare assieme il nome al futuro che non sia rabbia e paura, ma coraggio e speranza”. Picchia duro, dal canto suo, il Carroccio che, con il governatore del Veneto Luca Zaia, ribadisce la linea di chiusura netta sulle assegnazioni a regioni e municipi del Nord di migranti da alloggiare. In una lettera inviata ai prefetti, Zaia intima di sgomberare le strutture occupate dai migranti nelle località turistiche della regione, mentre il segretario Salvini, intervenendo in tv, ha dichiarato di voler “prendere il treno tranquillamente senza prendere la scabbia e senza quelli con il machete”.

Presso la sede della prefettura veneziana, si è tenuto il tavolo di coordinamento della gestione dell’emergenza profughi in Veneto. Oltre a Luca Zaia, erano presenti sindaci, assessori e prefetti provenienti da tutto il Veneto. A illustrare le modalità per gestire l’accoglienza dei profughi, Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno. Per Verona erano presenti il sindaco Flavio Tosi, l’assessora ai servizi sociali Anna Leso, il comandante della polizia municipale Luigi Altamura e il prefetto vicario Iginio Olita.

Morcone ha annunciato che entro qualche settimana il Veneto dovrà dotarsi di un hub per immigrati, cioè un centro di smistamento per valutare che chi ha diritto alla protezione internazionale e chi no. Come riportato dal quotidiano L’Arena, il dirigente ministeriale ha posto il problema di dover far sorgere questo centro: “Abbiamo già una lista di 38 caserme, ma vogliamo che la soluzione sia condivisa con chi ha il governo del territorio”.

Tuttavia, il Veneto non ci sta e anche il sindaco di Verona ha manifestato il proprio dissenso: “Siamo contrari al progetto del governo di realizzare in Veneto un hub inteso come centro di smistamento con libertà di andare e venire, perché aumenterebbe il degrado e l’insicurezza. Ma cambieremmo opinione se il modello di riferimento fosse il Cie, il Centro di identificazione ed espulsione”. Il prefetto Morcone, però, ha risposto di non essere interessato alla creazione di un luogo detentivo“.




IRLANDA – Primo paese al mondo a chiedere il matrimonio gay con un referendum

L’Irlanda è stata il primo paese al mondo a chiedere ai cittadini di decidere in un referendum se le coppie omosessuali abbiano diritto a sposarsi, come gli eterosessuali. ll 62,1% ha votato sì, i no si sono fermati al 37,9%. I voti complessivi a favore sono stati 1.201.607, mentre quelli contrari 734.300. La presidente della Camera dei Deputati, Boldrini, ha commentato: “Essere europei significa riconoscere i diritti”.

I Paesi in cui i matrimoni omosessuali sono legali salgono a quota 21 tra cui l’Olanda, dove sono stati legalizzati nel 2001, il Belgio (due anni dopo) e ancora il Regno Unito, lo scorso anno. Per un Paese come l’Irlanda, che ha depenalizzato l’omosessualità solo nel 1993,  è un passo particolarmente significativo. Per quanto riguarda adozioni e maternità surrogate nessun cambiamento: l’adozione è già possibile per le coppie gay, nel caso di unioni civili o convivenze, se uno dei due partner è legalmente genitore. La maternità surrogata non è regolata in Irlanda e il governo sta lavorando per legiferare in proposito.

Il premier irlandese Enda Kenny ha ringraziato i giovani per la vittoria del sì. Tantissimi si sono anche impegnati a fare campagna per il sì sui social network, mentre molti sono rientrati dall’estero per votare. Secondo Kenny, cattolico praticante, la decisione manda anche un messaggio alla comunità internazionale sulla “leadership pionieristica“ dell’Irlanda.

“È una rivoluzione sociale” dice l’arcivescovo di Dublino e Primate d’Irlanda – Diarmuid Martin -. La chiesa ora deve fare i conti con la realtà”. I vescovi irlandesi avevano lanciato un appello chiedendo di rispettare i valori della famiglia tradizionale.

Il voto è stato accolto con entusiasmo dal Commissario europeo Cecilia Malmstrom, liberale svedese: “Congratulazioni all’Irlanda per aver votato sì alle nozze gay e si all’amore per tutti” ha twittato aggiungendo tre cuoricini. Un tweet che è stato rilanciato anche dall’account della  Commissione europea.

“Dall’Irlanda una spinta in più. È tempo che anche l’Italia abbia una legge sulle unioni civili. Essere europei significa riconoscere i diritti”, scrive la presidente della Camera, Laura Boldrini.