Il Québec e la memoria femminile

Il riconoscimento del ruolo delle donne nella storia e nelle società è un aspetto che riguarda anche Paesi ritenuti più sensibili a questa questione.
Il Canada, infatti, patria di valenti scrittrici e attiviste politiche come Lucy Montgomery e Nellie McLung, non fa differenza rispetto ad altre realtà dove si mortifica il contributo che le donne hanno da sempre saputo dare alla comunità.

Tuttavia, già da qualche anno, questo stato federale, e nel contempo monarchia costituzionale, si è fatto promotore di iniziative volte al riconoscimento delle donne canadesi. Per la giornata internazionale delle donne nel 2016, ad esempio, le autorità hanno indetto un sondaggio cittadino per individuare le figure femminili ritenute protagoniste attive del progresso sociale canadese.

Questa iniziativa, oltre a far conoscere biografie poco note ma fondamentali per la crescita della nazione, ha anche sviluppato un vivace dibattito a riguardo, sia nell’opinione pubblica che a livello politico. Lo scopo del sondaggio era quello di dedicare una banconota alla donna scelta. E così è stato. La vincitrice, ‘a furor di popolo’, è stata l’attivista abrogazionista di colore Viola Desdmond che apparirà proprio da questo anno sulle banconote da 10 dollari canadesi diventando così la prima canadese ad essere raffigurata su una banconota regolarmente in circolazione.

Nel 2012 la sua vita è diventata un libro per bambini e le è stato dedicato un francobollo commemorativo.

Le sarà inoltre intitolata una nuova strada a Montréal dopo l’approvazione formale avvenuta la scorsa estate da parte del Comune.

Questa sensibilità verso la riscoperta, e in alcuni casi si può parlare di una vera e propria scoperta, di figure femminili di valore riguarda anche più in particolare la provincia  del Québec, che ha deciso di riconoscere alle proprie patriote, attiviste, scrittrici, artiste, lavoratrici…, un segno tangibile della loro appartenenza nella storia e nel territorio della provincia. La Commissione toponomastica del Québec infatti intende valorizzare in modo permanente la toponomastica femminile, dedicandole uno spazio stabile nel più ampio riquadro dell’ufficio preposto. Sarà un’occasione per scoprire interessanti storie.

Il Québec ha spesso derivato i nomi delle sue municipalità dalle parrocchie religiose già presenti sul territorio dal XVIII -XIX secolo, secondo la tradizione che voleva rendere omaggio al nome di un uomo o di una donna ricorrendo al relativo santo o santa di riferimento. Ne consegue che la maggior parte dei toponimi siano riferiti a figure santificate o beatificate, come nella tradizione più diffusa e consolidata da cui anche l’Italia, a maggior ragione, non sfugge.

Su 1133 municipi 515 hanno nomi santificati: in particolare sono 139 le municipalità che rievocano figure religiose, se includiamo anche la Vergine Maria e le sue declinazioni come Nostra Signora (Notre- Dame), cioè il 12% sul totale dei municipi. In dettaglio, 103 sono dedicati a sante dichiarate venerabili e 36 a donne ‘santificate’ ma laiche, spesso mogli, figlie di signori importanti nella società e nell’economia locale.

Il numero delle municipalità dedicate a donne meritevoli estranee alla religione è ben più esiguo: se ne contano appena undici. Il totale dei municipi femminili raggiunge quota 150, superando di poco il 13% dell’intero Québec.




ITALIA – Due passi per Modena e per le strade femminili che non ci sono (Parte seconda)

Di Roberta Pinelli

A partire dagli anni Sessanta qualcosa cambia a Modena nei criteri adottati per le scelte odonomastiche e sarà forse per la nomina di una donna nella Commissione Toponomastica che nel 1961 furono dedicati a donne ben cinque toponimi: due letterate (Grazia Deledda e Ada Negri), una musicista (Cecilia Paini), una partigiana (Gabriella Degli Esposti), una donna di potere (Matilde di Canossa).

1.Modena-Via Ada Negri-foto di Roberta Pinelli

2. Modena-Via Grazia Deledda-foto di Roberta Pinelli

Figlia di Giovanni, suonatore di corno da caccia, Cecilia Paini ancora in tenera età seguì il padre che per lavoro si era trasferito a Parigi. Qui studiò al Conservatorio di musica dove, precocissima, conseguì il I premio in arpa e solfeggio. A 11 anni dette alcuni concerti in Francia e venne considerata una bambina prodigio. Con un decreto del 23 marzo 1843 la duchessa di Parma la nominò arpista della Ducale Orchestra. Fu al servizio del Ducato di Parma fino al 1859, poi rimase al Teatro Regio di Parma fino al 1875. Nel 1876 si trasferì a Modena, dove aveva sposato un certo Eugenio Zoboli, da cui ebbe due figli. Dedicatasi all’insegnamento, fu sempre attorniata da grande ammirazione. Morì a Modena nel 1922.

3.Modena-Via Cecilia Paini-foto di Roberta Pinelli

Gabriella Degli Esposti con il nome di battaglia di Balella partecipò fin dall’inizio alle attività della Resistenza nel modenese, prodigandosi anche per la formazione dei primi Gruppi di Difesa della Donna, nonostante fosse madre di due bambine e incinta del terzo figlio. Coordinatrice della IV Zona partigiana, fu arrestata dalle SS il 13 dicembre 1944 durante un rastrellamento, rifiutò di parlare e fu giustiziata insieme ad altri 9 compagni di prigionia. Prima della fucilazione fu brutalmente torturata. In suo onore fu chiamato “Gabriella Degli Esposti” l’unico distaccamento partigiano formato esclusivamente da donne. Le è stata assegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

4.Modena-Via Gabriella Degli Esposti-foto di Roberta Pinelli

Passarono altri 10 anni prima che comparissero nuove targhe dedicate alle donne; nel 1971 furono intitolate due strade a Gaetana Agnesi e Marie Curie, precedute nel 1966 da una partigiana (Irma Marchiani) e da due dee dell’antichità, Cerere e Igea, e nel 1969 da una straordinaria figura di benefattrice, Marianna Saltini.

5.Modena-Via Gaetana Agnesi-foto di Roberta Pinelli

6.Modena-Via Marie Curie-foto di Roberta Pinelli

7.Modena-Via Irma Marchiani-foto di Roberta Pinelli

8.Modena-Via Marianna Saltini-foto di Roberta Pinelli

Nata a Carpi nel 1889, a 21 anni Marianna Saltini sposò il sarto Arturo Testi, ma rimase vedova a 39 anni con 6 figli. Decise di affidare alcuni dei figli ai parenti e di mandare i più grandi in collegio, per potersi dedicare ad allevare le figlie dei poveri. Da quel momento fu per tutti “Mamma Nina”, da qualcuno definita anche “la matta che aveva abbandonato i figli suoi per quelli degli altri”. Solo nel marzo del 1936 il vescovo approvò, e solo provvisoriamente, la sua opera e il Comune di Carpi le concesse in uso il Palazzo Benassi. Sorella di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, Mamma Nina allevò e continuò ad occuparsi di migliaia di bambine povere, insegnando loro un mestiere e togliendole dalla miseria e dai rischi della strada. Fondata a Carpi, ma con sedi in molti comuni della provincia di Modena, ancora oggi l’istituzione benefica da lei creata è attiva e ha mantenuto il nome di “Casa della Divina Provvidenza”.

Nel 1985 fu aperto il processo di beatificazione che nel 1988 dichiarò Mamma Nina “serva di Dio”.

Nel 1982 una parte dell’anello della tangenziale che circonda Modena è stato intitolato al Premio Nobel per la Letteratura Gabriela Mistral, mentre nel 1986 una stradina periferica viene dedicata a una vittima di femminicidio, novella Maria Goretti modenese: Maria Regina Pedena.

 9.Modena-Tangenziale Gabriela Mistral-foto di Roberta Pinelli

10.Modena-Via M.Regina Pedena-foto di Roberta Pinelli

Il 19 luglio 1827, attirata con l’inganno in casa di Eleuterio Malagoli, liutaio, invaghitosi di lei, resistette ai suoi approcci. Infuriato per la resistenza della ragazzina (Regina aveva solo 14 anni), Eleuterio Malagoli l’accoltellò più volte. All’arrivo della polizia Maria Regina Pedena era già morta e il Malagoli tentò il suicidio.

Il 24 luglio 1827 si tennero i solenni funerali della ragazza, cui fece seguito una sorta di devozione, che però svanì ben presto, consentendo che i suoi resti fossero inumati in una fossa comune. Nel 1973, a cura di un comitato promotore del processo di beatificazione, i resti di M.Regina Pèdena furono traslati nel Santuario della Madonna del Murazzo di Modena, dove sono tuttora conservati.

Nel 1990 ecco la targa e la scuola media intitolate a Luisa Guidotti Mistrali.

11.Modena-Via Luisa Guidotti Mistrali-foto di Roberta Pinelli

Luisa Guidotti Mistrali nacque a Parma nel 1932 e nel 1947 si trasferì definitivamente a Modena. Dopo la maturità scientifica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Modena, dove si laureò nel 1960, acquisendo poi nel 1962 la specializzazione in Radiologia.

Entrata nell’Associazione Femminile Medico-Missionaria da laica, dopo un periodo di tirocinio religioso fra Modena e Roma, nel 1966 venne destinata alle missioni nella Rhodesia (l’attuale Zimbabwe). Nel 1969 fu assegnata definitivamente all’ospedale “All Souls” di Mutoko nella provincia del Mashonaland Orientale.

A Mutoko in realtà l’ospedale consisteva in alcune capanne di paglia e fango che in pochi anni, sollecitando la generosità degli amici italiani, Luisa riuscì a trasformare in edifici in muratura, aprendo anche una scuola per infermiere e un orfanatrofio. Già nel 1971 l’ospedale era in grado di accogliere annualmente oltre 5.000 ammalati e contava più di 400 nascite all’anno.

Oltre al lavoro nell’ospedale, si recava periodicamente al lebbrosario di Mutema, dove i pazienti erano pressoché abbandonati, e nei villaggi vicini per assisterne i malati.

Nel 1976 venne arrestata dalla polizia con l’accusa di aver curato un ragazzo, presunto guerrigliero, rischiando la condanna a morte per impiccagione. Rilasciata dopo quattro giorni, fu tenuta per due mesi in libertà provvisoria vicino a Salisbury. Venne poi assolta per le forti pressioni esercitate dalla Santa Sede e dal governo italiano. La situazione a seguito della guerra divenne sempre più pericolosa e molti missionari furono costretti ad andarsene dalla Rhodesia. Luisa Guidotti subì delle minacce, ma non volle abbandonare l’ospedale e vi rimase, unica occidentale, insieme alle infermiere africane. Il 6 luglio 1979 con l’ambulanza dovette accompagnare una partoriente a rischio all’ospedale di Nyadiri. Sulla via del ritorno venne fermata ad un posto di blocco dall’esercito governativo. All’improvviso, partirono due raffiche di mitra da entrambi i lati della strada e un proiettile colpì la dottoressa, recidendole l’arteria femorale e provocandone la morte per dissanguamento. Aveva da poco compiuto 47 anni.

Nel 1983 le fu intitolato l’ospedale “All Souls” di Mutoko. Nel 1988 il vescovo di Modena fece traslare i suoi resti nel Duomo e dal 2006 è aperta la causa di canonizzazione.

Nel 1996 ecco un’altra musicista, la soprano modenese Teresina Burchi, e nel 1998 Madre Teresa di Calcutta ed Elsa Morante.

Nel 2011 quattro furono le targhe modenesi dedicate alle donne: Natalia Ginzburg, Sibilla Aleramo, Gina Borellini e Fausta Massolo.

12.Modena-Via Natalia Ginzburg-foto di Roberta Pinelli

13.Modena-Via Sibilla Aleramo-foto di Roberta Pinelli

14.Modena-Via Gina Borellini-foto di Roberta Pinelli

Gina Borellini nacque a San Possidonio, da una famiglia di agricoltori, nel 1924. Si sposò a soli 16 anni con Antichiano Martini, di professione falegname. Insieme al marito, dopo l’8 settembre 1943, partecipò attivamente alla Resistenza come staffetta partigiana e soccorrendo militari sbandati. Nel 1944 furono entrambi catturati, arrestati e torturati. Dopo la fucilazione del marito entrò nella Brigata “Remo”. Il 12 aprile 1945, a seguito di uno scontro a fuoco con i fascisti, venne ferita e perse una gamba.

Nel 1946 fu eletta al consiglio comunale di Concordia e due anni dopo entrò in Parlamento nelle file del Partito Comunista Italiano. Fu Deputata della Repubblica nella I, II e III legislatura e fece parte della Commissione Difesa della Camera.

Fu tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane, presidente dell’UDI di Modena per molti anni e presidente della sezione di Modena dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra dal 1960 al 1990.

È stata insignita del titolo di Commendatore della Repubblica e della medaglia d’Oro al Valor Militare. È morta a Modena nel 2007.

15.Modena-Via Fausta Massolo- foto di Roberta Pinelli

Fausta Massolo nacque ad Arquata Scrivia (AL) nel 1935. Dopo gli studi in Medicina, nel 1966 si trasferì a Modena, dove sarebbe rimasta poi per tutta la vita. Diventata Primaria di Pediatria, nel 1984 fu nominata Direttrice della nuova Divisione di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Modena, da lei fortemente voluta e che avrebbe diretto fino al 1999.

Pioniera non solo nelle cure mediche (fu uno dei primo oncologi pediatrici a sperimentare cure allora pionieristiche), Fausta Massolo sostenne e incoraggiò anche la presenza in ospedale di diverse figure professionali: maestre, insegnanti, psicologi/ghe, che fornissero al bambino ricoverato una accoglienza completa.

Scomparve prematuramente il 7 settembre 1999, amata e rimpianta dai collaboratori, dai pazienti e dalle loro famiglie. Nel maggio 2014, un accordo fra Comune e Provincia di Modena, Associazione Famiglie Malati di Oncoematologia Pediatrica, Policlinico e Azienda Casa Emilia Romagna ha dato il via alla costruzione di una “casa lontano da casa”, una palazzina di 15 appartamenti da destinare ai bambini che necessitano di lunghi periodi di cura e alle loro famiglie: “La casa di Fausta”.

Nel 2013 sono state quattro le targhe femminili aggiunte: Santa Liberata, le tabacchine, dette alla modenese Paltadori, Gaspara Stampa e la partigiana Caterina Zambelli.

16.Modena - Via Caterina Zambelli - foto di Roberta Pinelli

La famiglia Zambelli di Bomporto (MO) partecipò attivamente alla lotta partigiana, nel rifiuto delle requisizioni, nella raccolta di armi e viveri, nelle azioni di disarmo, sabotaggio, distruzione di armi nemiche: il padre Angelo fu partigiano della Brigata Tabacchi, i figli combattenti, le figlie staffette o fiancheggiatrici del movimento della Resistenza. Sette dei tredici membri della famiglia furono uccisi in ritorsioni nemiche: il capofamiglia Angelo, con il genero Bozzali Quinto e il nipote Pellacani Fabio, fu arrestato e fucilato a Navicello di Modena il 9 marzo 1945. Caterina Bavieri Zambelli, moglie di Angelo, che aveva 60 anni, fu arrestata a metà febbraio 1945, condotta all’Accademia Militare e torturata; fu poi liberata, ma assassinata il 27 marzo 1945 insieme alla figlia Iride. Il figlio Floriano fu ucciso in una rappresaglia con altri partigiani nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1945; l’altro figlio Renato arrestato durante il rastrellamento del 17 febbraio, morì sotto le torture nemiche.

 Nel luglio del 2015 è stata infine approvata l’intitolazione di una stradina a Margherita Hack, mentre ancora non si è arrivati a ricordare con un toponimo Rita Levi Montalcini, richiesta presentata fin dal 2013.

Per le vie di Modena si può dunque fare un viaggio nel tempo e nella mentalità che ha contribuito a modificare l’immaginario femminile.

Si può anche scoprire come pure la progredita Modena, dove la presenza e la partecipazione delle donne alla vita pubblica è sempre stata ragguardevole, non si differenzi per niente dalle realtà più restie a dare spazio alla memoria delle donne, nemmeno di coloro che hanno avuto un ruolo nella storia della città.




ITALIA – Due passi per Modena e per le strade femminili che non ci sono (Parte prima)

Di Roberta Pinelli

 Se il numero complessivo delle targhe al femminile della città di Modena (48 su oltre 1500 toponimi) è il 2,4% del totale dei toponimi cittadini, in linea con le percentuali del resto d’Italia, è di un certo interesse vedere come nel tempo è cambiata, molto lentamente, l’attenzione verso le donne.

La stessa composizione delle Commissioni Toponomastiche succedutesi nel tempo mostra quale sia stato il ruolo delle donne in queste scelte: la Commissione Toponomastica fu istituita a Modena nel 1861 e la prima donna chiamata a farne parte fu nominata esattamente cento anni più tardi, nel 1961.

 01.Modena mappa XVIII

Il primo stradario ufficiale della città di Modena risale al 1818 e fu voluto dal Duca Francesco IV d’Este nell’ambito di un vasto programma di rinnovamento edilizio. Dalla sua consultazione si deduce che in questa prima fase dell’onomastica stradale regolamentata si afferma il sistema descrittivo, legato soprattutto alle funzioni economiche e sociali delle vie, alla presenza di edifici caratterizzanti o di famiglie residenti. Ed è proprio dal 1818 che a Modena le casse comunali si fanno carico per la prima volta di apporre agli angoli delle strade scritte o targhe per denominare in modo ufficiale gli spazi pubblici urbani

Dopo l’Unità d’Italia, il sistema descrittivo fu sostituito in breve tempo da un sistema celebrativo (con intenti anche pedagogici), che proseguirà praticamente fino ai giorni nostri, con una spiccata preferenza per i personaggi illustri locali, emblemi di orgoglio municipale e di un’identità civica da costruire.

Tutto ciò però va letto solo in relazione ai toponimi maschili, poiché si vedrà come ciò non sia stato seguito per quanto riguarda le donne.

A partire dal 1818 e fino alla fine dell’800 a Modena le targhe stradali al femminile sono infatti praticamente tutte dedicate a sante e suore, nessuna delle quali ha un qualche legame con Modena.

1.Modena-Via Sant'Agata-foto di Roberta Pinelli

2.Modena-Via Santa Chiara-foto di Roberta Pinelli

4.Modena-Via Sant'Eufemia-foto di Roberta Pinelli

3.Modena-Largo Sant'Eufemia-foto di Roberta Pinelli

5.Modena-Via S.Margherita-foto di Roberta Pinelli

6.Modena-Via Sant'Orsola-foto di Roberta Pinelli

7-Modena-Vicolo delle Grazie-foto di Roberta Pinelli

Con l’inizio del XX secolo compaiono i primi toponimi dedicati ad altre figure femminili. Nel 1911, in occasione del cinquantesimo dell’Unità d’Italia, viene intitolata una strada a Enrichetta Castiglioni, singolare figura di donna e di patriota.

8.Modena-Via Enrichetta Castiglioni-foto di Roberta Pinelli

Dopo un matrimonio combinato, che la lasciò vedova prima dei vent’anni, Enrichetta Castiglioni si innamorò di un patriota modenese e con lui condivise l’organizzazione dei moti carbonari di Modena del 1831. Fallita la rivolta e giustiziatone il capo, Ciro Menotti, Enrichetta seguì il marito nella fuga, ma furono arrestati dagli Austriaci ad Ancona e incarcerati a Venezia. Enrichetta volle condividere il carcere con il marito, ma debilitata dalle pessime condizioni di vita e forse minata da un cancro, morì nel 1832, a soli 29 anni. Quando l’amnistia consentì la liberazione dei patrioti modenesi, il marito raggiunse Marsiglia e volle onorare la memoria di Enrichetta con una cerimonia solenne, durante la quale fu lo stesso Giuseppe Mazzini a pronunciare l’elogio funebre.

 Nel 1931 appare via delle Suore e nel 1932 viene deliberata una serie di toponimi femminili ancora una volta tutti dedicati a sante.

Nel 1945, nell’ambito della revisione della nomenclatura dopo la caduta del regime fascista e la guerra di Liberazione, non viene ricordata nessuna delle tante partigiane, ma viene intitolato un viale all’attrice modenese Virginia Reiter (Modena 1862 – 1937).

9.Modena-Viale Virginia Reiter-foto di Roberta Pinelli

Attrice di grande espressività, esordì in teatro a soli 9 anni in uno spettacolo di beneficenza. Capace di eccezionali prestazioni sia nelle opere brillanti sia nelle tragedie, fu la prima interprete de La Lupa di Giovanni Verga.

Fra il 1900 e il 1902 formò la propria compagnia, con la quale mise in scena il suo cavallo di battaglia, Madame Sans-Gene di Sardou.

Amatissima in Italia, compì anche tournée all’estero, in Sudamerica e in Spagna, riscuotendo sempre enorme successo.

Una lunga sospensione nelle intitolazioni femminili – dal 1945 al 1961 – ci suggerisce di interrompere qui il nostro excursus storico, per riprenderlo nella prossima puntata con il mutare dei costumi portato dal boom economico.

 




ITALIA – Toponomastica a Torino. Chi decide e come?

di Loretta Junck

Tra le 21 donne che furono elette nell’Assemblea Costituente, ben tre (Teresa Noce Longo, Rita Montagnana Togliatti, Angiola Minella Molinari) erano torinesi. Ma finora nessuna di loro ha avuto l’onore di una intitolazione nella città di nascita. Rita Levi Montalcini, premio Nobel, gloria nazionale: decine di scuole in Piemonte e in tutta Italia sono già state dedicate alla sua memoria, ultimo l’Ateneo di Asti. All’indomani della sua scomparsa, il Sindaco di Torino proponeva alla Commissione Toponomastica della città di intitolarle il piazzale davanti all’Istituto di Anatomia, dove la scienziata aveva compiuto i primi passi nella sua ricerca, ma di questa proposta non si è più saputo nulla. Una lettera recapitata parecchi mesi fa con decine di firme di accademici torinesi e di associazioni cittadine per chiedere al Sindaco un rilancio della proposta è rimasta senza risposta.

Come si possono spiegare fenomeni come questi? Forse bisogna iniziare dal modo in cui si arriva, a Torino, a decidere i nomi da assegnare alle vie della città. Si scopre così che il sistema torinese è atipico: mentre nella maggior parte dei Comuni a decidere in merito è, in pratica, la Giunta, a Torino è il Consiglio comunale. Il Regolamento della Commissione toponomastica torinese, cioè l’organo decisionale per la toponomastica cittadina, stilato dieci anni fa, stabilisce che la Commissione è costituita dalla Conferenza dei Capigruppo del Consiglio comunale. Il Sindaco è semplicemente “invitato” alle riunioni.

L’art. 4 comma 1 (Decisioni) dello stesso Regolamento stabilisce che “le proposte sono approvate dalla Commissione se ottengono il voto favorevole di membri della Conferenza dei Capigruppo i quali, in ragione della consistenza dei rispettivi Gruppi, rappresentino i due terzi dei Consiglieri Comunali assegnati”.

Ora, se a tutta prima questo sistema appare molto democratico, perché chiama anche le opposizioni a partecipare alle decisioni, si ha il sospetto che in concreto finisca per trascinare sul terreno delle scelte toponomastiche gli scontri tra le diverse forze politiche rappresentate nel Consiglio comunale. Il risultato, poi, non sembra essere così brillante, dal momento che le intitolazioni appaiono sì frutto di compromessi, ma non di effettiva trasversalità né di una visione laica della memoria cittadina, sacrificate entrambe, insieme al riconoscimento del ruolo femminile, sull’altare di una prassi politica che ricorda, ahinoi, il manuale Cencelli.

Torino_Ada Gobetti2 _L.Junck

Ada Gobetti Marchesini, nata Prospero (Torino 1902-1968)

Vedova di Piero Gobetti, di cui fu collaboratrice. Insegnante, giornalista e traduttrice, fu cofondatrice del Partito d’Azione ed esponente della Resistenza. Insieme al figlio e alla nuora fondò il Centro Studi Piero Gobetti. La breve via a lei dedicata è nella periferia Sud della città.”

Torino_Amalia Guglielminetti_Loretta Junck_ letterata

Amalia Guglielminetti (Torino 1881 – 1941)

Scrittrice e poetessa, fu apprezzata da Arturo Graf e da Guido Gozzano, con il quale stabilì una relazione significativa documentata da un ricco epistolario. I suoi atteggiamenti anticonformisti e la natura della sua poesia ne fecero una figura atipica nell’ambiente intellettuale torinese. La targa identifica una via nella periferia Sud.

Torino_Carolina Invernizio_Loretta Junck_scrittrice

Carolina Invernizio (Voghera 1851 – Torino 1916)

Scrittrice molto prolifica di romanzi “d’appendice” ebbe molta fortuna presso i lettori, meno presso la critica. Quest’ultima ora sta rivedendo e ricollocando gran parte della sua opera che si distingue per un gusto dell’horror e del mistero appartenente al genere “gotico”.

Le è dedicata una via in un quartiere della periferia Sud di Torino.

Torino_Maria Musso Ferraris_Loretta Junck_ protosindacalista

Maria Musso Ferraris (Castelnuovo Don Bosco 1834 – Torino 1912)

Sarta, fervente mazziniana, protosindacalista, organizzò il primo grande sciopero delle sartine e delle modiste degli atéliers torinesi nel 1883. Nei primi anni del XX secolo si batté anche per il voto alle donne. La via a lei intitolata si trova nella periferia Ovest di Torino.

Torino_Luisa del Carretto_L.Junck_nobildonna, benefattrice

Luisa del Carretto (Metz 1813 – Torino 1895)

Nobildonna, francese di nascita, visse a lungo in Piemonte segnalandosi come “crocerossina ante litteram” e prestando la sua opera nelle prime due guerre di indipendenza. Fondò anche l’Istituto per le Figlie dei Militari per dare asilo alle orfane dei caduti in guerra. Le è dedicata una bella via in un quartiere residenziale della collina torinese.

Torino_Madama Cristina2_.Junck_ duchessa Savoia

Madama Cristina (o Madama Reale, soprannome di Cristina di Borbone – Francia, Parigi 1606 – Torino 1663)

 Figlia del re di Francia Enrico IV e di Maria dei Medici, sposò Amedeo I di Savoia. Energica e politicamente avveduta, dopo la morte del marito resse a lungo il ducato per conto dei figli, riuscendo a gestire situazioni difficili. Alla sua memoria è dedicata un’importante arteria che dal centro città si dirige verso la periferia Sud.

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Amelia Piccinini (Alessandria 1917 – Torino 1979)

Atleta, gareggiò con i colori della Venchi Unica come molte altre sportive torinesi. Medaglia d’argento nelle Olimpiadi di Londra (1948) per il getto del peso, vinse 20 titoli in tre diverse specialità nei campionati italiani di atletica leggera. In occasione delle manifestazioni per Torino Capitale dello Sport le è stato dedicato un piazzale nel “Quadrilatero”, la parte più antica della città, nel gennaio 2015.

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Natalia Levi Ginzburg (Palermo 1916 – Roma 1991)

Visse a lungo nel capoluogo piemontese, dove strinse legami con molti rappresentanti dell’antifascismo torinese e con l’ambiente della casa editrice Einaudi. Vincitrice nel dopoguerra di molti premi letterari, fu anche giornalista e fine traduttrice, oltre che intellettuale politicamente impegnata. Nell’ottobre 2014 le è stata dedicata una piccola area verde vicina alla casa in cui visse, nel quartiere San Salvario.

dicembre 2012 055

Marisa Bellisario (Ceva 1935 – Torino 1988)

 Iniziò la sua carriera presso l’Olivetti di Ivrea, dove rivelò quelle qualità che la fecero in breve tempo diventare una delle prime dirigenti d’azienda italiane. Dopo un’esperienza negli Stati Uniti tornò in Italia a dirigere l’Italtel, gruppo industriale in crisi che fu risanato nel giro di 3 anni. Nel dicembre 1012 le è stato dedicato un piccolo giardino in via Altessano, periferia Nord di Torino.

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Adelaide Aglietta (Torino 1940 – Roma 2000)

 Prima donna ad accedere alla segreteria di un partito politico, militò prima fra i radicali, poi nell’area ambientalista. Eletta nel parlamento italiano per quattro legislature, fu anche parlamentare europea e protagonista di molte battaglie per i diritti civili. Per ricordare la sua lotta a fianco dei detenuti con i metodi della nonviolenza, nel luglio 2013 le è stata dedicata la via davanti al carcere Lorusso e Cotugno di Torino.