Toponomastica, memoria e didattica a Melegnano

Di Sara Marsico

Se abbiamo avuto una scuola media e una scuola superiore pubbliche a Melegnano, lo dobbiamo alle donne. E a Melegnano quasi nessuno lo sapeva.

Lo scorso 8 marzo si è fatta un’operazione di giustizia: si è finalmente portato a conoscenza della cittadinanza melegnanese il ruolo che le donne hanno avuto nella promozione della cultura attraverso la scuola e sono uscite dall’invisibilità due figure femminili di grande spessore umano e intellettuale. Ciò si deve al gruppo melegnanese di Toponomastica femminile, con la collaborazione delle assessore Roberta Salvaderi e Marialuisa Ravarini.

Foto 1. Istituto superiore Vincenzo Benini

Già in passato la collaborazione con l’amministrazione precedente, e di colore diverso dall’attuale, e in particolare con l’assessora Raffaela Caputo, aveva visto e ottenuto un ordine del giorno per il riequilibrio tra le vie dedicate alle donne e quelle dedicate agli uomini a Melegnano. Lo stesso era accaduto a Cerro al Lambro, con in più l’intitolazione della pista ciclabile ad Alfonsina Strada.

Foto 2. Cerro al Lambro.jpg

Durante la giornata internazionale della donna è stata posata, nella sede dei Licei Scientifico e Scienze Umane dell’Istituto Vincenzo Benini di Melegnano, una targa

a ricordo di due pioniere locali, Rachele Ghisalberti Cesaris e Mariuccia Gandini Biglia, che vollero fermamente una scuola media pubblica nella nostra città.

Alla presenza dei parenti e dei primi studenti di questa scuola, ormai ultraottantenni,si è ricordato come fino al 1948 l’unica scuola media presente fosse quella cattolica e confessionale, frequentata dai figli della cosiddetta Melegnano bene, ma che, appena fu istituita la prima classe della scuola laica della Repubblica, molte di quelle stesse famiglie melegnanesi vi iscrissero i loro figli. Lo scopo di queste due donne, però, era quello di offrire a tutti i giovani adolescenti di Melegnano e dintorni l’opportunità di frequentare la scuola media, ancora non obbligatoria per legge.

Foto 3. Le nipoti di Cesaris e Biglia scoprono la targa.

In particolare, Rachele Ghisalberti Cesaris, laureata in Scienze Naturali, una delle prime all’epoca, destinata alla carriera universitaria, si batté per istituire il patronato scolastico, invogliando in tal modo anche le famiglie più povere a iscrivere i figli a scuola. Mariuccia Gandini Biglia, docente di Lettere e poeta locale, divenne poi la preside di quella scuola.

Al Benini sono state rese visibili anche altre due donne molto importanti per la scuola a Melegnano: Sofia Predabissi, nobildonna milanese che visse nell’800, cui si deve la costruzione, con un lascito, dell’edificio in cui si trova la sede dell’Istituto Tecnico Commerciale e che per molto tempo è stato l’ospedale dei poveri di Melegnano e Vizzolo, e Maria Teresa Marchetti Chiozzotto, impavida docente che volle fermamente l’autonomia di un Istituto tecnico di Ragioneria a Melegnano.

La classe IV A del Liceo Scientifico di Melegnano ha approfondito lo studio di queste due figure ricordandole con una targa.

Foto 4. Intitolazione a Luisa Marchetti Chiozzotto

A Melegnano la scuola l’hanno voluta le donne, anche se, per una sorta di sottile misoginia, la scuola secondaria di primo grado è intitolata a Paolo Frisi, che ha anche una via che porta il suo nome e il nostro Istituto d’istruzione superiore è intitolato a un medico melegnanese, Vincenzo Benini, cui, non casualmente, è anche dedicata una via della città.A tale proposito sarà bene ricordare che il Viale che porta alla scuola si chiama solo Viale Predabissi e in tutti questi anni si è dato per scontato che Predabissi fosse il nome di un uomo o di una località, Vizzolo Predabissi, appunto. Una donna come Sofia Predabissi è stata fondamentale per la storia melegnanese, eppure la targa di uno dei viali principali della nostra città ha scelto di ometterne il nome.

Foto 5. Viale Predabissi

L’8 marzo 2018 è continuata l’iniziativa consolidata nell’Istituto di intitolare delle aule a donne che abbiano lasciato un segno nella storia. L’aula della V C RIM è stata quindi intitolata a Felicia Impastato (Foto4 – Aula Felicia Impastato) madre di Peppino Impastato, dal cui assassinio per mano mafiosa ricorrono i quarant’anni. Le classi V A e V B LSU hanno scelto per le loro aule a Maria Anna Mozart e a Saamiya Yusuf Omar.

Foto 6. Aula Felicia Impastato

Negli anni precedenti le iniziative di cittadinanza attiva si erano concentrate su consigli comunali aperti in cui chiedere il riequilibrio delle vie intitolate alle donne, nella consulenza al Consiglio comunale per la segnalazione di nomi di donne in un nuovo quartiere dedicato alle donne di San Donato Milanese.

Molte altre iniziative hanno visto percorsi di poesia e letteratura al femminile, lo studio del pensiero di donne economiste, l’intitolazione dell’orto del Benini a Berta Caceres, ambientalista uccisa per il suo impegno politico, il reading a teatro del libro di Ester Rizzo Licata “Camicette bianche”.

Foto 7. Orto Targa Caceres

Altre aule sono state intitolate negli anni passati a Teresa Sarti Strada, a Ilaria Alpi, a Lea Garofalo. Il Progetto, partito in sordina nell’indirizzo Tecnico nel 2012, ha coinvolto nuovi docenti e nuove classi dei due Licei e ha dato origine ad attività promosse dalle e dagli studenti, protagonisti e promotrici di azioni di cittadinanza attiva e di peer education.

I semi sparsi hanno dato frutti insperati: quest’anno una ragazza porterà all’esame di Stato un lavoro su Waangari Maathai, una delle giuste di Alcatraz, un’altra si cimenterà con il tema dell’ecofemminismo, una terza approfondirà il Pink New Deal.

Stiamo scoprendo una miniera e nel contempo riflettendo sugli stereotipi legati al genere presenti nella società, sulla scarsissima visibilità data alle donne nei libri di scuola, nell’intitolazione delle vie, nei posti chiave del potere, sui femminicidi e sulla violenza nei confronti delle donne. Inevitabile la riflessione sul linguaggio e sulla rappresentazione delle donne nei media.

Le idee in cantiere sono molte e gli/le studenti stanno imparando che agire la cittadinanza attiva è possibile, così come è possibile promuovere quei cambiamenti che consentono di attuare la seconda parte dell’articolo 3 della nostra Costituzione, secondo cui “è compito della Repubblica (quindi in primis della scuola) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti… all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Foto 8. Striscione

 

In copertina. Mostra di Toponomastica femminile “Partigiane e Costituenti” al Castello di Melegnano

 




LAVORATRICI IN PIAZZA

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LAVORATRICI IN PIAZZA

IV Convegno nazionale di Toponomastica femminile

Libera Università di Alcatraz – Gubbio, località Santa Caterina (PG)

18-20 settembre 2015

 

Programma

ANTEPRIMA

Mercoledì 16 settembre

Terni – Ore 17

Bct – Biblioteca comunale – Caffè letterario  (piazza della Repubblica, 1)

Incontro con Ester Rizzo autrice di Camicette bianche. Oltre l’8 marzo (Navarra 2014)

Coordina Carla Arconte, presidente IrsUM e vice presidente ISUC

Interverranno Daniela Tedeschi, Assessora alle Pari Opportunità del Comune di Terni,

e Maria Pia Ercolini, fondatrice e presidente dell’associazione Toponomastica femminile

Mostre sulle intitolazioni femminili collegate al libro e su donne di penna nella toponomastica nazionale

Giovedì 17 settembre

Gualdo Tadino – Ore 17

Mediateca del Museo dell’Emigrazione Piero Conti (via del Soprammuro)

Incontro con Ester Rizzo autrice di Camicette bianche. Oltre l’8 marzo (Navarra 2014)

A seguire: visita del museo

APERTURA CONVEGNO

 

Venerdì 18 settembre

Mattina. Didattica itinerante in ottica di genere. Orientamento al lavoro

L’imprenditoria femminile nel territorio umbro, tra memoria e futuro

Ore 9.00-10.o0 –Visita al Laboratorio di tessitura Giuditta Brozzetti

http://www.brozzetti.com/default.html

appuntamento ore 9.00 in via Tiberio Berardi, 5/6

Ore 10.30-11.30 –Visita al Laboratorio di vetrate artistiche Moretti Caselli

http://www.studiomoretticaselli.it/

appuntamento ore 10.15 in via Fatebenefratelli, 2

SPUNTINO LIBERO A PERUGIA

Ore 13.30 – Alcatraz, sistemazione nelle camere

 

Pomeriggio. Tavoli di lavoro

Ore 15-17

1A. Didattica e toponomastica: condivisione delle esperienze, progetti locali, nazionali, europei contro la dispersione scolastica, l’orientamento al lavoro, e la prevenzione della violenza.

Conducono Pina Arena e Danila Baldo.

Con mostra fotografica leggera sulle esperienze didattiche

1B. Lavoro femminile: memoria e futuro.

Conducono Irene Giacobbe e Barbara Belotti

Con mostra fotografica leggera sulle targhe delle professioni

Ore 17-19

2A. Toponomastica femminile in Italia e all’estero: esperienze, collegamenti, intenzioni, reti, azioni, confronti istituzionali.

Conducono Ester Rizzo e Livia Capasso

Con mostra fotografica leggera sulle targhe estere e sulle vie/donne umbre.

2B. La Dea madre: un fil rouge dal matriarcato al post-femminismo.

Conducono Nadia Cario e Manila Cruciani

 

Sera

Jacopo Fo: Educazione al sentimento come prevenzione della violenza (1° parte)
Sabato 19 settembre

Mattina – Relazioni convegno
Ore 9.00-9.45 – Saluti delle istituzioni e delle associazioni coinvolte

Conduce Paola Spinelli (Tf Umbria)

Brevissimi interventi di

  • Maria Pia Ercolini (Tf nazionale)
  • Manila Cruciani (per Tf Terni)
  • Fausto Dominici (FNISM)
  • Livia Capasso (Presidente giuria concorso Sulle vie della parità)
  • Luana Conti (BCT-Biblioteca Comunale di Terni)
  • Filippo Maria Stirati, Sindaco di Gubbio

 

Ore 9.45-10.00 – TOPONOMASTICA E DIDATTICA – relazione tavolo di lavoro 1A

Con mostra fotografica leggera sulle esperienze didattiche.

RELAZIONANO E CONDUCONO Pina Arena, Danila Baldo

Ore 10.00-10.15 – Giovanna Conforto: tecnica di narrazione di paesaggi urbani e rurali

Ore 10.15 – 10.30 – Manila Cruciani: la tecnica del Kamishibai

 

Ore 10.30 – 10.45  Pausa caffè

Ore 10.45-11 – LAVORO FEMMINILE – relazione tavolo di lavoro 1B

RELAZIONANO E CONDUCONO Irene Giacobbe e  Barbara Belotti

Ore 11.00-11.15 – Fortunata Dini: donne, salute, benessere e lavoro

Con mostra fotografica leggera sulle intitolazioni a donne mediche e paramediche.

 

Ore 11.15-11.35 – TOPONOMASTICA ITALIANA ED ESTERA – relazione tavolo di lavoro 2A

Con mostra fotografica leggera sulle targhe estere e umbre.

RELAZIONANO E CONDUCONO Ester Rizzo e Livia Capasso

Ore 11.35-12.00 – La parola alle istituzioni, con Irina Imola e Paola Lanzon

 

Ore 12.00- 12.15 – DEA MADRE – relazione tavolo di lavoro 2B

Con mostra fotografica leggera sulle archeologhe.

RELAZIONANO E CONDUCONO Nadia Cario e Manila Cruciani

Ore 12.15-12.30 – Alessandra Bravi – Antiche Dee madri: archeologia dell’immaginario femminile

Ore 12.30 12.45 – Benedetta Selene Zorzi –Maria di Nazareth e la Dea madre: una lettura teologica femminista

Ore 12.45 – 13.15 – relazione Marisa Pizza – Franca Rame e la dea madre – video su Franca Rame.

 

Pomeriggio – Visita a Terni in ottica di genere

Ore 14.30-15.30

Alcatraz-Terni – pullman 50 posti offerto dal Comune di Terni (in ordine di prenotazione)

In collaborazione con la Coop. Sociale ACTL

Pullman 50 posti offerto dal Comune di Terni (in ordine di prenotazione)

In viaggio, relazione:

Cooperativa ACTL – Storia e memoria del lavoro femminile in fabbrica a Terni: lo Iutificio Centurini, il Lanificio Gruber, le Acciaierie e la Fabbrica d’Armi

Narrazione e ascolto musicale a cura di Carla Arconte

Ore 15.45-16.30 – Visita al museo Archeologico CAOS (viale Luigi Campofregoso, 98) e alla mostra fotografica itinerante Donne e Lavoro di Toponomastica femminile.

A cura di Manila Cruciani

Ore 16.45-17.30 – Visita alla biblioteca comunale – BCT – chiostrina (piazza della Repubblica, 1), che ospita la sezione Donne di penna della mostra Donne e Lavoro

A cura di Luana Conti

Ore 17.45-18.30 – La fortuna di avervi incontrate, ritratti di donne tra video e dipinti, a cura di Francesca Ascione, pittrice e videomaker. Vernissage della mostra personale e visione di corti

Casa delle Donne (via Ludovico Aminale, 20/22)

Ore 18.45-19.45

Terni-Alcatraz

In viaggio, relazione:

Storia e memoria del lavoro femminile a Perugia: Luisa Spagnoli

A cura di Paola Spinelli

 

Sera

Jacopo Fo: Educazione al sentimento come prevenzione della violenza (2° parte)

 

 

Domenica 20 settembre

Mattina

Ore 8.00-11.00 Assemblea delle socie

Ore 11.00-13.00 Conclusioni

– Report assemblea delle socie (Barbara Belotti e Rosa Enini)

– Proposte operative

– Progetti in atto e futuri

Pomeriggio (per chi resta)

Passeggiata sul sentiero delle lavandaie




Meritocrazia addio: l’Italia dei pentiti

La meritocrazia è morta molto prima di Lee Kuan Yen, fondatore di Singapore (paese che ha il Merito tra i principi fondamentali della propria Costituzione), deceduto il 23 marzo 2015.

Fondi sperperati, concorsi pilotati, giovani sfruttati.

Leggevo nelle colonne dell’Espresso che un dottore di ricerca italiano, dopo essersi fatto raccomandare ed essere stato rottamato dal Dipartimento di scienze economiche dell’Università degli studi di Milano, ha spiegato nel dettaglio come si muove il mondo accademico tra raccomandazioni e correnti di potere. “Qualcuno, è evidenziato nel titolo dell’articolo, non vuole che il libro in cui riporta tutti gli scandali venga pubblicato”.

Dopo aver contribuito, per dieci anni, con i suoi amici, adesso acerrimi nemici suoi e del suo libercolo, alla corruzione del nostro Paese, Matteo Fini, classe 1978, ha scoperto che l’Italia non è un Paese per giovani docenti universitari.

Una volpe!

“Tante illusioni svanite via via nel nulla”, lamenta.  Alla Statale si occupava di metodi quantitativi per l’economia e la finanza. “In pratica facevo tutto: lezioni, ricerca, davo gli esami, mettevo i voti – ci dice Fini – Ero un piccolo professore fatto e finito, senza titolo”. Eppure per la sua carriera fallita non è riuscito a calcolare rischi e probabilità.

La sua è la storia di un giovane italiano che non ce la può fare nonostante tutto…

“Non si sopravvive al sistema universitario italiano”, aggiunge. E ne esce, e pensa di raccontarlo. Di dissacrarlo.

E tenta di far soldi con gli strumenti dei padroni/padrini: ne fa la sostanza del suo libro “la vita accademica vista dall’interno, nei suoi gangli ordinari. Episodi quotidiani che non danno scandalo abbastanza se presi singolarmente”.

Comincia a scriverlo, riporta il settimanale, e ne posta qualche estratto su Facebook. Un giorno riceve una diffida legale, girata anche all’editore con cui aveva già fatto un libro (“Non è un paese per bamboccioni”), che gli intima di non pubblicare e di eliminare tutti i post “allusivi” dal social: tra questi, una citazione di Lino Banfi/Oronzo Canà. “I post non li ho affatto tolti, e tra l’altro erano generici e astratti – racconta Matteo Fini –. Questa è censura preventiva”. Il libro è pronto, anzi c’è tutta una piccola community sul web che ne attende l’uscita; ma non si sa più quando, né con chi vedrà la luce.

Ma buoni o cattivi, non è la fine constatiamo Noi, citando Vasco Rossi. L’autore, bocciato per cattiva condotta dagli amici/nemici, racconta sull’ “Espresso” la propria storia, che di seguito riportiamo dall’Espresso  del 16 marzo 2015.

L’inizio del percorso da ricercatore universitario è comune a tutti. “È il professore stesso che ti precetta, quando tu magari nemmeno ci pensavi alla carriera universitaria. Ti dice: “ti va di fare il dottorato?”. E tu rispondi ok, e cominci. E pensi che sei davvero bravo. Un eletto. A quel punto però vieni risucchiato e la strada si fa cieca”. Al “meccanismo” ci si abitua subito. Prendere o lasciare. I più, prendono, compreso Matteo Fini.

“Ho capito subito che c’erano delle regole bislacche, ma le ho accettate: sai benissimo che lì dentro funziona così, è un sistema che non puoi cambiare, immutabile, e sai anche che la tua carriera è totalmente indipendente da quello che dici o che fai: conta solamente che qualcuno voglia spingerti avanti”.

Anche Matteo ha il suo protettore. “Fin dal primo giorno, mi ha detto: Tu fa’ quel che ti dico, seguimi, e alla tua carriera ci penso io”. Va avanti così per anni. Ma le cose non sono eterne. “All’improvviso la sua attenzione si è completamente spostata altrove. Dal chiamarmi quattro volte al giorno, l’ultimo anno è scomparso. Fino al gran finale: il dipartimento bandisce il concorso per il posto a cui lavoravo da otto stagioni,“che avrei dovuto vincere io”. Lui nemmeno me lo comunica. Io ne vengo a conoscenza e partecipo lo stesso, pur sapendo che, senza appoggi, non avrei mai vinto. In Italia, prima si sceglie un vincitore e poi si bandisce un concorso su misura per farlo vincere. Anche per un semplice assegno di ricerca. All’università è tutto truccato”.

In questo volume intra–universitario che non c’è, ma c’è, Fini spiega gli ingranaggi universitari più comuni. Talmente elementari che nessuno aveva mai pensato di raccontarli. Sfogliamolo virtualmente.

Concorsi, primo esempio. Il blu e il nero. “Tutti i concorsi a cui ho partecipato erano già decisi in partenza. Sia quando ho vinto, sia quando ho perso. Vinci solo se il tuo garante siede in commissione. Il concorso è una farsa, è manovrato fin dal momento stesso in cui si decide di bandirlo. A me una volta è capitato che a metà prova si siano accorti che alcuni stavano scrivendo in blu e altri in nero. A quel punto ci hanno consegnato delle penne uguali per tutti, e siamo ripartiti daccapo. A fine prova mi sono accorto che c’erano degli stranieri che avevano scritto nella loro lingua natìa… Ma con la penna uguale alla nostra, eh!”.

Concorsi, secondo esempio. Gli ultimi saranno i primi. “M’iscrissi al bando e mi presentai al test d’ammissione che era composto esclusivamente da un colloquio orale in cui si ripercorreva la carriera dei candidati. Era un concorso per titoli. I candidati erano tre: io, una ragazza del sud di trentun’anni neolaureata e una ragazza del nord che stava discutendo la tesi. I posti erano sei, le borse di studio in palio due. Indovinate in graduatoria in che posizione mi piazzai? Esatto, terzo. E ultimo.

In un concorso esclusivamente per titoli, cioè non vi erano delle prove d’esame che avrebbero potuto mostrare la preparazione di un candidato piuttosto che l’altro, contava solo il curriculum vitae; in un concorso per titoli tra due neolaureate, o quasi, e io che una laurea, come loro, ce l’avevo e che possedevo anche un titolo di dottore di ricerca, pubblicazioni scientifiche, manuali didattici e un’esperienza di oltre cinque anni in accademia tra lezioni, lauree, seminari e convegni, ecco in gara con loro due mi classifico terzo, dietro di loro…”.

Concorsi, terzo esempio. La salita è in discesa. “Qualche anno fa sono andato a fare un concorso per un contratto di un anno fuori sede. Fuori sede lo dico perché ogni ricercatore, o simile, è come affiliato al dipartimento di provenienza, ogni volta che prova a partecipare a un concorso in un altro ateneo è come se andasse in guerra. Con lo scudo e la fionda contro i fucili e i cacciabombardieri. Il posto era per un assegno di ricerca in Economia e gestione delle imprese. Ci presentiamo in tre. Il vincitore, il fantoccio e io. C’è sempre un fantoccio. Quello che deve fare presenza, ma perdere. Per non dare l’idea che il concorso sia ad personam. Purtroppo per loro però, inavvertitamente, mi ero iscritto pure io. E risultavo tremendamente più titolato degli altri due, vincitore compreso.

Questo capitava non perché io fossi particolarmente genio, ma perché, essendo ormai da anni attorcigliato nel meccanismo universitario senza sbocchi in attesa del posto mio, mi ritrovavo a partecipare a concorsi per retrocedere. Scendi di categoria, e sembri un fenomeno. Così succede che devono trovare un modo per fermarmi. E non potendo dire che non ho i titoli o che il mio curriculum mal si relazioni col loro progetto di ricerca. sapete cosa s’inventano? Provano con la psicologia. Anzi la psicologia inversa, il metagame. “Tu sei un ricercatore affermato, ormai hai anni di esperienza, il nostro progetto dal punto di vista quantitativo non presenta una sfida entusiasmante, saranno sì e no due calcoletti, per cui non credo che questo sia il posto adatto a te… E così ho perso un’altra volta”.

Concorsi, per concludere. Così fan tutti.“E così risulta penalizzato anche chi vince perché è più bravo e perché se lo merita. Chi vincerebbe un concorso anche in una molto ipotetica gara alla pari. Senza padrini. Pensate a quanto possa essere frustrante, anche per loro, sapere che nonostante gli anni di studi, i sacrifici, nonostante siano pronti, in realtà si sono ritrovati vincitori perché qualcuno ha deciso così. Per delle logiche che continuano a esulare dalla loro preparazione e ricerca. Tutti penseranno che tu, come tutti, il posto non te lo sei guadagnato. Puoi urlarlo forte quanto vuoi, ma nessuno ti crederà. Tutti ti vedranno come l’abusivo, il solito infame”.

Assegnazione dei fondi. Specchietti per le allodole. “Quando vengono assegnati i fondi di ricerca, i professori e i dipartimenti si associano e mettono su un progetto alimentato dal blasone dei docenti unitisi (professori che magari fino al giorno prima neanche si salutavano). Dentro questi bandi vengono infilati anche dei ragazzi giovani, con la promessa che verranno messi poi a lavorare. Il bando viene vinto, arrivano i fondi, ma del progetto che ha portato ad accaparrarseli nessuno dice più niente. Viene accantonato, e i quattrini sono dilapidati nelle maniere più arbitrarie (pubblicazioni, acquisto di pc all’ultima moda ecc.). Che fine fanno i ragazzi coinvolti? Bene che vada si spartiscono le briciole”.

Libri universitari. Self–publishing.“Molti docenti scrivono libri che poi adottano a lezione, naturalmente, e molto spesso gli editori glieli fanno pagare fino all’ultimo centesimo, della serie “Ti pubblico, ma tu devi comprarne 5 mila copie”. Ma mica li acquistano con portafogli personali, i suddetti saggi; no, ordinari e associati amano invece attingere liberamente dai fondi di dipartimento, che pure magari erano destinati a qualche ricerca seria e pluripremiata”.

Cultore della materia. Il purgatorio dei tuttologi. “Più in basso ancora di assegnisti e dottorandi, c’è la figura del “Cultore della materia”: per permetterti di affiancare un Prof. in università se non hai titoli tuoi, questo ti fa “cultore”, e tu così guadagni il diritto di aiutarlo in aula con gli esami o addirittura di fare lezione. La cosa divertente è che la decisione del docente è insindacabile. E così se un domani il tuo supervisor decide che tu debba essere un cultore in Fisica applicata o Letteratura greca medievale, e lo fa soltanto perché gli servi… il giorno dopo tu sarai legittimato ad andare in Aula a parlarne. Anche se non ne sai un fico secco”.

Didattica. Il fanalino di coda. “Viene vista come un fastidio. Un intralcio. È che da noi diventi docente solo dopo aver fatto il ricercatore. Ma il ricercatore dovrebbe fare ricerca, e il docente insegnare. Ci vorrebbe una separazione delle carriere. Un ottimo ricercatore può essere un pessimo docente, e viceversa”.

Seminari e riviste. Tutto fa brodo. “Spesso i dipartimenti organizzano seminari (sempre coi soldi dei fondi) il cui unico scopo è quello di presentare i propri lavori, perché così quel lavoro finirà dritto ne “gli atti del convegno”, che è una pubblicazione, e che quindi va a curriculum, fa massa, valore, prestigio, carriera, altri soldi. C’è una lunga teoria di riviste che esistono solo per pubblicare gli atti di questi convegni: periodici clandestini, che pubblicano indiscriminatamente. Ci sono poi dipartimenti che le riviste se le creano da sé. È un circuito drogato, che lievita, ma su impasti veramente fragili. Basti vedere i curriculum dei docenti italiani: le pubblicazioni sulle riviste internazionali, quando ci sono, sono messe in bella mostra, mentre quelle sulle riviste nazionali vengono liquidate sotto la dicitura “altre pubblicazioni”… Come se ce se ne vergognasse”.

Noi, gli diciamo: “Te ne accorgi solo adesso? Quando ti ha fatto comodo non hai visto, non hai sentito e non hai parlato. Hai sperato che andasse bene anche a te. Adesso pagane le conseguenze”.