TURCHIA – La milizia armata del Pkk rivendica l’attentato di Diyarbakir

La milizia armata del Pkk rivendica l’attentato di giovedì a Diyarbakir, in Turchia. Nella città curda nel sud-est, l’esplosione di un’autobomba ha provocato la morte di 7 ufficiali di polizia e il ferimento di 27 persone. La reazione delle forze dell’ordine turche ha portato finora all’arresto di 9 persone e il premier turco, Ahmet Davutoglu, proprio da Diyarbakir avverte: “non ci faranno arretrare di un solo passo”.

“Non abbiamo mai avuto paura, non l’abbiamo e non l’avremo mai – ha aggiunto Davutoglu – Siamo sempre stati qui, siamo qui e saremo qui. Dio mi chiamerà un giorno. Io prego che mi chiami mentre sono tra i miei fratelli curdi di Diyarbakir”.

La reazione turca si estende anche al di fuori dei confini nazionali. L’aviazione di Ankara ha compiuto nuovi bombardamenti contro obiettivi del Pkk nel nord dell’Iraq, nelle regioni di Zap e Metina.

Le forze di sicurezza turche hanno ucciso o catturato oltre 5.300 ribelli curdi dall’inizio delle ostilità dallo scorso luglio. Nello stesso periodo, 355 tra soldati e poliziotti turchi hanno perso la vita.




TURCHIA – Aggredito un giornalista del quotidiano Hurriyet. Aveva contraddetto Erdogan

La questione turca inizia ad assumere toni preoccupanti nel panorama mondiale. Dopo la tragica fine degli accordi col Pkk datata il 23 luglio, quando i raid turchi hanno bombardato le postazioni del Pkk collocati nel nord dell’Iraq , si è assistito ad una serie di sanguinari episodi che hanno provocato la morte di 1300 curdi. Il partito dei lavoratori curdi in un comunicato ha spiegato che “La tregua non ha più significato dopo gli intensi bombardamenti aerei da parte dell’esercito di occupazione turco”. L’armistizio perdurava da marzo 2013, fu comunicato illo tempore da Abdullah Öcalan, leader del Pkk, dopo un massacrante conflitto durato trent’anni e costato la vita a 40.000 persone.
Di ieri la notizia della morte dei due poliziotti turchi nella zona sud est del paese,assassinati mentre erano in procinto di lasciare il comando di polizia della città di Silvan, situata nella provincia di Diyarbakir.
In questo clima teso, alimentato dai pesanti scontri a fuoco, la libertà di stampa risulta essere minata e lesa. Ad un mese dall’appuntamento alle urne in cui il popolo turco dovrà eleggere i propri parlamentari, Ahmet Hakan un giornalista del quotidiano Hurriyet, è stato vittima, nella notte di un’aggressione da parte di quattro persone che sono state individuate ed arrestate. Il quotidiano per cui lavora il giornalista è colpevole d’aver spesso discusso e confutato l’agire del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.




ISTAMBUL – Attentato a Diyarbakır contro l’Hdp: 2 morti e un centinaio di feriti

L’impatto dell’attentato a Diyarbakır, poco prima del comizio del leader dell’Hdp Demirtaş, potrebbe avere effetti dirompenti sul futuro della Turchia. La dinamica ormai è nota: sono esplosi due ordigni rudimentali a breve distanza l’uno dall’altro, all’interno dell’area già affollatissima (a quanto pare, uno lasciato in un cestino dei rifiuti e l’altro nei pressi di una centralina elettrica). Il bilancio è pesante, 2 morti e un centinaio di feriti. La campagna elettorale è stata segnata da numerosissimi episodi di violenza, in larga  e non esclusiva  parte proprio contro l’Hdp. Un attentato di questo tipo, proprio dove l’apparato di sicurezza avrebbe dovuto neutralizzare ogni minaccia, lascia perplessi. Il presidente Erdoğan e il premier Davutoğlu hanno immediatamente espresso solidarietà, è invece escluso che i responsabili – nonostante le telecamere presenti – possano essere individuati prima delle elezioni di domenica: scenari e complotti vengono di conseguenza delineati sui media e i social network, paradossalmente è proprio l’Hdp che potrebbe beneficiare di decisivi voti supplementari.

Il partito filo-curdo, infatti, per la prima volta tenterà di superare lo sbarramento del 10%, voluto dal regime militare degli anni ’80 proprio per impedire ai curdi – almeno a quelli caratterizzati etnicamente – di avere rappresentanti in Parlamento. Fino al 2015, i curdi si sono in effetti accontentati di eleggere candidati indipendenti, salvo poi creare gruppi autonomi all’Assemblea nazionale dopo le elezioni: in questo modo, però, rimanendo fuori dalle sovvenzioni pubbliche ai partiti.

Le possibilità sono ovviamente due: se l’Hdp superasse il fatidico 10%, otterrebbe un numero di deputati tale da impedire la riforma costituzionale in senso presidenzialista voluta da Erdoğan; se rimanesse sotto la soglia di sbarramento, rimarrebbe completamente fuori dalle istituzioni nazionali.