TUNISIA – Jihadisti: “Non avrà pace fino a che non sarà in vigore la Sharia “

L’ondata di terrore innescata dagli attentati di Parigi sembra non placarsi, L’Isis continua a colpire indisturbata, dimostrando di poter attaccare in ogni parte del mondo. Il 20 novembre, una settimana dopo gli attacchi avvenuti nella capitale francese, i guerriglieri del gruppo estremista al Mourabitoun, in principio appartenenti alla cellula di al Qaida, hanno fatto irruzione nell’hotel Radisson di Bamako,capitale del Mali. L’albergo era frequentato soprattutto da diplomatici e uomini d’affari e la maggior parte degli ospiti era di nazionalità francese. Gli jihadisti sono riusciti a raggirare i controlli di sicurezza, in quanto erano giunti nei pressi della struttura a bordo di un’auto diplomatica, durante l’assalto hanno tenuto in ostaggio circa 170 persone liberando solo quelli che son riusciti a recitare alcuni versi del Corano. Il bilancio conclusivo della rappresaglia è stato tragicamente segnato dalla morte di 19 persone.

A quattro giorni di distanza l’Isis ha colpito ancora, a Tunisi, Abu Abdullah, un jihadista si è fatto esplodere contro un pullman della guardia presidenziale causando la morte di 13 persone e il ferimento di altre 20. Il presidente tunisino Bèji Caid Essebsi ha dichiarato lo stato d’emergenza e la chiusura temporanea del confine con la Libia.
L’attacco è stato sin da subito rivendicato su Twitter dai terroristi che hanno asserito: “La morte di decine di guardie della sicurezza presidenziale in un’operazione di martirio nel cuore della capitale Tunisi”I tiranni della Tunisia – conclude il comunicato – dovranno capire che non avranno pace e non ci fermeremo fino a che non sarà in vigore la Sharia in Tunisia”.
Lo Stato Islamico continua a seminare paura nel mondo e ci si chiede quale possa essere il prossimo obiettivo, la Farnesina sconsiglia ai viaggiatori di recarsi in Egitto e in Nord Africa, ma anche Europa e America sono nel mirino dei jihadisti.




Cinquanta mln per un chilometro: la velocità che brucia il futuro

Che il Tav sia un’opera costosa lo sappiamo, ma che peserà sulle prossime generazioni in maniera indelebile non è un dato chiaro a tutti: solo per la Brescia-Verona è stato preventivato un costo di 4 miliardi di euro, di cui al momento ne sono disponibili meno di 800 milioni. Mille milioni dovrebbero arrivare nel 2016 e la restante parte, più di 2.000 milioni, in futuro.

Come si può iniziare un’opera avendo meno della metà dei soldi necessari alla sua realizzazione e, soprattutto, non sapendo quando saranno disponibili quelli mancanti?

Stiamo parlando tra l’altro di un’infrastruttura dal costo altissimo: più di 50 milioni di euro al chilometro (10 milioni la media europea), che inciderà sul debito pubblico utilizzando denaro pubblico. Tutti soldi che potrebbero essere usati altrove: per evitare ulteriori tagli al servizio sanitario nazionale, per mettere in sicurezza i territori dal rischio idrogeologico, per ristrutturare e far funzionare asili e scuole, per rifinanziare la ricerca e per rimpinguare le casse delle amministrazioni comunali perennemente in rosso.

Oppure potrebbero offrire un presente dignitoso a chi oggi viene colpito dalla crisi, garantendo casa e reddito.

Stiamo parlando anche di un’infrastruttura assolutamente inutile: non toglierà, infatti, il traffico dalla strada come confermato dallo stesso amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Michele Mario Elia (il Tav è esclusivamente passeggeri e le merci non viaggeranno sulle linee ad alta velocità perchè a livello mondiale non ci sono carri compatibili visti gli altissimi costi che nessuno vuole sostenere).

Inoltre solo il 5 – 6% dell’utenza totale di Rfi è interessata a utilizzare il Tav (in deficit in tutta Europa, Francia compresa); la costruzione di quest’opera peggiorerà ulteriormente le condizioni di viaggio per studenti e pendolari. Infatti, nonostante più dell’80% dei viaggiatori utilizzi treni normali, gli investimenti di Rfi per le linee ordinarie sono il 37% del totale.

Esiste quindi un ampio margine di potenziamento, a un costo nettamente inferiore e e evitando così i  rischi ambientali che il progetto prevede e centinaia di espropri tra case, terreni e attività economiche di svariato tipo.

Ma non saranno certamente gli scandali legati alle grandi opere e nemmeno le prescrizioni che il Ministero dell’Ambiente ha recentemente imposto a Cepav2 a fermare il Tav.




ITALIA – Da Venezia in marcia scalzi per cambiare le politiche migratorie globali

La Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi è un lungo cammino di civiltà. E’ l’inizio di un percorso di cambiamento che chiede a tutti gli uomini e le donne del mondo globale di capire che non è in alcun modo accettabile fermare e respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche che siano. Non è pensabile fermare chi scappa dalle ingiustizie, al contrario aiutarli significa lottare contro quelle ingiustizie.
Dare asilo a chi scappa dalle guerre, significa ripudiare la guerra e costruire la pace.
Dare rifugio a chi scappa dalle discriminazioni religiose, etniche o di genere, significa lottare per i diritti e le libertà di tutte e tutti.
Dare accoglienza a chi fugge dalla povertà, significa non accettare le sempre crescenti disuguaglianze economiche e promuovere una maggiore redistribuzione di ricchezze.

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Oggi Venezia lancia la Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi.
In centinaia camminano scalzi fino al cuore della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica.
Invitando tutti ad organizzarne in altre città d’Italia e d’Europa per chiedere con forza i primi quattro necessari cambiamenti delle politiche migratorie europee e globali:

1. certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature
2. accoglienza degna e rispettosa per tutti
3. chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti
4. Creare un vero sistema unico di asilo in Europa superando il regolamento di Dublino.




UNGHERIA – Posizioni xenofobe del premier Orban, barriera al confine con la Serbia

Dopo che l’immagine di uomini, donne a bambini stipati in treni diretti verso campi profughi ha fatto il giro del mondo, sollevando l’indignazione della società civile, l’Ungheria torna a far parlare di sé per le proprie posizioni razziste e xenofobe.

Secondo il premier Viktor Orban, infatti, l’immigrazione illegale è una “minaccia per l’Europa”, in quanto mette a rischio “l’identità culturale europea”. Ciononostante, s’è lamentato il presidente, l’Ue non fa nulla per difendersi dalle “masse di clandestini” che contribuiscono “a far prosperare terrorismo, disoccupazione e criminalità”.

Proprio a fronte di simili convinzioni, il governo ha già deciso di realizzare una barriera sul confine con la Serbia: “Questa gente doveva essere fermata e registrata già in Grecia, perché sono entrati in Ue da lì”, ha tuonato il vicepremier Janos Lazar. “A quel che mi risulta, nei Balcani non c’è attualmente alcuna guerra. Hanno pagato dei trafficanti, in Serbia, e vengono trasportati a bordo di autobus fino al confine ungherese. Costruiamo una barriera proprio per farla finita con tutto questo”.

Intanto, il passaggio illegale in Ungheria sarà qualificato come reato invece che come semplice contravvenzione, come accadeva fino ad oggi.

Sono attorno a 1400-1500 gli immigrati sbarcati in Sicilia negli ultimi giorni. Gran parte e’ approdata nel porto di Palermo a bordo di un rimorchiatore norvegese inserito nel dispositivo Triton: ben 785, africani e siriani, molte donne e molti minori, per lo piu’ non accompagnati. Dei nuovi arrivati, un centinaio restera’ nell’Isola; per gli altri e’ stato disposto il trasferimento nelle altre regioni del Paese. A Pozzallo sono arrivati invece in 468, a bordo di una nave militare irlandese. Tra loro sette donne in gravidanza. E poi 102 arrivati a Trapani; tra loro 24 donne (di cui tre in gravidanza), 12 minori non accompagnati, e due neonati. Cinque migranti sono stati trasferiti all’ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani per accertamenti sanitari. Nel frattempo sembra aggravarsi il bilancio del naufragio al largo della Libia. Alle circa quaranta vittime di cui hanno parlato i superstiti, se ne aggiungerebbero altre cinque, in base alle testimonianze raccolte dalle organizzazioni umanitarie presenti sul posto. Sarebbero dunque 45 le vittime, secondo le loro ricostruzioni. Tra le ipotesi della tragedia, anche quella di un possibile incidente in mare nelle concitate fasi dei soccorsi: il panico e la foga per mettersi in salvo avrebbe provocato il dramma.

Dei 785 giunti a Palermo sulla nave norvegese Siem Pilot, 133 sono donne, due delle quali in stato di gravidanza e 27 bambini. La maggior parte proviene dall’Eritrea (766) gli altri da Siria, Bangladesh, Etiopia e Sudan. In particolare, tra i profughi in condizioni fisiche piu’ delicate, sono scesi un non vedente e un uomo e una donna in iperglicemia acuta che hanno avuto bisogno dell’intervento immediato dei sanitari dell’Asp. Gli altri migranti, alcuni con problemi dermatologici, sono complessivamente tutti in buone condizioni di salute. La gran parte dei migranti saranno trasferiti nei centri di prima accoglienza delle varie regioni italiane. Circa una settantina , per pochi giorni, verranno accolti dal centro San Carlo e Santa Rosalia della Caritas.

Al porto, sotto il sole cocente, ad attivarsi anche 28 volontari della Caritas con due operatori. Si tratta di persone, giovani e non, che hanno risposto all’appello lanciato nei giorni scorsi dalla Caritas che invitava i cittadini a farsi avanti per partecipare attivamente alla distribuzione di cibo, acqua e scarpe ai profughi durante lo sbarco. Sono stati preparati all’alba e distribuiti al Porto dalla Caritas ben 2800 sacchetti con il pasto che i migranti porteranno con loro nel viaggio per le diverse destinazioni e oltre cento paia di scarpe. “Continuiamo a verificare con piacere – afferma Anna Cullotta, coordinatrice dei volontari della Caritas – che, nonostante il sole cocente, tanti giovani e meno giovani si stanno spendendo, in pieno spirito di gratuita’ con grande energia, nei confronti dei primi bisogni dei migranti. L’invito che continuiamo a rivolgere alla cittadinanza e’ quello di partecipare attivamente al porto, non soltanto per rispondere al bisogno che abbiamo ma anche per potere fare un’esperienza umana molto forte”. Tra i migranti giunti a Pozzallo, invece, 41 sono donne e 42 i bimbi. Nove donne in gravidanza sono state trasferite per controlli, negli ospedali di Ragusa, Vittoria e Modica. Un uomo e’ stato ricoverato a Ragusa. I migranti provengono da Bangladesh, Nigeria, Etiopia, Siria, Senegal, Costa D’Avorio, Guinea, Marocco e Somalia.




INCHIESTA – Nell’affaire Xylella le mani di latifondisti e speculatori (con photoreportage)

Gli ulivi salentini vanno tagliati e presto toccherà a quelli più a Nord della regione Puglia. Sebbene non esista certezza che siano infetti da Xylella, anzi sebbene l’infezione sia stata riscontrata sull’1,78% delle piante campionate (e, per esempio, solo su due dei cinque alberi analizzati sui sette tagliati a Oria ad aprile). È comunque “calamità naturale”, come da decreto a firma del ministro Maurizio Martina, che stanzia undici milioni “per gli indennizzi agli agricoltori”. Ministro che batte cassa con l’Ue: “All’Europa chiediamo un supporto ulteriore sulla ricerca e, soprattutto, altre risorse per gli indennizzi”.

Emiliano sul ‘Complesso del disseccamento degli ulivi’ fa sapere che “daremo seguito ai provvedimenti, non possiamo più perdere tempo”. Ha visitato alcuni uliveti nei quali la malattia “ha fatto progressi impressionanti, visibili a occhio nudo” e quindi lancia un appello “a sindaci, associazioni, ambientalisti, affinché non si perda altro tempo, perché trascurare la strada più evidente per quelle meno evidenti sarebbe errore catastrofico”.

Per ora sul piatto ci sono gli 11 milioni messi in campo con la dichiarazione dello stato di calamità, per la prima volta in Italia associato a una fitopatia sanitaria. Nei prossimi 45 giorni le aziende interessate potranno presentare le domande alla Regione, che presto sarà chiamata dal commissario Silletti anche a valutare il nuovo piano delle eradicazioni.

Negli ultimi tre anni sono stati espiantati 100mila ulivi. Si è dato il via alla guerra tra cosche,  come sotterraneamente sta accadendo, e come possiamo intuire, guardando alle decine di migliaia di ulivi secolari bruciati, tagliati e sradicati da quando c’è la Xylella.

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E’ dunque necessario che urgentemente la Regione Puglia impugni  l’ultima Decisione di esecuzione della Ue (del 18 maggio scorso), che decreta la morte della foresta d’ulivi secolari di Puglia e dei suoi abitanti, in quanto ribadisce l’obbligatorietà dell’uso di pesticidi.

La svolta per l’affaire Xylella c’è stata con la visita in Salento del Commissario Ue per la Salute, Vytenis Andriukaitis: “Quello che ho visto mi preoccupa – ha detto –. È una situazione che può espandersi, contagiare altre varietà. Abbiamo perso molto tempo e ogni giorno si mettono gli ulivi a rischio. Bisogna abbattere quelli ammalati per salvare gli altri. Un messaggio deve essere chiaro, bisogna agire tutti insieme”.

C’è poi l’altro piano, quello ‘strategico’. Facile facile da intuire. Il Commissario sta a quanto gli ha raccontato il governo nostrano (malgrado quell’1,78%) e alla direttiva Ue, il ministro Martina teme di fare passi indietro proprio rispetto a quella direttiva (di fatto provocata dalla sua relazione a Bruxelles) ed Emiliano che prova a mollare qualcosa sperando di salvare la barca pugliese.

Ma le associazioni sono intanto furiose. “Ho appena fatto in tempo a chiedere al Commissario se l’avessero portato a vedere le sperimentazioni e gli alberi guariti – racconta Antonia Battaglia di Peacelink, ong accreditata presso la Commissione Ue –. E a chiedere al ministro Martina dove fosse la calamità naturale. Sono stata fermata dopo un minuto. Il ministro ha alzato la voce e mi ha detto che vale la sua autorità”. Rincara Luigi Russo, presidente del Centro servizi per il volontariato del Salento: “Emiliano deve andare a Bruxelles e perorare la causa della nostra terra, visto che il governo sembra aver deciso di procedere con le eradicazione senza se e senza ma”, cioè “una strategia per movimentare soldi, arricchire pochi, impoverire molti e soprattutto per inventare un nuovo paesaggio”.

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E’ quanto sta accadendo tra il territorio di Bitonto e Modugno, al confine con la lama Balice dove si trova un’area molto interessante dal punto di vista storico-archeologico, si tratta della contrada modugnese denominata Misciano o Musciano. Essa prende il nome da una depressione alluvionale nota come lama di Misciano che si trova nel punto di confluenza con la lama di Macina (il tratto della lama del Tiflis che sfiora a Sud il centro abitato di Bitonto) e subito prima dell’inizio della lama Balice. È un territorio posto a circa 5 km a Nord-ovest di Modugno, delimitato a Nord dalla lama Balice, ad Est dalla S.P. Modugno-Palese, a Sud dal percorso dell’autostrada A14 e ad Ovest dal confine con il territorio di Bitonto.

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L’area di Misciano fa parte della zona industriale di Bari nel Comune di Modugno e una parte di questa contrada è sottoposta a vincolo archeologico. La contrada è caratterizzata dalla presenza di tracce del mondo rurale con palmenti, trappeti, torri, ma anche resti di strade e di centuriazione romana (cosiddetti Termini), edicole confinarie del XVI secolo (cippo di S. Andrea), ipogei, resti archeologici di epoca altomedievale. Ma il valore storico non la esonera da quanto sta accadendo altrove. I piccoli poderi sono presi d’assalto da bande. Nell’aprile 2013 un piccolo proprietario terriero ha trovato tagliati 30 alberi di ulivi, alcuni secolari. Qualche giorno fa ha trovato l’uliveto bruciato. Come è possibile vedere dalle fotografie inserite in questo articolo. Da tre anni, da quando è esploso l’affaire Xylella, è minacciato e subisce atti vandalici dei quali la Guardia campestre non si degna nemmeno di informarlo. Ogni volta gli tocca apprendere dolosamente da sè la notizia e  far fronte anche al peso psicologico che gli deriva dal non sentirsi tutelato e protetto dalle istituzioni.

Il piccolo uliveto arato e sempre ripulito dall’erba alta è stato preso di mira da chi evidentemente ha interessi a espandere il proprio latifondo e a intensificare un altro tipo di coltivazione, questo  è confermato dal fatto che uno dei terreni confinanti, abbandonato a se stesso, non coltivato e pieno di sterpaglie (nelle foto in basso),  resti sempre illeso da  motoseghe.

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Dal nostro sopralluogo è emerso che  l’attuale stato dell’agricoltura pugliese è determinato  dall’assenza di controlli sul terreno di grandi e piccoli proprietari e di un corpo investigativo che intervenga dopo la denuncia alle Autorità.




FRANCIA – Ban Ki-moom: “Il mondo è a un bivio critico”. Duemila scienziati per fermare il global warming mentre in Italia il caldo uccide

Clima tropicale in Italia. Caldo e afa al Centro Sud, tromba d’aria e violenti temporali al Nord. Anomale le temperature torride degli ultimi giorni. L’anticiclone africano che ha portato la colonnina di mercurio a toccare i 40 gradi in molte città italiane, ha causato  una vittima in Sardegna e una in Liguria. Il maltempo  ha  fatto una vittima e molti danni in Veneto.

Una tromba d’aria F2/F3 con forte grandinata si è abbattuta in Veneto sulla cittadina di Dolo e nei comuni limitrofi alla velocità di 250 Km orari, causando molti danni ai tetti e l’abbattimento di alberi. La situazione più preoccupante è quella in atto nell’area di Pianiga (Venezia), dove un’auto, con una persona alla guida, è stata sollevata dall’asfalto ed è poi precipitata a terra. La persona al volante è morta sul colpo. Altre 15 persone sono rimaste ferite (2 delle quali in codice rosso, ma la situazione è in evoluzione). Un elicottero ha sorvolato le zone colpite per verificare dall’alto la situazione. Una villa veneta, villa Fini, è stata completamente distrutta. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, segue costantemente la situazione.

In Sardegna un pensionato di 77 anni, Antonio Serra, di Elmas, è morto questa mattina in spiaggia a Flumini di Quartu, a seguito di un malore legato  al caldo afoso di questi giorni. L’episodio è avvenuto intorno alle 11. L’anziano si trovava nel litorale davanti a via Mar Tirreno quando si è accasciato sulla sabbia. Subito è scattato l’allarme. Sul posto è arrivata un’ambulanza del 118 che si trovava già a Flumini. I medici hanno tentato in tutti i modi di rianimare l’uomo, ma non c’è stato nulla da fare. Negli ultimi giorni, fa sapere il 118, sono aumentati gli interventi per malori, molti dei quali vedono protagonisti gli anziani. Alcuni di questi sono collegati proprio alle alte temperature che stanno asfissiando la Sardegna e il resto della Penisola. Il ritrovamento in casa, a tre giorni dal decesso, di un 79enne di Lanusei stroncato, secondo quanto si è appreso, dall’afa. Ad Alassio (Savona) una donna di 72 anni é morta stroncata da infarto mentre si trovava sulla spiaggia. La morte potrebbe essere dovuta al malore per il gran caldo di questi giorni. Immediato è scattato l’allarme da parte dei bagnanti e del bagnino corso in aiuto dell’anziana, una turista alassina residente a Pavia in vacanza con una amica.

La perturbazione che ha attraversato il Centro Nord Europa coinvolgerà marginalmente il Nord Italia portando temporali, anche forti, su Lombardia orientale e Nord Est. Resta, invece, il caldo sul resto d’Italia con punte di 36/38°C sui versanti adriatici. Un po’ di fresco  verso le regioni centro meridionali, con qualche temporale sulla dorsale adriatica, mentre non mancherà qualche acquazzone al Nord tra pianure e Prealpi. A contribuire ad abbassare la temperatura e l’umidità ci penseranno i venti da Nord.

Ma sarà una breve pausa, nel fine settimana tornerà l’alta pressione con sole e caldo in nuovo aumento, ma senza i picchi di calore degli ultimi giorni. Qualche temporale potrà invece interessare l’estremo Nord Est per il passaggio della coda di una perturbazione. Quella di questa estate, spiegano gli esperti, è una situazione opposta a quella dello scorso anno quando l’Italia fu attraversata da perturbazioni piovose. Ora, invece, ci troviamo con una rimonta dell’alta pressione africana.

Allerta in Emilia Romagna. La protezione civile in Emilia-Romagna ha emanato un’allerta meteo per temporali, vento e stato del mare. I temporali potranno essere di forte intensità. Previsto vento da nord est sulla costa fino a 25 nodi (46 chilometri orari) e raffiche fino a 35 nodi (65 chilometri orari), che provocheranno un incremento anche consistente del moto ondoso. Il mare sarà agitato al largo, con altezza dell’onda tra 2,5 e 4 metri. La situazione dovrebbe migliorare.

Con 56.883 megawatt l’Italia tocca il nuovo record assoluto dei consumi di elettricità. Lo comunica Terna, che ha rilevato il dato. Il fattore che ha innescato l’impennata dei consumi, spiega Terna, è l’ondata di caldo torrido che sta attraversando la penisola in questi giorni, spingendo all’utilizzo massiccio dei condizionatori d’aria e delle apparecchiature refrigeranti. Per avere un’idea dell’impatto delle temperature sui consumi, ad ogni grado in più sopra i 25 gradi, i tecnici stimano un aumento della domanda elettrica tra gli 800 e i 1.000 megawatt. Il primato di ieri conferma il trend in atto ormai da vari anni, cioè il graduale avvicinamento, prima, e il sorpasso poi, avvenuto nel 2006, della punta estiva di fabbisogno rispetto a quella invernale.

A spingere i consumi è il caldo torrido, è stato detto, ma si dovrebbe affermare il contrario: sono le emissioni di gas serra a provocare il caldo torrido e la maggior parte dell’energia elettrica che consumiamo è prodotta attraverso la combustione. Bisogna diminuire i consumi, spegnere climatizzatori e ventilatori, camminare a piedi, utilizzare la bicicletta o i mezzi di trasporto pubblici, spegnere computer, videogiochi, telefonini perennemente in carica, lampadine, spie luminose. E’ chiedere troppo?

Il valore, registrato in una giornata con temperature massime più alte di oltre 5 gradi rispetto allo stesso periodo 2014, supera di 61 MW il precedente record 2007. Il precedente picco era stato toccato il 17 dicembre 2007 (56.822 MW), mentre il nuovo record supera anche di 5.333 megawatt la punta di domanda del 2014 (51.550 MW, 12 giugno), un dato pari a oltre 2,5 volte il consumo di una grande città come Roma.

Fa notare Ban Ki-moom, segretario generale delle Nazioni Unite che ai negoziati sul clima dell’Onu del 2010, i governi si erano impegnati ad un aumento massimo della temperatura di 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. Tuttavia, l’IPCC ci dice che ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento globale medio di 5-6 gradi.

“Il mondo è a un bivio critico. I paesi sono stati invitati a presentare i loro Intended Nationally Determined Contributions (INDC) in vista del nuovo accordo sul clima da concludere nel mese di dicembre, a Parigi. Più di 40 paesi sviluppati e in via di sviluppo che rappresentano con obiettivi poco più della metà delle emissioni globali lo hanno già presentato. Alcuni paesi si sono impegnati fino al 50 per cento della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030. Tutti i paesi devono essere parte della soluzione.”

Oltre 2000 scienziati si sono riuniti a Parigi in questi giorni per discutere sulle potenziali vie per contrastare il global warming. La conferenza dal titolo “Our Common Future Under Climate Change (CFCC15)” è stata inaugurata il 7 luglio a Parigi e si concluderà oggi. Sul tavolo le più recenti teorie sulle soluzioni per limitare i cambiamenti climatici.

Si tratta di una grande conferenza scientifica internazionale, il più grande forum per la comunità scientifica in vista della Conferenza di Parigi prevista a dicembre. Durante la Cop21, i governi dovranno formalizzare un nuovo e inclusivo accordo globale per ridurre le emissioni di gas serra dopo il 2020.

La conferenza CFCC15 arriva a nove mesi dalla pubblicazione della più grande rapporto scientifico del Gruppo intergovernativo di esperti (IPCC), secondo cui i governi possono tenere i cambiamenti climatici sotto controllo e a costi gestibili, ma dovranno azzerare le emissioni di gas serra per limitare i rischi di danni irreversibili.

In questi giorni a Parigi sono state rese note le ultime conoscenze sui cambiamenti climatici e sui loro effetti, ma anche le diverse opzioni per contrastarli.

“Una vasta gamma di soluzioni basate sull’evidenza sono economicamente interessanti e scalabili, sia per limitare i cambiamenti climatici sia per prepararci ad affrontare nel modo più efficace possibile quelli che non possono essere evitati. Gli scienziati non devono dire ai governi cosa fare a dicembre, ma ne devono illuminare le scelte, ciascuna con diversi livelli di costo e di rischio”, ha dichiarato Chris Field, presidente del Comitato scientifico CFCC15 e capo del Dipartimento di ecologia globale della Carnegie Institution statunitense.

Per il Presidente del Comitato Organizzatore Hervé Le Treut, professore di Climatologia a Parigi all’Université Pierre et Marie Curie (UPMC) la scienza del clima è in evoluzione

“È complessa, ma la straordinaria gamma di competenze alla conferenza dimostra che gli scienziati si stanno impegnando a collaborare più che mai, nel contribuire ad avanzare soluzioni eque, e a portata di mano. Soprattutto per i paesi meno sviluppati”.




EUROPA – Mai più piloti soli in cabina: nuove norme di sicurezza per i voli

Otto interminabili minuti di terrore vissuti da Patrick Sonderheimer, comandante dell’Airbus A320 di proprietà della nota compagnia low cost Germanwings, che in tutti i modi ha cercato di aprire la porta blindata che lo separava dalla cabina di comando. Tutto inutile, il copilota Andreas Lubitz aveva deciso di non aprire quella porta e di condannare a morte le 149 persone a bordo. Il volo di linea era decollato il 24 marzo alle 10,00 da Barcellona ed era diretto a Dusseldorf, ma il copilota, approfittando dell’allontanamento del pilota, ha attivato la discesa programmata del velivolo e alle 10,30 si è schiantato sulle Alpi francesi, mancando per una manciata di minuti la“Via Lattea”, nota pista sciistica. Il pilota, nonostante avesse compreso ciò che stava accadendo, non ha comunicato ai passeggeri il dramma che si stava consumando, facendo in modo che se ne accorgessero solo pochi istanti prima dello schianto.
Dell’aereo resta solo un cumulo di macerie e i soccorsi hanno lavorato in condizioni climatiche avverse, al fine di evitare che i lupi mangiassero i cadaveri. Andreas Lubitz era depresso, assumeva psicofarmaci e un medico gli aveva prescritto un periodo di riposo, ma lui non ha rispettato il divieto di lavorare. Resta da capire, come Lubitz, abbia potuto infrangere i seri controlli a cui i piloti sono sottoposti. Dopo lo shock provocato dall’incidente aereo è tempo di riflettere e di apportare delle modifiche inerenti la sicurezza dei voli, infatti anche in Europa sarà attuata la norma in vigore negli Stati Uniti che impedisce ad un pilota di restare solo nella cabina di pilotaggio.




EUROPA – Corsa al riarmo per la guerra in Ucraina

I primi ad entrare in fibrillazione sono stati i Paesi baltici, che più si sentono vulnerabili. La Lituania ha reintrodotto la leva obbligatoria, l’Estonia ha visto una adesione di massa alle unità paramilitari, mentre le tre capitali nordiche stanno facendo piani prendendo in considerazione gli scenari peggiori.

Certo, i tre piccoli Stati sono membri della Nato, e in molti pensano che Mosca non attaccherebbe mai l’Alleanza atlantica, ma i governi baltici hanno comunque paura di manovre destabilizzatrici, anche interne.

Chi invece non fa parte della Nato è la Svezia. Dopo la fine della guerra fredda ha tagliato costantemente le sue spese militari. Nel 1990 erano pari al 2,6% del Pil, nel 2013 erano all’1,2%. Stoccolma ha così varato un programma di riarmo da 722 miliardi di dollari, che prevede anche il ritorno dei militari sull’isola di Gotland, nel Mar Baltico, vicino all’enclave russa di Kaliningrad.

A spaventare la Svezia, come anche Gran Bretagna, Danimarca e Norvegia, sono stati i voli di bombardieri a poche miglia dagli spazi aerei nazionali. Oltre alla presenza di sommergibili nelle acque territoriali svedesi (anche se non si ha conferma della nazionalità).

D’altronde nel 2014 la Russia ha aumentato del 33% le sue spese militari, mentre in Europa sono state tagliate. Washington aveva avvertito gli alleati più di una volta di stanziare almeno il 2% del Pil per la difesa. Ma solo Gran Bretagna, Estonia e Grecia rispettano lo standard, tutti gli altri sono sotto. Chi di poco, come la Francia (1,9%) e chi di molto, come l’Italia (1,2%) e la Germania (1,3%).

In Italia la guerra in Ucraina ha avuto come effetto quello di sbloccare l’impasse sugli ordini degli F-35, mentre a Berlino la Merkel sta elaborando un piano di riarmo. Nel frattempo ha smesso di smantellare il proprio arsenale, dismesso per ridurre le spese di manutenzione.




Pena di morte per i marò, il Nostro No

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E’ assurdo che proprio due cittadini italiani muoiano perchè condannati dalla Giustizia di un paese in cui è praticata la pena di morte. Mi riferisco alla vicenda dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in India. L’Italia è sempre stata in prima linea nella campagna contro la pena di morte e  impegnata nella battaglia per una moratoria universale delle esecuzioni.

“La difesa dei diritti umani è per l’Italia un principio inderogabile – ha dichiarato il ministro degli Esteri, Federica Mogherini – intendiamo continuare a batterci per una moratoria delle esecuzioni e in prospettiva per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Nel 2007 abbiamo dato impulso alle iniziative che portarono all’adozione della prima risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla moratoria della pena capitale. L’anno seguente e nel 2010 con un gruppo di altri Paesi abbiamo promosso, sempre come Italia, altre due risoluzioni approvate all’Onu”.

Il 1 luglio scorso è stata istituita una «task force», di cui fanno parte Amnesty International, la Comunità di Sant’Egidio e Nessuno Tocchi Caino, destinata al coordinamento dell’azione italiana in vista della votazione in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Ma per svolgere un ruolo incisivo nel consolidamento e nell’ampliamento del risultato già ottenuto, per sensibilizzare quanti più Paesi e raggiungere questo obiettivo, saranno importanti il protagonismo della società civile, del governo e del Parlamento italiani.

La pena di morte è oggi giorno praticata in 95 Stati: è presente in quasi tutti i paesi asiatici, in buona parte di quelli africani, in alcune zone della America, come Stati Uniti, Cuba e Cile, mentre in Europa è esercitata esclusivamente nei territori della ex-Jugoslavia e della Bulgaria. Di tutte queste nazioni, escludendo gli Stati Uniti, le più significative sono la Cina e il Giappone.

Nel 2013 ci sono state esecuzioni in almeno 22 Paesi e in tutto “sono state messe a morte 778 persone, con un incremento del 15% rispetto al 2012”. “Così come gli anni precedenti – prosegue Amnesty International – questo dato non include le migliaia di persone che si ritiene siano messe a morte in Cina dove la pena di morte è considerata segreto di Stato”. Negli Stati Uniti, “unico paese del continente americano a eseguire condanne a morte”, il numero di esecuzioni continua a diminuire e il Maryland è diventato il diciottesimo Stato abolizionista.

In Cina, come del resto in tutti gli altri paesi asiatici, la pena di morte è massicciamente praticata; in tal senso, basti pensare che nel 1993 il 63% delle esecuzioni mondiali sono avvenute proprio in territorio cinese. I reati capitali sono 68, tra cui omicidio, stupro, rapina, furto, traffico di droga, prostituzione, evasione delle tasse e, addirittura, stampa o esposizione di materiale pornografico. Particolarmente raccapricciante è il fatto che spesso le esecuzioni vengono fatte in luoghi pubblici e i condannati sono costretti a tenere al collo un cartello con il loro nome e il reato per il quale vengono giustiziati. Amnesty International, inoltre, denuncia il fatto che spesso ai condannati, una volta giustiziati, vengono espiantati gli organi senza il loro permesso; proprio per questo motivo, si ritiene che alcune condanne vengano eseguite in quanto sono richiesti organi per i trapianti.

In Giappone, la legge prevede la pena di morte per 17 reati, quali l’omicidio e il provocare morte durante un dirottamento aereo. L’aspetto sicuramente più sconvolgente per i detenuti giapponesi è, oltre naturalmente all’esecuzione, il trattamento a loro riservato nel braccio della morte: possono, infatti, ricevere visite solo dai parenti più stretti, nella maggior parte dei casi non è permesso loro ricevere posta, vivono in celle dove la luce viene sempre tenuta accesa, sorvegliati da telecamere, che controllano che non tentino il suicidio. Devono, inoltre, sempre sedere al centro della cella e non è concesso loro di appoggiarsi al muro nè di dormire nelle ore diurne. I detenuti che non rispettano le regole subiscono severe punizioni, come l’isolamento o la sospensione delle visite. Da sottolineare, vi è il fatto che tra il novembre del 1989 ed il marzo del 1993 le esecuzioni vennero sospese perchè i ministri di giustizia dell’epoca erano contrari alla pena di morte: durante la moratoria, il tasso di criminalità non aumentò, ma anzi diminuì.

Condanne capitali colpiscono persone affette da disabilità mentale e intellettiva. In generale, il rapporto di Amnesty International sulle esecuzioni mostra che si è registrata qualche inversione di marcia. “Quattro Paesi, Indonesia, Kuwait, Nigeria e Vietnam, hanno ripreso le esecuzioni – si legge nel testo – e c’è stato un aumento significativo delle persone messe a morte in Iran e Iraq”.

Non può essere ammissibile che uno Stato arroghi a sé il diritto di vita o di morte su un essere umano: “lo Stato condanna chi uccide e poi uccide a sua volta, riparando una colpa con un’altra colpa”. (C. Beccaria)

Oggi, a distanza di millenni da quando l’uomo ha riconosciuto come inammissibile uccidere un suo simile (Non uccidere è un comandamento scritto  sulle Tavole  di Mosè) e a poco più di 250 anni dagli scritti di Cesare Beccaria,  solo il 50% dei Paesi del globo ha rinunciato alla pena capitale.

Sarebbe meglio per  qualsiasi società  punire  chiunque commetta reati non solo con la pena detentiva, ma  anche con lavori socialmente utili, finora assegnati, in Italia, soltanto a criminali appartenenti a determinate caste (politici ecc.) per evitare che scontino pene più pesanti.




FRANCIA -La Fuis al Salone del Libro di Parigi per il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri

La Fuis (Federazione unitaria italiana scrittori) sarà presente, dal 20 al 23 Marzo 2015, al Salone del Libro di Parigi, una delle principali manifestazioni europee nel campo dell’editoria, giunta quest’anno alla sua 28esima edizione. Scopo della Fuis è quello di proseguire nella sua attività di sostegno agli autori.
Al fine di promuovere gli scrittori italiani, la Fuis invita all’evento celebri nomi della letteratura italiana fra i quali Melania Mazzucco, Niccolò Ammanniti ed Elio Pecora.
 Inoltre la Federazione vuole ricordare e celebrare il 750esimo anniversario della nascita di Dante Alighieri, che cade proprio nell’anno in corso.

IL SALONE DEL LIBRO DI PARIGI

Organizzato dal Syndicat national de l’édition (SNE), il Salone del Libro di Parigi è una delle principali manifestazioni francesi nel campo dell’editoria. Si svolge ogni anno nel mese di marzo e, insieme alla Fiera del Libro di Francoforte e al Salone Internazionale del Libro di Torino, è tra e principali attrazioni in campo culturale-letterario ed editoriale d’Europa.
La manifestazione si svolge nel centro espositivo di Porte de Versailles. Il Salone riunirà anche quest’anno migliaia di persone tra autori ed editori provenienti da circa 37 paesi. I professionisti del libro saranno coinvolti, insieme agli ospiti della manifestazione, in una molteplicità di attività dedicate alla maggior conoscenza del campo dell’editoria. Tante, infatti, le piattaforme di scambio e di lavoro che saranno presenti presso lo spazio dedicato all’evento.
Per informazioni sull’edizione 2015 è possibile visitare il sito della manifestazione: http://www.salondulivreparis.com/ .