Pena di morte per i marò, il Nostro No

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E’ assurdo che proprio due cittadini italiani muoiano perchè condannati dalla Giustizia di un paese in cui è praticata la pena di morte. Mi riferisco alla vicenda dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in India. L’Italia è sempre stata in prima linea nella campagna contro la pena di morte e  impegnata nella battaglia per una moratoria universale delle esecuzioni.

“La difesa dei diritti umani è per l’Italia un principio inderogabile – ha dichiarato il ministro degli Esteri, Federica Mogherini – intendiamo continuare a batterci per una moratoria delle esecuzioni e in prospettiva per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Nel 2007 abbiamo dato impulso alle iniziative che portarono all’adozione della prima risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla moratoria della pena capitale. L’anno seguente e nel 2010 con un gruppo di altri Paesi abbiamo promosso, sempre come Italia, altre due risoluzioni approvate all’Onu”.

Il 1 luglio scorso è stata istituita una «task force», di cui fanno parte Amnesty International, la Comunità di Sant’Egidio e Nessuno Tocchi Caino, destinata al coordinamento dell’azione italiana in vista della votazione in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Ma per svolgere un ruolo incisivo nel consolidamento e nell’ampliamento del risultato già ottenuto, per sensibilizzare quanti più Paesi e raggiungere questo obiettivo, saranno importanti il protagonismo della società civile, del governo e del Parlamento italiani.

La pena di morte è oggi giorno praticata in 95 Stati: è presente in quasi tutti i paesi asiatici, in buona parte di quelli africani, in alcune zone della America, come Stati Uniti, Cuba e Cile, mentre in Europa è esercitata esclusivamente nei territori della ex-Jugoslavia e della Bulgaria. Di tutte queste nazioni, escludendo gli Stati Uniti, le più significative sono la Cina e il Giappone.

Nel 2013 ci sono state esecuzioni in almeno 22 Paesi e in tutto “sono state messe a morte 778 persone, con un incremento del 15% rispetto al 2012”. “Così come gli anni precedenti – prosegue Amnesty International – questo dato non include le migliaia di persone che si ritiene siano messe a morte in Cina dove la pena di morte è considerata segreto di Stato”. Negli Stati Uniti, “unico paese del continente americano a eseguire condanne a morte”, il numero di esecuzioni continua a diminuire e il Maryland è diventato il diciottesimo Stato abolizionista.

In Cina, come del resto in tutti gli altri paesi asiatici, la pena di morte è massicciamente praticata; in tal senso, basti pensare che nel 1993 il 63% delle esecuzioni mondiali sono avvenute proprio in territorio cinese. I reati capitali sono 68, tra cui omicidio, stupro, rapina, furto, traffico di droga, prostituzione, evasione delle tasse e, addirittura, stampa o esposizione di materiale pornografico. Particolarmente raccapricciante è il fatto che spesso le esecuzioni vengono fatte in luoghi pubblici e i condannati sono costretti a tenere al collo un cartello con il loro nome e il reato per il quale vengono giustiziati. Amnesty International, inoltre, denuncia il fatto che spesso ai condannati, una volta giustiziati, vengono espiantati gli organi senza il loro permesso; proprio per questo motivo, si ritiene che alcune condanne vengano eseguite in quanto sono richiesti organi per i trapianti.

In Giappone, la legge prevede la pena di morte per 17 reati, quali l’omicidio e il provocare morte durante un dirottamento aereo. L’aspetto sicuramente più sconvolgente per i detenuti giapponesi è, oltre naturalmente all’esecuzione, il trattamento a loro riservato nel braccio della morte: possono, infatti, ricevere visite solo dai parenti più stretti, nella maggior parte dei casi non è permesso loro ricevere posta, vivono in celle dove la luce viene sempre tenuta accesa, sorvegliati da telecamere, che controllano che non tentino il suicidio. Devono, inoltre, sempre sedere al centro della cella e non è concesso loro di appoggiarsi al muro nè di dormire nelle ore diurne. I detenuti che non rispettano le regole subiscono severe punizioni, come l’isolamento o la sospensione delle visite. Da sottolineare, vi è il fatto che tra il novembre del 1989 ed il marzo del 1993 le esecuzioni vennero sospese perchè i ministri di giustizia dell’epoca erano contrari alla pena di morte: durante la moratoria, il tasso di criminalità non aumentò, ma anzi diminuì.

Condanne capitali colpiscono persone affette da disabilità mentale e intellettiva. In generale, il rapporto di Amnesty International sulle esecuzioni mostra che si è registrata qualche inversione di marcia. “Quattro Paesi, Indonesia, Kuwait, Nigeria e Vietnam, hanno ripreso le esecuzioni – si legge nel testo – e c’è stato un aumento significativo delle persone messe a morte in Iran e Iraq”.

Non può essere ammissibile che uno Stato arroghi a sé il diritto di vita o di morte su un essere umano: “lo Stato condanna chi uccide e poi uccide a sua volta, riparando una colpa con un’altra colpa”. (C. Beccaria)

Oggi, a distanza di millenni da quando l’uomo ha riconosciuto come inammissibile uccidere un suo simile (Non uccidere è un comandamento scritto  sulle Tavole  di Mosè) e a poco più di 250 anni dagli scritti di Cesare Beccaria,  solo il 50% dei Paesi del globo ha rinunciato alla pena capitale.

Sarebbe meglio per  qualsiasi società  punire  chiunque commetta reati non solo con la pena detentiva, ma  anche con lavori socialmente utili, finora assegnati, in Italia, soltanto a criminali appartenenti a determinate caste (politici ecc.) per evitare che scontino pene più pesanti.




Io c’ero. Vi presento il Mattarella interventista, tra bombe all’uranio e Missione Arcobaleno

Le guerre, è noto, alimentano e rafforzano la criminalità organizzata, ma nel 1999, il ministro della Difesa, Sergio Mattarella, ex magistrato, sembrava non saperlo, quando con il presidente del Consiglio Massimo D’Alema appoggiò la partecipazione dell’Italia all’operazione Allied Force, con la quale la NATO era intervenuta nella guerra del Kosovo.

Il governo italiano,   messo duramente alla prova da un’opinione pubblica che si mostrava quantomeno scettica nei confronti del primo vero episodio di interventismo militare italiano dal secondo dopoguerra (se ovviamente si fa eccezione della prima guerra del golfo, in occasione della quale l’apporto dell’aeronautica italiana si limitò ad una funzione logistica e d’appoggio), iniziò a vacillare e a mostrare sintomi di incoerenza e paradossalità nell’azione, impegnandosi contemporaneamente sui fronti militare e umanitario di uno stesso conflitto. Decise prontamente di intervenire, gettando sin dal 28 marzo, le basi di una grande missione di relief a favore dei profughi kosovari, denominata Missione Arcobaleno, anche in risposta all’allarme lanciato dall’UNHCR, preoccupato dall’entità dell’esodo di massa, la cui misura eccedeva le proprie capacità operative.

Prendendo atto della vastità delle proporzioni dell’emergenza e della debolezza del tessuto socio-economico nel quale stava avvenendo, caratterizzato da “forti carenze di infrastrutture primarie” (Dossier Protezione Civile), si decise per un’azione che si imperniasse nelle consolidate relazioni bilaterali con l’Albania. In un primo momento (almeno dalla prima presentazione esposta dal Ministro dell’Interno Iervolino) sembrava che la Missione Arcobaleno dovesse limitarsi ad un ruolo di coordinamento istituzionale (Protezione civile e Prefetture), sotto la guida del Ministero dell’Interno e del Ministero della Sanità, per l’accoglienza di 25.000-30.000 profughi nel territorio italiano. Tuttavia le dimensioni dell’esodo instradarono il Governo verso l’ipotesi di una raccolta fondi privata, la cui gestione sarebbe stata attribuita ad un esperto esterno, figura immediatamente individuata nel Prof. Vitale.

La campagna di sottoscrizione fu imponente e accompagnata da un lato dalla grande solidarietà degli italiani, dall’altro da forti proteste provenienti dalla società civile, soprattutto quella di matrice pacifista, la quale obiettava l’incoerenza dell’azione di Governo.

Con la missione circa 5.000 kosovari furono trasferiti dalla Iugoslavia alla ex-base Nato Comiso di in Sicilia dove alloggiarono in quelli che furono gli alloggi dei soldati americani che vi stanziarono durante la guerra fredda.

Lo scandalo scoppiò dopo un servizio di Striscia la Notizia effettuato dagli inviati Fabio e Mingo ed un articolo pubblicato dal Corriere della Sera e ripreso dal settimanale Panorama, che denunciò furti e sprechi nell’ambito della missione Arcobaleno pubblicando un’ampia inchiesta il 20 agosto 1999. Ciò diede vita ad un’indagine guidata dall’allora pubblico ministero Michele Emiliano, che portò al rinvio a giudizio di 19 delle 24 persone coinvolte nelle indagini.

Il 17 maggio 2012 la seconda sezione penale del tribunale di Bari ha concluso la vicenda dichiarando il “non luogo a procedere per intervenuta prescrizione di tutti i reati”. Nessuno degli imputati è stato condannato.

Nell’estate del 1999, c’era Sergio Mattarella a Palazzo Chigi, quando l’Italia ricevette dalla Nato un documento con cui si mettevano in guardia i paesi dell’Alleanza contro i rischi possibili di metallo pesante residuale in veicoli corazzati. Infatti, i militari italiani inviati nei Balcani,  senza istruzioni e protezioni, si sono ammalati a causa dell’uranio impoverito.

I metalli pesanti sono stati generati dall’esplosione delle bombe  che la Nato ha utilizzato per bombardare la ex Jugoslavia poco prima dell’ intervento italiano nei Balcani come Forza Multinazionale di pace.

I nostri uomini stanno morendo lentamente, come candele al vento, in seguito alla mutazione cancerosa delle cellule. E sono oggi curati da medici-ricercatori italiani in Inghilterra. Sono state riconosciute cause e fatti di servizio, ma le vittime devono costantemente scontrarsi con la burocrazia italiana, perchè le terapie devono essere autorizzate dall’Italia e questo comporta un percorso burocratico che in molti casi rende impossibili le cure. Ritardare anche di un solo giorno significherebbe compromettere per sempre l’effetto delle cure e dunque andare in modo irreversibile verso la morte. In Inghilterra ci sono professori italiani,  che sanno curare i militari colpiti da patologia dell’uranio impoverito e che potrebbero  farlo in Italia, ma si tagliano continuamente i fondi per la sanità, mentre si continua a sprecare denaro pubblico in armamenti.

Negli stessi giorni il ministro della Difesa, Mattarella, approvava la legge di riforma delle Forze Armate che aboliva di fatto il servizio di leva obbligatorio. Una lama a doppio taglio, perchè esempi negativi di milizie mercenarie la storia ne ha dati molti. In questi mesi, il governo Renzi, ha riproposto la Naia, il servizio di leva obbligatorio. Che il Bel Paese si stia preparando a un grande conflitto? Perchè ripristinarlo proprio ora?