La famiglia del III millennio, tre millenni di famiglie

Il 1 e il 2 marzo il laboratorio di grammatica e sessismo ha dato vita ad un seminario formativo interdisciplinare dal titolo: La famiglia nel III millennio, tre millenni di famiglie. Si tratta della seconda edizione di un seminario che si era svolto, sempre presso l’Università di Roma Tor Vergata, un anno fa. L’evento è stato ideato e pensato in primis per le scuole, docenti e insegnanti, ma intendeva costituire un momento di riflessione rivolto alla società tutta.

L’approccio è stato, come il laboratorio cerca sempre di fare, un approccio interdisciplinare. La scelta del tema, quello della famiglia e delle famiglie, un’ottima occasione per discutere, sulla base di dati e di esperienze empiriche, di un “contenitore” che condiziona la società e la vita delle singole persone.

L’apertura dell’evento è stata affidata a P.G. Medaglia per i saluti istituzionali. Medaglia è docente presso la facoltà di ingegneria e delegato del Rettore per l’inclusione degli studenti con disabilità e DSA (UniRoma2). Partendo proprio dal concetto di inclusione, ha voluto sottolineare l’importanza della famiglia come istituzione prima in cui si realizzano e prendono forma valori quali l’accoglienza, la pazienza, l’ascolto, la cura e la custodia.

 

In seguito, il direttore del dipartimento di Lettere e filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata, E. Paoli, attraverso studi sull’antichità e sull’esegesi, ha posto la propria attenzione sull’evoluzione alla quale è andata incontro la sacra famiglia, da intendersi come modello dapprima impossibile, poi eversivo, e infine esemplare. Il modello originario presentato è stato quello di una famiglia cristiana “zoppa”, ovvero priva della figura paterna. Non era un caso che la castità fosse l’eccellenza, alla quale ogni buon cristiano e ogni buona cristiana doveva ambire. Col passare dei secoli o, per meglio dire, dei millenni il modello familiare ha però subito notevoli mutamenti. Nel ‘600, e ancor più nell’800 Giuseppe è divenuto una figura centrale e, con lui, ogni padre. Si è così giunti al modello di famiglia esemplare, costituito da padre, madre e figlio, ancora attuale pilatro della società cristiana.

  1. Meli, ricercatrice dell’Istat, ha invece apportato il suo contributo a partire da ricerche quantitative che ridisegnano e riscrivono la realtà familiare italiana, attraverso dati, percentuali e grafici. Dai dati presentati al seminario si evince che, nel nostro paese, ci si sposa sempre più tardi e si divorzia con maggiore frequenza. Inoltre, in aumento sarebbe anche la percentuale di secondi matrimoni. Le nascite sono invece in diminuzione, anche in relazione a un cambiamento del ruolo della donna, infatti ¼ di donne fertili sceglie volontariamente di non procreare. Le famiglie vanno incontro a una progressiva semplificazione e cristallizzazione, poiché costituite da pochi/poche figli/e che abbandonano il nucleo originario sempre più tardi. L’intervento si è poi concluso evidenziando non poche criticità riguardo i limiti dei parametri utilizzati, i quali non sempre riescono a individuare e a prendere in considerazione/analisi ogni tipo di nucleo familiare.

 

Di taglio sociologico il contributo di A. Volterrani, docente di Sociologia presso L’Università degli studi di Roma Tor Vergata. Partendo da dati anagrafici, e in particolare dallo studio dello stato di famiglia, lo studioso ha evidenziato l’esistenza di almeno diciassette tipi di famiglie diverse. Pertanto, la nostra penisola risulta essere ben lontana dal modello stereotipato di “famiglia tradizionale”, che ricopre solo il 50% dell’attuale panorama familiare italiano. Insomma, tante famiglie, costitutivamente diverse, eppure simili in quanto egualmente fonte di opportunità e problemi.

 

La famiglia è fortemente rappresentata anche nei media, e nei social, così come nella pubblicità, analizzata in modo interculturale da due classi del liceo paritario San Paolo di Roma che, come momento di sintesi e a parziale conclusione di un progetto di alternanza scuola lavoro incentrato sulla comunicazione consapevole, hanno elaborato un filmato che metteva in evidenza come la famiglia, le famiglie, sono state rappresentate, ieri e oggi, dal marchio Coca Cola, a seconda del paese in cui è stato proiettato lo spot pubblicitario.

Lo stesso argomento, seppur con tagli diversi, è stato preso in esame anche da S. Melchiorre (ricercatrice presso L’università degli Studi della Tuscia), L. Bagini (docente presso l’Università degli Studi di Poitiers) ed L. Selvarolo (laureata in comunicazione presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata). La prima ha introdotto la propria analisi partendo dall’identità individuale, ormai fluida nell’epoca dei media, per poi passare a un’analisi dell’identità familiare. Identità che si costruiscono e riscostruiscono senza sosta e che vengono inevitabilmente condizionate e guidate dai (social)media. Biagini e Selvarolo hanno invece offerto il loro contributo analizzando il mondo pubblicitario di ieri e di oggi, fornendoci così una panoramica chiara e continuativa della rappresentazione familiare all’interno del mondo pubblicitario. Bagini si è concentrata sui caroselli, ovvero le originarie rappresentazioni di quelli che oggi definiamo spot, Selvarolo invece ha focalizzato la propria ricerca attorno ai recenti spot pubblicitari di tre grandi marchi, ovvero Findus, Barilla e Kinder.

In entrambi i casi le conclusioni alle quali sono giunte sono pressoché simili. La famiglia proposta è quella “tradizionale”, e le figure rappresentate (di padre, madre e figli/e) sono fortemente stereotipate.

La famiglia è stata considerata anche dal punto di vista medico, della cura, con il racconto di M. Macchiaiolo, specializzata in malattie rare e croniche. In contesti così delicati, le famiglie svolgono un ruolo centrale, poiché accompagnano il/la figlio/a malato/a nel loro cammino, di guarigione o di cura, ma, a loro volta, devono essere supportate e sostenute. Accettare che il proprio figlio, o la propria figlia, sia affetto/a da una malattia rara significa accettare la morte della rappresentazione mentale di un figlio, o di una figlia, idealizzato/a per mesi, se non per anni, e iniziare a ricostruire un nuovo percorso di vita, in cui il/la medico/a diventa il primo punto di riferimento, clinico, morale e psicologico.

Quest’ultimo ambito è stato analizzato in particolar modo dalla psicologa Anna Maria Di Santo. Con i cambiamenti avvenuti nella società contemporanea, i figli e le figlie appartengono non più ad una famiglia, ma sempre più a gruppi familiari a plurale. Famiglie ricomposte, famiglie allargate, famiglie allungate, che rideterminano i ruoli e le relazioni fra le persone coinvolte. In ogni caso, si fa sempre riferimento a un luogo in cui si deve instaurare un clima di serenità, capace di garantire un equilibrato sviluppo psico-fisico dei bambini e delle bambine che ne fanno parte.

Famiglie, però, sono anche quelle che adottano a livello internazionale. Questo argomento è stato trattato dalla psicologa M. Azzacconi, la quale ha messo il rilievo, da una parte, le difficoltà delle famiglie, nel riuscire a ottenere un/una figlio/a in adozione, e dall’altra, i vantaggi e le difficoltà dell’inserimento nella nuova vita da parte di minori adottati/e.

Il seminario ha dato spazio anche ad altri ambiti. Uno fra i tanti è stato quello antropologico, rappresentato dal P. Vereni. Quest’ultimo ha demolito il concetto di famiglia naturale, sotto un duplice aspetto. In un primo momento ha dimostrato che ogni costituzione familiare si basa sull’unione tra due individui che non possiedono legami naturali, ovvero di sangue. A sancirne l’unione è soltanto un contratto, prodotto artificiale ben lontano dal concetto di natura. In un secondo tempo si è poi concentrato sul concetto di famiglia socialmente valido e naturalmente condiviso. Creando quindi dei parallelismi tra la cultura italiana e quelle appartenenti ad altri popoli, ha dimostrato quanto ogni concetto di normalità familiare, di spontanea accettazione, sia legato alla propria visione del mondo, alla propria cultura, e nulla abbia a che fare davvero con la natura umana.

Lo stesso concetto di famiglia e famiglia, congiunto ai due ambiti del naturale e dell’artificiale (quindi del contratto di matrimonio), è stato analizzato anche dalla linguista S. Cavagnoli, docente presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. L’analisi compiuta dalla studiosa verteva sul diritto di famiglia e, in particola modo, sulla lingua che il diritto di famiglia utilizza per rappresentare l’attuale panorama italiano.

Il seminario ha inoltre ospitato anche R. Oliva De Concilis, dell’associazione “Rete per la parità” e B. Belotti, dell’associazione di “Toponomastica femminile”.

La prima, compiendo degli studi che ruotano attorno all’anagrafe, ha dimostrato quanto, negli anni scorsi, le donne abbiano dovuto lottare per eliminare la procedura del cognome coatto (ovviamente in riferimento al cognome del marito). Oggi tanti passi avanti sono stati compiuti, soprattutto in relazione ai/alle figli/e vittime di femminicidio. Per loro è stata messa in atto una procedura semplificata, in relazione all’abbandono del cognome paterno e all’acquisizione di quello materno. Nonostante ciò, tanto c’è ancora da fare all’interno di un mondo, quello dei cognomi, ancora capace di svelarci innumerevoli relazioni di potere familiare.

  1. Belotti ha utilizzato lo stesso punto di partenza, quello dei cognomi, unendo però quest’ambito a quello della toponomastica. Le analisi e gli studi compiuti da Belotti dimostrano che, nei secoli, smisurate donne, madri, mogli, figlie e sorelle, non sono state tenute in considerazione nell’intitolazione delle strade delle nostre città. Strade che ci raccontano il nostro passato, un passato dal quale le donne sono state cancellate, non soltanto perché a loro è stato riservato poco spazio nella toponomastica rispetto a quello maschile, ma anche perché, se presenti, le donne sono state completamente oscurate da cognomi maschili, capaci di inglobarle in sé fino a farle cadere nell’oblio.

La rappresentazione della famiglia è stata completata dalla presentazione di analisi di libri di testo per la scuola primaria e per l’apprendimento della lingua italiana per non italofoni, e dal racconto di una scrittrice insegnante, che si è confrontata con il tema della famiglia a scuola.

I libri di testo, destinati alla scuola primaria, sono stati presi in esame da A. Cassarino, laureata magistrale presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata. La ricerca diacronica ha dimostrato che, ieri come oggi, il libro di testo contribuisce alla costruzione dell’immaginario comune attraverso la rappresentazione di un unico modello familiare, quello nucleare, in cui i ruoli ricoperti risultano ancora fortemente stereotipati.

  1. Nardi e C. Coccia, in qualità rispettivamente di responsabile del CLICI (Centro di Lingua e Cultura Italiana) e di dottoranda presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, hanno invece analizzato i testi destinati a individui di cultura non italiana, sottolineando la centralità della famiglia, calata nei diversi contesti culturali, come punto di partenza e come indispensabile veicolo per un’efficiente pratica dell’insegnamento/apprendimento.
  2. Dai Prà, insegnante e scrittrice, ha infine voluto evidenziare il profondo legame che unisce scuola e famiglie. A volte però, l’incuranza e la scarsa informazione possono risultare fuorvianti per uno sviluppo ottimale degli/delle studenti/studentesse in piena fase di formazione. Dai Prà ha pertanto messo in luce la pericolosa diffusione nelle scuole dell’infondata teoria gender, priva di qualsiasi fondamento scientifico eppure fortemente viva all’interno del mondo scolastico.

Il seminario, organizzato con un interesse linguistico di fondo dalle docenti F. Dragotto e S. Cavagnoli (linguiste presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata), si è chiuso con una riflessione di F. Dragotto sulla definizione di famiglia dal punto di vista della sua etimologia, che emerge anche dalle pieghe delle diverse proposte di lettura offerte da questo incontro interdisciplinare che, tra chi presente, ha fatto registrare una insolita partecipazione alla discussione. Indicativa di quanto ci sia ancora da dire su questo tema di cui si parla con scarsa consapevolezza




La famiglia non è un paradiso, diciamolo alle nostre figlie: la storia di Chiara

L’ Argentina, un Paese dove, dicono le associazioni, ogni 31 ore una donna viene uccisa, per un totale di 1.800 morte dal 2008 al 2014, e dove chi decide di denunciare abusi e violenze da parte dei propri partner spesso non viene presa in considerazione dalle forze dell’ordine, è stata sconvolta dalla morte di Chiara.

Dopo l’omicidio,  uomini, donne e bambini di tutto il Paese non sono rimasti in silenzio. Sui social, l’hashtag #NiUnaMenos («Non una di meno») è rimasto per giorni tra i trend topic.

Migliaia di persone hanno manifestato in 70 città del Paese. A Buenos Aires 200mila persone si sono ritrovate nella piazza del Parlamento per chiedere al governo un sforzo maggiore contro la violenza di genere. Una mobilitazione storica. Che si è estesa anche a Cile e Uruguay, perchè questa è una storia che riguarda il mondo intero e un sentimento ritenuto universale, perchè i fatti accaduti tornano a interrogare tutti: che cos’è l’amore? Quale  deve essere l’educazione sentimentale da dare alle nostre figlie? E a investire di responsabilità individui e istituzioni.

Cara Chiara, piccolo fiore reciso,  gli uomini sono tristi, non te lo ha mai detto nessuno? Adesso la tua famiglia chiede giustizia.

Tuo padre, Fabio, ha cambiato pochi giorni fa la foto del suo profilo Facebook, mettendo la tua. «Tutte le notti prima di andare a dormire, piango da solo nel mio letto», ha scritto. «Vorrei tanto che qualcuno potesse darmi una spiegazione per quello che è successo».

Avevi solo 14 anni. Una giovane come tante altre, legata alla tua famiglia, studentessa modello. Con decine di foto della tua vita postate su Instagram e Facebook che ti ritraggono sorridente insieme alla mamma, al papà, o  alle compagne della squadra di hockey del suo istituto.

Un giorno, all’inizio di maggio, sei scomparsa. Su Facebook in molti hanno iniziato a postare il tuo ritratto insieme a richieste di aiuto per ritrovarti. Tanti hanno partecipato alle ricerche. Tra loro anche il tuo ragazzo, Manuel Mansilla. Sì, proprio lui, che ti ha tradito.

Le ricerche sono durate tre giorni. L’11 maggio il tuo corpo senza vita è stato ritrovato nel cortile della casa di Manuel. Il tuo volto tumefatto dalle botte, quasi irriconoscibile. Eri, si è appreso in seguito, incinta di 8 settimane. Il tuo ragazzo ti ha sepolta sepolta in giardino. Eri ancora viva.

Manuel ha confessato l’omicidio. E visto che l’autopsia ha trovato nel tuo corpo anche tracce di un farmaco abortivo, è stato  accusato di avere costretto l’ interruzione di gravidanza. E sarebbe proprio questo il motivo per cui avete litigato e per cui lui avrebbe deciso di ucciderti.

Quello che invece sembrava strano era che Manuel avesse agito da solo. In un secondo momento, infatti, anche la madre del ragazzo e il suo compagno sono stati arrestati. «Chiara è una ragazza in forma», ha detto tuo padre, «pesa 70 kg, è alta 1 metro e 70, è impossibile che Manuel abbia fatto tutto da solo».

La tragedia è compiuta. Nessuno potrà restituirti la vita rubata. Con questo editoriale conserviamo la tua memoria affinchè la tua morte non sia vana e serva da lezione a questo mondo distratto, superficiale e sprovveduto, perchè la tua storia salvi altre giovani donne.

Riposa in pace.




ITALIA – A Verona la più grande manifestazione LGBT nel ventennale della Mozione omofobica n. 336

Una marcia dell’orgoglio lesbico, gay, bisessuale, transessuale e transgender, queer, intersex e asessuale (LEGBTQIA) attraverserà il centro di Verona, il 6 giugno 2015.  Il Verona Pride è un’occasione di mobilitazione di tutte le forze sociali e civili che si riconoscono nei valori fondamentali dell’antifascismo, dell’antisessismo, dell’antirazzismo e dell’uguaglianza, contro ogni forma di autoritarismo, di fondamentalismo religioso e politico, di violenza, per rivendicare un cambiamento politico e culturale radicale. Perchè Verona si rivela continuamente un laboratorio delle discriminazioni, delle intolleranze e dei crimini d’odio.

Proprio nel 2015 cade il ventennale della Mozione  n. 336 approvata dal Consiglio comunale (1995), che definiva l’omossessualità “contro natura” e impegnava il Comune a difendere la cosiddetta “famiglia naturale”, promuovendo un’omofobia istituzionale e legittimando in maniera inaccettabile la discriminazione contro le persone omosessuali. Con questa Mozione, Verona, di fatto, si chiamò fuori dall’Europa, respingendo l’applicazione delle direttive del Parlamento Europeo in tema di diritti civili e di pari opportunità.

Inoltre, nel 2014, il Veneto ha confermato il triste primato della Giunta regionale più omofobica e transfobica d’Italia, dando continue dimostrazioni di pregiudizio e ignoranza di fronte alle tematiche LGBT.

L’Italia è uno dei pochi stati dell’Unione europea in cui non esiste una legge contro le discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità  di genere, in cui le unioni tra persone dello stesso sesso non sono riconosciute e ancora non è possibile disporre liberamente del proprio genere. Per questo da mesi il Comitato del Verona Pride lavora alla promozione della marcia finale, che tra qualche giorno potrebbe diventare la più grande e partecipata manifestazione LGBT della storia del Nord Est.