LIBIA – Renzi: “Non è il tempo delle forzature, ma del buon senso e dell’equilibrio”

Dopo il rientro in Italia delle salme di Salvatore Failla e Fausto Piano, non si placano le polemiche circa un probabile intervento delle forze armate italiane in Libia, se da un lato il segretario della difesa americano Ash Carter afferma: «L’Italia, essendo così vicina, ha offerto di prendere la guida in Libia. E noi abbiamo già promesso che li appoggeremo con forza», dall’altra parte il presidente del consiglio Matteo Renzi dichiara cautamente che l’Italia potrebbe dare un apporto in Libia solo : “sulla base della richiesta di un governo legittimato” della Libia, e “comunque avrebbe necessità di tutti i passaggi parlamentari e istituzionali necessari”, inoltre, aggiunge “non è il tempo delle forzature, ma del buon senso e dell’equilibrio: queste le nostre parole d’ordine, ben diverse da chi immagina di intervenire in modo superficiale e poco assennato”. Se le parole di Renzi rispecchiato in toto il suo pensiero, potremmo esser certi che l’ipotesi di un’ intervento militare in Libia, risulterebbe assai remota, in quanto non vi è alcun governo libico legittimato, ma tribù in lotta tra di loro e la presenza dello Stato Islamico sempre più influente. L’unico pensiero che accomuna tutte le tribù è quello di rifiutare categoricamente ogni intervento “straniero”. Gli americani continuano a fare pressioni sul mondo intero affinché nello stato africano venga ristabilito il loro concetto di democrazia, senza pensare al sacrificio di vite umane e che probabilmente si stava meglio quando alla guida dello stato libico vi era Gheddafi.




LIBIA – Richiesta di riscatto per i 4 italiani rapiti

I quattro italiani rapiti in Libia sono vivi e nelle mani di un gruppo di malviventi che chiedono soldi. Nessun intento politico o richieste di scambi con scafisti nelle nostre galere, attraverso i mediatori dell’intelligence è arrivata la richiesta di riscatto per la liberazione di Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, i quattro tecnici sequestrati il 20 luglio nella zona di Mellitah.

Il sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti ha scartato nettamente l’ipotesi che i rapitori siano legati in qualche modo ai trafficanti arrestati nelle settimane scorse in Italia e che il sequestro possa essere utilizzato come “merce di scambio” per ottenere dall’Italia il rilascio dei detenuti. E’ una “via impercorribile” e quindi va esclusa. Minniti, nel corso di un’audizione al Copasir, ha detto che siamo di fronte a un sequestro a scopo estorsivo e quindi, pur nella difficoltà della situazione, la vicenda è più facilmente gestibile.

Il pericolo semmai è legato ad un allungamento dei tempi del sequestro oppure alla difficoltà di individuare le fonti con cui interloquire in Libia, fonti che siano attendibili e che possano portare in tempi rapidi a una soluzione della vicenda. L’incubo ovviamente è che i quattro possano essere venduti ad organizzazioni jihadiste in qualche modo legate all’Isis.

Il premier di Tripoli Khalifa al Ghweil ha considerato anche lui “molto scarsa” la probabilità che il rapimento abbia una relazione con i trafficanti. Al Ghweil è convinto che gli autori possano essere “criminali che vogliono turbare le relazioni che vogliamo instaurare con l’Italia”. Ma è il caos politico nel Paese che rende per l’Italia più complicata la vicenda. Il premier di Tripoli non è infatti il governo riconosciuto a livello internazionale. Cosa che invece è il governo di Tobruk. E quindi le parole di Khalifa al Ghweil possono essere interpretate anche come un “avvertimento”.

Gentiloni: “Serve prudenza” – Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni dal canto suo ha chiesto “prudenza e riserbo per riportare a casa” gli italiani e ha invitato a “non inseguire il carosello di rivendicazioni, ipotesi e retroscena che vengono fatti in modo più o meno strumentale”. Sulla stessa linea il titolare del Viminale Angelino Alfano.

Intanto a Sirte, dove negli ultimi mesi si è rafforzata la presenza dell’Isis, si sono verificati violenti combattimenti tra la Brigata 166 dei Fratelli Musulmani e gruppi affiliati allo Stato Islamico. Critica la situazione anche a Bengasi, dove si susseguono gli scontri fra l’esercito e formazioni islamiste.