ITALIA – NON UNA DI MENO Roma, 26 novembre 2016 RACCONTO PER IMMAGINI Dal giorno alla notte

di Andrea Zennaro

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Piazza della Repubblica. Esponenti dell’associazione Toponomastica femminile si preparano a sfilare nel corteo.

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Ecco una bambina che crescerà sana e libera da quegli stereotipi sessisti che conducono sì tanti uomini a commettere violenza ma anche tante donne a considerare se stesse come proprietà dell’uomo di turno e ritenere normale lavare i piatti per qualcuno e assecondarne i capricci.

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“Non è un caso isolato, si chiama patriarcato” è forse il più significativo degli slogan che circolavano sabato scorso: la violenza di genere non dipende soltanto dall’indole personale di un uomo ma soprattutto dalla cultura con cui è cresciuto. Certo che il carattere individuale influisce (insieme alla quantità di alcol ingerita), ma è molto più probabile che “perda la testa” (diciamo così…) chi è convinto che a lasciarlo sia non una persona libera ma un oggetto di sua proprietà.

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Due cartelli accostati. Il primo dimostra la bassezza morale culturale e umana di chi arriva a picchiare altre persone. Il secondo è in arabo. Qualunque sia il significato letterale delle parole che lì sono scritte, la lingua scelta sta già palesemente puntando a rompere degli stereotipi: diversamente da come molti vorrebbero oggi far credere, la violenza sulle donne non è legata all’immigrazione ma deriva dalla mentalità misogina assai radicata anche in Europa.

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Un volto e uno sguardo che mostrano forte tensione e determinazione. E un gesto che urla tanto forte da coprire il silenzio mediatico con cui è stata accolta la manifestazione: erano presenti a Roma almeno 200.000 donne e uomini, un corteo immenso che a fatica è confluito tutto in piazza San Giovanni e che dalla cima di via Cavour ha invaso tutta via Labicana rendendovi difficile il muoversi, eppure le televisioni e i giornali principali hanno a malapena accennato a un evento di tale portata. Non vale lo stesso per la cosiddetta stampa “not embedded”, quei pochi siti e giornali (il Manifesto in primis e, ovviamente, molti siti di donne) che la voce l’hanno sempre alzata e mai hanno nascosto notizie scomode.

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Due ragazze parlano. Sono molto giovani, come tante delle partecipanti alla manifestazione. Una bella lezione per chi sperava di vedere Roma riempita solo da signore con i capelli bianchi, le stesse che erano state protagoniste del Femminismo “storico”, quello degli anni ’70 del Novecento, tacciate allora di volgarità ed esibizionismo. Queste due fanciulle hanno volti delicati e gentili, tutt’altro che rispondenti a tali accuse. Sulle loro teste passa lo slogan principale di quella giornata, slogan che si interrompe su una delle teste per essere proseguito nell’altra: NON UNA DI MENO. Quel rosso della fascia sottolinea la dolcezza dei loro sguardi.

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“Non sono le donne a dover imparare a difendersi ma gli uomini a dover imparare ad amare”.

Ma come insegnarglielo senza coinvolgerli? Proprio per questa ragione la presenza maschile nel corteo lo ha arricchito molto più di quanto avrebbero fatto le “separatiste” che uomini intorno non ne volevano.

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“Siamo le pro-pro-pronipoti delle streghe che non siete riusciti a bruciare”. Già le femministe degli anni ’70 scandivano spesso frasi come “Tremate tremate, le streghe son tornate”. I riferimenti culturali e storici non mancano: il primo, fin troppo evidente, è alle responsabilità della Chiesa cattolica nella diffusione della mentalità maschilista. Il secondo, meno immediato ma non meno pertinente, lo si potrebbe trovare nel contesto storico e sociale del Medioevo e del Rinascimento: le streghe che venivano arse sul rogo in alcuni casi erano effettivamente convinte di avere poteri soprannaturali o venivano denunciate da qualcuno davvero convinto di averle viste praticare magia nera, ma in molti altri casi si trattava di donne anziane ed emarginate che mettevano in mostra i loro particolari poteri o a volte addirittura li inventavano dal nulla per ottenere una fama e un rispetto che la società del tempo negava a una donna sola.

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Foto scattata in via Cavour nella primissima fila del corteo. Davanti allo striscione di apertura stava questa signora, di cui età e connotazione appaiono evidenti: il gesto delle sue mani, che simboleggia il Femminismo “classico” non lascia spazio ad equivoci.

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Via dei Fori Imperiali. A metà di un corteo che appare ormai enorme, molto al di sopra delle aspettative, si nota questo cartello che fa riferimento a due temi in particolare: l’omosessualità e l’aborto. Se non fosse stato per i diktat del Vaticano, l’Italia non sarebbe rimasta l’ultimo Paese europeo a legalizzare le unioni omosessuali prima e a concederle soltanto a metà poi. È di nuovo per gli stessi diktat che negli ospedali pubblici è ormai quasi impossibile interrompere una gravidanza indesiderata: quasi l’85% dei medici italiani è obiettore. Con tutto il rispetto per l’obiezione di coscienza in sé, grazie alla quale è stato abolito il servizio militare obbligatorio; in realtà alcuni dei suddetti medici, tuttavia, gli aborti li praticano eccome, ma a pagamento nelle loro cliniche private. D’altronde, chi è contrario a portare le armi può benissimo non fare il militare e scegliere un lavoro consono alle proprie idee, ma chi non vuole praticare aborti, perché deve fare proprio il ginecologo?

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Via Labicana. Ulteriori indicazioni geografiche non servono. La densità della folla è evidente. Il Sole e la temperatura ormai cominciano a calare notevolmente, ma la partecipazione e la determinazione no. 

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Di nuovo su via Labicana, davanti alla Gay Street di Roma. Dietro il camion continua a passare di mano in mano questo cartello: “Sex work is work”, il “lavoro sessuale” è un lavoro: anziché mettere in vendita il proprio corpo sotto forma di forza lavoro per servire ai tavoli o fare pulizie o andare in fabbrica, alcune persone rivendicano il diritto di venderlo sotto forma di prestazione sessuale retribuita. In ogni caso la tratta di donne, quasi sempre immigrate, sempre più frequente ai tempi della globalizzazione, resta un crimine e non un lavoro.

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Il corteo arriva in piazza San Giovanni. Ecco una trampoliera, circondata dai palloncini. Rappresenta la parte più allegra delle donne, provenienti dalle varie scuole e accademie di arti circensi: sebbene nessuno le abbia citate, erano anche loro presenti e numerose.

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Piazza San Giovanni. Due cartelli molto significativi. Subire violenza non è mai colpa della vittima. Eppure dopo uno stupro quante volte si sentono dire frasi idiote come “se l’era cercata” o “ma guarda come andava in giro vestita”? L’altro cartello è utile per chiarire un equivoco pericoloso e fuorviante, quello che considera sinonimi i termini “uomo” e “stupratore”. Gli stupratori non sono uomini, ma bestie.

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Piazza San Giovanni. La manifestazione è finita e la gente si disperde. Ne restano le tracce: le scritte di vernice a terra e la soddisfazione negli animi.  Queste parole in particolare, NO SESSISMO, riassumono l’intera giornata e ognuno dei suoi temi specifici.

 

 




Nell’Italia dei mostri la vita non ha peso

Il padre di Chiara chiede che non vengano fatti sconti nel processo di secondo grado. Non per vendetta, perché anche quei 20 anni comminati in primo grado a Falcioni non gli restituiranno mai quel fiore che si sta lentamente ma inesorabilmente seccando tra le sue mani, giorno dopo giorno. Ma per sete di Giustizia, la stessa che ha spinto Giorgio Sandri e la sua famiglia a portare avanti quella battaglia contro i cavilli della legge, quelle pieghe della Giustizia in cui gli avvocati della difesa cercano di infilarsi per ottenere sconti di pena. La difesa di Falcioni punta ora sul ravvedimento, sul pentimento del loro cliente. E quell’intervista uscita una settimana fa, in cui Falcioni dice di “non vivere più per il rimorso”, è come un’esca buttata in mare, con la speranza che qualche pesce abbocchi.

Pena ridotta in appello anche per Davide Morrone, 18 anni, il giovane che nel maggio del 2013, quando era ancora minorenne, uccise a Corigliano Calabro (Cosenza) la fidanzata sedicenne, Fabiana Luzzi, bruciandone il corpo quando era ancora viva.

I giudici della sezione minorenni della Corte d’assise d’appello di Catanzaro, accogliendo la richiesta dei difensori, Giovanni Zagarese ed Antonio Pucci, hanno riconosciuto la seminfermità mentale dell’imputato, adottando una decisione diametralmente opposta rispetto a quella dei loro colleghi di primo grado, che avevano invece rigettato l’istanza dei due legali. È stata esclusa, inoltre, l’aggravante della premeditazione.

I genitori di Fabiana, Mario e Rosa Luzzi, hanno espresso contrarietà e amarezza per la riduzione di pena decisa dai giudici. Nei loro cuori resta l’amarezza e il dolore per la sorte subita dalla figlia, colpevole soltanto di avere riservato un’eccessiva fiducia nei confronti di un ragazzo rivelatosi un assassino. Quella fiducia che il giorno dopo l’omicidio la indusse ad accettare la proposta di Davide, che andò a prenderla all’uscita della scuola frequentata dalla ragazza e a salire in sella allo scooter del giovane per andare a «chiarire» in un posto isolato alcune questioni per le quali negli ultimi tempi avevano avuto vivaci discussioni. Questioni banali, come quelle che possono esserci tra ragazzi appena affacciatisi alla vita ed alle sue mille implicazioni, ma che nella mente di Davide Morrone, evidentemente, era diventate patologicamente importanti al punto da indurlo ad accoltellare la fidanzata ed a bruciarne il corpo. Tale era l’odio che aveva accumulato nei confronti della ragazza.

Quel che all’epoca fece scalpore fu non soltanto la confessione di Davide Morrone, ma soprattutto la sua rivelazione di avere bruciato il corpo della ragazza quando era ancora viva e tentava disperatamente di difendersi. Una crudeltà ed una determinazione assolutamente inspiegabili.




KURDISTAN – Le donne lanciano e firmano l’appello contro il femminicidio

L’appello

“La mentalità patriarcale e la complicità fra AKP e daesh è il segno più atroce del femminicidio.
Il movimento delle donne curde in Europa TJKE e la rappresentanza internazionale del movimento delle donne curde, l’ ufficio delle donne curde per la pace CENI, la fondazione internazionale delle donne libere, la casa delle donne Utamara, la fondazione Roj women, la fondazione Helin, e tutte le assemblee popolari delle donne curde in Europa conadanniamo fermamente l’ esecuzione di Kevser Elturk (Ekin Van), combattente delle YJA STAR torturata e uccisa dai militari turchi ed esposta nuda in modo disumano nel centro della città di Varto nel Kurdistan turco. L’onta e il disonore di questo gesto resterà scritto nella storia.
Nel nome del regno del sultanato la mentalità dell’AKP rigetta l’umanità sulla via della morte, continuando a percorrere la via della guerra, con il solo scopo di demoralizzare la resistenza delle donne curde. Keveser Elturkè il simbolo della resistenza delle donne curde. Come donne curde e del mondo chiediamo giustizia per questo gesto orribile. In tutte le guerre conosciute nella storia del mondo, le donne sono state utilizzate come bottino di guerra. Oggi in Irak le donne continuano ad essere vendute nei mercati della schiavitù sessuale. L’ immagine delle donne curde trainate a terra dai carri armati turchi e i loro corpi esposti nudi nei media sono ancora attuali.
La mentalità conservatrice e patriarcale non sopporta l’ ideologia della liberazione delle donne, che appartiene ai valori dell’ umanità. Le atrocità inflitte a Keveser Elturk sono la rappresentazione della mentalità maschile degli anni ’90 che si ripropone oggi. L’ etica del disonore si concretizza con la complicità fra AKP e daesh. La cultura dello stupro che ha messo in atto il femminicidio di Ekin Van è la conseguenza della continua guerra nei confronti del diritto alla legittima difesa delle donne curde, oggi simbolo della resistenza delle donne di tutto il mondo. Come movimento delle donne curde e associazioni di donne curde ci uniamo e sosteniamo questo appello del KJA, e denunciamo questa politica incosciente e disumana portata avanti dalla polizia dell’ AKP contro le donne. Di conseguenza resistiamo contro la mentalità dell’ AKP, come i combattenti YPG hanno sconfitto il califfato di daesh.
Lanciamo un appello all’ opinione pubblica, alle organizzazioni dei diritti umani, alle femministe a tutte le associazioni sensibili a questa situazione ad essere solidali alla nostra causa e ad unirsi nella lotta contro questa guerra e femminicidio messo in atto dall’ AKP.
Riscriviamo la storia, costruiamo insieme il confederalismo democratico, rafforziamo la nostra autodifesa contro la mentalità patriarcale”.
Parigi 19/08/2015
ORGANIZAZIONE FIRMATARI
TJK-E- Europa; Le Assemblee Popolari delle Donne Curde in Europa; IRKWM-Europa; CENI- Germania; IFWF-Olanda; UTAMARA-Germania; Fondazione Roj Women- UK; Fondazione Helin; ….




ITALIA – Due passi per Modena e per le strade femminili che non ci sono (Parte seconda)

Di Roberta Pinelli

A partire dagli anni Sessanta qualcosa cambia a Modena nei criteri adottati per le scelte odonomastiche e sarà forse per la nomina di una donna nella Commissione Toponomastica che nel 1961 furono dedicati a donne ben cinque toponimi: due letterate (Grazia Deledda e Ada Negri), una musicista (Cecilia Paini), una partigiana (Gabriella Degli Esposti), una donna di potere (Matilde di Canossa).

1.Modena-Via Ada Negri-foto di Roberta Pinelli

2. Modena-Via Grazia Deledda-foto di Roberta Pinelli

Figlia di Giovanni, suonatore di corno da caccia, Cecilia Paini ancora in tenera età seguì il padre che per lavoro si era trasferito a Parigi. Qui studiò al Conservatorio di musica dove, precocissima, conseguì il I premio in arpa e solfeggio. A 11 anni dette alcuni concerti in Francia e venne considerata una bambina prodigio. Con un decreto del 23 marzo 1843 la duchessa di Parma la nominò arpista della Ducale Orchestra. Fu al servizio del Ducato di Parma fino al 1859, poi rimase al Teatro Regio di Parma fino al 1875. Nel 1876 si trasferì a Modena, dove aveva sposato un certo Eugenio Zoboli, da cui ebbe due figli. Dedicatasi all’insegnamento, fu sempre attorniata da grande ammirazione. Morì a Modena nel 1922.

3.Modena-Via Cecilia Paini-foto di Roberta Pinelli

Gabriella Degli Esposti con il nome di battaglia di Balella partecipò fin dall’inizio alle attività della Resistenza nel modenese, prodigandosi anche per la formazione dei primi Gruppi di Difesa della Donna, nonostante fosse madre di due bambine e incinta del terzo figlio. Coordinatrice della IV Zona partigiana, fu arrestata dalle SS il 13 dicembre 1944 durante un rastrellamento, rifiutò di parlare e fu giustiziata insieme ad altri 9 compagni di prigionia. Prima della fucilazione fu brutalmente torturata. In suo onore fu chiamato “Gabriella Degli Esposti” l’unico distaccamento partigiano formato esclusivamente da donne. Le è stata assegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

4.Modena-Via Gabriella Degli Esposti-foto di Roberta Pinelli

Passarono altri 10 anni prima che comparissero nuove targhe dedicate alle donne; nel 1971 furono intitolate due strade a Gaetana Agnesi e Marie Curie, precedute nel 1966 da una partigiana (Irma Marchiani) e da due dee dell’antichità, Cerere e Igea, e nel 1969 da una straordinaria figura di benefattrice, Marianna Saltini.

5.Modena-Via Gaetana Agnesi-foto di Roberta Pinelli

6.Modena-Via Marie Curie-foto di Roberta Pinelli

7.Modena-Via Irma Marchiani-foto di Roberta Pinelli

8.Modena-Via Marianna Saltini-foto di Roberta Pinelli

Nata a Carpi nel 1889, a 21 anni Marianna Saltini sposò il sarto Arturo Testi, ma rimase vedova a 39 anni con 6 figli. Decise di affidare alcuni dei figli ai parenti e di mandare i più grandi in collegio, per potersi dedicare ad allevare le figlie dei poveri. Da quel momento fu per tutti “Mamma Nina”, da qualcuno definita anche “la matta che aveva abbandonato i figli suoi per quelli degli altri”. Solo nel marzo del 1936 il vescovo approvò, e solo provvisoriamente, la sua opera e il Comune di Carpi le concesse in uso il Palazzo Benassi. Sorella di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, Mamma Nina allevò e continuò ad occuparsi di migliaia di bambine povere, insegnando loro un mestiere e togliendole dalla miseria e dai rischi della strada. Fondata a Carpi, ma con sedi in molti comuni della provincia di Modena, ancora oggi l’istituzione benefica da lei creata è attiva e ha mantenuto il nome di “Casa della Divina Provvidenza”.

Nel 1985 fu aperto il processo di beatificazione che nel 1988 dichiarò Mamma Nina “serva di Dio”.

Nel 1982 una parte dell’anello della tangenziale che circonda Modena è stato intitolato al Premio Nobel per la Letteratura Gabriela Mistral, mentre nel 1986 una stradina periferica viene dedicata a una vittima di femminicidio, novella Maria Goretti modenese: Maria Regina Pedena.

 9.Modena-Tangenziale Gabriela Mistral-foto di Roberta Pinelli

10.Modena-Via M.Regina Pedena-foto di Roberta Pinelli

Il 19 luglio 1827, attirata con l’inganno in casa di Eleuterio Malagoli, liutaio, invaghitosi di lei, resistette ai suoi approcci. Infuriato per la resistenza della ragazzina (Regina aveva solo 14 anni), Eleuterio Malagoli l’accoltellò più volte. All’arrivo della polizia Maria Regina Pedena era già morta e il Malagoli tentò il suicidio.

Il 24 luglio 1827 si tennero i solenni funerali della ragazza, cui fece seguito una sorta di devozione, che però svanì ben presto, consentendo che i suoi resti fossero inumati in una fossa comune. Nel 1973, a cura di un comitato promotore del processo di beatificazione, i resti di M.Regina Pèdena furono traslati nel Santuario della Madonna del Murazzo di Modena, dove sono tuttora conservati.

Nel 1990 ecco la targa e la scuola media intitolate a Luisa Guidotti Mistrali.

11.Modena-Via Luisa Guidotti Mistrali-foto di Roberta Pinelli

Luisa Guidotti Mistrali nacque a Parma nel 1932 e nel 1947 si trasferì definitivamente a Modena. Dopo la maturità scientifica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Modena, dove si laureò nel 1960, acquisendo poi nel 1962 la specializzazione in Radiologia.

Entrata nell’Associazione Femminile Medico-Missionaria da laica, dopo un periodo di tirocinio religioso fra Modena e Roma, nel 1966 venne destinata alle missioni nella Rhodesia (l’attuale Zimbabwe). Nel 1969 fu assegnata definitivamente all’ospedale “All Souls” di Mutoko nella provincia del Mashonaland Orientale.

A Mutoko in realtà l’ospedale consisteva in alcune capanne di paglia e fango che in pochi anni, sollecitando la generosità degli amici italiani, Luisa riuscì a trasformare in edifici in muratura, aprendo anche una scuola per infermiere e un orfanatrofio. Già nel 1971 l’ospedale era in grado di accogliere annualmente oltre 5.000 ammalati e contava più di 400 nascite all’anno.

Oltre al lavoro nell’ospedale, si recava periodicamente al lebbrosario di Mutema, dove i pazienti erano pressoché abbandonati, e nei villaggi vicini per assisterne i malati.

Nel 1976 venne arrestata dalla polizia con l’accusa di aver curato un ragazzo, presunto guerrigliero, rischiando la condanna a morte per impiccagione. Rilasciata dopo quattro giorni, fu tenuta per due mesi in libertà provvisoria vicino a Salisbury. Venne poi assolta per le forti pressioni esercitate dalla Santa Sede e dal governo italiano. La situazione a seguito della guerra divenne sempre più pericolosa e molti missionari furono costretti ad andarsene dalla Rhodesia. Luisa Guidotti subì delle minacce, ma non volle abbandonare l’ospedale e vi rimase, unica occidentale, insieme alle infermiere africane. Il 6 luglio 1979 con l’ambulanza dovette accompagnare una partoriente a rischio all’ospedale di Nyadiri. Sulla via del ritorno venne fermata ad un posto di blocco dall’esercito governativo. All’improvviso, partirono due raffiche di mitra da entrambi i lati della strada e un proiettile colpì la dottoressa, recidendole l’arteria femorale e provocandone la morte per dissanguamento. Aveva da poco compiuto 47 anni.

Nel 1983 le fu intitolato l’ospedale “All Souls” di Mutoko. Nel 1988 il vescovo di Modena fece traslare i suoi resti nel Duomo e dal 2006 è aperta la causa di canonizzazione.

Nel 1996 ecco un’altra musicista, la soprano modenese Teresina Burchi, e nel 1998 Madre Teresa di Calcutta ed Elsa Morante.

Nel 2011 quattro furono le targhe modenesi dedicate alle donne: Natalia Ginzburg, Sibilla Aleramo, Gina Borellini e Fausta Massolo.

12.Modena-Via Natalia Ginzburg-foto di Roberta Pinelli

13.Modena-Via Sibilla Aleramo-foto di Roberta Pinelli

14.Modena-Via Gina Borellini-foto di Roberta Pinelli

Gina Borellini nacque a San Possidonio, da una famiglia di agricoltori, nel 1924. Si sposò a soli 16 anni con Antichiano Martini, di professione falegname. Insieme al marito, dopo l’8 settembre 1943, partecipò attivamente alla Resistenza come staffetta partigiana e soccorrendo militari sbandati. Nel 1944 furono entrambi catturati, arrestati e torturati. Dopo la fucilazione del marito entrò nella Brigata “Remo”. Il 12 aprile 1945, a seguito di uno scontro a fuoco con i fascisti, venne ferita e perse una gamba.

Nel 1946 fu eletta al consiglio comunale di Concordia e due anni dopo entrò in Parlamento nelle file del Partito Comunista Italiano. Fu Deputata della Repubblica nella I, II e III legislatura e fece parte della Commissione Difesa della Camera.

Fu tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane, presidente dell’UDI di Modena per molti anni e presidente della sezione di Modena dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra dal 1960 al 1990.

È stata insignita del titolo di Commendatore della Repubblica e della medaglia d’Oro al Valor Militare. È morta a Modena nel 2007.

15.Modena-Via Fausta Massolo- foto di Roberta Pinelli

Fausta Massolo nacque ad Arquata Scrivia (AL) nel 1935. Dopo gli studi in Medicina, nel 1966 si trasferì a Modena, dove sarebbe rimasta poi per tutta la vita. Diventata Primaria di Pediatria, nel 1984 fu nominata Direttrice della nuova Divisione di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Modena, da lei fortemente voluta e che avrebbe diretto fino al 1999.

Pioniera non solo nelle cure mediche (fu uno dei primo oncologi pediatrici a sperimentare cure allora pionieristiche), Fausta Massolo sostenne e incoraggiò anche la presenza in ospedale di diverse figure professionali: maestre, insegnanti, psicologi/ghe, che fornissero al bambino ricoverato una accoglienza completa.

Scomparve prematuramente il 7 settembre 1999, amata e rimpianta dai collaboratori, dai pazienti e dalle loro famiglie. Nel maggio 2014, un accordo fra Comune e Provincia di Modena, Associazione Famiglie Malati di Oncoematologia Pediatrica, Policlinico e Azienda Casa Emilia Romagna ha dato il via alla costruzione di una “casa lontano da casa”, una palazzina di 15 appartamenti da destinare ai bambini che necessitano di lunghi periodi di cura e alle loro famiglie: “La casa di Fausta”.

Nel 2013 sono state quattro le targhe femminili aggiunte: Santa Liberata, le tabacchine, dette alla modenese Paltadori, Gaspara Stampa e la partigiana Caterina Zambelli.

16.Modena - Via Caterina Zambelli - foto di Roberta Pinelli

La famiglia Zambelli di Bomporto (MO) partecipò attivamente alla lotta partigiana, nel rifiuto delle requisizioni, nella raccolta di armi e viveri, nelle azioni di disarmo, sabotaggio, distruzione di armi nemiche: il padre Angelo fu partigiano della Brigata Tabacchi, i figli combattenti, le figlie staffette o fiancheggiatrici del movimento della Resistenza. Sette dei tredici membri della famiglia furono uccisi in ritorsioni nemiche: il capofamiglia Angelo, con il genero Bozzali Quinto e il nipote Pellacani Fabio, fu arrestato e fucilato a Navicello di Modena il 9 marzo 1945. Caterina Bavieri Zambelli, moglie di Angelo, che aveva 60 anni, fu arrestata a metà febbraio 1945, condotta all’Accademia Militare e torturata; fu poi liberata, ma assassinata il 27 marzo 1945 insieme alla figlia Iride. Il figlio Floriano fu ucciso in una rappresaglia con altri partigiani nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1945; l’altro figlio Renato arrestato durante il rastrellamento del 17 febbraio, morì sotto le torture nemiche.

 Nel luglio del 2015 è stata infine approvata l’intitolazione di una stradina a Margherita Hack, mentre ancora non si è arrivati a ricordare con un toponimo Rita Levi Montalcini, richiesta presentata fin dal 2013.

Per le vie di Modena si può dunque fare un viaggio nel tempo e nella mentalità che ha contribuito a modificare l’immaginario femminile.

Si può anche scoprire come pure la progredita Modena, dove la presenza e la partecipazione delle donne alla vita pubblica è sempre stata ragguardevole, non si differenzi per niente dalle realtà più restie a dare spazio alla memoria delle donne, nemmeno di coloro che hanno avuto un ruolo nella storia della città.




ITALIA – Fotografando Cosenza

di Livia Capasso e Maria Pia Ercolini

Leggiamo dal censimento operato da Toponomastica femminile nell’omonimo sito, che le strade, i larghi, le piazze a Cosenza sono 955, di cui appena 48 dedicate a donne, a cui si aggiungono un giardino in memoria di Matilde Serao e un parco per Grazia Deledda.

Molti odonimi alludono a località geografiche, altri ricordano l’esistenza di botteghe, come la piazza dei Follari, dove si vendevano i bozzoli del baco da seta (detti appunto follari), o via dei Pettini, dove i venditori di pettini esponevano la mercanzia, oppure il rione Pignatari, legato alla presenza di artigiani produttori di pentole di terracotta (le pignatte). Singolari anche le vie Paparelle e Cannuzze, la Giostra Vecchia, gli Archi di Ciaccio e Portapiana. Degna di nota è peraltro la via Popilia, un’arteria romana costruita nel 132 a.C. da Publio Popilio, che portava da Capua a Reggio Calabria.

Recentemente gli addetti alla toponomastica si sono accorti della forte disparità nelle intitolazioni tra uomini e donne, e nelle ultime delibere sono state privilegiate le figure femminili, per cui ora l’odonomastica cosentina annovera anche una medica, sindacaliste, attiviste politiche, vittime di violenza.

01.Cosenza_SantaLucia.MPErcolini.ridotta

Foto di Maria Pia Ercolini

Due le sante presenti nell’odonomastica della città, S. Teresa e Santa Lucia. A quest’ultima sono dedicati 11 toponimi tra via, vicoli e vicoletti. La vergine e martire Lucia è una delle figure più care alla devozione cristiana. Vissuta a Siracusa, sarebbe morta martire sotto la persecuzione di Diocleziano (intorno all’anno 304). Nella lista dei primi 20 odonimi italiani è seconda dopo S. Maria.

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Foto di Maria Pia Ercolini

Il largo delle Vergini prende nome dall’omonima chiesa, annessa all’ormai soppresso Monastero delle Vergini. L’edificio nacque nel 1515 dalla fusione di due conventi cistercensi femminili, destinato a ospitare ragazze delle nobili famiglie cosentine; fu danneggiato dal forte terremoto che colpì la città di Cosenza nel 1639. Nel 1808, lasciò posto a un orfanotrofio e oggi ospita l’Istituto Educativo Femminile S. Maria Delle Vergini.

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Foto di Maria Pia Ercolini

Col nome di Olimpia, Lucrezia della Valle entrò a far parte dell’Accademia Telesiana, sorta a Cosenza nel 1509. Compose 42 sonetti, 1 canzone, 3 sestine, 6 ballate e un capitolo sull’amore platonico, dove l’amore è presentato come un’esperienza propedeutica alla riflessione religiosa. Scrisse anche un libro sull’eleganza della lingua latina e un altro, perduto, sull’arte poetica. I critici la avvicinano per stile a Vittoria Colonna. Madre del letterato Sertorio Quattromani, morì nel 1622 e fu sepolta nel Duomo di Cosenza. In città porta il suo nome anche un istituto scolastico.

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Foto di Maria Pia Ercolini

Emanuela Setti Carraro (Borgosesia, 1950 – Palermo, 3 settembre 1982), infermiera, e volontaria della Croce Rossa italiana, sposò il generale e prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, rimasto vedovo e di 30 anni più anziano. Ma appena due mesi dopo il matrimonio, a soli 31 anni, rimase vittima a Palermo dell’attentato mafioso in cui persero la vita anche il generale e l’agente di scorta. Emanuela risulta contitolare della via insieme al marito, ma nella targa il suo cognome non compare.

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Foto di Maria Pia Ercolini

Stessa sorte anche a Francesca Morvillo (Palermo, 1945 – Palermo, 23 maggio 1992), accomunata nella targa al marito, ma senza memoria del suo cognome. Francesca, magistrata, fu uccisa nella strage di Capaci insieme al marito, Giovanni Falcone, giudice antimafia, e agli uomini della scorta.

06.Cosenza_DeRose-Aiello.MPErcolini.ridotta

Foto di Maria Pia Ercolini

Sono ricordate qui due vittime della strada; Cosenza dedica anche un’altra via a una vittima di incidenti stradali, Natascia Berlingieri.

07.Cosenza.Nosside.MPErcolini.ridotta

Foto di Maria Pia Ercolini

Nosside (Locri Epizefiri, IV sec a.C. circa – III sec. A.C. circa) è stata senza dubbio la più grande poetessa greca di età ellenistica. Le sue poesie appartengono al filone epigrammatico, e, come quelle di Saffo, sono un inno alla vita, alla bellezza femminile e alla dolcezza dell’amore, ma se ne distinguono per una velata impostazione filosofica.

08.Cosenza.AnnaLucente.MPErcolini.ridotta

Foto di Maria Pia Ercolini

Anna Lucente (Aprigliano, 1930 – Cosenza, 2008), figura dal forte impegno sociale e politico, militante comunista e antifascista, ha lottato con forza e determinazione per l’emancipazione delle donne. Impegnata nell’amministrazione della città di Cosenza, ha sostenuto numerose battaglie sociali: per la casa, per i servizi, per la sicurezza e la legalità del territorio.

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Foto di Maria Pia Ercolini

Roberta Lanzino, giovane studentessa cosentina, è stata vittima di femminicidio. Il 26 luglio 1988 stava raggiungendo col suo motorino i genitori che erano nella loro villetta al mare, a San Lucido. Sulla strada del valico fu aggredita da due sconosciuti che la colpirono al collo e alla testa con un coltello, la violentarono e la soffocarono. Ancora oggi non si conosce la verità su questo caso. Un anno dopo la sua morte, i genitori hanno dato vita alla Fondazione che porta il nome della figlia, e si occupa di dare sostegno economico e legale a donne e minori in difficoltà; è stata anche creata la Casa di Roberta, nel Comune di Rende, per accogliere e dare ospitalità a donne e minori costretti a lasciare la propria casa per violenza sessista.

Cosenza rende omaggio ad altre due vittime di femminicidio: Anna Morrone e la giornalista Maria Rosaria Sessa.

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Foto di Maria Pia Ercolini

Lisa Bilotti (1969 – 1989), figlia dell’imprenditore e mecenate cosentino Carlo Bilotti, scomparve a vent’anni per leucemia. Grazie al facoltoso collezionista e imprenditore internazionale nel campo della cosmetica, oggi Corso Mazzini, storico fulcro della vita sociale della città, trasformato in isola pedonale, si è arricchito dei lavori di artisti di fama internazionale, dando vita al Museo all’aperto Bilotti.




ITALIA – Bari: uno stradario al maschile

Ci sono molti modi per conoscere una città. La prima cosa che facciamo quando dobbiamo visitare un nuovo territorio alla scoperta dei nostri punti di interesse è affidarci a uno stradario. Ma lo stradario non è uno strumento neutro che ci condurrà solo verso destinazioni ignote. Attraverso le strutture fisiche fatte di strade, viali, giardini, piazze e spazi pubblici che contribuiscono a definire lo scenario urbano e a decidere del carattere della città, lo stradario con il suo carico di memoria nel quale restano intrappolate le tradizioni e la storia della comunità, partecipa a definire l’identità del suo territorio. Ci trasmetterà informazioni importanti sulla sua stessa essenza: è una città che vuole ricordare il suo passato o lo ha rimosso? In che modo lo rievoca? Sarà stata ‘giusta’ nel distribuire i diversi tributi alla memoria o sarà una memoria mutilata? Quale immagine vuole fornire di sé?

Bari neo città metropolitana di oltre 300.000 abitanti, dedica solamente 90 strade alle donne, contro ben 1220 intitolate agli uomini, su una rete viaria di oltre 2.200 aree di circolazione. Più della metà degli spazi urbani sono dedicati a politici, uomini della storia locale nazionale ed estera, statisti, pontefici e solo un modesto 7% ricorda donne che per buona parte sono sante, madonne, suore e martiri, principalmente concentrate nel nucleo antico della città e nel quartiere murattiano, mentre le laiche, sparse qua e là nel resto del territorio urbano, sono appena una quarantina. Una sola scienziata, appena sette letterate e una trentina di figure storiche la maggior parte delle quali appartenente alla casa Savoia. Le donne della politica locale sono un numero minimo rispetto alle numerosissime intitolazioni maschili presenti ovunque: sono l’assessora leccese Renata Fonte assassinata dalla mafia, la prima sindaca pugliese Maria Chieco Bianchi, Ada del Vecchio Guelfi impegnata nella lotta per la parità e i diritti delle donne, Luigia de Marinis prima donna nel consiglio comunale a Bari e Giustina Rocca di Trani, passata alla storia come prima avvocata al mondo.

Con il lavoro fatto da Toponomastica femminile, lo stradario di Bari con i suoi numeri ci parla e ci descrive una città ‘distratta’ che, come molte altre, ha privilegiato la memoria storica dei suoi uomini, dimenticando il contributo importante e fondamentale di tante donne meritevoli di ricordo. Ma le scelte toponomastiche sono anche figlie del tempo nel quale le intitolazioni sono effettuate: e ora è arrivato il momento di prendere decisioni iverse in direzione della parità di genere e del rispetto dell’intera comunità, i tempi sono maturi. Lo richiede la Storia, ma dovrebbe essere la scelta etica di una città moderna e con ambizioni metropolitane.

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Largo Susan Sontag

Scrittrice e saggista statunitense, ha studiato presso le università di Chicago, Harvard e Oxford.  Autrice di quattro romanzi, una raccolta di racconti, diverse opere teatrali e saggi, tra i quali La malattia come metafora e L’AIDS e le sue metafore. I suoi libri sono tradotti in trentadue lingue. Nel 2001 ha ricevuto il Premio Gerusalemme, nel 2003 il Premio Principe delle Asturie per la letteratura e il Premio per la Pace dei librai tedeschi.

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Via Renata Fonte

Segretaria cittadina del Partito Repubblicano, assessora alla cultura e alla pubblica istruzione nel Comune di Nardò, Renata Fonte era una donna forte, determinata e molto impegnata nel sociale e nella difesa del parco naturale di Porto Selvaggio dalla lottizzazione e dalla speculazione edilizia. Viene uccisa con tre colpi di pistola la notte del 30 marzo 1984, mentre raggiunge la sua abitazione a Nardò, in provincia di Lecce.

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Largo Candida e Ave Stella

Candida e Ave Maria Stella sorelle torinesi, insegnanti di lettere, si trasferirono a Bari impegnandosi nell’Azione Cattolica e a favore degli immigrati costituendo il CISCAI (Centro Internazionale Scambi Culturali e Accoglienza Immigrati). Verso la fine degli anni Cinquanta fondarono il circolo culturale “Il Leggio” che svolse un importante ruolo nella cultura barese.

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Via Luigia De Marinis

Tabacchina della Manifattura nel dopoguerra, Luigia De Marinis è stata la prima  donna eletta nel consiglio comunale di Bari nelle liste del Partito Comunista. Fu una delle protagoniste delle battaglie sindacali tra gli anni Cinquanta e Sessanta, per la difesa dei diritti della donna e per il riconoscimento delle malattie professionali. Fondamentale il suo impegno istituzionale per lo sviluppo del quartiere Libertà negli anni tra il 1946 e il 1952.

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Via Maria Chieco Bianchi

Prima sindaca pugliese, ha retto il comune di Fasano dal 1949 al 1954. Durante il suo mandato furono realizzate, tra le opere più importanti, l’elettrificazione delle frazioni di Fasano e del Canale di Pirro, l’istituzione dell’annuale Mostra dell’artigianato fasanese e dalla gara automobilistica Fasano-Selva. Si candidò, e venne eletta, alla Camera dei deputati nel Partito Nazionale Monarchico nella circoscrizione Bari-Foggia.

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Via Ada Del Vecchio Guelfi

Nata a Bari, Ada Del Vecchio è stata sindacalista, consigliera comunale del gruppo socialista nel ’47, poi dirigente del Partito Comunista Italiano. Antifascista, si impegnò particolarmente nella lotta per la parità del voto e i diritti delle donne e si occupò della condizione di salute delle operaie alla Manifattura dei tabacchi di Bari. Nel 1953 venne eletta in Parlamento. Nel 1963 tornò alla militanza socialista impegnandosi principalmente sui temi dell’emancipazione e dell’uguaglianza delle donne.

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Via Santa Scorese

Vittima di femminicidio a soli 23 anni. Nata a Bari nel 1968, Santa Scorese a 15 anni presta volontariato presso la Croce Rossa Italiana. Impegnata nell’apostolato cristiano, partecipa attivamente alla vita del movimento fondato da Chiara Lubich. Dopo la maturità classica, si iscrive al corso di laurea in pedagogia presso l’ università di Bari.  E’ venerata come serva di Dio, vergine e martire dalla Chiesa cattolica.

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 Via Giustina Rocca

Giustina Rocca di Trani è passata alla storia come la prima avvocata al mondo. Uno dei personaggi più illustri della storia giudiziaria di Trani del XV secolo, si occupò di delicate questioni diplomatiche tra le città di Trani e Venezia. Si dice abbia ispirato il personaggio di Porzia di Belmonte del Mercante di Venezia di Shakespeare.

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Giardino Rita Majerotti

Nata a Castelfranco Veneto, Rita Majerotti era una insegnante elementare militante nel Partito socialista. Trasferita a Bari nel 1915, svolge un ruolo di primo piano nel contesto rivoluzionario pugliese. Nel 1921 aderisce al Partito Comunista d’Italia contribuendo alla costituzione dei gruppi femminili comunisti. Nel 1922 viene arrestata a Trieste mentre si reca a Mosca, nel 1926 torna in Italia ma viene di nuovo arrestata a Milano.

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Giardini Chiara Lubich

Silvia Lubich detta Chiara, nata a Trento, è stata la fondatrice e prima presidente del Movimento dei Focolari. È considerata una delle voci spiritualmente più produttive nel panorama mondiale, con un impegno di primo piano sul fronte del dialogo e dell’unità tra movimenti e comunità ecclesiali all’interno della Chiesa cattolica, tra le religioni e tra persone di diverse convinzioni. Nel gennaio 2015 è stato avviato il processo di beatificazione e canonizzazione.