Il XXI, un secolo di barbarie

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Forse sono gli unici a interessarsi all’ arte e alla cultura in Italia. Perchè ormai non è rimasto che questo.

I ladri hanno portato via 17  capolavori dal museo civico veronese di Castelvecchio. Opere di Tintoretto, Bellini, Rubens, Mantegna, Pisanello, per un valore tra i 10 e i 15 milioni di euro. Un furto che ha del clamoroso. Una razzia come ai tempi di Attila. Uno sfregio dei tanti. Perchè, c’è chi ruba,  e chi elimina e distrugge con i tagli alla spesa pubblica e le riforme del sistema culturale.

«Erano dei professionisti, sapevano cosa prendere e conoscevano il Museo», ha detto il sindaco di Verona, Flavio Tosi, che poi, anticipando possibili polemiche sulla sicurezza, ha aggiunto: «le norme che vengono applicate e i parametri di sicurezza non rendono impossibili i furti, li fanno anche al Louvre».

Almeno c’è  qualcuno che di arte ne capisce, gli rispondiamo.  Ancora oggi che  non è  più concesso studiarla  e  le accademie e i conservatori vengono chiusi.

Il danno «è immenso», ha commentato la direttrice di Castelvecchio, Paola Marini, secondo la quale il valore dei quadri sottratti si aggira sui 15 milioni di euro.

Ha destato sorpresa l’apparente facilità con cui i predoni hanno compiuto una razzia di tale portata, in pieno centro storico, fuggendo senza essere visti, se non dalle telecamere di sicurezza. Ora su queste immagini stanno lavorando polizia e carabinieri, per dare un volto alla banda.

Qualunque sia il ladro… Chiunque sia il barbaro… Restiamo fermamente convinti che l’arte è patrimonio dell’Umanità intera e non si ruba, si finanzia.




FRANCIA – Tensione al confine di Ventimiglia per i 40mila. Grande attesa per il vertice del 25 giugno

“Quello che sta accadendo a Ventimiglia è un pugno in faccia all’Europa”, ha denunciato Alfano. Anche il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ha criticato la chiusura della frontiera decisa da Parigi e le resistenze di alcuni paesi dell’Unione ad aderire al piano che prevede che ogni stato accolga una quota di profughi.

La Francia chiarisce la sua posizione, senza concedere nulla. Secondo il responsabile dell’interno francese Cazeneuve, prima di chiedere aiuto ai paesi vicini, il governo italiano deve aprire dei centri per identificare e registare i migranti, in modo da separare chi può chiedere asilo e ha quindi diritto di essere accolto e circolare in Europa, da chi è arrivato per motivi economici e, senza permesso di soggiorno, deve essere respinto, secondo i trattati comunitari.

Senza questa selezione a monte, ha detto Cazeneuve, non può funzionare il principio di distribuzione dei profughi tra tutti i paesi europei proposto dalla Commissione europea e sostenuto dall’Italia.

Mentre cresce l’attesa per il 25 giugno, quando i leader Ue si incontreranno per discutere dell’emergenza immigrati e approvare il piano licenziato dalla commissione Ue per distribuire fra i membri dell’Unione i 40mila arrivati in Italia e Grecia, sale la tensione al confine di Ventimiglia tra Italia e Francia. Lì infatti la polizia transalpina impedisce ai migranti di varcare la frontiera e, secondo quanto risulterebbe allo stesso sindaco di Ventimiglia, alcuni di quelli che erano riusciti nelle ultime ore ad entrare in Francia sarebbero stati riportati nel nostro Paese. Intanto fonti governative preannunciano che Matteo Renzi affronterà l’emergenza immigrazione a livello europeo nei colloqui con i capi di governo francese François Hollande e inglese David Cameron nel corso dei colloqui già previsti in occasione delle loro rispettive visite all’expo di Milano nei prossimi giorni. Per quello che riguarda una soluzione comunitaria all’emergenza, al momento il fronte contrario alle quote obbligatorie è piuttosto vasto e annovera Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Paesi dell’est e baltici, Spagna e Francia. Quest’ultima, insieme alla Polonia, starebbe però cambiando idea. Prima del cruciale appuntamento, è atteso il via libera da parte dei ministri degli Esteri – il prossimo 22 giugno – alla missione per colpire i barconi in acque internazionali e libiche. In Italia intanto l’emergenza, culminata con le situazioni estreme delle stazioni Tiburtina a Roma e Centrale a Milano, ha esacerbato ulteriormente la polemica politica tra il governo e le forze che, come Lega e M5s, contestano la politica di Palazzo Chigi in materia. Nel dibattito si è inserita anche la Chiesa italiana, attraverso il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, il quale ha sottolineato che “sicurezza e legalità sono un dovere preciso di uno Stato democratico e civile, ma questo dovere non può essere chiusura e non accoglienza verso chi è disperato”.

Beppe Grillo intanto parla di un’Italia diventata “un bivacco permanente di sfollati nelle stazioni e ai confini con gli altri Stati” e chiede di modificare in fretta il regolamento Ue di Dublino che impone di ospitare il profugo nel Paese in cui viene identificato. Parlando da Milano, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha attaccato indirettamente la Lega di Matteo Salvini: “Ci sono tanti che abbaiano alla luna – ha detto – vivono sulle paure e pensano che l’unica dimensione sia chiudersi a chiave in casa. Non è così. Serve un ideale comune, non limitarsi a vivacchiare e alimentare paure. Vorrei che provassimo – ha aggiunto – a dare assieme il nome al futuro che non sia rabbia e paura, ma coraggio e speranza”. Picchia duro, dal canto suo, il Carroccio che, con il governatore del Veneto Luca Zaia, ribadisce la linea di chiusura netta sulle assegnazioni a regioni e municipi del Nord di migranti da alloggiare. In una lettera inviata ai prefetti, Zaia intima di sgomberare le strutture occupate dai migranti nelle località turistiche della regione, mentre il segretario Salvini, intervenendo in tv, ha dichiarato di voler “prendere il treno tranquillamente senza prendere la scabbia e senza quelli con il machete”.

Presso la sede della prefettura veneziana, si è tenuto il tavolo di coordinamento della gestione dell’emergenza profughi in Veneto. Oltre a Luca Zaia, erano presenti sindaci, assessori e prefetti provenienti da tutto il Veneto. A illustrare le modalità per gestire l’accoglienza dei profughi, Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno. Per Verona erano presenti il sindaco Flavio Tosi, l’assessora ai servizi sociali Anna Leso, il comandante della polizia municipale Luigi Altamura e il prefetto vicario Iginio Olita.

Morcone ha annunciato che entro qualche settimana il Veneto dovrà dotarsi di un hub per immigrati, cioè un centro di smistamento per valutare che chi ha diritto alla protezione internazionale e chi no. Come riportato dal quotidiano L’Arena, il dirigente ministeriale ha posto il problema di dover far sorgere questo centro: “Abbiamo già una lista di 38 caserme, ma vogliamo che la soluzione sia condivisa con chi ha il governo del territorio”.

Tuttavia, il Veneto non ci sta e anche il sindaco di Verona ha manifestato il proprio dissenso: “Siamo contrari al progetto del governo di realizzare in Veneto un hub inteso come centro di smistamento con libertà di andare e venire, perché aumenterebbe il degrado e l’insicurezza. Ma cambieremmo opinione se il modello di riferimento fosse il Cie, il Centro di identificazione ed espulsione”. Il prefetto Morcone, però, ha risposto di non essere interessato alla creazione di un luogo detentivo“.




Le tre Italie dell’astensionismo

Una vittoria di Pirro per il Pd che ha portato a casa un 5 a 2 molto sofferto. La sfida politica regionale ha visto  prendere la Liguria da Forza Italia e il Veneto dalla Lega Nord. Un risultato determinato da un’affluenza al 52,2% e dall’affermazione del Movimento 5 Stelle, che in tutta Italia si stanzia sul 20%, con punte in alcune zone come Genova, dove la più giovane candidata governatrice, Alice Salvatore, sfiora un sorprendente 25%,  e in Puglia con Antonella Laricchia.

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In Veneto il leghista Luca Zaia ha doppiato Alessandra Moretti del Pd e ha lascia molto più indietro il fuoriuscito Flavio Tosi.

La sorpresa è arrivata però dalla Liguria dove il consigliere politico di Silvio Berlusconi, Giovanni Toti, ha vinto con il 34,4%, seguito a una certa distanza dalla Dem Raffaella Paita con la M5S Alice Salvatore terza e Luca Pastorino, candidato della sinistra, quarto. Con il Pd che, come lo stesso premier Matteo Renzi aveva avvertito nei suoi comizi, paga la prima vera scissione a sinistra. “Il cinico disegno di Cofferati, Civati, Pastorino si realizza compiutamente”, ha commentato la candidata del Pd Raffaella Paita.

In Umbria vittoria per Catiuscia Marini (centrosinsitra) anche se nelle prime proiezioni sembrava che potesse aprirsi una chance per il candidato di centrodestra Claudio Ricci.

In Campania, dopo un testa a testa che lo ha visto, comunque, sempre in testa anche se di misura si afferma il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca primo (al 39,9% contro il 38% di Stefano Caldoro), superando di fatto anche la ‘black list’ stilata dalla presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi e ultimo pomo della discordia all’interno del Pd.

In Puglia la vittoria scontata per Michele Emiliano il nuovo governatore e tra i primi a salutarlo il presidente uscente Nichi Vendola: “Complimenti sinceri affettuosi Emiliano per una vittoria così netta, forte, e auguri calorosi di buon lavoro, un lavoro che sarà durissimo, di una complessità incredibile”.

Per cinque regioni la vittoria è sembrata netta già dalle prime proiezioni: in Toscana, Puglia e Marche fa il pieno di voti il centrosinistra.

Ma il dato che va analizzato per comprendere la realtà politica italiana è l’astensionismo.

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L’affluenza alle urne nel nostro Paese – seppur negli anni in costante diminuzione – è sempre stata piuttosto alta. Alle politiche del 2008 superava l’80% e in quelle del 2013 si attestava pur sul 75%.  Ora poco più del 50% si è recato alle urne.

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Quasi 12 punti in meno rispetto al 64,1% delle precedenti consultazioni.

Gli elettori sono sempre più scettici e disillusi di fronte agli schieramenti politici, che per quanto frammentati in molti partiti e correnti politiche sono composti da un ceto politico identico e trasformista a destra e a sinistra. Il cattivo costume è confermato dai risultati delle manovre di governo. La Riforma delle pensioni  e la “Buona scuola” hanno fatto perdere elettori. Nell’Italia del Nord chi non ha votato Pd, se non si è astenuto, ha votato Lega Nord e definito ladroni tutti gli altri.

Alle ultime elezioni europee la vittoria del Pd ha, di fatto, rafforzato la leadership di Renzi nel partito e nel Paese, accrescendo la forza e la convinzione con cui il leader toscano ha perseguito il suo progetto egemonico illegittimo, perchè  non votato dagli italiani.

La stessa cosa è accaduta con il consenso dato al Pd attraverso queste elezioni regionali.

Ma chi ha scelto di astenersi evidentemente non ha potuto dimenticare  che il Pd ha sostenuto il governo Monti e le sue politiche di austerità , ha fatto inserire il fiscal compact in costituzione, ha varato il jobs act, sta portando a termine una pessima riforma della Scuola e si appresta a firmare il ttip, un trattato di commercio transatlantico che  penalizzerà il nostro paese. Tutto questo in uno scenario di omologazione e totalitarismo dilagante. Ogni tipo di opposizione è bollata come sterile riflessione da contrapporre al “fare”, ogni obiezione valutata con sufficienza e arroganza.  L’astensione si spiega con il venir meno della tensione ideologica che aveva contraddistinto il sistema dei partiti proprio della Prima e della Seconda Repubblica.

Nel M5S, la scelta post-ideoologica ha finito per occultare la mancanza totale di una reale posizione politica: tutta l’attenzione si concentra sulla necessità di moralizzare la vita pubblica (lotta alla “casta”, riduzione dello stipendio, etc.). Anche il reddito di cittadinanza può essere letto come una posizione populista e non politica.

A Destra, spostare tutto sulla lotta contro l’immigrazione sembra una battaglia persa.

Renzi commenta: “Il risultato del voto è molto positivo, andiamo avanti dunque con ancora maggiore determinazione nel processo del rinnovamento del partito e di cambiamento del paese”.