Galla Placidia: il sogno dell’inclusione per salvare l’impero

Galla Placidia nasce a Costantinopoli nel 390 dall’imperatore Teodosio e dalla sua seconda moglie Galla, figlia di Valentiniano I: in lei quindi scorre il sangue di due dinastie imperiali quella dei valentiniani e dei teodosiani. La differenza d’età dei suoi genitori è molto significativa: lui 40 anni; lei 16. I due futuri imperatori Arcadio e Onorio sono, quindi, i suoi fratellastri, nati da Teodosio e dalla prima moglie.

Nel 410 si trova a Roma e ha poco più di vent’anni quando viene rapita, come bottino di guerra, da Alarico, re dei Visigoti e responsabile del primo sacco di Roma. É costretta a seguire l’esercito visigoto durante marce estenuanti verso il sud della penisola dove il suo rapitore muore; il successore, Ataulfo, quattro anni più tardi, decide di sposarla per garantirsi la possibilità di essere nominato imperatore d’occidente, è, secondo le cronache dell’epoca, anche perché si innamora di quella donna dal forte temperamento e dalla grande preparazione culturale, conseguita grazie ai suoi studi prima a Costantinopoli e poi a Roma. L’unione con il re visigoto, seppur obbligata, non è completamente sgradita a Galla, che dà alla luce Teodosio e ambisce a farlo riconoscere come imperatore, vista l’incapacità dei fratelli nel guidare l’Impero. Teodosio, però, muore poco dopo la nascita e lo stesso Ataulfo la lascia presto, ucciso da una congiura di palazzo. I successori la trattano in modo indegno, infliggendole punizioni anche umilianti, fino a che re Walla, nel 417, decide di restituirla ai Romani.

Le viene imposto un nuovo matrimonio con il generale romano Flavio Costanzo, da lei aspramente osteggiato perché considerato rozzo e incolto, tanto da farle rimpiangere Ataulfo, che l’aveva sempre rispettata e stimata. Questo suo diverso atteggiamento nei confronti del primo e del secondo marito, differenti per stirpe, origine e soprattutto per il modo di approcciarsi a lei, le ha fatto guadagnare tre titoli: abile, astuta e crudele. Da questa unione nascono due figli: Giusta Grata, che sarà promessa sposa al famoso Attila, re degli Unni, per convincerlo a combattere con i Romani e contro i Burgundi, e Valentiniano, divenuto imperatore d’occidente nel 423, alla sola età di sei anni, coadiuvato dalla madre in qualità di tutrice.

Durante gli anni di reggenza, ha tre grandi nemici: l’inettitudine del figlio, incapace di prendere adeguate decisioni nella gestione del potere; le invasioni dei popoli germanici, che tenta di contenere con l’aiuto del generale Ezio con cui ha sempre un rapporto conflittuale e oppositivo; e le eresie religiose alle quali si oppone ordinando una politica fortemente repressiva soprattutto nei confronti del paganesimo. A queste sfide risponde mostrando notevoli abilità diplomatiche, una certa capacità di tessere intrighi e alleanze e, infine, la spregiudicatezza nel raggiungere gli obiettivi che si propone.

Galla Placidia è stata anche un’importante committente artistica attiva soprattutto nell’edificazione di chiese fra le quali San Giovanni Evangelista, Santa Croce e il Mausoleo a lei dedicato in Ravenna; Santo Stefano a Rimini e la Cappella di Sant’Aquilino nella Basilica Laurenziana a Milano.

L’importanza storica di questa figura femminile sta soprattutto nel tentativo di evitare la caduta della parte occidentale dell’Impero Romano nelle mani dei popoli germanici attraverso una politica lungimirante, estremamente moderna, basata sull’inclusione e sulla condivisione dell’Altro – per quanto ritenuto portatore di un tessuto economico, sociale e culturale considerato inferiore – attraverso la politica dei matrimoni misti e dell’unione dei vertici romani e germanici.

Galla Placidia, grande protagonista del suo tempo e ultimo freno al decadimento imperiale, elabora dunque un nuovo modello di convivenza tra romani e germanici, attraverso l’accettazione reciproca e la creazione di nuove forme di governo inclusive e non violente.

Il suo nome indica oggi alcune vie e piazze cittadine, a Forlì, Ravenna, Rimini, Roma, Milano.

 




ITALIA – Il modello toponomastico ravennate: uno strumento di democrazia e parità

Nuove intitolazioni femminili in vista per la città di Ravenna, che fa della toponomastica uno strumento di democrazia e parità. Due aree verdi di Ponte Nuovo saranno infatti dedicate a Domenica Rita Adriana Bertè (1947 – 1995), cantautrice di talento, più nota con il nome di Mia Martini, e a Libera Musiani (1903 – 1987) mosaicista e pittrice che ha partecipato ai restauri dei battisteri e delle basiliche cittadine.

Un tratto della pista ciclabile che costeggia il Pala De Andrè ricorderà le Campionesse di Pallavolo, in omaggio alla squadra che ha lasciato un segno nella storia dello sport ravennate.

Ma la città è da tempo nota per la sua politica toponomastica.

Felici sinergie hanno consentito negli ultimi anni un rapido incremento delle intitolazioni femminili: una Commissione paritaria e sensibile, un regolamento attento alle questioni di genere e un contributo molto attivo della cittadinanza hanno portato a scrivere sulle targhe stradali nomi di donne attive in contesti diversificati.

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Meritano certamente attenzione le intitolazioni a maestre che fecero dell’insegnamento la loro ragione di vita, come Giacomina, Wilma Soprani e Teresita Norreri.

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Non poteva mancare, in centro storico, l’intitolazione a Galla Placidia, principessa imperiale e poi bottino di guerra, moglie di un barbaro e infine reggente dell’impero romano al tramonto.

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Anche Amalasunta, figlia del re ostrogoto Teodorico, sfortunata regina, relegata e uccisa sull’isola Martana, nel lago di Bolsena, ha una sua via.

Diverse aree di circolazione sono dedicate a letterate: Ada Negri, Matilde Serao, Renata Viganò, Elisa Guastalli Ricci e Cordula Poletti, scrittrice ravennate, femminista libera e ribelle, legata a Sibilla Aleramo e a Eleonora Duse.

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A Cornelia Fabri, prima laureata in matematica all’Università di Pisa, studiosa di idraulica, è dedicato un giardino.

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Aree verdi con nomi femminili sono assai frequenti: Ilaria Alpi, Sorelle Mirabal, Elisa Severi, Sophie Scholl, Elga Leoni, Irma Mascanzoni, Sorelle Barbieri, Madri di Plaza de Mayo…

Un parco è dedicato ad Augusta Rasponi del Sale, ricca, nobile e istruita, benefattrice dal forte senso artistico che dedicò all’infanzia la sua vita, il suo talento e il suo patrimonio.

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Le targhe dei giardini ravennati costituiscono un modello interessante, per la ricchezza di particolari che invita alla lettura e diffonde conoscenza.

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E così, al giardino delle Partigiane anche un bambino sa che esse lottarono per una società più giusta e conosce l’operato e l’impegno civile di Iole Fenati Gentile, prima segretaria dell’UDI.

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Si tratta di intitolazioni recenti, che hanno voluto ridurre un pesante gap.

Nel giro di pochi anni le intitolazioni femminili si sono moltiplicate: le rotonde, che hanno creato nuove aree di circolazione in spazi già saturi, portano oggi il nome delle vincitrici dei premi Nobel e delle madri della repubblica.

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