Sulle strade genovesi. Il fascino della storia e il bisogno di realtà

Di Francesca Di Caprio Francia

La toponomastica genovese rappresenta non solo un accumulo di memorie passate, ma anche un’operazione culturale di recupero storico realizzata dalla Giunta Municipale poco dopo l’Unità d’Italia. Determinante fu, in tale circostanza, l’apporto di un erudito, Giuseppe Banchero (1815-1874), che esercitava allora l’incarico di funzionario del catasto (catastaro), i cui ideali patriottici chiariscono molte sue scelte. Lo spirito con cui lo studioso propose le nuove denominazioni, infatti, si basava sul recupero di memorie e glorie municipali, in un’ottica di patria esaltazione e di glorificazione di miti nazionali.

Si spiegano così il gran numero di cognomi di antiche famiglie nobiliari, i nomi delle colonie d’oltremare e delle battaglie vinte dai Genovesi, i molti termini legati alle recenti vicende risorgimentali. Banchero creò dunque quel complesso toponomastico di indubbio fascino che ancor oggi dà l’impressione, a chi lo percorre, di attraversare pagine di storia.

Infine, con la proclamazione della Repubblica, si decise di valorizzare episodi e figure della Resistenza e negli ultimi cinquant’anni si incrementò la serie commemorativa, anche con nomi stranieri, di filosofi, poeti, cantautori… il che talvolta induce a proporre personaggi semi-sconosciuti. Sta di fatto che si è andato via via costruendo un immaginario collettivo abitato solo da uomini e, d’altra parte, a mio parere, è forse meglio così piuttosto di vederlo soffocato da anonimi numeri come in uso nelle città d’oltre oceano. Sono però fiduciosa che le cose, con il tempo e la buona volontà, possano e debbano migliorare. È stato così? 

Passeggiando per Genova ci si accorge subito che le strade intitolate alle donne sono ben poche, anche se rimarco la difficoltà di fare calcoli esatti per vari motivi, quali l’uso di riportare negli elenchi cittadini il cognome privo del nome o con la sola iniziale, collocare lo stesso nome sotto lettere alfabetiche diverse (es. Santa Chiara e Chiara Beata); inoltre i nomi di famiglie patrizie possono riferirsi a diverse persone anche femminili (es. via Brignole De Ferrari ricorda le due benefiche famiglie imparentate con il matrimonio di Maria Brignole Sale e Raffaele De Ferrari), alcune strade sono scomparse o sono nuove oppure mutate nell’intitolazione (l’attuale piazza Giacomo Matteotti già piazza della Signoria, poi piazza Nuova, in seguito Umberto I e infine Ettore Muti), per concludere sorridendo con piazza Battistina Rivara a Rivarolo che è invece intitolata… a un uomo, il fondatore del locale asilo, appunto Battistino Rivara!

Nel libro Genova risorgimentale di Leo Morabito risultano inserite solo una decina di donne, incluse quelle ricordate non per la dedica di una via ma per la casa dove vissero, come Bianca Milesi Mojon con abitazione in via Balbi, o Teresina Schenone con bottega in via XXV Aprile.

Nella recente Guida alla toponomastica risorgimentale curata da Nicolò Bonacasa, l’autore presenta, tra gli oltre cento personaggi elencati ai quali Genova ha dedicato una via o una piazza, solo sei donne (Carolina Benettini, Adelaide Bono Cairoli, Anita Garibaldi, Antonietta Mazzini Massuccone, Giuditta Tavani) mentre Maria Drago Mazzini è ricordata con un busto in bronzo e la dedica di una scuola.

Tre sole tra le tante donne presentate nel mio ultimo libro, risultano elencate in uno Stradario di Genova: Santa Limbania, Santa Caterina Fieschi Adorno e Virginia Centurione Braccelli.

Se si considerano esatti i dati forniti dal Comune di Genova esistono a Genova 3800 strade/vie/piazze ecc. delle quali 1507 intitolate a uomini e 136 a donne con il significativo rapporto del 39% di maschi contro il 3% di donne!

Quaranta risultano dedicate alla Madonna e quarantadue a sante e beate, di preferenza scalinate e salite forse con intento figurativo e simbolico; sarebbe bello che analoga finalità suggerisse anche di ricordare, ad esempio, maestre di vita, educatrici, donne impegnate nel sociale che sicuramente hanno indicato la via a molte generazioni.

Tralascio i numerosi altri esempi di sessismo maschilista nella toponomastica perché mi sembra più utile essere propositiva con possibili iniziative, qualcuna già attuata.

È noto che le storie delle donne sono spesso storie frammentarie, storie dimenticate o addirittura rimosse o cancellate: ebbene, per rompere questo velo che le avvolge, si potrebbero raccogliere biografie femminili che possano ispirare ed essere d’esempio; a tal fine si potrebbe anche proporre un concorso, e non solo per scuole – come già fa l‘associazione Toponomastica femminile con il concorso didattico Sulle vie della parità, patrocinato da istituzioni nazionali e giunto ormai alla sua sesta edizione – mirato a individuare e proporre nuovi nomi.

Incontri, conferenze attive, gruppetti di lavoro potrebbero svegliare da una sonnacchiosa indifferenza tante donne facendo loro conoscere, o presentando loro stesse, azioni e opere di semplici donne benemerite, frutto di fatica, ingegno, talento, solidarietà: esse propongono un nuovo modo di stare insieme, un modo che tenga conto della diversità femminile e delle proprie attitudini.

Al Convegno nazionale, indetto annualmente da “Toponomastica femminile”, si potrebbe aggiungerne un incontro a carattere regionale o locale; mostre fotografiche, anche itineranti, sul lavoro delle donne nel passato e nel presente; un premio che valorizzi la loro creatività espressa attraverso la rete lodando accuratezza e approfondimento dell’informazione; dopo Roma, Terni, Palermo, Versilia, Pistoia, Albano Laziale, Valdinievole (già realizzati direttamente dalle associate a Toponomastica femminile o con un loro diretto contributo),  nuovi itinerari lungo i luoghi che mantengono ricordi e tracce di donne protagoniste (il nostro centro storico con i suoi immediati dintorni ne è particolarmente ricco); dialogo aperto con le Amministrazioni per proporre e sostenere nuove intitolazioni… Queste e tante altre iniziative di toponomastica femminile possono essere proposte poiché in continuo divenire in quanto si arricchiscono di volta in volta con ulteriori progetti, suggerimenti, spunti, collegamenti, tenendo ben presente che la quantità non vada a scapito della qualità. E non si venga a dire che non ci sono donne genovesi, di ieri o di oggi, cui dedicare una via, una piazza o comunque un luogo che rappresenti il loro ricordo: maliziosamente posso far presente che i libri, come il presente, ci sono anche per questo…




ITALIA – “Oltre l’8 marzo”: le “Camicette bianche” di Ester Rizzo

Di Ester Rizzo

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Camicette Bianche racconta la storia del rogo che il 25 marzo 1911 colpì la Triangle Waist Company di New York, una fabbrica di camicette alla moda, dove lavoravano centinaia di giovani donne immigrate provenienti in gran parte dalla Russia e dall’Italia.

Delle 146 vittime 129 erano donne di cui 38 italiane.

Vite che per decenni sono rimaste nell’oblio e alle quali si è cercato di restituire dignità attribuendo loro un nome, un cognome, un luogo di nascita ed una storia.

Queste donne furono uccise dall’avidità, dalla superficialità e dalla cupidigia umana.

Avrebbero potuto restare nei propri paesi di origine e accettare la sorte che era loro toccata, invece con coraggio affrontarono un viaggio faticoso e pieno di incognite. All’arrivo a New York, molte trovarono lavoro. Spesso però erano costrette a lavorare in luoghi malsani, inadeguati ed erano retribuite con salari bassissimi, ma ciò rappresentava comunque il primo passo verso la loro emancipazione.

Nell’aprile 2014, in contemporanea alla pubblicazione del libro, l’associazione Toponomastica femminile ha lanciato un appello rivolto a tutte le amministrazioni dei comuni italiani da cui esse partirono affinché, con una intitolazione, si possa loro rendere onore e restituire il posto che meritano nella storia del nostro paese. Un’intitolazione per ricordare il coraggio di queste donne, la loro dignità lavorativa ed il triste epilogo della loro esistenza.

Molti comuni hanno già accolto l’appello.

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FOTO 1 – foto di Giovanni Salvio

Vittoria – 23 ottobre 2015 – una piazzetta della villa comunale è stata intitolata a Rosaria Maltese, la vittima più giovane dell’incendio della Triangle, morta a soli 14 anni.

Rosaria perse la vita nel rogo insieme alla madre Caterina e alla sorella Lucia.

Rosaria e Lucia furono identificate dal padre all’alba del 26 marzo: erano ancora abbracciate in uno stanzino dove si erano rifugiate per tentare di sfuggire alla morte.

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FOTO 2 – foto di Giovanni Salvio

Sciacca – 5 marzo 2015 – una lapide commemorativa è stata apposta in ricordo di Vincenza Bellotto, vittima dell’incendio della Triangle a soli quindici anni.

Vincenza era nata a Sciacca il 27 agosto 1895 ed era arrivata a New York l’11 giugno 1910.

Alla Triangle era operaia-capo al nono piano.

Allo scoppiare dell’incendio restò intrappolata all’interno dell’edificio e morì bruciata.

Come riportato dal New York Times dell’epoca, determinante nel riconoscimento dei suoi miseri resti fu il tacco della sua scarpa che era stato precedentemente riparato da un calzolaio.

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FOTO 3 – foto di Giovanni Salvio

Erice – 5 marzo 2015 – un Centro Sociale Polivalente è stato intitolato a Giuseppina Cammarata.

Di lei si presume sia nata in provincia di Enna intorno al 1893. Era cugina di Concetta Prestifilippo, altra vittima della Triangle.

Una foto dell’epoca ritrae Giuseppina con il volto da ragazzina dall’atteggiamento un po’ imbronciato, i capelli alzati e una camicetta bianca abbottonata fino a coprire il collo.

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FOTO 4 – foto di Giovanni Salvio

Cerami – 4 settembre 2015 – una lapide commemorativa per Rosa Grasso e Concetta Prestifilippo.

Rosa Grasso nacque a Cerami il 24 luglio 1896. Nell’aprile 1907, con le sorelle e il fratello, emigrò a New York.

Concetta Prestifilippo era nata a Cerami il 21 ottobre 1888. Per quasi cento anni è stata ricordata solo con un numero, è stata identificata solamente nel 2011.

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FOTO 5 – foto di Giovanni Salvio

Sperlinga – 6 agosto 2015 – una lapide commemorativa è stata apposta in ricordo di Giuseppa Buscemi Carlisi e Maria Grazia Gullo Floresta.

Giuseppa Buscemi era nata a Sperlinga il 23 agosto 1876. Nel 1899 si sposò con Giuseppe Carlisi e con lui emigrò in America.

Fu tra le vittime che si gettarono nel vuoto, lasciando per sempre tre figli in tenera età.

Maria Grazia Gullo era nata a Sperlinga il 23 marzo 1881. Era partita per l’America nel 1900 e nel 1906 si sposò con Girolamo Floresta.

Alla Triangle lavorava al nono piano insieme alla sorella minore Anna che, fortunatamente, riuscì a salvarsi.

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FOTO 6 – foto di Giovanni Salvio

Marineo – 11 aprile 2015 – una via è stata intitolata a Vincenza Benanti.

Vincenza era nata a Marineo il 18 febbraio 1888 ed era emigrata intorno al 1906.

Dalle ferite riportate si presume che si sia lanciata nel vuoto.

Vincenza, con il suo lavoro alla Triangle, provvedeva al mantenimento della madre e di un fratello disoccupato.

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FOTO 7 – foto di Giovanni Salvio

Casamassima – 8 marzo 2015 – una via è stata intitolata alle sorelle Antonia e Anna Vita Pasqualicchio.

La prima era nata l’otto ottobre 1895 ed era arrivata a New York nel 1910.

La seconda era nata il 28 aprile 1882 ed era emigrata intorno al 1901.

Entrambe lavoravano al nono piano della Triangle.

Anna Vita morì bruciata, invece Antonia per sfuggire alle fiamme si gettò nel vuoto.

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FOTO 8 – foto di Giovanni Salvio

Casteldaccia – 8 marzo 2011 – una targa in memoria di Provvidenza Bucalo Panno e Vincenza Pinello è stata apposta all’interno del Palazzo di Città.

Provvidenza Bucalo Panno era nata a Casteldaccia il 2 febbraio 1869 ed era arrivata a New York il 10 gennaio 1905 insieme alle figlie Angela di dieci anni e Letizia di appena dieci mesi. Lavorava al nono piano.

Vincenza Pinello era nata a Casteldaccia il 26 marzo 1881.

Provvidenza e Vincenza morirono entrambe bruciate e i loro corpi furono ritrovati abbracciati sotto una macchina da cucire.

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FOTO 9 – foto di Giovanni Salvio

Cerda – 28 novembre 2014 – una targa in memoria di Rosa Cirrito, Giuseppa Concetta Rosa Del Castillo e Maria Santa Salemi è stata apposta nella sacrestia della chiesa Madre.

Rosa Cirrito era nata a Cerda il 6 ottobre 1891 ed era emigrata a New York a soli tredici anni. Morì lanciandosi da una finestra.

Giuseppa Concetta Rosa Del Castillo era nata a Cerda il 20 gennaio 1891. Era operaia capo al nono piano e si ritiene che sia morta bruciata.

Maria Santa Salemi era nata a Cerda l’undici ottobre 1884 ed era emigrata a New York all’età di quindici anni. Morì gettandosi dal nono piano e fu identificata dai familiari grazie al rammendo sulla calza che indossava fatto il giorno prima da sua madre.

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FOTO 10 – foto di Giovanni Salvio

Licata – 25 marzo 2013 – una lapide commemorativa in memoria di Clotilde Terranova è stata apposta sul prospetto della Biblioteca comunale.

Clotilde Terranova era nata a Licata il 27 settembre 1887 ed era partita per New York il 17 dicembre 1907.

Si trovava al decimo piano quando scoppiò l’incendio e, presa dal panico, si gettò da una finestra.

Avrebbe dovuto sposarsi tre settimane dopo quel tragico 25 marzo.

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FOTO 11 – foto di Margherita Marengo

NE (Genova) – 25 marzo 2013 – un giardino è stato intitolato ad Emilia Prato.

Emilia Prato era nata a New York nel 1890 da genitori italiani che erano partiti dalla Val Graveglia, alle spalle di Chiavari.

Dalle ferite riportate si presume sia stata tra quelle che, per sfuggire alle fiamme, si gettarono nella tromba dell’ascensore.




ITALIA – La Liberazione taciuta

Negli anni del secondo conflitto mondiale le italiane hanno messo in gioco le loro vite e capovolto un sistema di valori: chiamate a far fronte alle assenze maschili nelle attività quotidiane private e pubbliche, sono uscite di casa spalancando le porte al futuro.

Occupate nei campi e nelle fabbriche, impegnate nel reperimento di generi alimentari, operose nelle azioni di soccorso e cura, non hanno esitato a impugnare le armi.

Protagoniste della Resistenza, e non solo comparse, non portavano divise, né enfatizzavano le loro azioni, ma sostenevano combattenti, feriti, prigionieri, in una sorta di “maternage di massa”. Nelle loro mani era il mercato nero e buona parte della gestione economica e materiale della vita partigiana: procuravano il denaro e distribuivano armi, vestiti, cibo o medicine.

Cresceva nel contempo la loro politicizzazione personale e collettiva, espressa attraverso agitazioni in fabbrica, adesione a gruppi organizzati e partiti, diffusione clandestina e infine produzione autonoma di stampa (nel luglio del’44, Napoli liberata pubblica il primo numero legale di Noi donne).

Le partigiane combattenti furono 35 mila, e 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna: 4.653 furono arrestate e torturate, 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento.

Nel dopoguerra, l’impostazione maschilista della società, sostanzialmente immutata rispetto al modello precedente, non ha dato loro il giusto riconoscimento.

Nel tentativo di richiudere le porte aperte e soffocare il cambiamento, gli uomini hanno voluto intendere la partecipazione femminile alla Resistenza come manifestazione di senso materno e di pacifismo innato: nell’immaginario collettivo, anche la staffetta andava ricondotta al ruolo di infermiera. Escluse dalle sfilate della vittoria, invitate a rimuovere e a tacere, molte piccole e grandi protagoniste della storia smisero di raccontare.

Alla loro memoria dedichiamo il fotoreportage del 25 aprile.

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Milano

PIAZZALE DONNE PARTIGIANE

Foto di Nadia Boaretto

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Roma

VIA IRIS VERSARI (1922–1944)

Foto di Sara Caponera

Staffetta della formazione partigiana di Tredozio, fece parte della banda di Silvio Corbari al quale era legata sentimentalmente. Diverse e clamorose furono le azioni condotte assieme ai compagni. Ferita durante uno scontro coi tedeschi, decise di uccidersi piuttosto che cadere in mani nemiche. E’ stata insignita della Medaglia d’Oro al V.M.

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Garlasco

VIA GISELLA FLOREANINI (1906-1993)

Foto di Roberta Martinotti

Legata già dagli anni ’30 ai gruppi di Giustizia e Libertà e al PCI divenne, grazie alle sue doti organizzative, un punto di riferimento per la Val d’Ossola. Nel febbraio 1945 fu nominata Presidente del CLN provinciale e trattò la resa dei nazifascisti nei giorni dell’insurrezione. Dopo la guerra fu parlamentare, dirigente dell’UDI e dell’Anpi e membro della Federazione Internazionale della Donna.

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Aosta

VIALE AURORA VUILLERMINAZ (1922-1944)

Foto di Marinella Govenale

Aurora Vuillerminaz dal luglio 1944 si dedicò interamente alla lotta partigiana entrando nella banda A. Verraz, operante nella valle di Cogne. Assunse l’incarico di staffetta creando collegamenti tra la Val d’Aosta e la vicina Svizzera. Al ritorno da una missione fu arrestata e, non avendo rivelato alcuna informazione, affrontò con coraggio la fucilazione.

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Trento

VIA CLORINDA MENGUZZATO “VEGLIA” (1927 – 1945)

foto di Livia Stefan

Infermiera e staffetta partigiana militò, con il nome di battaglia Garibaldina prima e Veglia poi, nel battaglione Gherlenda operante nel Trentino; fu catturata dai nazisti, violentata, fatta azzannare da cani feroci e fucilata. E’ stata insignita della Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

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Olbia

VIA JOYCE LUSSU (1912-1988)

Foto di Enrico Grixoni

La famiglia fuggì all’estero nel 1924 a causa delle violenze squadriste subite. Nel 1932 il fratello fu arrestato: Joyce iniziò a diffondere stampa antifascista e accettò diverse missioni clandestine. Una di queste la portò a conoscere il marito Emilio. Nel dopoguerra si legò alla militanza di base in Sardegna, promosse l’UDI, militò nel PSI e tradusse poesie terzomondiste.

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Ragusa

ROTONDA MARIA OCCHIPINTI (1921-1996)

Foto di Rosa Perupato

A Ragusa, nel gennaio del 1945, Maria, 23 anni e incinta di cinque mesi, si stende davanti un camion militare carico di giovani rastrellati da un quartiere popolare, con l’intento di agevolarne la fuga e la diserzione. Viene condannata al confino e al carcere. Finita la guerra viaggerà all’estero stabilendosi infine a Roma, avvicinandosi prima al PCI e poi agli anarchici.

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Genova

VIA TEA BENEDETTI (1930-2000)

Foto di Rossella Sommariva

Proveniente da una famiglia operaia di Rivarolo, divenne staffetta partigiana molto giovane. Dopo la guerra fu sindacalista, assessora in Comune, presidente della Croce Verde di Sestri, inoltre fece parte del Consiglio Comunale di Genova per 21 anni (dal 1976 al 1997), distinguendosi per il suo spirito di servizio.

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Trieste

VIA RITA ROSANI (1920- 1944)

Foto di Lucio Perini

“Vuiatri gavi voia schersàr!”. Con queste parole, dopo averle vanamente proposto di tentare la fuga coperta da una loro sortita diversiva, i combattenti della formazione “Aquila”, sorpresi da un rastrellamento nel loro rifugio in Val Policella, videro uscire a combattere la loro compagna Rita Rosani, ventiquattrenne ebrea triestina. Fu subito catturata e uccisa da un sottotenente repubblichino.

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Napoli

VIA VERA LOMBARDI (1904-1995)

Foto di Rita Ambrosino

Nata nel 1904 in una famiglia di tradizioni socialiste, Vera partecipò agli incontri clandestini di antifascisti, durante i quali scambiava libri e materiali clandestini. Dopo la guerra rimase protagonista della vita culturale e politica napoletana: è stata per anni presidente dell’Istituto campano per la Resistenza che, dopo la sua morte, le è stato intitolato.

 




ITALIA – G8, anche la Corte Europea dà torto a Carlo Giuliani

Dopo il proscioglimento del carabiniere Mario Placanica per legittima difesa e uso legittimo delle armi, nel 2003, e le sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo che hanno assolto lo stesso Placanica nel 2009 e l’Italia nel 2011, riconoscendo che non ci sono state colpe per la morte di Carlo Giuliani avvenuta il 21 luglio del 2001 durante gli scontri del G8 di Genova, alla famiglia Giuliani restava una sola possibilità: la causa civile contro i responsabili. Ed è proprio ciò che aveva annunciato il padre di Carlo, Giuliano Giuliani, in seguito al pronunciamento della Corte di Strasburgo.

Anche in sede civile è stato stabilito che non c’è alcun responsabile per la morte di Carlo Giuliani. Se non ci saranno ricorsi in Appello, si chiuderà così il lungo iter giudiziario, stabilendo una verità perlomeno processuale della vicenda.
Il sipario per ora è stato calato dal giudice Daniela Canepa, che ha respinto i ricorsi dei familiari di Carlo Giuliani, i quali chiedevano che venisse stabilita la responsabilità civile dei Ministeri della Difesa e dell’Interno, riconoscendo un risarcimento. Rappresentanti dei ministeri, secondo i ricorrenti, erano il vicequestore Adriano Lauro che il 20 luglio aveva l’incarico di gestire l’ordine pubblico nella zona di piazza Alimonda, dove sono avvenuti gli scontri che hanno causato la morte di Carlo Giuliani. Dalla pistola di Mario Placanica è partito il colpo che ha ucciso il giovane. Placanica si trovava all’interno di una jeep che era stata assaltata dai manifestanti, tra i quali lo stesso Giuliani armato di estintore.
Nella sentenza, il giudice Canepa scrive: “Non c’è dubbio, sulla base della ricostruzione dei fatti minuziosamente effettuata, che Placanica, comandato in servizio di ordine pubblico, fosse pienamente legittimato a fare uso delle armi quando ricorressero i presupposti della necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità. E non vi è parimenti dubbio che la situazione in cui Placanica si è trovato ad agire fosse di estrema violenza volta a destabilizzare l’ordine pubblico ed in atto nei confronti delle stesse forze dell’ordine, la cui incolumità era direttamente messa in pericolo dal soggetto”.

Inoltre: “il gesto di Giuliani non è stato una isolata aggressione, ma solo una delle fasi di una violenta aggressione al “defender” posta in essere dalle numerose persone che lo avevano accerchiato”.

“Mario Placanica aveva a disposizione un solo mezzo per fronteggiare la violenza posta in essere nei suoi confronti e l’aggressione all’integrità fisica, se non addirittura alla vita, propria e dei compagni: l’arma”.
Infine: “Il sasso con cui è stato colpito Giuliani dopo lo sparo, l’asserzione che un appartenente alle Forze dell’Ordine abbia colpito Carlo Giuliani con un sasso, quando questi era a terra è rimasta una pura congettura senza nessun elemento probatorio a suo sostegno”.
Una sentenza che ricalca quanto già stabilito nel processo penale e dalla Corte di Strasburgo. I familiari di Giuliani dovranno decidere se ricorrere in Appello, per cercare  risarcimenti o abbandonare.
Nel contempo, saputa la notizia, alcuni gruppi spontanei, lamentano il fatto che ci siano piazze intitolare a un “delinquente” e ne chiedono la rimozione.




ITALIA – Ritornano i fatti di Genova. “Diaz, non lavate questo sangue”

Se questo è un uomo. Se questo è un individuo che ha scelto di svolgere una professione volta ad aiutare il suo prossimo e a tentare in tutti i modi di salvarlo. Se sempre questo essere umano ha giurato: “Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa” come può essere stato complice ed esecutore di sevizie a danno di persone indifese? Non ci è dato sapere le motivazioni che hanno spinto il dottor Giacomo Toccafondi, responsabile sanitario della caserma di Bolzaneto, a essere implicato in una delle vicende più vergognose della storia italiana, ossia quella inerente alle torture nei confronti degli ospiti della scuola Diaz durante il vertice del G8. La sera del 21 luglio 2001 nella scuola Diaz fece irruzione un comando di Polizia che fu colpevole di un pestaggio definito dal vicequestore Michelangelo Fournier da “macelleria messicana” nei confronti di persone che erano a Genova per manifestare contro l’ assemblea dei capi di Stato degli otto paesi più industrializzati, in corso proprio nel capoluogo ligure. Gente che non ha opposto resistenza, pacifisti trattati alla stregua di terroristi. Alcuni di questi giovani furono condotti nella caserma di Bolzaneto dove subirono maltrattamenti senza rispetto alcuno, furono costretti a esporsi nudi a un pubblico di ominicchi pronti a deriderli, furono costretti a stare per ore in piedi e privati di ogni diritto umano. Giacomo Toccafondi avrebbe meritato per questo di essere radiato dall’ordine dei medici, ma i suoi colleghi lo hanno impunemente graziato infliggendogli una pena esigua, vale a dire sei mesi di sospensione dall’attività medica. Se questa si può definire una pena!  “Diaz, non lavate questo sangue”.




ITALIA – Genova e le sue donne

Di Rossella Sommariva

Anche a Genova, come nel resto d’Italia, la percentuale delle strade femminili non supera il 4% del totale: ogni 100 strade dedicate a uomini, soltanto 9 ricordano protagoniste dell’altra metà del cielo.

Nel centro storico, medievale, quando un vicolo, una piazza, una salita porta un nome femminile, è quello di una santa o beata o madonna o genericamente è un toponimo legato a tradizioni locali (lavandaie, fate…).

Nelle zone più nobili della città, sviluppatesi dal XVI al XIX secolo, accanto alle sante, ecco comparire benefattrici che hanno dedicato la loro vita a opere di carità, abbandonando anche i palazzi nobiliari, o fondatrici di ordini religiosi. In aree più periferiche si ricordano madri o sorelle di personaggi illustri e donne che hanno partecipato, con la propria famiglia, ai moti risorgimentali.

Per trovare intitolazioni riferite ad artiste, scrittrici e donne d’epoca moderna dobbiamo allontanarci dal cuore cittadino e raggiungere la periferia: è qui che Sofonisba Anguissola (pittrice), Sibilla Mertens (archeologa), Eleonora Duse, Adelaide Ristori, Lina Volonghi (attrici) e, più recentemente, partigiane e pioniere dei diritti onorano della loro presenza odonomastica angoli di strade per lo più nascoste.

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Foto: Rossella Sommaria

Tea Benedetti (Genova 1930-2000). ”Zia Tea”, come la chiamavano i volontari del soccorso, fu prima staffetta partigiana, poi sindacalista, assessora del Comune di Genova, fondatrice del “Movimento delle Pubbliche Assistenze” in Liguria e dell’Associazione Nazionale delle Pubbliche Assistenze in Italia. Ha impiegato tutta la sua energia al servizio del volontariato.

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Foto: Rossella Sommaria

Donne della Resistenza. Il 13 settembre 2013, a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, su proposta del Municipio Media Val Bisogno, la giunta comunale, come riconoscimento al contributo offerto dalle donne alla Resistenza, intitola loro una strada compresa tra via Emilia e via Piacenza .

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Foto: Rossella Sommaria

Eleonora Duse (Vigevano 1858-Pittsburgh 1924), fu una delle più importanti attrici teatrali italiane a cavallo dei due secoli, simbolo indiscusso del teatro moderno. Crebbe nella compagnia girovaga dei genitori. Da adulta si impose con una recitazione di forte impatto emotivo e visivo, affrontò i temi più spinosi della società perbenista e ipocrita dell’epoca.

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Foto: Rossella Sommaria

Felicita Noli. Nata nel 1906, fucilata nell’agosto del ’44, medaglia di bronzo al valore militare alla memoria. ’Alice’, coraggiosa partigiana genovese, attiva collaboratrice dei Gruppi di Difesa della Donna, in più occasioni mostrò con tenacia e coraggio le sue idee affrontando il nemico in modo spavaldo. Fu fucilata per rappresaglia.

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Foto: Rossella Sommaria

Sibilla Mertens Schaaffhausen (Colonia 1797-Roma 1857), archeologa. Benché sposi il banchiere Mertens e con lui abbia sei figli, il suo grande amore fu la marchesa genovese Laurina Spinola. Musicista di talento, specialista riconosciuta di numismatica, fu proprietaria di una delle più importanti collezioni di monete in Germania.

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Foto: Rossella Sommariva

Sofonisba Anguissola (1535-1625), piacentina di nascita, fu una fra le maggiori esponenti della pittura rinascimentale europea al femminile, cresciuta nello studio di Bernardino Campi, ritrattista, esponente dell’arte manierista, fu la prima donna ad andare a “bottega”.

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Foto: Rossella Sommaria

Donne di Teheran. Il 21 luglio 2010, in presenza del Nobel per la pace 2003, Shirin Ebadi, viene inaugurata la Rotonda genovese dedicata a queste donne, come segnale di solidarietà nei confronti delle donne che in Iran ed in tutto il mondo lottano per la libertà, contro la negazione dei diritti.

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Foto: Rossella Sommaria

Stefanina Moro. Nata nel novembre del 1927, morì a 16 anni dopo essere stata barbaramente torturata. Faceva parte dei gruppi di collegamento tra le varie formazioni partigiane e dopo un arresto, portata alla Casa dello Studente, non volle svelare il nome dei compagni e, ridotta allo stremo delle forze, morì poco dopo in ospedale.

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Foto: Rossella Sommaria

Lina Volonghi (Genova 1914-Milano 1991), nata nello storico quartiere di Sturla, dove le è stato intitolato uno spazio, fu una promessa del nuoto italiano che lasciò per amore del teatro. Fu, a lungo, attrice stabile del teatro Duse e tenne corsi di recitazione per giovani attori. Attiva anche al cinema, alla radio e alla televisione.

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Foto: Rossella Sommaria

Adelaide Ristori (Cividale 1822-Roma 1906) attrice tragica, compì spesso azioni di propaganda a favore dell’Italia, ancora sotto il dominio asburgico e borbonico, nei teatri dove si esibiva. Acclamatissima dal pubblico e lodata per il suo spirito patriottico, è stata l’attrice più famosa e influente dell’Ottocento.