TAORMINA – La lotta al terrore resta la priorità del G7

“Pur sostenendo i diritti umani dei migranti e rifugiati, riaffermiamo i diritti sovrani degli Stati di controllare i loro confini e fissare chiari limiti ai livelli netti di immigrazione, come elementi chiave della loro sicurezza nazionale e del loro benessere economico”. Lo si leggerebbe, secondo alcune fonti, in una bozza del documento finale del G7, tuttora sottoposta a un negoziato aperto. “La gestione e il controllo dei flussi di migranti richiede – pur tenendo conto della distinzione fra rifugiati ed emigrati economici – sia un approccio d’emergenza che uno di lungo termine”. E per quest’ultimo i leader del G7 “sono d’accordo nello stabilire partnership per aiutare i Paesi a creare nei loro confini le condizioni che risolvano le cause della migrazione”, direbbe ancora la bozza. Il nodo clima Prima della discussione sul documento finale le dichiarazioni erano improntate alla collaborazione, pur tenendo presenti le divergenze, anche importanti, di vedute. Sul clima e sul destino dell’accordo di Parigi, ad esempio, tra i leader del G7 non c’e’ ancora una posizione comune per il comunicato finale: lo riferiscono fonti dell’amministrazione canadese spiegando come questo tema resti ancora “irrisolto”. L’amministrazione Trump – rivelano comunque le stesse fonti – non avrebbe ancora preso una decisione sulla posizione da assumere sull’accordo di Parigi. Mentre i leader discutono, febbrile il lavoro degli sherpa nel tentativo di trovare un punto di incontro. Tra le ipotesi che circolano anche quella di inserire una dichiarazione nel comunicato finale in cui si dice che tutti i Paesi del G7 si impegnano per il rispetto degli obiettivi della lotta ai cambiamenti climatici “ad eccezione degli Stati Uniti”. Confermate inoltre le divisioni tra i sette anche sul fronte delle politiche commerciali. Intanto fonti dell’Eliseo dicono: sul clima “vorremmo un comunicato ambizioso, ma la linea della Francia è di non indebolire l’accordo di Parigi”, sottolineando che “c’è stata una discussione franca e diretta”, ma “non c’è ancora un accordo” tra i leader. “La posizione di Macron – aggiungono le stesse fonti – è quella di essere esigente e convincente con Trump, ma non al prezzo di un indebolimento dell’accordo di Parigi”. Gentiloni: sui migranti un buon compromesso Sui migranti “è stato raggiunto un buon compromesso: si riconosce l’approccio globale al problema, anche a lungo periodo con il coinvolgimento dei paesi di origine e la responsabilità condivisa”. E’ quanto spiegano fonti diplomatiche italiane che seguono il dossier. La discussione vera e propria al tavolo del G7 “ci sarà domani” ed è “ovvio si continui a lavorare sui due paragrafi” ad hoc del testo finale, ma “non ci sono problemi” con gli americani, che hanno chiesto maggiore attenzione alla sicurezza. “Resta sospesa la questione sull’accordo di Parigi sul clima rispetto al quale il presidente Trump ha in corso una riflessione interna di cui gli altri paesi hanno preso atto”, ha poi aggiunto il presidente del Consiglio italiano. Tutti contro il terrorismo I sette leader del G7 hanno firmato la dichiarazione contro il terrorismo. E’ stata poi il primo ministro britannico Theresa May a tenere in mano il testo della dichiarazione al momento della foto dei leader dopo la firma congiunta del documento. I Sette Grandi hanno poi salutato con baci e abbracci May che sta per ripartire per Londra, lasciando il vertice. “Noi leader del G7 esprimiamo la nostra più sentita vicinanza e le nostre sentire condoglianze per il brutale attacco e le vittime di Manchester che dimostra come dobbiamo rafforzare i nostri sforzi e trasformare i nostri impegni in azioni”, dice il documento. E prosegue: “Condanniamo in modo più deciso possibile il terrorismo e tutte le sue manifestazioni: la lotta al terrore rimane una delle maggiori priorità del G7. Siamo uniti nel rendere sicuri i nostri cittadini e preservare i loro valori e stili di vita”. Più unità e determinazione La dichiarazione contro il terrorismo porta “al rafforzamento della cooperazione tra le 7 maggiori economie del mondo occidentale su diverse questioni, dalla collaborazione informativa all’impegno dei leader per far promuovere dai grandi internet service dei provider un impegno nei confronti di quello che circola in rete che spesso amplifica gli atti di terrorismo”. Questo il commento del premier Gentiloni, che ha concluso: con la dichiarazione congiunta sul terrorismo “mostriamo la nostra unità e determinazione per continuare a combattere dopo quello che è successo a Manchester contro vittime innocenti”. Mattarella: grazie per paziente ricerca consenso. Sul terrorismo le risposte siano ambiziose “Nel rinnovarvi il benvenuto a Taormina, e in Italia, desidero esprimere il mio apprezzamento per l’impegno significativo di questo foro nell’affrontare le prove difficili che abbiamo di fronte a noi, attraverso un’opera di paziente e tenace aggregazione di consenso sui temi più complessi”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è rivolto ai leader del G7 nel brindisi prima della cena all’hotel Timeo a Taormina. Poi: “Siamo nel tempo dell’urgenza – di una estrema urgenza – per affrontare le prove e le minacce che abbiamo di fronte” per fornire “soluzioni concrete e sostenibili”, dice Mattarella, aggiungendo che “risposte ambiziose dobbiamo ai nostri cittadini di fronte al terrorismo che ancora una volta in questi giorni ha compiuto orribili stragi”.




Cinque scrutini per un compromesso. Ecco come l’Italia ha ottenuto il seggio all’Onu

Quando il presidente dell’Assemblea Generale, il danese Mogens Lykketoft, annuncia i risultati del primo scrutinio, la Svezia prende 135 voti e viene eletta. Alle sue spalle c’è l’Olanda con 125, vicina al quorum dei due terzi, e solo al terzo l’Italia, con 113 voti. Gli impegni che avevano raccolto alla vigilia erano superiori, almeno venti voti in più, e quindi qualcuno nel segreto della consultazione ci ha traditi. Il sacrificio per salvare i migranti, il lavoro nelle missioni di pace, e la competenza nell’area del Mediterraneo e Medio Oriente non sono bastati. Nel frattempo Bolivia ed Etiopia vengono elette per i posti riservati all’America latina e all’Africa.

In questa situazione si è passati al ballottaggio a due e  al voto a oltranza. Il ministro degli Esteri Gentiloni (che alla fine dirà: «È stata una dimostrazione di unità dell’Europa»), l’ambasciatore Cardi, il vice Lambertini e tutta la squadra dei diplomatici italiani è passata tra i banchi a stringere mani, scambiare commenti, cercare di consolidare i nostri voti e conquistare altri. L’Olanda è più vicina al traguardo, ma nella seconda votazione nessuno raggiunge il quorum. Sono loro che perdono più consensi, scendendo da 125 a 99, mentre l’Italia cala da 113 a 92. Questo può essere un segnale incoraggiante: forse l’idea di mandare nel Consiglio due Paesi nordici sta frenando i sostenitori dell’Aja. Il Kazhakstan intanto ha battuto la Thailandia e ha conquistato il seggio asiatico.

Si passa alla terza votazione, ma anche questa non dà risultati. Anzi, l’Italia recupera e quasi raggiunge l’Olanda: 96 voti per loro, 94 per noi.
Gentiloni si chiude con i suoi collaboratori in un salottino dietro all’Assemblea Generale, e tutti si mobilitano per recuperare voti: telefonate alle capitali, contatti diretti al Palazzo di Vetro, strette di mano. Secondo le stime di una fonte italiana impegnata direttamente nelle trattative, noi abbiamo un blocco solido di circa 45 voti africani, 20 mediorientali e 20 sudamericani.

L’Europa sta in larga parte con l’Olanda, facendoci forse pagare la decisione presa nel 2009 dall’allora ministro degli Esteri Frattini di inserirci nella competizione, dopo che Svezia e Olanda avevano già presentato la candidatura. L’Estremo Oriente sta con i nostri avversari, così come i Caraibi, legati all’Aja anche dalle relazioni seguite all’epoca coloniale. La strategia ora è conservare il blocco dei nostri voti, cercando di aumentarli lavorando sulle aree dove siamo più forti, che sono anche le regioni dove ci sarebbe più interesse geopolitico ad avere un paese del sud Europa in Consiglio. Neanche le concitate trattative dell’ora di pranzo, però, sbloccano lo stallo. Anzi, nella quarta votazione l’Olanda conserva i suoi 96 voti e l’Italia sale a 95.

Si va al quinto scrutinio, dove possono presentarsi altri candidati, ma lo stallo si accentua. Parità: Olanda 95 voti, Italia 95. L’ambasciatore Cardi confabula col collega olandese, davanti al ministro Gentiloni. Nel nome dell’unità europea, all’opposto di quanto è successo con la «Brexit», dividono il mandato: l’Aja si ritira e Roma viene eletta, ma dopo un anno si dimette. A quel punto viene indetta una nuova elezione, con l’Olanda come unico candidato.

Anche alla quarta votazione c’è stata una fumata nera per Italia e Olanda. L’Italia ha ottenuto 95 voti e l’Olanda 96. Già al primo turno nella votazione per il seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu nessuno dei due Paesi aveva ottenuto il quorum per l’elezione come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza al secondo turno. L’Italia ha ottenuto 92 preferenze e l’Olanda 99. Al primo turno la Svezia era passata superando la soglia dei 128 voti necessari. L’Olanda è arrivata seconda, senza però superare il quorum, e l’Italia terza con 113 voti.

Tra gli altri gruppi geografici, la Bolivia è stata eletta con 183 voti per l’America Latina e Caraibi, l’Etiopia con 185 voti per l’Africa. Oltre il secondo seggio per l’Europa Occidentale che vede in lizza Italia e Olanda rimane da assegnare anche il seggio per il gruppo Asia-Pacifico, che vede il ballottaggio tra Tailandia e Kazakistan.

Dal 1 gennaio i cinque nuovi membri non permanenti sostituiranno gli uscenti Spagna, Nuova Zelanda, Angola, Venezuela e Malesia. Rimangono per il 2017 Egitto, Giappone, Ucraina, Senegal e Uruguay, oltre i cinque Paesi con un seggio permanente, ossia Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina.




LIBIA – Richiesta di riscatto per i 4 italiani rapiti

I quattro italiani rapiti in Libia sono vivi e nelle mani di un gruppo di malviventi che chiedono soldi. Nessun intento politico o richieste di scambi con scafisti nelle nostre galere, attraverso i mediatori dell’intelligence è arrivata la richiesta di riscatto per la liberazione di Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, i quattro tecnici sequestrati il 20 luglio nella zona di Mellitah.

Il sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti ha scartato nettamente l’ipotesi che i rapitori siano legati in qualche modo ai trafficanti arrestati nelle settimane scorse in Italia e che il sequestro possa essere utilizzato come “merce di scambio” per ottenere dall’Italia il rilascio dei detenuti. E’ una “via impercorribile” e quindi va esclusa. Minniti, nel corso di un’audizione al Copasir, ha detto che siamo di fronte a un sequestro a scopo estorsivo e quindi, pur nella difficoltà della situazione, la vicenda è più facilmente gestibile.

Il pericolo semmai è legato ad un allungamento dei tempi del sequestro oppure alla difficoltà di individuare le fonti con cui interloquire in Libia, fonti che siano attendibili e che possano portare in tempi rapidi a una soluzione della vicenda. L’incubo ovviamente è che i quattro possano essere venduti ad organizzazioni jihadiste in qualche modo legate all’Isis.

Il premier di Tripoli Khalifa al Ghweil ha considerato anche lui “molto scarsa” la probabilità che il rapimento abbia una relazione con i trafficanti. Al Ghweil è convinto che gli autori possano essere “criminali che vogliono turbare le relazioni che vogliamo instaurare con l’Italia”. Ma è il caos politico nel Paese che rende per l’Italia più complicata la vicenda. Il premier di Tripoli non è infatti il governo riconosciuto a livello internazionale. Cosa che invece è il governo di Tobruk. E quindi le parole di Khalifa al Ghweil possono essere interpretate anche come un “avvertimento”.

Gentiloni: “Serve prudenza” – Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni dal canto suo ha chiesto “prudenza e riserbo per riportare a casa” gli italiani e ha invitato a “non inseguire il carosello di rivendicazioni, ipotesi e retroscena che vengono fatti in modo più o meno strumentale”. Sulla stessa linea il titolare del Viminale Angelino Alfano.

Intanto a Sirte, dove negli ultimi mesi si è rafforzata la presenza dell’Isis, si sono verificati violenti combattimenti tra la Brigata 166 dei Fratelli Musulmani e gruppi affiliati allo Stato Islamico. Critica la situazione anche a Bengasi, dove si susseguono gli scontri fra l’esercito e formazioni islamiste.




LIBIA – A Parigi, riunione dei ministri degli Esteri del gruppo Med. Scaroni:”Sostegno ai Paesi vicini, soprattutto all’Egitto”

Il caos Libia e le nuove minacce Isis, oggi a Parigi riunione dei ministri degli Esteri del gruppo Med, con Gentiloni, mentre dagli Stati Uniti l’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, assicura che sta arrivando arrivato un sostegno forte alla mediazione che sta conducendo l’inviato speciale del segretario generale dell’Onu, Bernardino Leon, per un governo di unità nazionale” in Libia. Sul territorio la situazione resta grave: tre autobomba sono esplose ad Al Qubah una cittadina nell’est della Libia causando danni e anche “perdite” di vite umane. Una delle esplosioni ha colpito un edificio dei servizi di di sicurezza, precisano le fonti. Al Qubah si trova ad una quarantina di chilometri ad ovest di Derna, la città trasformata in Califfato da jihadisti affiliatisi all’Isis. Intanto migliaia di egiziani sono bloccati, in territorio libico, al valico tunisino di Ras Jedir e non riescono a passare la frontiera per cercare di rientrare nel Paese d’origine. Alcune centinaia di cittadini egiziani (che in precedenza lavoravano in Libia, da dove ora cercano di scappare) sono diretti verso l’aeroporto di Djerba Zarsis, da dove dovrebbe partire un ponte aereo per rimpatriarli.

Renzi, Italia solida contro minacce – “L’Italia è un grande Paese in condizione di affrontare qualsiasi tipo di minacce”. Matteo Renzi utilizza la platea della trasmissione di Rai 2, Virus, per mandare pochi e miratissimi messaggi sul ruolo e la strategia di Roma in merito alla situazione in Libia e ai rischi di attacchi terroristici da parte dell’Isis. “L’Italia è forte ed in condizione di reggere ma non intende avviare avventure belliche”. Il problema va affrontato con “grande decisione” ma senza cedere all’isteria collettiva. “Preoccupazione sì , sottovalutazione della situazione no ma non siamo assediati, non abbiamo quelli con i coltelli dietro le porte”, tranquillizza il premier rimarcando che il problema, per certi versi, non viene dall’esterno ma dall’interno: non a caso – spiega- gli attentatori in Francia e a Copenaghen, sono nativi di quei luoghi. Così come l’Isis non e’ strutturalmente in Libia ma un fenomeno accresciuto anche grazie alle moderne tecnologie di comunicazione, come Internet, per esempio. Da qui la massima esigenza di lavorare diplomaticamente per ottenere il consenso internazionale, quindi anche da parte di paesi come la Cina e la Russia, per giungere ad una soluzione che porti la pace nel paese nordafricano. “In Libia c’è il rischio di un “franchising del terrore con gruppi locali che decidono che la bandiera dell’Isis ha più visibilità” e quindi si uniscono ai jihadisti. Lo ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a Porta a Porta, sottolineando che l’Isis ha un “marchio lugubre dall’alto valore simbolico”.

Paolo Scaroni, vice presidente di Rothschild group e per nove anni numero uno dell’Eni, da profondo conoscitore del Paese nordafricano non ritiene ancora drammatica la situazione, che può essere risolta anche senza un’azione militare dell’Italia e dei Paesi alleati. «Più che immaginare un intervento, mi immagino un forte sostegno ai Paesi vicini, soprattutto l’Egitto». Scaroni ritiene che la missione militare avesse senso tre anni fa. «Sarebbe servito a disarmare tutte le milizie in Libia. Ma al punto in cui siamo, concordo con il premier Renzi, per un intervento servono 100mila uomini».

Obama: “Guerra a terrore non all’ Islam”.

Isis : “Arriviamo a Roma” – “#We Are Coming to Rome”, stiamo arrivando a Roma. La nuova minaccia dell’Isis all’Italia arriva con un hashtag su Twitter, e alimenta le preoccupazioni per la situazione in Libia, sempre più caotica. Una “situazione esplosiva”, come l’ha definita Federica Mogherini, ministro degli Esteri della Ue. Così mentre a New York, nella sede dell’Onu, si lavora incessantemente per trovare una soluzione alla crisi che infiamma la sponda sud del Mediterraneo, a Washington – dove i rappresentanti di 60 Paesi si sono confrontati sulle strategie anti-Isis – il segretario di Stato americano John Kerry si è incontrato per parlare di Libia proprio con la Mogherini e il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukri, alla presenza del numero uno dell’Onu Ban ki-Moon. Proprio l’Egitto, intanto, ha presentato una bozza di risoluzione alle Nazioni Unite che prevede anche l’uso della forza militare in Libia se necessario. Un’opzione che però al momento non sembra essere presa in considerazione, almeno stando alla discussione avvenuta in seno al Consiglio di sicurezza. Discussione che ha rafforzato il fronte dei sostenitori della via diplomatica. La priorità numero uno è quella di mettere insieme le varie fazioni che si confrontano in Libia in un contesto di unità nazionale contro le forze del terrore. Come emerso anche da una riunione a New York dell’Intenational Crisis Group sulla Libia composto da rappresentanti di Usa, Francia, Regno Unito, Italia, Germania, Spagna, Ue e Onu.

Alfano ha parlato della minaccia di infiltrazioni con i barconi di immigrati. “Non c’e’ traccia reale di un nesso tra immigrazione e terrorismo. Ma non si puo’ escludere nulla”. A confermare le sue parole arriva da Londra la notizia che una donna di 25 anni di Birmingham è stata arrestata all’aeroporto londinese di Heathrow appena scesa da un volo in arrivo dalla Turchia ed è stata accusata di terrorismo. Al Qaida, ha detto Obama, “e’ una sfida per il mondo intero, non solo per l’America”. La forza militare non e’ pero’ sufficiente, ha affermato il presidente americano. E’ necessario sconfiggere anche la propaganda, contrastare i terroristi che online “fanno il lavaggio del cervello” ai giovani musulmani. E il mondo islamico si deve mobilitare: “Schieratevi nella lotta contro gli estremisti”, ha detto il presidente rivolgendosi ai leader musulmani. Il Cairo però preme per una risposta muscolare.

L’Egitto non rinuncia però ad esercitare pressioni. C’è il rischio che “barconi pieni di terroristi” arrivino sulle coste italiane, ha avvertito l’ambasciatore egiziano a Londra, Nasser Kamel, mentre il premier libico Abdallah al Thani ha a sua volta affermato che membri dell’Isis e di Boko Haram hanno raggiunto o stanno raggiungendo i gruppi terroristici in Libia, che a loro volta si starebbero avvicinando al confine con la Tunisia. Una figura di spicco dell’Isis in Libia, Abu Arhim al-Libim, afferma invece che l’Isis vuole infiltrarsi sui barconi di immigrati nel Mediterraneo e attaccare le “compagnie marittime e le navi dei Crociati”, almeno stando a dei presunti ‘piani segreti’ contenuti in un documento di cui il think tank anti terrorismo Quilliam di Londra è entrato in possesso. Difficile capire se si tratti di propaganda o strategia. Di certo, ha affermato Obama, è necessario “aiutare il mondo musulmano a sviluppare dei social media che contrastino la propaganda degli estremisti su Internet”, dove “gruppi come al Qaida e l’Isis propagandano una visione della religione respinta dalla stragrande maggioranza dei musulmani”.

Riepilogo

È di «155 combattenti dell’Isis uccisi e 55 catturati» il bilancio del blitz via terra delle forze egiziane a Derna. Lo riferiscono numerosi media egiziani citando le informazioni diffuse da Moustafa Bakry, un influente editorialista. Per il momento l’Esercito egiziano non conferma. Il blitz «è stato condotto da truppe elitrasportate».

Escalation nella guerra egiziana all’Isis in Libia. Forze speciali del Cairo hanno compiuto un’incursione terrestre a Derna, la città dichiaratasi Califfato dell’Isis nell’est del Paese. Lo riferiscono fonti libiche ed egiziane. Le stesse fonti precisano, senza fornire altre dettagli, che nel blitz i militari hanno «catturato 55 elementi del Daesh». Già ieri i media avevano riferito che, dopo i raid aerei l’Egitto stava, prendendo in considerazione attacchi di terra. In particolare era stata evocata la «task force 999», un’unità speciale per operazioni internazionali, da inviare in coordinamento con le forze di sicurezza libiche. E oggi si è registrato il primo attacco via terra.

Almeno cinque civili sono morti sotto i bombardamenti aerei dell’esercito egiziano contro le postazioni dello Stato Islamico, in Libia. Lo riferisce una fonte della sicurezza della citta’ di Bengasi.
Secondo la fonte, tre delle vittime erano bambini e due donne, tutte abitanti della citta’ di Derna, situata a 1.300 chilometri a est di Tripoli. I bombardamenti sono scattati questa mattina all’alba contro obiettivi dell’Isis in Libia, in risposta alla barbara uccisione dei 21 cristiani copti egiziani a Tripoli.
Hollande e Sisi: “Urge riunione consiglio sicurezza Onu”.
Sale dunque la tensione nel paese nordafricano, mentre la notte scorsa sono sbarcati in Sicilia i primi italiani rimpatriati dalla capitale libica, dove la situazione e’ molto critica. Nel video diffuso ieri sulla decapitazione dei copti, i jihadisti dello Stato Islamico hanno minacciato direttamente l’Italia: “Prima ci avete visiti in Siria, ora siamo qui, a sud di Roma”. I bombardamenti dell’Egitto sono stati confermati dalla tv di Stato, dopo che il presidente Abdel Fattah al-Sisi poche ore prima aveva annunciato che l’Egitto si riservava “il diritto di rispondere”. I caccia egiziani hanno colpito campi di addestramento e magazzini di armi.
Alfano da’ l’allarme: “Subito intervento in Libia”.
Intanto il presidente al Sisi ha incaricato il ministro degli Esteri, Sameh Shukri, di andare “immediatamente” a New York per le riunioni necessarie all’Onu e nel Consiglio di Sicurezza e chiedere una reazione internazionale. Secondo Sisi, Shukri porra’ la comunita’ internazionale di fronte alle “sue responsabilita'” perche’ prendano le “misure adeguate” per far rispettare la carta delle Nazioni Unite, tenendo conto che tutto quello che sta succedendo in libia “e’ una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”.
Papa, “Copti assassinati solo perche’ cristiani”.
L’emittente ha citato il comunicato con cui l’esercito del Cairo ha dato l’annuncio: “Le nostre forze armate lunedi’ hanno effettuato attacchi aerei mirati in Libia contro i campi Daesh (l’acronimo in arabo con cui viene indicato l’Isis, ndr.), i luoghi in cui si riuniscono e i campi di addestramento e i depositi di armi”. La tv di Stato ha anche mostrato le immagini degli aerei da combattimenti egiziani che decollavano per andare a compiere i raid. Il comando dell’aviazione del Cairo ha fatto sapere che i caccia egiziani sono partiti all’alba e sono tutti rientrati regolarmente alla base, colpendo campi di addestramento e magazzini di armi del gruppo jihadista. L’aviazione egiziana sostiene di aver colpito tutti gli obiettivi rispettando i piani. Anche i caccia dell’aviazione militare libica, fedele al generale Khalifa Haftar, hanno partecipato ai raid aerei. Lo riferisce l’emittente televisiva al Arabiya.
Intanto saranno trasferiti stamattina a Roma gli italiani rimpatriati dalla Libia e approdati la notte scorsa nel porto di Augusta (Siracusa), accompagnati dall’ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi. Il catamarano noleggiato dal governo italiano ha attraccato a mezzanotte e mezzo e lo sbarco dei nostri connazionali e’ avvenuto in un’area circondate dalle forze dell’ordine, che hanno tenuto a distanza i giornalisti. Solo un siciliano, un tecnico di Siracusa, e’ uscito dal porto ed e’ stato possibile avvicinarlo. Ai cronisti ha detto che “la situazione a Tripoli e’ critica”, e alla domanda se nella citta’ ci fosse gia’ l’Isis ha risposto: “Questo lo dice pure la televisione”. Dopo la notte in Sicilia, per i rimpatriati stamattina il trasferimento a Roma con un volo dell’Aeronautica militare dalla base di Sigonella, nei pressi di Catania.

Una Libia politicamente spaccata in due e attraversata da milizie armate e jihadisti che con l’Is sono avanzati nelle ultime settimane da est a ovest. Questa  la mappa delle forze in campo.

JIHADISTI IS – È stata Derna, ex provincia dell’Italia coloniale sulla costa orientale del Paese, la prima città libica a giurare fedeltà allo Stato islamico e al califfo Abu Bakr al Baghdadi, lo scorso autunno. Inizialmente circoscritta a Derna, con poche centinaia di uomini tra cui iracheni e yemeniti e campi di addestramento sulle Montagne verdi della Cirenaica, la presenza dei jihadisti si è spostata nelle scorse settimane a Tripoli, dove il 27 gennaio ha compiuto un sanguinoso attacco all’hotel Corinthia. Di pochi giorni fa, la notizia dell’ingresso di uomini di Baghdadi a Sirte e in altre località dell’ovest del Paese.

ANSAR AL SHARIA (alleati Is) – Nati sulle ceneri della rivolta del 2011 di ispirazione qaedista, i Partigiani della Sharia oggi alleati dell’Is controllano le città di Bengasi e di Sirte. Sono ritenuti responsabili dell’attacco al consolato Usa a Bengasi dell’11 settembre 2012 in cui morì l’ambasciatore americano Chris Stevens e altri tre statunitensi. Il gruppo è inserito nella lista nera di Usa e Onu delle organizzazioni terroristiche.

FORZE REGOLARI E GOVERNO LEGITTIMO a Tobruk – In Cirenaica, a Tobruk e Baida, si è autoesiliato in agosto per motivi di sicurezza il governo transitorio di Abdullah al Thani, espressione della Camera dei rappresentanti, il parlamento eletto il 25 giugno scorso, entrambi riconosciuti come legittimi dalla comunità internazionale. Il governo Al Thani è sostenuto dalle forze regolari libiche, nelle cui file è stato riassorbito l’ex generale Khalifa Haftar, che da mesi guida l’operazione militare Dignità contro Ansar al Sharia a Bengasi e Is a Derna, e quella contro le milizie filo-islamiche della coalizione Fajr Libya (Alba della Libia) a Tripoli. A fianco delle istituzioni di Tobruk si sono schierati l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, entrambi indicati come responsabili di raid aerei sulle milizie di Tripoli sin dall’estate del 2014.

FAJR LIBYA E GOVERNO PARALLELO (islamista) a Tripoli – Dopo la battaglia di agosto contro i rivali di Zintan (oggi fedeli a Tobruk) per il controllo dell’aeroporto internazionale di Tripoli, Fajr Libya (principalmente composta dagli ex ribelli di Misurata) ha imposto nella capitale un governo parallelo, denominato “di salvezza nazionale” e guidato da Omar al Hassi, esponente dei Fratelli musulmani, appoggiato dalla Turchia. Le milizie hanno riportato in vita anche il Congresso nazionale libico, l’ex parlamento il cui mandato è scaduto da tempo. Il 6 novembre scorso una contestata sentenza della Corte Suprema ha definito “illegittimo” il parlamento di Tobruk e il suo governo. Il Qatar è stato accusato di fornire armi e approvvigionamenti alle milizie filo-islamiche e di condurre una “guerra per procura” contro gli Emirati.