ITALIA – La Liberazione taciuta

Negli anni del secondo conflitto mondiale le italiane hanno messo in gioco le loro vite e capovolto un sistema di valori: chiamate a far fronte alle assenze maschili nelle attività quotidiane private e pubbliche, sono uscite di casa spalancando le porte al futuro.

Occupate nei campi e nelle fabbriche, impegnate nel reperimento di generi alimentari, operose nelle azioni di soccorso e cura, non hanno esitato a impugnare le armi.

Protagoniste della Resistenza, e non solo comparse, non portavano divise, né enfatizzavano le loro azioni, ma sostenevano combattenti, feriti, prigionieri, in una sorta di “maternage di massa”. Nelle loro mani era il mercato nero e buona parte della gestione economica e materiale della vita partigiana: procuravano il denaro e distribuivano armi, vestiti, cibo o medicine.

Cresceva nel contempo la loro politicizzazione personale e collettiva, espressa attraverso agitazioni in fabbrica, adesione a gruppi organizzati e partiti, diffusione clandestina e infine produzione autonoma di stampa (nel luglio del’44, Napoli liberata pubblica il primo numero legale di Noi donne).

Le partigiane combattenti furono 35 mila, e 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna: 4.653 furono arrestate e torturate, 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento.

Nel dopoguerra, l’impostazione maschilista della società, sostanzialmente immutata rispetto al modello precedente, non ha dato loro il giusto riconoscimento.

Nel tentativo di richiudere le porte aperte e soffocare il cambiamento, gli uomini hanno voluto intendere la partecipazione femminile alla Resistenza come manifestazione di senso materno e di pacifismo innato: nell’immaginario collettivo, anche la staffetta andava ricondotta al ruolo di infermiera. Escluse dalle sfilate della vittoria, invitate a rimuovere e a tacere, molte piccole e grandi protagoniste della storia smisero di raccontare.

Alla loro memoria dedichiamo il fotoreportage del 25 aprile.

1.Milano.Donne_partigiane.NadiaBoaretto copia 2

Milano

PIAZZALE DONNE PARTIGIANE

Foto di Nadia Boaretto

2.Roma_Versari.SaraCaponera

Roma

VIA IRIS VERSARI (1922–1944)

Foto di Sara Caponera

Staffetta della formazione partigiana di Tredozio, fece parte della banda di Silvio Corbari al quale era legata sentimentalmente. Diverse e clamorose furono le azioni condotte assieme ai compagni. Ferita durante uno scontro coi tedeschi, decise di uccidersi piuttosto che cadere in mani nemiche. E’ stata insignita della Medaglia d’Oro al V.M.

 OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Garlasco

VIA GISELLA FLOREANINI (1906-1993)

Foto di Roberta Martinotti

Legata già dagli anni ’30 ai gruppi di Giustizia e Libertà e al PCI divenne, grazie alle sue doti organizzative, un punto di riferimento per la Val d’Ossola. Nel febbraio 1945 fu nominata Presidente del CLN provinciale e trattò la resa dei nazifascisti nei giorni dell’insurrezione. Dopo la guerra fu parlamentare, dirigente dell’UDI e dell’Anpi e membro della Federazione Internazionale della Donna.

4.AOSTA_Vuillerminaz_MarinellaGovernale.settembre2012CA copia

Aosta

VIALE AURORA VUILLERMINAZ (1922-1944)

Foto di Marinella Govenale

Aurora Vuillerminaz dal luglio 1944 si dedicò interamente alla lotta partigiana entrando nella banda A. Verraz, operante nella valle di Cogne. Assunse l’incarico di staffetta creando collegamenti tra la Val d’Aosta e la vicina Svizzera. Al ritorno da una missione fu arrestata e, non avendo rivelato alcuna informazione, affrontò con coraggio la fucilazione.

 5.Trento_ClorindaMenguzzato_LiviaStefan

Trento

VIA CLORINDA MENGUZZATO “VEGLIA” (1927 – 1945)

foto di Livia Stefan

Infermiera e staffetta partigiana militò, con il nome di battaglia Garibaldina prima e Veglia poi, nel battaglione Gherlenda operante nel Trentino; fu catturata dai nazisti, violentata, fatta azzannare da cani feroci e fucilata. E’ stata insignita della Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

 6.Olbia_Lussu_EnricoGrixoni copia

Olbia

VIA JOYCE LUSSU (1912-1988)

Foto di Enrico Grixoni

La famiglia fuggì all’estero nel 1924 a causa delle violenze squadriste subite. Nel 1932 il fratello fu arrestato: Joyce iniziò a diffondere stampa antifascista e accettò diverse missioni clandestine. Una di queste la portò a conoscere il marito Emilio. Nel dopoguerra si legò alla militanza di base in Sardegna, promosse l’UDI, militò nel PSI e tradusse poesie terzomondiste.

 7. Ragusa_MariaOcchipinti_RosaPerupato

Ragusa

ROTONDA MARIA OCCHIPINTI (1921-1996)

Foto di Rosa Perupato

A Ragusa, nel gennaio del 1945, Maria, 23 anni e incinta di cinque mesi, si stende davanti un camion militare carico di giovani rastrellati da un quartiere popolare, con l’intento di agevolarne la fuga e la diserzione. Viene condannata al confino e al carcere. Finita la guerra viaggerà all’estero stabilendosi infine a Roma, avvicinandosi prima al PCI e poi agli anarchici.

 8.GENOVA via tea benedetti rossella sommariva  IMG_2569

Genova

VIA TEA BENEDETTI (1930-2000)

Foto di Rossella Sommariva

Proveniente da una famiglia operaia di Rivarolo, divenne staffetta partigiana molto giovane. Dopo la guerra fu sindacalista, assessora in Comune, presidente della Croce Verde di Sestri, inoltre fece parte del Consiglio Comunale di Genova per 21 anni (dal 1976 al 1997), distinguendosi per il suo spirito di servizio.

9.TriesteViaRitaRosaniLucioPerinisett2012CA

Trieste

VIA RITA ROSANI (1920- 1944)

Foto di Lucio Perini

“Vuiatri gavi voia schersàr!”. Con queste parole, dopo averle vanamente proposto di tentare la fuga coperta da una loro sortita diversiva, i combattenti della formazione “Aquila”, sorpresi da un rastrellamento nel loro rifugio in Val Policella, videro uscire a combattere la loro compagna Rita Rosani, ventiquattrenne ebrea triestina. Fu subito catturata e uccisa da un sottotenente repubblichino.

  10.Napoli_VeraLombardi_Ritaambrosino

Napoli

VIA VERA LOMBARDI (1904-1995)

Foto di Rita Ambrosino

Nata nel 1904 in una famiglia di tradizioni socialiste, Vera partecipò agli incontri clandestini di antifascisti, durante i quali scambiava libri e materiali clandestini. Dopo la guerra rimase protagonista della vita culturale e politica napoletana: è stata per anni presidente dell’Istituto campano per la Resistenza che, dopo la sua morte, le è stato intitolato.

 




“Atom for peace”. Sarà vero?

«Meglio non avere un accordo che un cattivo accordo», ha proclamato  la Guida Suprema Ali Khamenei, riecheggiando le parole del premier israeliano Benjamin Netanyahu, ostinato avversario dell’intesa di Losanna.

In sincronia con il presidente iraniano Hassan Rohani, Khamenei si è detto molto irritato perché l’Iran vorrebbe la revoca immediata delle sanzioni e non graduale, agganciata alle ispezioni dell’Aiea come nelle intenzioni dichiarate dal Cinque più Uno. Le sanzioni, secondo Teheran, devono essere cancellate il giorno stesso dell’accordo definitivo previsto entro il 30 giugno. La leadership iraniana sembra pretenziosa e intrattabile.

Il leader, in un intervento trasmesso dalla tv di Stato in occasione della Giornata nazionale della tecnologia nucleare, ha spiegato: “Vogliamo un accordo vantaggioso per tutte le parti coinvolte nei colloqui sul nucleare” e ha aggiunto: “Il presidente Usa, Barack Obama, ha riconosciuto che il popolo iraniano non si arrenderà a sopraffazioni, sanzioni e minacce, e questo fatto è una conquista” da parte della Repubblica islamica in sede di negoziati sul nucleare con le potenze mondiali.

Avere reattori civili in Iran non è come mettere il cartello “Zona denuclearizzata” all’ingresso delle nostre città di provincia, testimonianza di un grande impegno pacifista per un mondo libero da armi atomiche durato sino agli anni Ottanta.

Per Barack Obama la situazione si complica, il presidente degli USA dovrebbe pensare a un piano B, lo scenario è  mutato da  quando,  nel 1954,  Eisenhower approvò ufficialmente il progetto “Atom for Peace” al fine di agevolare l’introduzione dell’energia nucleare in applicazioni civili e per la produzione di energia elettrica, e trovare un punto di equilibrio diventa più difficile.

In Medio Oriente le trattative sono complesse e anche le parole hanno un significato diverso: l’Iran dei persiani è in guerra, le milizie sciite combattono in Iraq e in Siria contro il Califfato sunnita e i suoi alleati, da Al Qaeda alle monarchie arabe del Golfo, alla Turchia. Nello Yemen, Teheran è ai ferri corti con l’Arabia Saudita, in un conflitto dai connotati sempre più settari e inconciliabili, in cui si è arrivati a schierare navi da guerra nello Stretto di Bab el Mandeb, “la Porta delle lacrime”.

E la parola nucleare è legata più alla parola guerra che al termine energia, come vogliono invece  far credere.

Neanche la CIA sa esattamente quante testate nucleari abbia Israele (che si rifiuta categoricamente di dare spiegazioni in merito) ma la stima migliore ne accredita 80 a Tel Aviv, con plutonio sufficiente per arrivare fino a 200. Solo nel 1998 l’odierno presidente Shimon Peres rivelò che gli esperimenti israeliani sul nucleare erano cominciati già negli anni Cinquanta. Israele disporrebbe di unità terrestri, aeree e sottomarine, per il lancio dei missili.

Mentre l’Iran, per quanto accusato da Israele di essere a un passo dall’ottenere un ordigno nucleare, non ha ancora  un armamento.

L’Iran di oggi come quello dello Shah Mohammed Reza Palhevi, allora alleato di Washington, ambisce a essere una potenza nel Golfo. I suoi avversari arabi fanno di tutto per impedirlo e non esitano ad allearsi con Al Qaeda e il Califfato per raggiungere lo scopo. In questo conflitto, interno all’Islam, ma con implicazioni globali, gli Stati Uniti e l’Europa sono in posizione contraddittoria: combattono lo Stato Islamico, ormai penetrato a Damasco, e allo stesso tempo dichiarano di sostenere i sauditi nello Yemen e fanno affari con le petromonarchie che appoggiano i movimenti più radicali e terroristi.

In un colloquio a Teheran di qualche tempo fa, Shariatmadari, che perse un braccio nelle prigioni dello Shah e a sua volta torturava i prigionieri politici nel carcere di Evin, fu esplicito: «Sono gli americani che devono fare la pace con noi, non noi con loro».

Khamenei parla all’Iran  e alla comunità internazionale occidentale e araba. Deve accontentare l’ala estremista della rivoluzione islamica contraria all’accordo di Losanna.

In cima alla lista dei Paesi che possiedono armi nucleari ci sono gli Stati Uniti,che hanno condotto più test, dispongono di 7.650 testate, di cui 2.150 attive e così distribuite: 500 testate terrestri, 1.150 assegnate ai sottomarini nucleari e 300 pronte per essere montate sugli aerei. Inoltre, nell’alveo del programma di condivisione nucleare della NATO, la CIA riferisce di altre 200 bombe termonucleari (B61 a gravità) schierate in cinque Paesi NATO: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia.

La Russia dispone di 8.420 testate nucleari, di cui 1.720 attive. Gli effetti delle sperimentazioni atomiche sovietiche sono ancora oggi evidenti in molte aree dove furono condotti i test. Nell’odierno Kazakhstan, ad esempio, tra il 1949 e il 1989 il sito di Semipalatinsk fu teatro di ben 456 esplosioni termonucleari. Inutile dire che quell’area è estremamente radioattiva, per un raggio di almeno 80 km, tale che intere comunità e villaggi, ancorché distanti, portano addosso i segni indelebili di quegli esperimenti, che si sostanziano in deformazioni, leucemie e malattie ereditarie.

La Cina si ha iniziato a produrre  armi nucleari  dal 1950, dopo che gli Stati Uniti intrapresero esperimenti nucleari nel Pacifico (proprio durante la guerra tra le due Coree). Il primo test di successo con un ordigno nucleare è targato 1964, cui seguì la prima prova termonucleare due anni e mezzo più tardi (il più breve tempo tra fissione e fusione le prove di tutte le potenze nucleari). Oggi si suppone che la Cina abbia circa 140 testate terrestri e 40 assegnate per gli aerei. La CIA, che ne ha stimate 240 in totale, ritiene che le restanti testate siano conservate per un futuro impiego in un sottomarino nucleare, che oggi non possiede.

La Francia, dopo USA e Russia, è la terza potenza nucleare al mondo, anche se dispone di “sole” 300 testate, 250 delle quali assegnate a sottomarini nucleari e le restanti 50 pensate per attacchi aerei. Nel 1996, sotto la presidenza Chirac, ha smantellato tutte le testate terrestri.

Il Regno Unito ha condiviso con gli americani il “Progetto Manhattan”, padre di tutte le sperimentazioni nucleari, sviluppando poi un proprio personale programma (pur condividendo oltre la metà dei test con gli USA). Oggi dispone di 160 ordigni operativi, esclusivamente per uso sottomarino.

Pakistan e India dispongono entrambe di circa 100 testate (90/110). Islamabad decise di avviare un proprio programma nucleare nel 1972, in seguito alla guerra con l’India, sperimentando test sotterranei (nel distretto di Chagai, vicino al confine con l’Iran) e oggi dispone di missili nucleari terrestri e aerei. L’India, di converso, ha prodotto armi nucleari proprie dopo i test nucleari della Cina a metà degli anni Sessanta, testando i propri ordigni dal 1974 al 1998. Dispone di missili nucleari aerei e terrestri e da anni cerca di allargare il programma nucleare alle forze marine.

La Corea del Nord, secondo le stime della CIA, avrebbe meno di 10 testate nucleari che ha sperimentato in tre occasioni (2006, 2009 e 2013), fatto che ha comportato per Pyongyang dure reazioni della comunità internazionale e nuove sanzioni economiche. Tuttavia, la minaccia nucleare nordcoreana, particolarmente contro Corea del Sud e Stati Uniti, è poco più che un bluff. Infatti, anche se la Corea ha condotto tre test nucleari sotterranei ed effettuato test missilistici balistici, e nonostante la certezza che gli scienziati nordcoreani abbiano separato abbastanza plutonio per le 10 testate di cui sopra, non è confermato che Pyongyang sia davvero in grado di armare i missili e lanciarli, non disponendo né di sottomarini né di aerei in grado di condurre un efficace attacco dal cielo.

Mutatis mutandis, anche la politica energetica internazionale è stata modificata.

Nonostante i dati favorevoli al nucleare (soprattutto in Francia), secondo l’IAEA (International Atomic Energy Agency) il peso dell’energia nucleare rispetto alle altre fonti di energia era destinato a ridursi entro il 2020. Questa previsione è datata 2004 ed è  stata smentita dagli ultimi eventi della politica energetica internazionale. L’affermazione e l’ascesa di nuovi paesi sullo scacchiere mondiale (es. Cina e India) e la conseguente crescita della domanda di energia mondiale ha spinto alla cantierizzazione di nuovi reattori nucleari. In Asia sono attualmente in cantiere almeno 15 nuove centrali nucleari (Cina, Corea del Sud, India e Taiwan). La situazione in Europa  merita invece un livello di approfondimento maggiore. L’assenza di investimenti nella costruzione di nuove centrali nucleari in Europa negli anni ’90 è un dato di fatto. La Finlandia è stato l’unico paese europeo ad avere messo in cantiere nell’ultimo decennio del ‘900 la costruzione di una nuova centrale nucleare (centrale di Olkiluoto, attiva entro il 2010).

L’approccio nei confronti del nucleare da parte dei paesi europei è radicalmente mutato nel corso del primo decennio degli anni duemila. L’effetto serra e il caro petrolio hanno fatto riavvicinare all’energia nucleare anche i paesi occidentali più scettici. Agli inizi degli anni duemila molti paesi europei nuclearizzati (Svezia, Germania, Olanda e Belgio) avevano deciso di non sostituire le attuali centrali nucleari al termine del loro ciclo produttivo.

L’acuirsi del problema ambientale e le cicliche crisi del petrolio e del gas hanno però rimesso in discussione il destino del nucleare in Europa. La politica prevalente in questi ultimi anni tende a prolungare la vita delle centrali nucleari europea, in attesa di una possibile risposta ai problemi del nucleare da parte della ricerca scientifica. Prevale pertanto una politica di attesa.

Sono circa 440 i reattori nucleari attivi nel mondo. I paesi con maggiore presenza di reattori nucleari sono i seguenti: USA (1049), Francia (59) e Giappone (53).




IRAN – A Teheran si festeggia il nucleare, ma Netanyahu chiama Obama: «Gli accordi includano il nostro diritto a esistere»

Netanyahu ha ribadito: «l’unico obiettivo» dell’Iran è ottenere la bomba atomica. Per lo Stato ebraico è un passo in una direzione «estremamente pericolosa» perché si limita a concedere altro tempo alla Repubblica islamica. Già nella notte, dopo una telefonata con Barack Obama, Netanyahu aveva definito l’accordo tra la comunità internazionale e Teheran sul nucleare «una minaccia alla sopravvivenza di Israele».

Il Consiglio di difesa del governo di Israele ha respinto «in maniera compatta» l’intesa raggiunta tra il 5+1(Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Germania) e l’Iran sul nucleare. È quanto si legge in un comunicato pubblicato al termine della riunione di tre ore convocata dal premier Benyamin Netanyahu. Lo stesso premier,  fa sapere di «opporsi con veemenza» all’intesa,  «l’accordo non ferma un singolo impianto nucleare in Iran, non distrugge una sola centrifuga e non fermerà lo sviluppo e la ricerca sulle centrifughe avanzate. Invece, legittima l’illegale programma nucleare».

«Riconoscete il nostro diritto di esistere».

Di conseguenza «Israele chiede che ogni accordo finale con l’Iran includa un chiaro e non ambiguo riconoscimento del diritto di Israele di esistere», ha riferito il portavoce di Netanyahu con una serie di tweet. «Voglio chiarire una cosa a tutti – ha proseguito il premier – La sopravvivenza di Israele non è negoziabile. Israele non accetta un accordo che consente ad un paese che vuole annientarci di sviluppare armi nucleari». Netanyahu, a questo proposito, ha ricordato che solo due giorni fa «nel mezzo dei negoziati di Losanna il comandante della forze di sicurezza Basij in Iran ha detto:«La distruzione di Israele non è negoziabile».
Rohani: «Tutti rispettino le promesse e onoreremo gli accordi»
Venerdì pomeriggio ha preso la parola il presidente iraniano Hassan Rohani che, in una conferenza stampa, ha parlato di «giorno storico», ricordando: «Tutto il mondo deve pensare che l’accordo di Losanna soddisferà tutte le parti. L’intesa inaugurerà una nuova fase nei rapporti tra l’Iran ed il mondo intero». Non per questo Teheran accetta di essere stata chiamata al tavolo per la sofferenza imposta dalle sanzioni: «Non ci erano state imposte per portarci a trattare: il loro scopo era far arrendere l’Iran». Inoltre, un avviso: Se il gruppo 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania) «rispetterà le promesse, anche l’Iran lo farà. Se sceglierà strade diverse, altre opzioni potranno essere valutate».

SCHEDA – L’INTESA PUNTO PER PUNTO

I punti più importanti dell’intesa.
– Il “5+1” (Usa, Francia, Regno Unito, Germania, Cina e Russia) e l’Iran hanno trovato l’accordo sulla sospensione di oltre i due terzi della attuale capacità di arricchimento dell’uranio del programma di Teheran, accompagnata da 10 anni di monitoraggio.
– La maggior parte delle riserve di uranio arricchito dell’Iran dovrà essere diluita (degradata a un livello di purezza inferiore all’attuale) o trasferita all’estero.
– L’Iran manterrà dunque 6104 delle attuali 19mila centrifughe e si impegnerà a non arricchire l’uranio oltre il 3.67 per cento per almeno 15 anni.
– L’Iran, inoltre, si impegna a ridurre il suo attuale stock di 10mila chili di uranio arricchito a non più di 300 chili, arricchiti al massimo al 3,67 per cento.
– Le centrifughe in eccesso e le strutture per l’arricchimento saranno poste sotto il controllo della Aiea e saranno utilizzate solo per fornire ricambi.
– Dopo i primi 10 anni di monitoraggio, le attività di ricerca e sviluppo continueranno a essere limitate e supervisionate, con le diverse restrizioni sul programma nucleare iraniano che resteranno in vigore per 25 anni.
– In cambio del rispetto di questi vincoli, l’Iran si vedrà gradualmente alleggerire il peso delle sanzioni internazionali.
– Il mancato rispetto dell’accordo porterà automaticamente al ristabilimento delle sanzioni contro Teheran.

Anche con l’accordo sul nucleare, resteranno invece in vigore le sanzioni contro l’Iran per terrorismo, abusi sui diritti umani e detenzione di missili ad ampia gittata. Ed è stato lo stesso ministro iraniano Zarif ha sottolineare come il raggiungimento del risultato sul nucleare non comporti necessariamente una normalizzazione delle relazioni, in particolare con gli Stati Uniti. “Le nostre relazioni con gli Usa non hanno niente a che vedere con questo. Ci dividono tante differenze e nel passato abbiamo eretto una reciproca diffidenza. La mia speranza è che, con la coraggiosa implementazione di questo accordo, si possa recuperare un po’ di quella fiducia. Non ci resta che aspettare e osservare”. Da parte sua, il segretario di Stato Kerry ha sottolineato come gli Usa siano ancora “preoccupati per le attività di destabilizzazione” messe in atto dall’Iran in Medioriente. E ha rivolto un appello alle autorità di Teheran: “rilasciare gli americani detenuti nelle celle iraniane”




UCRAINA – Quarantotto ore di combattimenti prima della tregua di sabato prossimo

KIEV – Sul fronte di guerra tra esercito ucraino e miliziani filorussi, nel Dombass, si sta avverando la previsione di Vladimir Putin: “È evidente che da qui a sabato  i combattenti cercheranno di guadagnare posizioni”. Perché la tregua prevede una ritirata delle armi pesanti di 50 chilometri dal fronte. Ma se il fronte si sposta, cambia anche il peso della tregua.

Così ora si combatte più duramente che nei giorni scorsi. Decine le vittime nelle ultime 24 ore, da una parte e dall’altra. Sullo sfondo le consuete accuse reciproche.

Per il portavoce di Kiev, i separatisti hanno ucciso 8 militari ucraini e feriti altri 34. Per le autorità del Donbass invece sono i militari ad aver ucciso 4 civili, compreso un bimbo di nemmeno due anni e due ragazzine di 7 e 14 anni.

Ma Eduard Basurin, portavoce del ministero della Difesa dell’autoproclamata repubblica popolare di Donetsk, ha affermato che Kiev nei combattimenti ha perso 42 uomini. Non è chiaro se le vittime di cui parlano Kiev (8 morti) e il Donbass (42 morti) siano per episodi diversi o sia un diverso bilancio dello stesso scontro.

Le notizie di rinnovati colpi di artiglieria arrivano da diverse fonti mediatiche sul terreno: nella notte ci sono stati bombardamenti a Lugansk, riferisce la bbc, e stamattina lo stesso scenario si è riproposto a Donetsk, riportano i corrispondenti sia della tv inglese che di Ria Novosti. “Il nemico ha bombardato posizioni delle forze dell’operazione antiterroristica con la stessa intensità di prima”, ha riferito il portavoce militare di Kiev, Vladyslav Seleznyov, aggiungendo che i combattimenti sono stati particolarmente pesanti nella zona del nodo ferroviario di Debaltsevo, dove separatisti hanno usato razzi e artiglieria.

Ora Mosca dice che la Russia era pronta ad appoggiare un cessate il fuoco immediato, ma che non è stato ritenuto fattibile dai ribelli filorussi dare vita a una tregua duratura. La diplomazia comunque non si ferma, almeno a parole e nei contatti. Il Cremlino ha fatto sapere che i leader di Ucraina, Russia, Germania e Francia che hanno negoziato il cessate il fuoco di Minsk sono in contatto.

E Putin ha dato incarico a degli esperti militari russi di analizzare la situazione nella zona di Debaltseve, lo strategico snodo ferroviario nel sud-est ucraino dove i ribelli sostengono di aver circondato migliaia di militari ucraini e ne chiedono la resa. Ma le autorità di Kiev negano la resa e non vogliono cedere quella fetta di territorio. La questione di Debaltseve è considerata critica per la messa in atto dei nuovi accordi di Minsk.




BELGIO – Paese in stato di allerta. Due morti e 13 arresti durante l’operazione antiterrorismo

All’indomani della maxi-operazione delle forze di sicurezza, con due morti e 13 persone arrestate, dodici le abitazioni perquisite – presunti membri di una cellula di jihadisti, tornati dalla Siria, pronti a fare un attentato contro la polizia – l’allerta in Belgio resta al livello tre su una scala di quattro, e il Paese si risveglia nella paura. La sicurezza è stata rafforzata nel Paese, soprattutto nei commissariati, dove gli agenti di guardia sono armati di mitragliette. Inoltre è stato chiesto alla popolazione di non andare ai posti di polizia se non in caso di stretta necessità. I membri del personale operativo della polizia locale di Anversa hanno ricevuto il permesso di portare a casa la loro arma di servizio. Intanto le principali scuole ebraiche di Bruxelles e Anversa sono rimaste chiuse, mentre le misure di sicurezza sono state rafforzate presso le istituzioni europee. Secondo indiscrezioni circolate nelle ultime ore e diffuse da alcuni media belgi (Derniere Heure e on-line fiamminghi) i jihadisti stavano preparando il rapimento e la decapitazione di un importante personaggio.

L’emittente belga Rtl riporta, invece, che i membri della cellula di presunti jihadisti neutralizzata ieri sera dalle forze speciali belghe a Verviers probabilmente erano di origine cecena. Nel municipio di Moelenbeek, a Bruxelles, il sindaco Francoise Schepmans ha confermato al quotidiano Soir che una persona è stata fermata nel corso di cinque perquisizioni. Un’altra perquisizione è stata condotta nell’area di Schaerbeek. Secondo iTele una decina di arresti sono stati condotti nell’area attorno a Parigi, in Francia, e a Berlino, in Germania. Ma al momento non sono stati stabiliti legami con l’operazione in Belgio, anche se secondo indiscrezioni ci sarebbero state operazioni coordinate in sette Paesi Ue e nello Yemen. Nello Yemen è stato fermato un belga sospettato di far parte di una cellula di Al-Qaida, e viene interrogato in queste ore.